*** Il lavoratore, affinchè mostri di esprimere al meglio
tutto se stesso nello svolgimento dei suoi compiti istituzionali, deve
potere essere valorizzato secondo le sue capacità attitudinali, il
percorso formativo concernente il curriculum vitae e, per ciò che
rappresenta il frutto delle sue concrete realizzazioni, valutato ai fini
della carriera.
Questo è uno dei messaggi culturali del movimento
riformatore dello Stato che, mediante la legge delega 23 ottobre 1992, n°
421, e, successivamente, con Dlgs. 7 agosto 1997, n° 279, Titolo III
(sulla base della delega al Governo con legge 3 aprile 1994, n° 94), ha
introdotto le unità previsionali di base, prevedendo il sistema unico di
contabilità economica analitica per centri di costo, guidando la
trasformazione del nuovo bilancio verso un’impostazione che
rispecchiasse il modello economico, mutuato da principi aziendalistici del
settore privato.
A tal riguardo, la previsione in bilancio della spesa
relativa all’assunzione di personale dipendente (come altre previsioni
di spese) non verrà più vista sotto un profilo della sola imputazione
finanziaria, vale a dire del mero esborso, ma, secondo il nuovo
orientamento, interpretata in base alla utilizzazione effettiva della
risorsa che l’amministrazione assuntrice riterrà dover fare,
conformemente all’art. 1 del Dlgs. 3/03/2001, n° 165, lettere b) e c),
- che ha sostituito l’art. 1 del Dlgs. N° 29/93, come sostituito prima
dall’art. 1 del dlgs. N° 80/98.-
Esaminata la spesa secondo un parametro economico,
l’amministrazione pubblica potrà così calcolare il costo effettivo
dell’operazione. In un secondo tempo, tenuto conto anche della
combinazione della risorsa umana con gli altri fattori di redditività,
valutando il grado di ottimizzazione degli stessi in base al rapporto
costi/benefici, verrà determinato lo standard di efficienza di un
comparto rispetto ad un altro. Per cui, tanto minore sarà il carico dei
costi sopportati nella gestione del personale (avuto riguardo oltremodo
alla valorizzazione della componente umana), tanto maggiori saranno gli
indici di redditività dell’ente e viceversa.
La nuova impostazione del bilancio, invero, è
caratterizzata dal confronto sistematico fra obiettivi prefissati e
risultati conseguiti, in quanto impone l’analisi dei costi per la
valutazione del budget da assegnare ad ogni centro di costo. La pubblica
amministrazione dovrà razionalizzare Il costo del lavoro pubblico,
contenendo la spesa entro vincoli di finanza pubblica, realizzando la
migliore utilizzazione delle risorse umane.
Argomentando circa la ricerca del personale più idoneo
ad incarnare certe qualità attitudinali, che rispondano alle esigenze
richieste, sempre più marcatamente complesse, si osserva che la dirigenza
statale avrà un compito fondamentale nella scelta degli obiettivi
funzionali da perseguire. Poiché, dalle sue azioni, dipenderà l’esito
dei controlli sui risultati ottenuti, voluti dal Dlgs. 30 luglio 1999, n°
286.
Infatti, oggetto di valutazione non saranno solo le
prestazioni dei dirigenti, ma anche i comportamenti relativi allo sviluppo
delle risorse professionali, umane ed organizzative ad essi assegnate.
A tal riguardo, una Direttiva in data 13/12/2001 della
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione
Pubblica, sulla "Formazione e valorizzazione del personale delle
pubbliche amministrazioni", assicura una pianificazione ed una
programmazione delle attività formative che tengano conto anche delle
esigenze e delle inclinazioni degli individui; sottintendendo di porre al
centro dei piani lavorativi la soggettività del lavoratore in quanto
persona. Difatti, da uno studio sulla nuova psicologia del lavoro, sembra
che la stessa tenda al raggiungimento dell'efficienza. E per
efficienza intende il rapporto prodotto/costo. Quindi l'efficienza si può
aumentare sia aumentando il prodotto, sia diminuendo il costo e sia per il
prodotto che per il costo del lavoro non si intende un puro costo o
prodotto economico. Un miglioramento del clima lavorativo determina una
diminuzione del costo e quindi un aumento del rendimento lavorativo. E’
stato constatato che la psicologia del lavoro tende ad aumentare
l'investimento affettivo nel proprio lavoro; mentre, invece, l'alienazione
aggrava la situazione. Per migliorare il rendimento produttivo del
soggetto sul proprio lavoro e, quindi, stimolare la sua partecipazione
emotiva al processo economico-produttivo, occorre far maturare nel suo
subconscio il sentimento affettivo dell'appartenenza al proprio lavoro ed
al contesto lavorativo che ne è la sua naturale espressione, da cui si è
accettati e si accetta.
