*** 1- Premessa: fatto e svolgimento del
processo.
Il Comitato di gestione della USL di X
decise, con due deliberazioni che risalgono al 1989, di affidare lo studio
di fattibilità ed il progetto di massima per la realizzazione del nuovo
complesso ospedaliero di XXX ad un gruppo di professionisti privati. Il
progetto prospettato dallo staff di esperti venne approvato dalla USL che,
nel giugno del 1991, affidò loro l’incarico di progettazione esecutiva
del complesso ospedaliero. Consegnato nei termini il progetto esecutivo,
venne dato inizio al primo lotto di lavori, sennonché dagli incontri tra
progettisti ed impresa appaltatrice erano emerse discrepanze tra costo
effettivo dell’opera e costo prospettato nel progetto. Tale sottostima
del computo metrico estimativo era da ricondursi alla fase di
progettazione.
I progettisti, coscienziosamente
allarmati, elaborarono, in tempo utile ed a loro spese, un nuovo progetto
che non alterava i contenuti funzionali dell’opera, ma la rendeva
conforme al computo metrico estimativo originario.
Ciononostante la USL non ritenne
opportuno discostarsi dall’originario e più oneroso progetto, pur
approvando il nuovo lavoro presentato dai progettisti. Nel frattempo
l’impresa appaltatrice notificava domanda di arbitrato alla USL al fine
di far valere la riserva per i danni da ritardo nella stipulazione del
contratto e nella consegna dei lavori. Stando così le cose, la USL
correva ai ripari imputando ai progettisti la maggiorazione dei costi e
convenendoli in giudizio innanzi al Tribunale di Montepulciano per ivi
sentirli condannare al risarcimento.
Il Tribunale di Montepulciano, con sentenza n. 152 del 1997,
dichiarò il difetto di giurisdizione dell’A.G.O e, contestualmente,
ritenne giurisdizionalmente competente la Corte dei conti, poiché anche
il progettista di opera pubblica, al pari del direttore dei lavori,
espleterebbe una funzione pubblica con conseguente assoggettamento alla
giurisdizione della Corte dei conti in caso di responsabilità
amministrativa. Tuttavia la sezione della Corte dei conti regionale adita
declinava (sent. 1794/2000) la propria giurisdizione non ritenendo che
l’incarico di progettazione di opera pubblica, affidato a liberi
professionisti, potesse determinare l’instaurarsi di un rapporto di
servizio, anche temporaneo, con l’ente pubblico committente.
Sulla questione di giurisdizione
veniva investita la Corte dei conti, sez. giurisdizionale centrale
d’appello, che, con la sentenza n. 63/2002, aderiva alla tesi
prospettata dal giudice ordinario (sent. 152/1997) sostenendo che “il
vincolo rappresentato dal rapporto di servizio in senso proprio con
l’amministrazione danneggiata è divenuto più flessibile, e per
l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti è
sufficiente lo svolgimento di attività imputabile alla pubblica
amministrazione, da cui derivi, in virtù della relazione funzionale così
instaurata, una posizione di “appartenenza” lato sensu
all’amministrazione, dello svolgimento della cui attività il soggetto
privato è divenuto compartecipe fattivo”.
Senza voler entrare nel merito della
vexata quaestio che fa da cornice, sembra opportuno, invece, soffermarsi
sull’ambito giurisdizionale della Corte dei conti in materia di
responsabilità amministrativa e sul suo graduale ma inesorabile
allargamento.
2- Ampliamento dell’ambito
giurisdizionale della Corte dei conti in materia di responsabilità
amministrativa.
Si ricordi brevemente che la
responsabilità amministrativa è la responsabilità patrimoniale in cui
incorrono i pubblici funzionari che per inosservanza dolosa o colposa
degli obblighi di servizio abbiano causato un danno economico
all’amministrazione. Ai sensi del R.D. 1214/1934, infatti, per poter
radicare la giurisdizione contabile, era necessario un rapporto
d’impiego.
