inserito in Diritto&Diritti nel luglio 2002

Limitazioni all’esercizio della pubblicità lungo le strade e tutela costituzionale al libero esercizio della iniziativa economica

di Giovanni Fontana ([1])

***

1. Premessa

Capita, talvolta, nella nostra vita, di fare un po’ “il punto della situazione” e, con ciò, dare un senso concreto a quanto ci è accaduto: ciò vale, anche in ragione della evoluzione del nostro pensiero e, per quanto mi riguarda, alla evoluzione del mio pensiero giuridico.

A ritroso, quindi, i miei primi interventi in materia di pubblicità lungo le strade, riguardavano, in particolare, il modo di applicare, tale e quali, le norme contenute nel codice della strada; ma sin da quei primi scritti, trapelava quel bisogno di giustizia sostanziale che non si può esaurire nella espressione linguistica di una singola norma, giacché si viene a completare nell’insieme delle disposizioni di legge, che formano l’ordinamento giuridico dello Stato. C’era, per così dire, l’esigenza sì, di capire la norma principale di riferimento ma, in modo più specifico, di riconoscere quegli eventuali limiti posti dai principi giuridici sovraordinati (rectius, costituzionali).

E c’era altresì, l’esigenza di conformare il pensiero di questo interprete, a tutta una serie di neo-principi (si fa per dire!) che andavano concretizzandosi, fin dalle leggi del ’90 sulla trasparenza dell’azione amministrativa e dell’autonomia (oggi) degli enti locali e che, in buona sostanza, riproducevano quel principio fondamentale, contenuto nell’art. 97 della Carta e relativo al corretto modo di agire della pubblica amministrazione.

Siamo quindi giunti ai giorni nostri e, facendo il “punto della situazione” — come dicevamo — rivediamo criticamente questo trascorso pensiero.

2. L’Art. 41 della costituzione

Accogliendo — come principio base — il pensiero del Kelsen, possiamo serenamente affermare che la costituzione è «fattispecie produttrice di diritto» in quanto «l’individuo o l’assemblea degli individui che hanno approvato la costituzione su cui si basa l’ordinamento giuridico sono considerati un’autorità produttrice di diritto»; ma è altresì evidente, che tale norma (e quelle che gli derivano) è valida nella misura in cui gli uomini, per una ragione o per l’altra la osservano (c.d. principio di effettività della norma giuridica) ([2]).

Ora, la nostra Costituzione, all’art. 41, riconoscendo che l’iniziativa economica privata è sostanzialmente libera, riserva solo alla legge gli strumenti mediante i quali realizzare tale indirizzo politico-economico-finanziario ed i controlli opportuni affinché l’attività economica — pubblica, come privata — possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. In ciò, la pubblica amministrazione, non può porre limite alcuno al libero esercizio della attività economica, se non trovando significativo fondamento, solo nella legge.

Quanto ad una delle principali forme di espressione ideologica di tale prerogativa costituzionale — la pubblicità, appunto, che è “l’anima del commercio” — il legislatore, a più riprese, ha cercato di frapporre un limite concreto e giustificato all’attività pubblicitaria esplicatasi lungo le strade ed in vista di queste, nell’interesse di tutelare la sicurezza della circolazione stradale, senza peraltro ottenere il risultato sperato. Pochissimo ha realizzato, con l’entrata in vigore del codice della strada del ’59 e, poco di più ha ottenuto, con l’attuale nuovo codice della strada, il cui art. 23 è stato più volte mutato e destinato a mutarsi. Allora, potremmo dire che questo limite è così poco efficace tanto da far “dubitare” o sulla validità della legge da cui promana oppure, sul concreto e corretto modo di farla osservare, da parte della pubblica amministrazione: personalmente, protendo per quest’ultima ipotesi. Quindi, una legge valida e, per questo efficace, che però non penetra nel tessuto connettivo della nostra società, se non per la drasticità di interventi illegittimi, che le autorità giurisdizionali, per questo motivo, spesso annullano ([3]).