Pur consapevole degli obiettivi generali da perseguire
in ambito lavorativo, tenuto conto della diversità degli uomini, lo
studio della soggettività deve guidare il dirigente ad una progettazione
ed una gestione di soggettività che non si fermino alla soglia della
programmazione di organigrammi e norme solamente, ma favoriscano anche
climi e stati d'animo. In guisa tale che, acconsentendo alle aspettative
di alcune persone, queste avranno una maggiore soddisfazione che sarà
suscettibile di tramutarsi in un crescendo in termini di rendimento.
Il recente processo di riqualificazione nei vari
comparti della Pubblica Amministrazione sta mostrando che, se da un lato
pone delle limitazioni sui criteri prescelti di avanzamento in carriera
(creando qualche malcontento nel personale dipendente per i nuovi
inquadramenti giuridici ed economici, ricostruiti solamente sulla base
della anzianità di servizio ed il possesso del titolo di studio di
laurea, implicanti, insidacabilmente, la rideterminazione della posizione
in ruolo di ciascuno all’epoca del concorso), dall’altro lato innova
la materia delle progressioni di carriera, per il fatto che le sgancia
dalle vecchie procedure pubblicistiche, in quanto riconoscevano la loro
esclusiva legittimazione in paletti imposti dalla Costituzione con il
concorso.
Difatti, com’è noto, ai sensi dell’art. 4 – comma
2° - del Dlgs. 29/93, l’organizzazione interna degli uffici è stata
affidata all’istituto della contrattazione collettiva di lavoro, che
favorisce atti di diritto privato. Ditalchè, con la privatizzazione del
rapporto di pubblico impiego, attraverso l’assimilazione del Datore di
lavoro pubblico a quello privato, i rapporti di lavoro dei dipendenti
delle Amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del
capo I, titolo II del Libro V del Cod. civ. Con tutto ciò che ne
consegue. Per cui, col mutamento di mentalità, si è passati
dall’originaria modalità di instaurazione del rapporto di lavoro nella
P.A. unilaterale ed autoritativa a quella bilaterale e consensuale di tipo
privatistico
Anche ultimi orientamenti giurisprudenziali
attribuiscono molta importanza alla qualità del lavoro prestato, con
particolare riferimento ai lavori supplementari, che esulano dalla
ordinaria trattazione delle competenze svolte abitualmente, come, per
esempio, gli incarichi esterni, che presuppongono un’elevata esperienza
professionale del funzionario incaricato nell’organizzazione del proprio
lavoro, anche facendo uso di supporti informatici e suscettibili di
cospicue responsabilità sotto ogni profilo.
Sembra opportuno osservare che con l’incarico esterno,
al dipendente viene conferito un mandato di rappresentanza dall’ente
committente che lo abilita ad instaurare dei negozi giuridici aventi
rilevanza esterna, involgenti un rapporto fiduciario per "intuitu
personae"; i quali, divenendo efficaci con la sua
sottoscrizione, diventano gravosi di sfere di responsabilità (civili,
penali ed amministrative).
Per una disamina più penetrante dell’argomento in
questione, si sottopongono, in proposito, le seguenti note esplicative:
·
Decisione n° 1783/97 del Consiglio di Stato, depositata in
data 28/06/2001, da cui emerge che "per la retribuibilità dello
svolgimento delle funzioni superiori …. è necessario un atto formale di
conferimento delle relative funzioni proveniente dall’organo cui compete
la gestione del personale…..";
·
Circolare n° 8/99 del C.S.A. – SISAS-FISAEL, da cui
emerge che "…il lavoratore ha diritto, per il periodo in cui svolge
le mansioni superiori, al trattamento economico corrispondente alla
categoria superiore".