La situazione cominciò a mutare con
l’avvento della Costituzione ove si fa riferimento a “materie di
contabilità pubblica” (art. 103 Cost.) su cui radicare la giurisdizione
del giudice contabile. L’evoluzione giurisprudenziale, con
interpretazione estensiva, giunse a ricomprendere nell’ambito del
giudizio di responsabilità amministrativa anche l’operato di colui che
svolge un mero rapporto di servizio, caratterizzato dall’inserimento
nell’apparato organizzativo della P.A. secondo le regole ed i criteri
propri di quest’ultima, senza essere pubblico dipendente. Inizialmente
osteggiata da Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, tale corrente
giurisprudenziale non tardò ad essere condivisa (Corte Cost. 110/1970;
C.Cass. sez.un. 2616/1968; C.Cass. sez. un. 363/1969). Negli anni ottanta
la Corte Costituzionale ritornò sui suoi passi assumendo una posizione più
restrittiva e sostenendo che alla tendenziale generalità di competenza
della Corte dei conti sono ammissibili deroghe da parte di apposite
previsioni legislative (C. Cost. n. 241/1984; n. 189/1984; n. 641/1987).
Dal canto suo la Corte dei conti aveva continuato a basare sull’art. 103
Cost. la vis espansiva della propria giurisdizione (C.conti n. 248/1980;
n. 316/1982; n. 490/1986; n. 556/1988), allargando l’ambito
giurisdizionale di partenza al fine di esercitare in modo pieno ed
esclusivo il giudizio di responsabilità nei confronti di nuove categorie
di soggetti, prima non ricomprese sotto la sua sfera di competenza. In
tale quadro evolutivo va letta la sentenza n. 63/2002, che, aderendo ad
una corrente giurisprudenziale che potremmo definire minoritaria (da
ultimo C.conti n. 1243/1999), ha sancito l’appartenenza in senso lato
all’amministrazione del progettista di opera pubblica, in ragione della
natura pubblica dell’attività esercitata.
Invero, la Corte dei conti ritiene di
dover basare la nozione di rapporto di servizio sulla funzione esercitata
dal soggetto: qualora il soggetto svolgesse un’attività preposta al
raggiungimento di un interesse collettivo allora costui andrebbe
inquadrato, volente o nolente, “in posizione di compartecipe fattivo”
dell’amministrazione e per ciò stesso verrebbe a trovarsi in un
rapporto di servizio con l’ente pubblico. Ciò premesso, il passo è
relativamente breve per considerare suscettibile alla giurisdizione
contabile anche l’operato di progettisti di opera pubblica nel
compimento di un munus publicum.
3- Funzione pubblica e pubblico
servizio.
Per comprendere meglio le ragioni su
cui la sentenza in esame si è basata per affermare la propria
giurisdizione, occorre far riferimento anche alla trasformazione, compiuta
dall’amministrazione nell’ultimo decennio, che ha contribuito a
modificare l’originaria concezione della funzione pubblica e del
pubblico servizio e ad apportare, di conseguenza, notevoli cambiamenti in
ordine al criterio di riparto, non più basato sul criterio soggettivo,
cioè sulla natura pubblica o privata del soggetto agente, bensì sulla
materia controversa (in tal senso Cass. sez. un. n. 40/2000).
Sono molteplici i settori in cui si
sta affermando il principio secondo il quale non rileva la natura privata
o pubblica del soggetto, ma solo il fatto che questi agisca
nell’interesse della collettività (funzione pubblica), anche se non
assoggettato al potere autoritativo dell’amministrazione (in tal senso
Cons. St. ad. Plen. n.
4/1999). Nel campo dei servizi pubblici, come nell’ambito delle
procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, si è sempre più
diffuso il fenomeno dell’intervento di soggetti privati in luogo della
P.A. in senso soggettivo. Di fronte ad atti compiuti da enti pubblici
economici, da società costituite da enti locali, da concessionari di
lavori pubblici o di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico
servizio, da società con capitale pubblico in misura anche non prevalente
e via dicendo tutti i soggetti privati che partecipano all’attività
amministrativa, si è posto il problema della qualificazione della
situazione giuridica soggettiva imputabile ad essi e del criterio di
riparto applicabile.
La giurisprudenza ed il legislatore,
sia nazionale che comunitario (basti pensare alla creazione della figura
di organismo di diritto pubblico), sembrano aver risolto tali
problematiche propendendo per l’estensione della giurisdizione del G.A.
anche ai soggetti privati che perseguono un interesse pubblico ad essi
affidato con un’attività pubblica, prospettando un inquadramento di
questi ultimi nell’ambito della struttura amministrativa, ma al di fuori
della gerarchia (uffici di line). Prova ne sia l’applicazione del
diritto di accesso agli atti (artt. 22 e ss. l. 241/1990) anche ad enti,
come ad esempio le Ferrovie dello Stato s.p.a. o le Poste Italiane s.p.a.,
che non sono legati direttamente alla P.A., ma che debbono ugualmente
operare tenendo presenti i principi di ragionevolezza, imparzialità e
buon andamento.
