inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2002

L’elemento soggettivo nella responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione  –  Nota a sentenza del C.d.S. sezione V, decisione 24 aprile, 6 agosto 2001 n.4239.

D. Foti

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L’elemento soggettivo, nell’ambito del più complesso tema della responsabilità sia civile che penale, ha, da sempre, formato oggetto di attenta disamina sia in dottrina che in giurisprudenza.

Lo studio di detto elemento, per ciò che concerne il tema de qua,  ha messo in evidenza, fra l’altro, il tentativo di superare il sistema monista della colpa con la conseguente moltiplicazione dei criteri di imputazione della responsabilità  (1) .

E’ opportuno quindi, ad avviso di chi scrive, far precedere l’esame dell’elemento soggettivo da alcune preliminari considerazioni.

Com’è stato osservato in dottrina occorre sottolineare che non vi è dubbio alcuno che illegittimità non coincida con illiceità (2) . L’illecito, infatti, nel senso che il termine assume quando si parla del danno (…) è riferito alla condotta , che nel suo insieme, in quanto causativa di danno, è contra ius. L’illegittimità attiene viceversa alla sola espressione formale dell’azione amministrativa, il suo atto: il quale può violare una norma non solo senza che a tale violazione possa riferirsi alcun effetto dannoso (si pensi agli atti adottati in violazione di norme attributive di competenza interna: ad esempio, al decreto firmato dal sottosegretario, privo di delega; l’effetto dannoso è da riferire all’atto, non certo alla carenza di delega), ma soprattutto senza che la violazione, come tale, impegni la condotta, e dunque l’esercizio della funzione amministrativa, in una posizione di contrasto con l’ordinamento.

Ingiustizia (del danno), insomma, illiceità (della condotta) ed illegittimità (dell’atto) sono qualificazioni che si svolgono su piani diversi, e, pur riguardano la stessa fattispecie, sembrano avere un punto necessario di intersezione, che individui una sorta di linea unitaria, comune dunque ai tre elementi che costituiscono la fattispecie dell’illecito. Ingiusto infatti è il danno che non si ha il dovere di subire; illecita , nel senso qui specifico del termine, è la condotta tenuta in violazione di regole genericamente qualificabili di prudenza e di diligenza, ma specificamente proprie del tipo di attività di cui è espressione il fatto causativo del danno; illegittimo è un atto amministrativo , che violi una qualunque norma, ad esso applicabile: di forma, procedimentale, organizzativa, sostanziale, non rileva. In questa autonomia di qualificazioni , stabilire quando , di fronte ad un atto amministrativo, il danno che essa provoca sia ingiusto, sembra pressochè impossibile e forse è inutile: perché se è certamente ingiusto il danno, che non si ha il dovere di subire, la sua risarcibilità dipende per altro da un fattore ulteriore, che è l’illiceità della condotta, rispetto alla quale l’illegittimità dell’atto è un elemento al tempo stesso essenziale ed autonomo della condotta.

Ciò premesso, occorre, prosegue Satta, affrontare un ulteriore problema: verificare quando l’atto  illegittimo sia anche doloso o colposo e quindi obblighi a risarcire il danno.

Verificare, pertanto, quando, la condotta della pubblica amministrazione (che abbia posto in essere l’atto) sia dolosa o colposa.

Soccorrono, a tal proposito, i criteri generali in tema di responsabilità exstracontrattuale che, elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza per il soggetto privato, si ritengono applicabili anche alla p.a. . Si pone quindi il problema di stabilire quando l’attività della p.a. possa qualificarsi in termini di illiceità. La dottrina più avvertita, continua l’autore, ha da tempo rilevato che l’attività amministrativa è qualche cosa di profondamente diverso dagli atti in cui si esprime; e che essa è costituita, si potrebbe dire, da un lato dal complesso di finalità e scopi affidati all’amministrazione , dall’altro, da un continuum di iniziative, di attività materiali, organizzative, decisorie certamente, esecutive, la cui considerazione soltanto consente di individuare un rapporto tra organizzazione , attività, fini e scopi affidati.

