inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004

Nota a cons. stato, sezione v, n. 1812/2004 in materia di composizione delle commissioni di gara per l’aggiudicazione di appalti di servizi pubblici

di Matteo Barbero
(Funzionario della Regione Piemonte e dottorando di ricerca in diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Torino).

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Con la sentenza che qui brevemente si annota, il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi in appello presentati nei confronti della sentenza del TAR Puglia – Bari, Sezione I, n. 394/2003.

Il Giudice amministrativo di I° grado aveva disposto l’annullamento degli atti di gara e dell’atto di aggiudicazione relativi ad un appalto di pubblici servizi (di igiene urbana nel territorio comunale) ed aveva dichiarato la nullità del relativo contratto stipulato fra la stazione appaltante e la società aggiudicataria, rilevando la violazione dell’art. 21, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109[1], in riferimento alla presenza nella Commissione di gara di persona in posizione di incompatibilità a ricoprire il relativo ufficio “per aver adottato gli atti di indizione della gara e aver quindi emanato la determinazione di approvazione dei verbali e di aggiudicazione”.

In altri termini, il TAR aveva ritenuto che il rinvio, effettuato nel bando di gara, alle norme vigenti in materia di aggiudicazione di lavori pubblici (previste dalla citata legge 109/1994 e dal relativo regolamento attuativo, adottato con D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554[2]) ed, in particolare, al citato articolo 21, comma 5, avesse natura recettizia e comportasse, pertanto, il divieto della partecipazione quale componente della Commissione di gara del dirigente che aveva predisposto gli atti della procedura ed, inoltre, la sua incompatibilità ad approvare gli atti stessi e ad emettere il provvedimento di aggiudicazione finale.

“Sussiste (si legge nella sentenza di prime cure) condizione soggettiva di incompatibilità ad assumere la qualità di Commissario (componente o presidente) di chi svolga o abbia svolto qualsivoglia funzione o incarico tecnico o amministrativo in relazione all’appalto (…) di servizi oggetto della procedura.”

L’esistenza del vizio invalidante relativo all’illegittima composizione della Commissione, d’altra parte, sarebbe stata confermata, secondo quanto sostenuto dai Giudici amministrativi pugliesi, dalla stessa Amministrazione aggiudicatrice, avendo quest’ultima proceduto all’annullamento (in via di autotutela) della determinazione recante approvazione dei verbali di gara e aggiudicazione definitiva dell’appalto adottata dal dirigente in situazione di incompatibilità ed alla adozione di una nuova determinazione avente identico contenuto ma proveniente da un altro dirigente, proprio allo scopo di sanare il vizio di violazione dell’art. 21, comma 5, della legge 109/1994.

Secondo il TAR, non può ritenersi che il rinnovato provvedimento di approvazione degli atti della procedura concorsuale possa valere a sanare il vizio dedotto, vizio “che non attiene alla sola approvazione dei verbali e aggiudicazione alla controinteressata, sebbene, riferendosi all’invalida composizione della Commissione giudicatrice, si traduce in un radicale difetto di legittimazione ad operare della Commissione, con la conseguente illegittimità di tutte le operazioni compiute e degli atti adottati.”

In altri termini, “la (seconda) determinazione dirigenziale non può elidere effetti vizianti irreversibili connessi alla invalida composizione della Commissione giudicatrice, rispetto ai quali può solo ipotizzarsi la rinnovazione delle operazioni di gara ad opera di altra Commissione, diversamente composta almeno quanto al Commissario in posizione di incompatibilità”.

“Tale (seconda) determinazione, quindi, più ed oltre che illegittima in quanto intesa a sanare in pendenza di ricorso giurisdizionale un vizio insanabile, è priva di ogni rilievo giuridico, restando viceversa inficiata, in via derivata, dalle invalidità che attengono agli atti della Commissione siccome compiuti con la presenza di componente in posizione di incompatibilità (ed a monte dall’illegittimità della determinazione dirigenziale di nomina della Commissione stessa).”

 

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Il Consiglio di Stato confuta le argomentazioni sopra sommariamente richiamate, fornendo all’interprete alcuni interessanti spunti di riflessione.

Secondo il massimo Organo di giustizia amministrativa, il bando di gara in questione non ha effettuato un rinvio diretto ed esclusivo (né tanto meno recettizio) alla disciplina dettata dal ricordato art. 21, comma 5, della legge 109/1994, ma ha avuto cura di puntualizzare che la nomina della Commissione di gara sarebbe avvenuta “in analogia” con tali disposizioni se ed “in quanto applicabili”.

