inserito in Diritto&Diritti nel luglio 2002

La giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa (commento alla sentenza della C.conti, III sez. giurisdizionale centrale d’appello n. 63 del 2002).

Di Riccardo De Simone

***

1- Premessa: fatto e svolgimento del processo.

Il Comitato di gestione della USL di X decise, con due deliberazioni che risalgono al 1989, di affidare lo studio di fattibilità ed il progetto di massima per la realizzazione del nuovo complesso ospedaliero di XXX ad un gruppo di professionisti privati. Il progetto prospettato dallo staff di esperti venne approvato dalla USL che, nel giugno del 1991, affidò loro l’incarico di progettazione esecutiva del complesso ospedaliero. Consegnato nei termini il progetto esecutivo, venne dato inizio al primo lotto di lavori, sennonché dagli incontri tra progettisti ed impresa appaltatrice erano emerse discrepanze tra costo effettivo dell’opera e costo prospettato nel progetto. Tale sottostima del computo metrico estimativo era da ricondursi alla fase di progettazione.

I progettisti, coscienziosamente allarmati, elaborarono, in tempo utile ed a loro spese, un nuovo progetto che non alterava i contenuti funzionali dell’opera, ma la rendeva conforme al computo metrico estimativo originario.

Ciononostante la USL non ritenne opportuno discostarsi dall’originario e più oneroso progetto, pur approvando il nuovo lavoro presentato dai progettisti. Nel frattempo l’impresa appaltatrice notificava domanda di arbitrato alla USL al fine di far valere la riserva per i danni da ritardo nella stipulazione del contratto e nella consegna dei lavori. Stando così le cose, la USL correva ai ripari imputando ai progettisti la maggiorazione dei costi e convenendoli in giudizio innanzi al Tribunale di Montepulciano per ivi sentirli condannare al risarcimento.

  Il Tribunale di Montepulciano, con sentenza n. 152 del 1997, dichiarò il difetto di giurisdizione dell’A.G.O e, contestualmente, ritenne giurisdizionalmente competente la Corte dei conti, poiché anche il progettista di opera pubblica, al pari del direttore dei lavori, espleterebbe una funzione pubblica con conseguente assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in caso di responsabilità amministrativa. Tuttavia la sezione della Corte dei conti regionale adita declinava (sent. 1794/2000) la propria giurisdizione non ritenendo che l’incarico di progettazione di opera pubblica, affidato a liberi professionisti, potesse determinare l’instaurarsi di un rapporto di servizio, anche temporaneo, con l’ente pubblico committente.

Sulla questione di giurisdizione veniva investita la Corte dei conti, sez. giurisdizionale centrale d’appello, che, con la sentenza n. 63/2002, aderiva alla tesi prospettata dal giudice ordinario (sent. 152/1997) sostenendo che “il vincolo rappresentato dal rapporto di servizio in senso proprio con l’amministrazione danneggiata è divenuto più flessibile, e per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti è sufficiente lo svolgimento di attività imputabile alla pubblica amministrazione, da cui derivi, in virtù della relazione funzionale così instaurata, una posizione di “appartenenza” lato sensu all’amministrazione, dello svolgimento della cui attività il soggetto privato è divenuto compartecipe fattivo”.

Senza voler entrare nel merito della vexata quaestio che fa da cornice, sembra opportuno, invece, soffermarsi sull’ambito giurisdizionale della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa e sul suo graduale ma inesorabile allargamento.

 

2- Ampliamento dell’ambito giurisdizionale della Corte dei conti in materia di responsabilità amministrativa.

Si ricordi brevemente che la responsabilità amministrativa è la responsabilità patrimoniale in cui incorrono i pubblici funzionari che per inosservanza dolosa o colposa degli obblighi di servizio abbiano causato un danno economico all’amministrazione. Ai sensi del R.D. 1214/1934, infatti, per poter radicare la giurisdizione contabile, era necessario un rapporto d’impiego.