In questo quadro si è ben visto che il complesso di attività, preordinato al controllo, all’indirizzo ed al governo di attività umane , è retto da norme extra legem latae, da norme cioè che sono proprie dell’organizzazione in quanto tale (…),  dell’organizzazione cioè che non può perseguire i propri fini istituzionali , prescindendo dall’osservanza di quelle norme. E’ vero, prosegue l’a. , che la legge disciplina l’attività amministrativa, ma nella massima parte dei casi la disciplina solo sotto profili limitati , collocati, si poterebbe dire, all’esterno dell’amministrazione , cioè ponendole punti di riferimento, finalità , passaggi obbligati. (…) . Certo è, e questo sembra il punto cruciale, che tra legge ed amministrazione corre un rapporto dialettico complesso, perchè l’amministrazione e l’amministrazione soltanto opera nel reale, e dunque porta comunque un elemento creativo – un proprio elemento creativo – in qualunque atto di esecuzione della legge, che si voglia considerare. Sta qui il nocciolo del problema. Se l’amministrazione  opera secondo le regole proprie , e , se si vuole, attraverso regole proprie provvede all’attuazione di quella volontà terza che è la legge, nel rispetto o  nella violazione di queste  regole stanno la correttezza o l’illiceità della condotta. Perché nel rispetto di tali regole deve svolgersi la funzione affidatale, ed illecita quindi – colposa o dolosa – essa è quando tali regole violi, e quando di fatto , nel singolo provvedimento , alteri o snaturi la finalità cui è preordinata e la finalità stessa della legge. L’illegittimità di un atto non è dunque ex se sufficiente ragione per giustificare un’azione di risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione per un motivo ben preciso: e cioè perché occorre che tale illegittimità sia scaturita da una condotta  - da un’attività amministrativa, da un esercizio della funzione – che abbia violato le regole sue proprie.”

 Si tratta , come è stato osservato in dottrina ed in giurisprudenza (3), di regole emerse in tema di sindacato della “discrezionalità amministrativa”  come la completa conoscenza dei fatti, la compiutezza della motivazione (obbligo oggi espressamente previsto in apposite disposizioni),  la parità di trattamento.

Dunque  se  dall’azione amministrativa illegittima derivi un danno al privato, egli ha diritto al risarcimento del danno solo se, oltre ad essere illegittimo , l’atto è anche illecito: << l’annullamento di un atto della pubblica amministrazione da parte del giudice amministrativo non abilita di per sé il privato al proposizione dell’azione civile risarcitoria, essendo all’uopo necessario che l’atto amministrativo sia non soltanto illegittimo, ma anche illecito, e cioè lesivo di una posizione originaria di diritto soggettivo >> (4).

Si può ora passare all’esame dell’elemento soggettivo non prima però di averne tracciato un breve excursus storico.

L’orientamento tradizionale, prima della svolta rappresentata dalla nota sentenza n. 500/99 della Corte di Cassazione , riteneva sufficiente, in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa,  la mera illegittimità dell’atto. La Suprema Corte (si veda, fra le altre,  sent. n. 3293/1994) nel distinguere fra attività materiale ed attività provvedimentale  ha ritenuto, ai fini della materia de qua, che fosse sufficiente la sola illegittimità dell’atto per far sorgere la responsabilità ex art. 2043 cc. In Cass. n. 5883/91 si è statuito che, in ordine all’attività provvedimentale, non occorre che sia ricercato un comportamento colpevole ascrivibile all’agente e si precisa che, così ragionando,  non si afferma né la natura oggettiva – e perciò speciale  - della responsabilità della pubblica amministrazione né si opera una restrizione delle condizioni normalmente richieste ai sensi dell’art. 2043 cc..