·
Nota di approfondimento dell’avv. Bruno Sechi del Foro di
Cagliari, in data 24/11/2000, che chiarisce quanto segue: "…il
pubblico dipendente, al pari del lavoratore privato, il quale abbia svolto
mansioni superiori, ha diritto alla corrispondente retribuzione; a tal
fine, le mansioni superiori devono essere svolte in modo pieno ed
effettivo, prescindendo dalla legittimità o meno dell’atto di
assegnazione". E poi, "..se l’assegnazione supera il termine
previsto dal contratto o dalla legge, il lavoratore privato ha diritto
all’assegnazione definitiva della mansione superiore e della
corrispondente qualifica, oltre al trattamento stipendiale; il pubblico
impiegato otterrà il riconoscimento della corrispondente retribuzione e
non anche la qualifica superiore corrispondente; …".
Inoltre, la Suprema Corte, con ordinanza 6.11.2001, n°
349, accogliendo la questione di legittimità costituzionale dell’art.
33 del D.P.R. 10/01/1957, n° 3, sollevata dal Tribunale amministrativo
regionale per la Puglia – sezione staccata di Lecce , secondo cui il
divieto di retribuire le mansioni superiori, riconducibile all’art. 33
sopra citato, contrasterebbe con l’art. 36 della Costituzione (che
enuncia il principio della retribuibilità commisurata alla quantità e
qualità della prestazione lavorativa), ha dichiarato la manifesta
infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del su
richiamato art. 33 del Testo unico concernente lo statuto degli impiegati
civili dello Stato.
Con questa importante pronuncia dell’Alta Corte viene
superato uno steccato tra l’indirizzo della giurisprudenza
amministrativa e la giurisprudenza costituzionale, nella parte in cui
viene fatto osservare che l’applicazione dell’art. 33 del Testo unico
del 1957 non costituisce uno sbarramento, ovverosia una preclusione,
all’adeguamento del trattamento economico delle mansioni superiori,
secondo l’enunciato principio dell’art. 36 della Costituzione. Ciò,
in quanto l’art. 33 contempla quella fattispecie normativa che fotografa
l’ufficio, visto nelle sue condizioni di normalità, cioè nel
presupposto che l’impiegato svolga il proprio servizio nella ordinaria,
corrente, dinamica quotidianità burocratica, senza eccedere da essa.
Da siffatta evidenza, si desume che il principio
normativo, stabilito dal combinato disposto ex art. 33/1957, soddisfa
necessariamente la condizione oggettiva voluta dalla norma, che sta alla
base della corrispondenza tra la qualifica funzionale richiesta per lo
svolgimento di una determinata competenza ed il mansionario previsto dal
rispettivo ruolo professionale. Consequenzialmente, ove per esigenze
d’ufficio il lavoratore fosse adibito a mansioni superiori, in caso di
temporaneo impiego e previa la vacanza del posto (sulla base di precise
disposizioni del responsabile del servizio), non si può, secondo la
Corte, argomentare in termini di preclusione all’adeguamento al
trattamento economico delle mansioni superiori, si da escludere il ricorso
alla retribuibilità in conformità agli artt. 36 della Costituzione e
2126 cod. civ.
Ancor di più, per ciò che concerne il possesso di
determinati requisiti oggettivi, come il conseguimento di titoli
professionali da cui scaturisce l’acquisizione di conoscenze
specialistiche, o la divulgazione di saggi attinenti l’approfondimento
di argomenti su materie specifiche, o l’impostazione
dell’organizzazione del proprio lavoro, basata sull’autonoma
informatizzazione dei servizi, suscettibili nello snellimento di
procedure, si sottopongono le seguenti sentenze:
·
Corte Costituzionale 30/10/97, n° 320: "è illegittima
nei riguardi dell’art. 97 Costituzione la norma che prevede la generica
ricostruzione dell’anzianità di servizio operata ignorando eventuali
differenze di natura giuridica dei rapporti antecedenti
all’inquadramento; è altresì illegittima la norma che miri ad
inquadrare in una fascia funzionale più alta, in maniera automatica, i
dipendenti in possesso di soli requisiti che non permettono di appurare
tramite la valutazione dell’attività pregresse del lavoratore
l’esistenza della professionalità necessaria allo svolgimento delle
mansioni superiori".