La situazione cominciò a mutare con l’avvento della Costituzione ove si fa riferimento a “materie di contabilità pubblica” (art. 103 Cost.) su cui radicare la giurisdizione del giudice contabile. L’evoluzione giurisprudenziale, con interpretazione estensiva, giunse a ricomprendere nell’ambito del giudizio di responsabilità amministrativa anche l’operato di colui che svolge un mero rapporto di servizio, caratterizzato dall’inserimento nell’apparato organizzativo della P.A. secondo le regole ed i criteri propri di quest’ultima, senza essere pubblico dipendente. Inizialmente osteggiata da Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, tale corrente giurisprudenziale non tardò ad essere condivisa (Corte Cost. 110/1970; C.Cass. sez.un. 2616/1968; C.Cass. sez. un. 363/1969). Negli anni ottanta la Corte Costituzionale ritornò sui suoi passi assumendo una posizione più restrittiva e sostenendo che alla tendenziale generalità di competenza della Corte dei conti sono ammissibili deroghe da parte di apposite previsioni legislative (C. Cost. n. 241/1984; n. 189/1984; n. 641/1987). Dal canto suo la Corte dei conti aveva continuato a basare sull’art. 103 Cost. la vis espansiva della propria giurisdizione (C.conti n. 248/1980; n. 316/1982; n. 490/1986; n. 556/1988), allargando l’ambito giurisdizionale di partenza al fine di esercitare in modo pieno ed esclusivo il giudizio di responsabilità nei confronti di nuove categorie di soggetti, prima non ricomprese sotto la sua sfera di competenza. In tale quadro evolutivo va letta la sentenza n. 63/2002, che, aderendo ad una corrente giurisprudenziale che potremmo definire minoritaria (da ultimo C.conti n. 1243/1999), ha sancito l’appartenenza in senso lato all’amministrazione del progettista di opera pubblica, in ragione della natura pubblica dell’attività esercitata.

Invero, la Corte dei conti ritiene di dover basare la nozione di rapporto di servizio sulla funzione esercitata dal soggetto: qualora il soggetto svolgesse un’attività preposta al raggiungimento di un interesse collettivo allora costui andrebbe inquadrato, volente o nolente, “in posizione di compartecipe fattivo” dell’amministrazione e per ciò stesso verrebbe a trovarsi in un rapporto di servizio con l’ente pubblico. Ciò premesso, il passo è relativamente breve per considerare suscettibile alla giurisdizione contabile anche l’operato di progettisti di opera pubblica nel compimento di un munus publicum.

 

3- Funzione pubblica e pubblico servizio.

Per comprendere meglio le ragioni su cui la sentenza in esame si è basata per affermare la propria giurisdizione, occorre far riferimento anche alla trasformazione, compiuta dall’amministrazione nell’ultimo decennio, che ha contribuito a modificare l’originaria concezione della funzione pubblica e del pubblico servizio e ad apportare, di conseguenza, notevoli cambiamenti in ordine al criterio di riparto, non più basato sul criterio soggettivo, cioè sulla natura pubblica o privata del soggetto agente, bensì sulla materia controversa (in tal senso Cass. sez. un. n. 40/2000).

Sono molteplici i settori in cui si sta affermando il principio secondo il quale non rileva la natura privata o pubblica del soggetto, ma solo il fatto che questi agisca nell’interesse della collettività (funzione pubblica), anche se non assoggettato al potere autoritativo dell’amministrazione (in tal senso Cons. St. ad. Plen. n. 4/1999). Nel campo dei servizi pubblici, come nell’ambito delle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, si è sempre più diffuso il fenomeno dell’intervento di soggetti privati in luogo della P.A. in senso soggettivo. Di fronte ad atti compiuti da enti pubblici economici, da società costituite da enti locali, da concessionari di lavori pubblici o di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, da società con capitale pubblico in misura anche non prevalente e via dicendo tutti i soggetti privati che partecipano all’attività amministrativa, si è posto il problema della qualificazione della situazione giuridica soggettiva imputabile ad essi e del criterio di riparto applicabile. 