Pur tuttavia non è mancata in dottrina qualche osservazione critica (5). Si è, infatti, osservato che una cosa è la colpa dell’amministrazione, un’altra è il comportamento colpevole dell’agente. Il secondo non occorre perché si abbia responsabilità della p.a.. Per questa può essere sufficiente la semplice violazione di leggi, regolamenti, ordini, discipline (art.43 c.p.) cioè l’illegittimità del provvedimento; ma perchè non si risolva in responsabilità oggettiva, occorre che la ricerca della colpa, da condurre in senso oggettivo e non con un’impossibile indagine psicologica, non si traduca nella sostanziale irrilevanza dell’elemento psicologico. E’ questo che accade in Cass. 5883/91 quando si afferma l’irrilevanza dell’errore scusabile. L’a., infatti,  osserva come sia possibile – e necessaria per non creare un regime speciale – un’indagine sulla colpa, indagine condotta in senso  oggettivo e indipendentemente dal comportamento dell’agente, facendo ricorso a categorie oggettive e procedimentali, quali la compiuta conoscenza dei fatti, il loro ragionevole apprezzamento, la correttezza procedimentale quanto alla lealtà nei confronti dell’interessato: tutti elementi che consentono di qualificare  giuridicamente,  quanto all’elemento soggettivo, ai sensi dell’art. 2043 cc, l’attività provvedimentale della p.a.; ed è questo, sempre secondo l’a., il suggerimento che proviene dalla giurisprudenza comunitaria.. Se, infatti, da un lato si è esclusa la rilevanza della colpa dell’agente  dall’altro si è fatto richiamo al concetto di violazione manifesta in modo da valutare elementi che negli ordinamenti nazionali sono pertinenti all’indagine sulla colpa delle amministrazioni: scusabilità o inescusabilità dell’errore di diritto, gradi di chiarezza e precisione della norma violata, estensione del potere discrezionale, (…) presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione di diritto. (6)

 Peraltro occorre osservare come in passato, prima ancora degli indirizzi giurisprudenziali sopra citati, autorevole dottrina avesse già osservato come non occorra, in effetti, provare la colpa della p.a. in modo diretto, dal momento che essa si presume a seguito della violazione di qualunque norma che gli organi siano tenuti ad osservare , si tratti di norme giuridiche ovvero di norme interne , norme tecniche o di buona amministrazione (7).

Nel quadro delineato un momento di svolta si verifica a seguito dell’innovativa sentenza della Cassazione n.500/99.

I giudici nel ribadire l’essenzialità (a fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2043 c.c. ) dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) superano il principio della “colpa in re ipsa” per affermare  che “il giudice ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine , non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile , bensì estesa anche alla valutazione della colpa , non del funzionario agente  (…) ma della pubblica amministrazione intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.      

L’esame dell’elemento soggettivo non può prescindere , altresì, da un’ulteriore considerazione: il dolo e la colpa sono stati psicologici e come tali  essi non sono riferibili direttamente alla p.a. bensì al suo agente che , com’è noto,  agisce in forza di un rapporto di immedesimazione organica. E’ necessario quindi analizzare gli “effetti” che detti stati psicolocigi possono avere su quest’ultimo.

Com’è stato osservato in dottrina in ordine al dolo si confrontano due posizioni (8).

Un primo orientamento ritiene che siano imputabili all’amministrazione solo gli atti compiti dai suoi agenti nell’esercizio dei compiti istituzionali mentre non lo sarebbero quelli che non tendono ai fini propri dell’ente.  Anzi, in tali ipotesi, la presenza del dolo o la commissione di un reato comporterebbero l’interruzione del rapporto organico con la conseguenza che l’atto e la relativa responsabilità sono imputabili al solo agente.

Altre tesi, tuttavia, in passato, hanno ritenuto non esclusa la riferibilità dell’evento alla p.a. dalla circostanza che l’agente commetta, nelle operazioni intermedie, abusi di potere o violazioni di ordini di servizio (9).

Non mancano, ancora, opzioni interpretative che ritengono che  debba farsi riferimento al criterio della riferibilità  secondo cui la condotta del dipendente è riferibile all’ente pubblico tutte le volte in cui è stata compiuta in una situazione di occasionalità necessaria  con le attribuzioni sue proprie. In tal caso solo un fine strettamente personale, che  abbia spinto il dipendente ad una data attività amministrativa (concretatasi in uno specifico atto), può escludere la riferibilità dell’atto stesso alla p.a. quindi determinare una responsabilità esclusiva a carico dell’agente (10). 