3. L’art. 23 del nuovo codice della strada

Come già detto, la Costituzione riserva alla legge il compito di limitare l’iniziativa economica, nelle sue più varie espressioni; ma, va altresì precisato, che tale limitazione, trova un ulteriore limite, nella ragionevolezza del provvedimento legislativo ovvero, nell’ontologia sociale della norma: ogni limite frapposto, deve, in buona sostanza, essere giustificato dall’esigenza di salvaguardare, il benessere sociale.

Ora, è ben evidente, che se il messaggio pubblicitario ha lo scopo di pubblicizzare (appunto) un determinato prodotto, implicitamente, quel medesimo messaggio, ottiene l’evidente scopo di richiamare l’attenzione dell’utenza: ciò corrisponde, nel campo della circolazione stradale, ad un effetto distraente, più o meno intenso, tale che, in ragione del punto di ubicazione dell’impianto pubblicitario, questi può costituire un’insidia stradale e, in quanto tale, non essere autorizzabile la relativa collocazione.

Per altro verso, la sistemazione di una mostra pubblicitaria in un determinato contesto storico-ambientale-culturale, può determinare il deturpamento di tale luogo ovvero, limitare la godibilità del bene oggetto di tutela giuridica, in contrasto quindi, con il principio statuito dall’art. 9 della Carta.

Ancora, sempre nel contesto del nuovo codice della strada, il legislatore ha inteso inserire una serie di limitazioni e/o prescrizioni, che vadano a tutelare altri aspetti della circolazione stradale e di altri oggetti degni di tutela giuridica. Non da meno, demandando agli enti proprietari delle strade e, più in particolare, ai comuni e alle province, il compito di stabilire direttamente e con proprio regolamento, le limitazioni e le prescrizioni inerenti gli impianti da collocare all’interno delle rispettive circoscrizioni territoriali (con velocità locali predominanti, non superiori ai 50 km/h), il legislatore ha riconosciuto in concreto l’autonomia normativa di tali enti, nel pieno rispetto dei principi costituzionali (ex artt. 113 ss. Cost.) e legislativi (T.U. 267/2000) vigenti.

Non va poi dimenticato, che in una serie di espressioni legislative, sempre più “blande ed accomodanti”, l’autorità produttrice di diritto ha previsto l’adozione, da parte dei comuni, di «misure di definizione bonaria di accertamenti e contenziosi in materia di imposta di pubblicità, che tendano a favorire l’emersione volontaria dell’abusivismo» ([4]).

4. La legge sulla trasparenza dell’azione amministrativa ed il silenzio significativo della pubblica amministrazione, in materia di installazione di impianti pubblicitari

In questo contesto, si colloca bene la legge n. 241 del 1990 e, più in particolare, gli artt. 19 s. della medesima, inerenti, il primo, la c.d. denuncia di inizio di attività e, il secondo, il c.d.  silenzio-assenso.

Il silenzio significativo della pubblica amministrazione, non trova certamente unico fondamento nella legge cit., quanto meno in ordine al richiamato principio del silenzio-assenso; ma, senz’altro, nella legge 241 del 1990, confluiscono e trovano conferma una serie di principi giuridici ormai consolidati.

L’art. 19 della legge citata, costituisce, invece, una vera e propria “novità” nel campo del diritto pubblico. In questo caso, infatti, è al cittadino che la legge riconosce la facoltà di esercitare, legittimamente e direttamente, quel diritto (c.d. affievolito) di interesse personale e particolare, rispetto al quale, la pubblica amministrazione, esercita un’azione di controllo discrezionale, di interesse generale ed astratto ([5]). In concreto, tale strumento assume la forma e la sostanza di una dichiarazione sostitutiva dell’autorizzazione amministrativa, resa da un privato, allo scopo di semplificare e razionalizzare il complesso regime delle autorizzazioni amministrative concernenti l’esercizio di attività economiche private ([6]).

Viene quindi meno, quel potere pubblico (vero e proprio veto pubblico) che, se mal esercitato, limita oltremodo l’attività dei privati. In buona sostanza, in tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 1º giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1939, n. 1497, e del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1985, n. 431, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'autocertificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste.