Tali rivolgimenti hanno influenzato la
Corte dei conti che ha valutato l’attività del privato progettista alla
stregua di un munus publicum e per ciò suscettibile di controllo da parte
dell’ente pubblico; inoltre la Corte ha ritenuto il professionista
privato inquadrabile, almeno temporaneamente, nella stessa struttura
organizzativa dell’ente committente.
4- La figura del progettista.
La definizione di munus publicum con
cui la Corte di conti vincola il professionista privato all’ente
pubblico, in un rapporto di servizio, è probabilmente troppo generica. Il
munus publicum, infatti, consta di due sotto categorie, ovvero il munus
professionale (ad es. la professione di notaio), ove lo stesso esercizio
della professione costituisce munus, ed il munus affidato per incarico (ad
es. CTU, curatela fallimentare ecc.). Ebbene, l’operato del progettista
potrebbe essere inquadrato nella seconda categoria di munera, che, seppur
caratterizzati da un rapporto di ausiliarietà con l’amministrazione,
sono nettamente al di fuori di un rapporto di servizio con essa.
Il progettista che riceve un incarico
dall’amministrazione non fa altro che offrire (rectius prestare) la sua
opera intellettuale, ossia il progettista, mi si conceda l’espressione,
“vende le sue idee” all’amministrazione. Ciò avviene in misura
molto evidente nel concorso di idee, ove l’amministrazione resta libera
di acquistare o meno il relativo progetto (l’idea), che ha carattere
sostanzialmente esplorativo (Cons. St. n. 260/1984).
Il progettista, pur incaricato di
svolgere la sua opera per il conseguimento di un interesse pubblico,
rimane estraneo all’amministrazione, non appartiene ad essa né
partecipa al procedimento – mentre con il munus si avrebbe un rapporto
di imputazione degli atti del progettista all’amministrazione. In altre
parole il progettista svolge il lavoro al meglio delle sue capacità non
per realizzare l’assetto di interessi migliore possibile o per
perseguire una finalità pubblica, ma solamente per portare a termine il
suo lavoro; la doverosità della prestazione è insita nella funzione
professionale esercitata e non va confusa con il dovere d’ufficio, che
consiste nel dovere degli addetti di prestare il loro lavoro nell’ambito
dell’organizzazione amministrativa. Non determina, infatti,
l’inquadramento, anche lato sensu, nella struttura amministrativa e, di
conseguenza l’assoggettamento alla giurisdizione contabile, il rapporto
convenzionale con il libero professionista, che svolge un servizio con
l’amministrazione, non essendo vincolato se non alle regole proprie
della professione esercitata. Non è riconducibile al professionista
privato l’interesse a raggiungere l’interesse pubblico, in quanto il
privato è e rimane tale. Basti pensare all’avvocato che, incaricato
dalla giunta di costituirsi in giudizio per il Comune, non persegue
l’interesse pubblico di evitare l’esborso di denaro da parte
dell’ente locale al fine di poter utilmente reimpiegarlo, ma svolgerà
il suo lavoro operando le scelte che riterrà opportune per vincere ed
ottenere il suo compenso. L’avvocato, come il progettista, opera delle
scelte che non è pensabile di poter sindacare, pur se queste si
rivelassero sbagliate a posteriori. L’incarico al privato non fa sorgere
una sorta di obbligazione di risultato, ma l’onere, peraltro presente
anche nei confronti dei clienti privati, di svolgere il lavoro senza
errori inescusabili quali, ad esempio, le decadenze processuali, per
l’avvocato, o la mancata consegna nei tempi richiesti senza giustificato
motivo, per il progettista. I controlli amministrativi sul lavoro del
progettista non si addentrano nel merito tecnico del progetto, ma
sindacano l’operato dall’esterno imponendo “tabelle di marcia” e
requisiti di massima. Un progetto per un ospedale è un lavoro molto
complesso con una quantità di variabili quasi indeterminabile,
specialmente se si persegue un risultato il più soddisfacente possibile
tentando di arginare i costi con soluzioni tecniche innovative.