In ordine, poi,  all’elemento colpa l’orientamento tradizionale (Cass. 1995, n.623 ma prima Cass. 1994, n. 3293  ) poneva la distinzione fra atti materiali e provvedimenti. Mentre nel primo caso ai fini della sussistenza della responsabilità si richiedeva la prova del dolo o della colpa, nell’ipotesi di attività provvedimentale si è ritenuto che la colpa della p.a. è ravvisabile di per sé nella violazione della norma, operata consapevolmente, senza scuse nell’errore dei funzionari. (11) .

 Autorevole dottrina, oggi,  sulla scorta del superamento del principio della colpa in re ipsa (12), pone il problema della distinzione fra attività amministrativa (sic et simpliciter) illegittima che consente il solo annullamento dell’atto ed attività illegittima e colposa che consente al giudice amministrativo  non solo di annullare l’atto ma anche di condannare al risarcimento del danno. Si è, fra l’altro,  argomentato che nel caso in cui ricorra l’errore scusabile, e l’illegittimità è frutto di un errore non rimproverabile,  non ricorrerebbero gli estremi della colpa. Tale scusabilità ricorrerebbe, sempre secondo l’a., nelle ipotesi in cui  possano mutuarsi i principi valevoli per il diritto penale ex art. 5 cp. o, ancora, nel caso di conflitti giurisprudenziali, di contrasti interpretativi fra organi della p.a. e, persino, potrebbe operare - in via analogica - l’art. 2236 c.c. in tema di responsabilità dei prestatori d’opera intellettuale (13) .

E’ interessante, a questo punto, “rapportare” le suesposte considerazioni dottrinali e giurisprudenziali con quanto statuito dai giudici amministrativi nella sentenza in epigrafe (14) ove, fra i vari profili problematici affrontati dai giudici amministrativi, anche l’analisi dell’elemento soggettivo assume una particolare rilevanza.

La V^ sez. del C.d.S. prende, preliminarmente, le distanze dall’opinione dottrinaria che ammette una responsabilità dell’amministrazione per l’adozione di atti illegittimi con carattere indennitario prescindendo da un giudizio di imputabilità soggettiva dell’illecito. Osservano i giudici come, pur non escludendo per il futuro forme di imputazione oggettiva della responsabilità, allo stato attuale, anche alla luce dell’autorevole indirizzo giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 500/99, non possa non riconoscersi che anche la responsabilità dell’amministrazione conseguente all’adozione di atti illegittimi resti ancorata ai principi espressi dagli artt. 2043 e ss.gg. del c.c. . Si aggiunge, ancora, che la responsabilità della pubblica amministrazione, correlata all’adozione di atti amministrativi illegittimi, lesivi di posizioni giuridiche protette dall’ordinamento, va costruita secondo le regole comuni stabilite dal diritto delle obbligazioni. In questa prospettiva occorre intanto stabilire il significato della equivalenza fra la colpa e la violazione delle regole di imparzialità , di correttezza e di buona amministrazione.

E’ stato efficacemente sottolineato dalla dottrina più recente  che il rapporto amministrativo costituisce un’ipotesi qualificata di contatto sociale tra i soggetti interessati e l’amministrazione . Il dovere di comportamento del soggetto pubblico (e quindi la misura della colpa) si definisce non solo in funzione delle specifiche regole che disciplinano il potere , ma anche , e soprattutto, sulla base di criteri diretti a valorizzare il concreto atteggiarsi di tale contatto , ed alla progressiva emersione dell’affidamento del privato in ordine alla positiva conclusione del procedimento.

Si prosegue affermando che l’elemento soggettivo è riferito all’ente riguardato nella complessiva struttura. Pertanto, il tradizionale concetto della colpa deve evolversi verso una nozione più ampia, idonea a comprendere l’intero svolgimento dell’attività provvedimentale imputata all’amministrazione.