·
Sicilia – Catania – 28/04/99, n° 750: "nella
valutazione dei titoli, assumono carattere residuale i cosiddetti titoli
vari, cioè le pubblicazioni, l’idoneità in precedenti concorsi, i
titoli di specializzazioni, la frequenza con profitto di corsi di
perfezionamento etc., che comportano l’attribuzione di un punteggio
aggiuntivo rispetto a quello spettante in base alle prove di esame
sostenute e superate; invero, i "titoli vari", detti anche
titoli valutabili (anche essi di natura culturale) rispondono
all’interesse pubblico di attestare un livello di istruzione e/o
professionale superiore a quello "base" individuato dai
requisiti di ammissione e, quindi, sono funzionali alla definizione
complessiva della situazione globale del candidato, mediante la previsione
di un punteggio aggiuntivo …").
·
Consiglio di Stato Sez. V, 14/04/2000, n° 2230: "In un
concorso interno a pubblici impieghi preordinato alla riqualificazione del
personale già in servizio ai fini di una sua collocazione ad una
qualifica funzionale diversa è illegittima la clausola del bando che non
tenga in alcun conto o che valuti in modo trascurabile e marginale il
percorso culturale e professionale dei candidati a fronte del punteggio
previsto per le prove scritte ed orali le quali a loro volta non possono
non considerare gli aspetti strettamente collegati alle esperienze
lavorative maturate".
A tal riguardo, giova ricordare che in sede di
contrattazione decentrata del contratto integrativo del M.I. 1998 – 2001
è stata omessa la valutazione dell’esperienza professionale prevista
espressamente nell’art. 15 del CCNNLL, lett. B, secondo capoverso.
Difatti, l’art. 10 del contratto integrativo, nel prevedere i titoli e
le posizioni valutabili, omette manifestamente di inserire quanto già
previsto nel predetto articolo 15 circa "l’esperienza professionale
acquisita"; peraltro, il punto 2 dell’art. 10, presenta una
eclatante contraddizione laddove al 3° capoverso prima prevede che
"…ogni dipendente in possesso dei requisiti previsti dal Contratto
Collettivo Nazionale" (quindi anche l’esperienza professionale), e
poi ne esclude la valutazione dei titoli dimostrativi della esperienza
professionale stessa". Quando, invece, per esperienza professionale
(anche alla luce dei suddetti richiami giurisprudenziali) si intende la
capacità, l’organizzazione del lavoro – anche in termini di
informatizzazione dei servizi, la specialità degli incarichi svolti
all’esterno e quant’altro.
Si badi anche come la sentenza n° 750/1999 del TAR
Catania, nel puntualizzare che " nella valutazione dei titoli,
assumono carattere residuale i …titoli di specializzazione", questi
ultimi, in quanto non vengano aggettivati dal TAR, non siano suscettibili
di altri distinguo meglio intellegibili, come, per esempio, la differenza
intercorrente tra i laureati e i non laureati. E si rammenta infine che il
suddetto contratto integrativo, all’art. 10, non aggettiva le
"specializzazioni", mantenendosi in stretta sintonia con
l’orientamento giurisprudenziale innanzi ricordato. Diversamente da ciò,
non si spiegherebbe altrimenti il motivo per cui non venga consentito ad
un dottore in economia e commercio e/o ad un dottore in ingegneria, che
non fossero abilitati – rispettivamente – all’esercizio della libera
professione di consulente fiscale o di ingegnere, lo svolgimento di una
professione autonoma, intellettuale; mentre, invece, con la relativa
specializzazione, il ragioniere commercialista e/o il geometra abilitato
acquistano lo status per la libera professione nei rispettivi ambiti.