La giurisprudenza ed il legislatore, sia nazionale che comunitario (basti pensare alla creazione della figura di organismo di diritto pubblico), sembrano aver risolto tali problematiche propendendo per l’estensione della giurisdizione del G.A. anche ai soggetti privati che perseguono un interesse pubblico ad essi affidato con un’attività pubblica, prospettando un inquadramento di questi ultimi nell’ambito della struttura amministrativa, ma al di fuori della gerarchia (uffici di line). Prova ne sia l’applicazione del diritto di accesso agli atti (artt. 22 e ss. l. 241/1990) anche ad enti, come ad esempio le Ferrovie dello Stato s.p.a. o le Poste Italiane s.p.a., che non sono legati direttamente alla P.A., ma che debbono ugualmente operare tenendo presenti i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento.

Tali rivolgimenti hanno influenzato la Corte dei conti che ha valutato l’attività del privato progettista alla stregua di un munus publicum e per ciò suscettibile di controllo da parte dell’ente pubblico; inoltre la Corte ha ritenuto il professionista privato inquadrabile, almeno temporaneamente, nella stessa struttura organizzativa dell’ente committente.

 

4- La figura del progettista.

La definizione di munus publicum con cui la Corte di conti vincola il professionista privato all’ente pubblico, in un rapporto di servizio, è probabilmente troppo generica. Il munus publicum, infatti, consta di due sotto categorie, ovvero il munus professionale (ad es. la professione di notaio), ove lo stesso esercizio della professione costituisce munus, ed il munus affidato per incarico (ad es. CTU, curatela fallimentare ecc.). Ebbene, l’operato del progettista potrebbe essere inquadrato nella seconda categoria di munera, che, seppur caratterizzati da un rapporto di ausiliarietà con l’amministrazione, sono nettamente al di fuori di un rapporto di servizio con essa.

Il progettista che riceve un incarico dall’amministrazione non fa altro che offrire (rectius prestare) la sua opera intellettuale, ossia il progettista, mi si conceda l’espressione, “vende le sue idee” all’amministrazione. Ciò avviene in misura molto evidente nel concorso di idee, ove l’amministrazione resta libera di acquistare o meno il relativo progetto (l’idea), che ha carattere sostanzialmente esplorativo (Cons. St. n. 260/1984).

Il progettista, pur incaricato di svolgere la sua opera per il conseguimento di un interesse pubblico, rimane estraneo all’amministrazione, non appartiene ad essa né partecipa al procedimento – mentre con il munus si avrebbe un rapporto di imputazione degli atti del progettista all’amministrazione. In altre parole il progettista svolge il lavoro al meglio delle sue capacità non per realizzare l’assetto di interessi migliore possibile o per perseguire una finalità pubblica, ma solamente per portare a termine il suo lavoro; la doverosità della prestazione è insita nella funzione professionale esercitata e non va confusa con il dovere d’ufficio, che consiste nel dovere degli addetti di prestare il loro lavoro nell’ambito dell’organizzazione amministrativa. Non determina, infatti, l’inquadramento, anche lato sensu, nella struttura amministrativa e, di conseguenza l’assoggettamento alla giurisdizione contabile, il rapporto convenzionale con il libero professionista, che svolge un servizio con l’amministrazione, non essendo vincolato se non alle regole proprie della professione esercitata. Non è riconducibile al professionista privato l’interesse a raggiungere l’interesse pubblico, in quanto il privato è e rimane tale. Basti pensare all’avvocato che, incaricato dalla giunta di costituirsi in giudizio per il Comune, non persegue l’interesse pubblico di evitare l’esborso di denaro da parte dell’ente locale al fine di poter utilmente reimpiegarlo, ma svolgerà il suo lavoro operando le scelte che riterrà opportune per vincere ed ottenere il suo compenso. L’avvocato, come il progettista, opera delle scelte che non è pensabile di poter sindacare, pur se queste si rivelassero sbagliate a posteriori. L’incarico al privato non fa sorgere una sorta di obbligazione di risultato, ma l’onere, peraltro presente anche nei confronti dei clienti privati, di svolgere il lavoro senza errori inescusabili quali, ad esempio, le decadenze processuali, per l’avvocato, o la mancata consegna nei tempi richiesti senza giustificato motivo, per il progettista. I controlli amministrativi sul lavoro del progettista non si addentrano nel merito tecnico del progetto, ma sindacano l’operato dall’esterno imponendo “tabelle di marcia” e requisiti di massima. Un progetto per un ospedale è un lavoro molto complesso con una quantità di variabili quasi indeterminabile, specialmente se si persegue un risultato il più soddisfacente possibile tentando di arginare i costi con soluzioni tecniche innovative. L’amministrazione si preoccupa di realizzare il risultato migliore possibile con la minor spendita di denaro pubblico (principi dell’efficienza, efficacia ed economicità), per cui la complessa opera che il progettista svolge correttamente, cioè senza errori che avrebbe potuto evitare usando le cautele proprie del diligente professionista appartenente alla sua categoria (colpa grave ex art. 2236 c.c.), non ha natura strumentale al raggiungimento dell’interesse pubblico e non risulta inquadrabile in un rapporto di servizio, neppure temporaneo con l’ente pubblico. Il progetto è predisposto dal professionista per soddisfare le richieste di un cliente, cioè l’amministrazione, non certo per perseguire un interesse pubblico. In tal modo non verrebbe a crearsi un conflitto di interessi patrimoniali con la P.A., come, invece, presuppone la giurisdizione contabile, poiché il privato progettista ha invece interesse a che il cliente-amministrazione sia soddisfatto della sua opera ed è interessato solo a ciò, non rilevando per lui che il suo progetto possa servire per costruire un ospedale o per realizzare il più innovativo modello di mina anti-uomo.