L’amministrazione si preoccupa di realizzare il risultato migliore
possibile con la minor spendita di denaro pubblico (principi
dell’efficienza, efficacia ed economicità), per cui la complessa opera
che il progettista svolge correttamente, cioè senza errori che avrebbe
potuto evitare usando le cautele proprie del diligente professionista
appartenente alla sua categoria (colpa grave ex art. 2236 c.c.), non ha
natura strumentale al raggiungimento dell’interesse pubblico e non
risulta inquadrabile in un rapporto di servizio, neppure temporaneo con
l’ente pubblico. Il progetto è predisposto dal professionista per
soddisfare le richieste di un cliente, cioè l’amministrazione, non
certo per perseguire un interesse pubblico. In tal modo non verrebbe a
crearsi un conflitto di interessi patrimoniali con la P.A., come, invece,
presuppone la giurisdizione contabile, poiché il privato progettista ha
invece interesse a che il cliente-amministrazione sia soddisfatto della
sua opera ed è interessato solo a ciò, non rilevando per lui che il suo
progetto possa servire per costruire un ospedale o per realizzare il più
innovativo modello di mina anti-uomo.
Tutto ciò premesso non sembra
opportuno rifarsi alla figura del munus per inquadrare il rapporto
privatistico che si viene ad instaurare tra P.A. e progettista, anche se
poi il classico esempio di munus publicum conferito per incarico, ovvero
la curatela fallimentare, non è passibile di giudizio contabile. Il
curatore fallimentare revocato, infatti, è soggetto ad un’azione di
responsabilità ed è perseguibile penalmente se il suo operato contempla
una delle fattispecie punibili.
Ancora. Il progettista, come detto,
pone in essere un’attività altamente tecnica il cui carattere
discrezionale costituisce un serio limite al sindacato della Corte dei
conti, che, almeno nei confronti dei pubblici dipendenti, va a ricercare
l’esistenza o meno di un principio di razionalità che deve essere alla
base delle scelte effettuate in relazione alle finalità di pubblico
interesse. Le scelte del professionista privato non sono sindacabili dal
giudice contabile in quanto il progettista, giova ripeterlo, non persegue
un interesse pubblico, ma la sua attività dovrà rispondere
esclusivamente ai requisiti previsti per l’esercizio di una tale attività,
anche se il cliente è, diciamo, un po’ speciale. Quindi se, ad esempio,
il privato si fingesse progettista ed esercitasse abusivamente la
professione ingannando l’amministrazione, a quest’ultima non
resterebbe che rivolgersi al giudice ordinario per vedersi ristorare del
danno eventualmente subito.
5- Conclusioni
Da ultimo occorre rivolgere
l’attenzione su una considerazione di politica legislativa. Con
l’istituzione del giudice contabile, infatti, il nostro legislatore ha
probabilmente voluto affidare ad un organo specializzato un controllo
tecnico su materie ben delimitate, ma l’evoluzione giurisprudenziale ha
probabilmente stravolto un tale proposito ampliando l’ambito
giurisdizionale della Corte dei conti. Ad un’estensione della
giurisdizione, peraltro non prevista dallo stesso legislatore, non ha
fatto seguito una riforma del “vecchio” processo contabile,
fossilizzato in schemi ante Carta Costituzionale e per certi versi
contrari alle regole del novellato art. 111 Cost., in spregio cioè ai
principi fondamentali del “giusto” processo.
Se a ciò si aggiungesse anche una
dilatazione senza limiti della giurisdizione si arriverebbe a violare il
principio di uguaglianza sancito dall’art.3 Cost., sottoponendo al
Giudice contabile alcune categorie professionali piuttosto che altre ad
esse affini (progettisti sì, mentre avvocati no, per esempio). In buona
sostanza, la scelta operata dalla Corte dei conti con la sentenza n.
63/2002 non è condivisibile alla stregua delle considerazioni sopra
esposte, ma si confida in un ripensamento delle posizioni da questa
assunte. Non parrebbe, infine, priva di pregio la rimessione della
questione, attraverso regolamento di giurisdizione, alla Corte di
Cassazione, visto che la causa non è ancora stata decisa nel merito.
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