Potendo, questi ultimi, assumere la rappresentanza negoziale del cliente
verso gli organi accertatori.-
In conclusione, in analogia alle trasformazioni
dell’organizzazione pubblica, per aderire al giudicato amministrativo di
cui sopra, visto che il legislatore ha voluto privatizzare il rapporto di
pubblico impiego (importando alcuni istituti normativi tipici di diritto
comune in ambito pubblicistico), è il caso di affermare che occorrerebbe
dare il meritato riconoscimento alla valutazione dell’esperienza
lavorativa del dipendente, soprattutto in considerazione che
l’efficienza e l’efficacia non si misurano in base al titolo di studio
od all’anzianità di servizio, bensì sull’effettiva capacità
professionale, involgente una prevalente, autonoma opera organizzativa
anche sulla base dei moderni mezzi della telematica, cui conseguono i
risultati prefissati dall’ente committente, che hanno per fine la
produzione dei servizi e la produttività. Diversamente, le suddette
considerazioni restano solo notazioni di carattere sociologico e non
giuridico.
Un banco di prova dei cambiamenti culturali su esposti,
ad esempio, potrà venire dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei
Ministri 15 novembre 2001 (in G.U. n. 18 del 22-1-2002) - che individua
gli indirizzi per la predisposizione della direttiva generale dei Ministri
sull'attività amministrativa e sulla gestione per l'anno 2002. La stessa
prevede che i servizi di controllo interno (SECIN), previsti presso
ciascuna amministrazione dello Stato dall'art. 6 del decreto legislativo
n. 286 del 1999 (aventi una funzione estremamente importante
nell'assicurare la diffusione di meccanismi di pianificazione e controllo
nella amministrazione) dovranno accompagnarsi, oltre alla necessaria
presenza di dirigenti interni all'amministrazione, in posizione di eguale
o maggiore responsabilità, anche di quella di persone in possesso di
competenze ed esperienze, anche maturate nel settore privato, nei
sistemi di programmazione e controllo, di audit (revisione contabile)
e di valutazione del top management.
Adesso, atteso che l’amministrazione abbia tra i
quadri intermedi dipendenti col titolo di revisore dei conti e manifesterà
di volerli coinvolgere nelle finalità volute dalla dianzi detta
direttiva, avrà, in questo modo, dato dimostrazione diretta di un caso di
concreto cambiamento; altrimenti, non rimane che pensare che è così
talmente radicata certa cultura conservatrice dello Stato-apparato vecchia
maniera, da rallentare ogni ipotesi di innovazione.
Si veda anche il disegno di legge (atti senato 1052),
approvato dalla camera dei deputati il 23 gennaio 2002 e trasmesso al
senato per la definitiva approvazione avente per oggetto: disposizioni per
il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di
esperienze e l’interazione tra pubblico e privato. L’art. 3 dispone
che " all’articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165,
sono apportate le seguenti modificazioni: …. il comma 10 è sostituito
dal seguente: "10. i dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità
di uffici dirigenziali svolgono ……… funzioni ispettive, di
consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti
dall’ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione
degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni
ministeriali";
Anche in questa ipotesi, atteso che l’amministrazione
abbia tra i quadri intermedi dipendenti col titolo di revisore dei conti,
ci si chiede se la stessa vorrà tenerne in debito conto nelle finalità
volute dalla normativa che probabilmente entrerà in vigore (?).
Mostrare di voler cambiare mentalità, dunque,
significherà, altresì, evitare che le riqualificazioni nel prosieguo dei
rinnovi contrattuali siano, sì generalizzati, da rivolgersi a tutti, ma
non all’insegna della superficialità, da essere approssimative nei
contenuti. Poiché, "pescando nel mucchio", si creano – come
corollario - situazioni paradossali nelle quali si permette a chiunque di
acquisire profili professionali privi delle necessarie conoscenza e
competenza. E’ il caso di rammentare che si è assistito a
riqualificazioni di personale che dalla qualifica di stenodattilografo è
passato al profilo di assistente informatico; dalla qualifica di
elettricista, idraulico e tipografo specializzato è passato al profilo di
responsabile mensa; dalla qualifica di ex addetto al personal computer
appartenente alla carriera informatica è stato inglobato nell'area
amministrativa; a scapito del rispetto di un pur qualsivoglia principio di
meritocrazia.
Sebastiano
Battaglia
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