Ora, con regolamento adottato ai sensi del comma 2 dell'articolo 17 della legge n. 400 del 1988, sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato, si intende accolta, qualora non venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento (ex art. 20 l. cit.).

Quanto alle attività soggette alle disposizioni di cui all’art. 19 cit., in seguito alla sostituzione di cui all’art. 2 della l. 537/93, queste possono essere iniziate nella immediatezza della presentazione della denuncia.

In materia di pubblicità fine a se stessa e, più in particolare, nell’ambito delle affissioni pubbliche, l’istituto del silenzio assenso, trova disciplina nel regolamento n. 300 del 1992, così come modificato dal d.P.R. n. 407 del 1994. In particolare, al punto 81 della tabella C, annessa al d.P.R. n. 300/1992, reca l’elenco delle attività sottoposte alla disciplina dell’art. 20 della l. 241/90, con l’indicazione del termine entro cui la relativa domanda, si intende accolta e, nel caso di specie, giorni 30, per l’esposizione delle pubbliche affissioni di cui all’art. 28, comma 4, del d.P.R. 639/72 ovvero, le affissioni dirette, effettuate da parte degli interessati, in spazi di loro pertinenza (ex artt. 3 e 12 del d. Lgs. 507/93).

A ciò non sembra valere, l’ulteriore limitazione prevista dal comma 8, dell’art. 36, del d. Lgs. 507/93, esistendo, in tema di limitazione dell’iniziativa privata un principio di stretta legalità per cui, al di fuori di una specifica normativa, vuoi di rango primario vuoi di rango secondario, non è possibile denegare o limitare l’esercizio di attività economiche.

Più precisamente, la rispondenza al dettato costituzionale della legislazione che pone limiti e vincoli all’iniziativa economica privata deve essere verificata alla luce del c.d. principio di «ragionevolezza», ovvero di coerenza tra fine perseguito e strumenti normativi concretamente utilizzabili. Il giudizio di ragionevolezza consiste cioè, nello stabilire se la legge si trovi in rapporto di adeguata strumentazione con le finalità dichiarate e se i mezzi impiegati siano idonei allo scopo e siano, per contro, incongrui.

Da ciò è possibile ricavare che almeno due sono le esigenze di cui alla riserva di legge prevista dall’art. 41 Cost.: l’adeguata limitazione della discrezionalità amministrativa e l’affidamento alla pubblica amministrazione, del potere di compiere valutazioni non arbitrarie, ma fondate su accertamenti e criteri di scelta tecnici ([7]).

Per il comune, ciò comporta l’impossibilità di non dare seguito alle istanze inerenti l’installazione degli impianti pubblicitari, in assenza dello strumento del piano generale degli impianti. Infatti, l’illogicità di una siffatta determinazione è di lapalissiana evidenza giacché l’Amministrazione finisce col porre a carico del privato i ritardi e l’inerzia succedutesi in ordine all’adozione dell’atto regolamentare rappresentato dal Piano Generale degli Impianti e nel contempo viola chiaramente il principio della certezza e del buon andamento dell’azione amministrativa ([8]).

Fin qui, per quanto attiene le pubbliche affissioni o, se vogliamo essere più precisi, le c.d. affissioni dirette.

Ma adesso ci domandiamo: per ogni genere di impianto pubblicitario, che significato dobbiamo dare alla tacitazione del procedimento amministrativo che dovrebbe conseguire, a seguito di istanza ex art. 23, comma 4, cod. str.?

Come già evidenziato in altra circostanza ([9]), il Ministero dei LL.PP., con propria Direttiva n. 1381 del 1998 ha precisato l’autorizzazione di cui si discute, non è da ritenersi sostituita dalla dichiarazione presentata ai comuni ai sensi dell’art. 8 del d. Lgs. 507/93 e che non può essere ricompresa tra le attività che possono essere avviate ai sensi dell’art. 19 della l. 241/90, senza titolo autorizzativo, con una semplice denuncia di inizio di attività.