Sottolineano i magistrati amministrativi come vi siano analogie fra i criteri enunciati dalla Cassazione ed i vizi del provvedimento amministrativo. Ad esempio,  la violazione della regola l’imparzialità può essere ricondotta al vizio di eccesso di potere, la violazione del principio di buon andamento può ricondursi alla violazione di legge. Pur tuttavia a fronte di una forte somiglianza tra i diversi parametri non può ritenersi che vi sia equivalenza fra il giudizio di illegittimità e quello di accertamento della colpa. Il rapporto tra i due gruppi di nozioni, si aggiunge ancora, potrebbe essere inteso nel senso che la colpa è una mera specificazione (aggravata) dei vizi del provvedimento. Anche alla luce di orientamenti giurisprudenziali di matrice comunitaria si potrebbe dire che la colpa sussisterebbe solo nei casi di illegittimità del provvedimento più grave ed evidente con ciò introducendo una graduazione dell’illegittimità.

I giudici, tuttavia, ritengono che tali argomentazioni non siano persuasive e non non possano accogliersi.

La colpa va riferita, infatti,  al processo generativo dell’atto illegittimo, alla sua attitudine a pregiudicare gli affidamenti dei privati, e non alla misura delle difformità dai parametri normativi che governano l’esercizio del potere amministrativo. L’argomentare diversamente finirebbe con introdurre una limitazione della responsabilità alla colpa grave senza un substrato normativo.

Conclusivamente nella prospettiva delineata dalla tesi criticata dai giudici amministrativi si finirebbe, ancora, per connotare la responsabilità dell’amministrazione con un elemento spiccatamente sanzionatorio  ove invece la funzione naturale della responsabilità è invece quella di realizzare la protezione dell’interesse leso dall’attività illegittima.

 

 

 

                                                                                                Demetrio   Foti

 

 NOTE:

 

(1)  Luisa Torchia, La responsabilità,  in Trattato di Diritto Amministrativo a cura di Sabino Cassesse, tomo secondo, 1451.

(2)      Filippo Satta , Responsabilità della Pubblica Amministrazione in Enciclopedia del Diritto XXXIX, 1988, 1369 e ss.gg. , Giuffrè Editore

(3)      v. nota a sent. Corte Cass. Sez. I civ. 24 maggio 1991 n.5883,  F.I. 1992, I, 453 

(4)      Guido Alpa, La responsabilità civile della pubblica amministrazione: l’attività dannosa, pagg. 501-2 in “La responsabilità civile” una rassegna di dottrina e giurisprudenza diretta da Guido Alpa e Mario Bessone,  UTET , 1987 )

(5) Filippo Patroni Griffi, Riflessioni problematiche su alcuni elementi dell’illecito in Le responsabilità Pubbliche di Domenico Sorace, 1998, pagg.215 e ss. gg.,Cedam.

(6) Filippo Patroni Griffi, cit.

(7) Zanobini , Corso di Diritto Amministrativo , Milano, 1954, I, 341

(8) Francesco Caringella, Giudice amministrativo e risarcimento del danno in “ Il nuovo processo amministrativo”  di F. Caringella e Mariano Protto , Giuffrè Editore,  2001, pagg. 611 e ss.gg. .

(9) Cipriani, 14 giugno 1984, rep. 1986, voce responsabilità civile, n.119 e per esteso, in Giust. Pen., 1986, III, 395 –  v. nota a sent. Corte Cass. Sez. lav. 6.maggio 1991, 4951 , Corte Cass. Sez. un. civ. 12 aprile 1991, n. 3896, Corte Cass. sez. un. Civ. sent. 14 marzo 1991, 2723  in F.I. , 1992, I, 173).

(10) F. Caringella, cit.

(11) Renato Sgroi, La responsabilità civile verso i terzi dei dipendenti ed amministratori pubblici nella giurisprudenza del giudice ordinario in Le responsabilità pubbliche di Domenico Sorace, Cedam, 1998, 295.

(12) Cass s.u. civili,  sent. 22 luglio 1999, n. 500/99 in  F.I., 1999, I, 2487

(13) F. Caringella ,  cit. .

(14) Consiglio di Stato, sezione V, decisione 24 aprile – 6 agosto 2001 n. 4239 Pres. Trovato, Rel. Lipari  - Guida al Diritto, 8 settembre 2001, 76.