I Giudici di Palazzo Spada negano che, nella fattispecie, quest’ultima condizione (la applicabilità in via analogica delle norme riguardanti gli appalti di lavori pubblici agli appalti di servizi) sussista, in quanto “l’ordinamento degli enti locali, nella parte in cui definisce le competenze dei dirigenti di tali enti, non è suscettibile di essere conciliato con la legge 109/94, le cui disposizioni (dettate riguardo alla materia del lavori pubblici) “non possono assumere alcun valore di principio” in relazione alle procedure di aggiudicazione di appalti di servizi.

Per dimostrare questo assunto, la sentenza in commento richiama innanzitutto l’articolo 107, comma 3, lettere a) e b), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267[3], il quale, secondo il Collegio, “chiaramente” impone (e non semplicemente consente) ai dirigenti degli enti locali di presiedere le Commissioni di gara e di concorso assumendo la responsabilità delle relative procedure.

Lo stesso articolo 97 del d. lgs. 267/00, d’altra parte, “prevede che la responsabilità della fase preparatoria del procedimento e quella della sua conclusione facciano capo allo stesso dirigente”; più in generale, l’art. 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241[4] attribuisce ai dirigenti la responsabilità relativa ad ogni adempimento inerente al procedimento amministrativo, compresa (eventualmente) l’adozione del provvedimento finale.

Tali disposizioni si inseriscono, inoltre, “armonicamente in un ordinamento che tende a ridurre i controlli formali da parte di soggetti interni ed esterni all’ente introducendo, all’opposto, forme di verifica dell’attività in cui sia solo il risultato della gestione ad essere  valutato in termini di efficienza, rendimento e regolarità amministrativa e contabile in relazione al conseguimento degli obiettivi di gestione assegnati ai dirigenti dagli organi di governo dell’ente nell’esercizio della loro funzione di indirizzo; ciò, come accennato, “impone, anziché escludere, che i dirigenti dei singoli settori siano responsabili del buon esito dell’azione amministrativa ad essi demandata e, quindi, siano titolari dei poteri amministrativi che nel corso dei vari procedimenti devono essere esplicati. Il regime giuridico della loro responsabilità è ordinato sulla valutazione del risultato conseguito e non sulla correttezza o meno dei singoli atti compiuti e, quindi, coerentemente con tale impostazione, essi sono dotati di tutti i poteri che possono direttamente incidere sulla efficienza della loro azione amministrativa.”

Per queste ragioni, pertanto, “con riguardo alle procedure di affidamento di competenza degli enti locali” la disciplina specifica di settore “prevale sulla norma di carattere generale prevista nella legge 109/94”.

Sotto questo profilo, è del tutto ininfluente che l’amministrazione aggiudicatrice abbia approvato nuovamente con provvedimento di altro dirigente la procedura concorsuale in oggetto, essendosi l’amministrazione stessa regolata correttamente nel corso della sua esplicazione. Tale (secondo) provvedimento deve ritenersi, pertanto, certamente superfluo (come in parte sostenuto, sia pure con esiti diametralmente opposti, dallo stesso TAR pugliese), ma in ogni caso non affetto da alcun vizio di illegittimità (neppure in via derivata).

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In conclusione, la sentenza in commento presenta profili di particolare interesse laddove non si limita ad una mera analisi del dato “formale – normativo”, ma svolge considerazioni di carattere “sostanziale”, sottolineando come il concetto moderno di pubblica amministrazione imponga la prevalenza della logica del risultato rispetto a quella del controllo puramente formale.

I futuri sviluppi giurisprudenziali chiariranno entro quali limiti siffatta prevalenza (qui direttamente fondata sul tenore della normativa di settore) verrà garantita.

Note:

[1] L’articolo 21, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) dispone, per quanto qui interessa, che “(…) I commissari non debbono aver svolto né possono svolgere alcuna altra funzione od incarico tecnico od amministrativo relativamente ai lavori oggetto della procedura, e non possono far parte di organismi che abbiano funzioni di vigilanza o di controllo rispetto ai lavori medesimi (…)”.

[2] Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554 recante “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”.

[3] L’articolo 107, comma 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali) dispone, per quanto di interesse ai fini del presente lavoro, che Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:

  1. la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;

  2. la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;

[4] Secondo l’articolo 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale”.