Ciò dicendo, pur condividendo il primo assunto — che si riferisce alla mera dichiarazione della pubblicità, ai fini della applicazione della relativa imposta — quanto al secondo, il suddetto Dicastero, sembra aver fornito un’indicazione fuorviante. L’esercizio di un’attività soggetta al previo rilascio di un’autorizzazione amministrativa, in forza della presentazione di una denuncia legittimante (ex art. 19 cit.), abilita il denunciante ad esercitare detta attività in quanto ritenuta conforme all’ordinamento. Degradare a “semplice denuncia” — relegando quindi tale istituto, ad un mero fatto giuridico — questo particolare procedimento di semplificazione e razionalizzazione dell’attività amministrativa, contrasta ovviamente con i principi fondamentali che scaturiscono proprio dall’art. 97 della Costituzione.

Ecco che quindi, dobbiamo recuperare, a giusto titolo e per quanto ci è concesso, tale prerogativa.

A questo punto e a parere di chi scrive, in tema di richiesta di autorizzazione per la installazione degli impianti pubblicitari, nulla vieta di seguire le più complesse procedure previste dall’art. 53 del d.P.R. n. 495 del 1992 e succ. modif. ed int., che comportano comunque, per la parte interessata, il pieno diritto di ottenere una risposta esplicita dall’ente competente al rilascio dell’autorizzazione ([10]). Ma, non da meno, almeno per quanto attiene a quegli impianti che costituiscono affissioni dirette, avvalersi delle procedure previste dalla legge 241 più volte citata. Tanto che, il Tar Toscana ha ritenuto di dover aderire all’orientamento secondo il quale per le domande di autorizzazione alla messa in opera di cartellonistica (e/o impiantistica) pubblicitaria vale il regime dell’autorizzazione tacitamente assentita, come da disciplina recata dagli artt. 19 e 20 della legge sulla c.d. “trasparenza” ([11]).

Non sorge dubbio alcuno, quindi, sulla possibilità di assoggettare al regime del silenzio assenso (ex art. 20, l. 241/90 e artt. 3 e 4, d.P.R. 300/92), qualsivoglia impianto pubblicitario per l’affissione diretta. Infatti, preso un determinato comune di riferimento, è verosimilmente prevedibile che il numero di richieste per la realizzazione di impianti per le affissioni dirette, sia da ritenere di gran lunga inferiore a quello prevedibile, per singoli impianti di pubblicità affine.

In tal senso e a parere di chi scrive, per i restanti impianti pubblicitari, non soggetti alle limitazioni di cui al T.U. n. 490/99 e relativamente ai quali, il rilascio dell’autorizzazione amministrativa, dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato; fermo restando il principio secondo cui la p.a. può legittimamente inibire un'attività vietata o preclusa dalla normativa di settore, in quanto l'art. 19 l. 7 agosto 1990 n. 241 attribuisce alla p.a. il compito di valutare tutti gli aspetti della vicenda che il privato le comunica con la dichiarazione d'inizio dell'attività, nel senso che le esigenze di semplificazione sottese a detta norma comportano che, entro il termine decadenziale e nell'ambito di un unico procedimento di verifica, sia riscontrata la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge ([12]). In definitiva, tenuto conto della natura “autocertificante” (e sostituente dell’autorizzazione) della denuncia di inizio di attività, la pubblica amministrazione può agire, in autotutela, come per qualsivoglia altro atto amministrativo — esplicito, come implicito — rilasciato al privato.

5. Conclusione

In conclusione, secondo questo modo di pensare, si riconoscono al privato una serie di opportunità diverse che, peraltro — è bene sottolinearlo — sottendono una serie di conseguenze, anche gravi, per il medesimo soggetto.