Tutto ciò premesso non sembra opportuno rifarsi alla figura del munus per inquadrare il rapporto privatistico che si viene ad instaurare tra P.A. e progettista, anche se poi il classico esempio di munus publicum conferito per incarico, ovvero la curatela fallimentare, non è passibile di giudizio contabile. Il curatore fallimentare revocato, infatti, è soggetto ad un’azione di responsabilità ed è perseguibile penalmente se il suo operato contempla una delle fattispecie punibili.

Ancora. Il progettista, come detto, pone in essere un’attività altamente tecnica il cui carattere discrezionale costituisce un serio limite al sindacato della Corte dei conti, che, almeno nei confronti dei pubblici dipendenti, va a ricercare l’esistenza o meno di un principio di razionalità che deve essere alla base delle scelte effettuate in relazione alle finalità di pubblico interesse. Le scelte del professionista privato non sono sindacabili dal giudice contabile in quanto il progettista, giova ripeterlo, non persegue un interesse pubblico, ma la sua attività dovrà rispondere esclusivamente ai requisiti previsti per l’esercizio di una tale attività, anche se il cliente è, diciamo, un po’ speciale. Quindi se, ad esempio, il privato si fingesse progettista ed esercitasse abusivamente la professione ingannando l’amministrazione, a quest’ultima non resterebbe che rivolgersi al giudice ordinario per vedersi ristorare del danno eventualmente subito.

 

5- Conclusioni

Da ultimo occorre rivolgere l’attenzione su una considerazione di politica legislativa. Con l’istituzione del giudice contabile, infatti, il nostro legislatore ha probabilmente voluto affidare ad un organo specializzato un controllo tecnico su materie ben delimitate, ma l’evoluzione giurisprudenziale ha probabilmente stravolto un tale proposito ampliando l’ambito giurisdizionale della Corte dei conti. Ad un’estensione della giurisdizione, peraltro non prevista dallo stesso legislatore, non ha fatto seguito una riforma del “vecchio” processo contabile, fossilizzato in schemi ante Carta Costituzionale e per certi versi contrari alle regole del novellato art. 111 Cost., in spregio cioè ai principi fondamentali del “giusto” processo.

Se a ciò si aggiungesse anche una dilatazione senza limiti della giurisdizione si arriverebbe a violare il principio di uguaglianza sancito dall’art.3 Cost., sottoponendo al Giudice contabile alcune categorie professionali piuttosto che altre ad esse affini (progettisti sì, mentre avvocati no, per esempio). In buona sostanza, la scelta operata dalla Corte dei conti con la sentenza n. 63/2002 non è condivisibile alla stregua delle considerazioni sopra esposte, ma si confida in un ripensamento delle posizioni da questa assunte. Non parrebbe, infine, priva di pregio la rimessione della questione, attraverso regolamento di giurisdizione, alla Corte di Cassazione, visto che la causa non è ancora stata decisa nel merito.