Prioritariamente, vale il principio dell’affidamento alla pubblica amministrazione e ai tempi e ai modi, previsti dall’ordinamento. In definitiva, la stretta osservanza delle procedure previste dal nuovo codice della strada e, per esso, dal regolamento ministeriale e/o locale, comportano (auspicabilmente) il rilascio da parte dell’ente proprietario o concessionario della strada su cui insiste l’impianto pubblicitario, di un’autorizzazione esplicita perfetta.

Nulla però vieta (secondo il mio pensiero e, probabilmente, contro il pensiero di molti altri), che prevalga il principio della sostituzione alla pubblica amministrazione, da parte del privato. In tal caso, questi, ritenendo di poter esercitare legittimamente l’attività pubblicitaria, in quanto da ritenersi conforme all’ordinamento, assume direttamente l’onere di dimostrare la piena legittimità della dichiarazione sostitutiva ovvero presenta alla pubblica amministrazione una denuncia legittimante, costituente un’autorizzazione implicita. Vero è che l'amministrazione può procedere in ogni tempo al riscontro della conformità alla normativa vigente di tutte le attività private che possono essere intraprese su semplice denuncia, sia immediatamente che dopo un termine dilatorio. In buona sostanza, l'amministrazione ha il potere, oltre che di annullare l'atto di silenzio-assenso all'intrapresa di attività private illegittimamente formatosi, anche di revocarlo ([13]). Con l’evidente conseguenza, che ad un errore di valutazione amministrativa del privato, può conseguire, non solo l’annullamento o la revoca dell’autorizzazione implicita venutasi illegittimamente a formare, ma, ciò che più conta, l’inibizione dell’attività economica il cui esercizio deve essere previamente autorizzato dalla competente amministrazione pubblica (con la conseguente applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie e/o accessorie, quali la rimozione dell’impianto, ecc).

 


Note:

[1] Ufficiale della Polizia Municipale del Comune di Forte dei Marmi e responsabile dell’U.O. Vigilanza di Quartiere “Vittoria Apuana”.

[2] Cfr. G. Fassò, La filosofia del diritto dell’ottocento e del novecento, pagg. 239 s., SOCIETA’ EDITRICE IL MULINO – BOLOGNA, Ed. 1994

[3] Cfr. TAR Lazio, Sent. 1179/97; TAR Calabria, Sent. 900/99; TAR Toscana, Sent. 2204/2000; TAR Toscana, Sent. 2205/2000TAR Toscana, Sent. 2208/2000; ecc, relativamente alle quali ringrazio la disponibilità degli Avv. Massimo Pozzi, Francesco Laruffa e del Dr. Brugaletta.

[4] Così, al comma 5-bis, dell’art. 24 del d. Lgs. 507/93, come modif. dall’art. 10, comma 1, lett. d) della l. 448/2001 (legge finanziaria 2002).

[5] La tabella A, annessa al d.P.R. 300/1992, reca l’elenco delle attività sottoposte all’art. 19 della l. 241/90, alle quale può darsi inizio immediatamente dopo la presentazione della denuncia. La tabella B, invece, reca l’elenco delle attività, ancora sottoposte all’art. 19 della l. cit., ma, alle quali, può essere intrapresa l’attività, solo una volta decorso un certo termine dalla denuncia.

[6] Cfr. F. del Giudice, Nuovo dizionario giuridico, pag. 574, EDIZIONI SIMONE NAPOLI, IV Ed.

[7] T.A.R. Lazio, Sez. II, 05.12.1991, n. 1865

[8] T.A.R. Toscana, Sez. III, 27.10.2000, n. 2210

[9] Cfr. G. Fontana, Gestione e controllo dei mezzi pubblicitari in ambiente stradale, pagg. 63 s., MAGGIOLI EDITORE RIMINI, Ed. 2001

[10] Risposta questa che, nei termini di cui all’art. 53, comma 5, reg. cod. str., deve essere fornita entro il termine ultimo di sessanta giorni.

[11] T.A.R. Toscana, Sez. III, 27.10.2000, n. 2208

[12] Consiglio Stato Sez. V, 11 maggio 1998, n. 554

[13] Consiglio Stato a.gen. 6 febbraio 1992 n. 27