inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2002

Riforma dei servizi pubblici locali e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 

di Italo Franco
(Consigliere del TAR Veneto)     

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Sommario: 1- Approccio all’argomento. 2- Estensione e limiti della giurisdizione sui servizi pubblici in  generale, per tipo di controversia. 3- L’estensione della nuova giurisdizione esclusiva: i singoli servizi pubblici. 3-bis- Estensione della giurisdizione esclusiva, con riguardo ai contratti pubblici. 3-ter- L’arbitrato. 4- Affidamento di lavori, servizi o forniture con procedure a evidenza pubblica. 5.1- La riforma dei servizi pubblici locali. 5.2- Servizi pubblici locali di rilevanza industriale (art. 113 del T.U.E.L.). 5.3- Servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale (art. 113-bis). 5.4- La giurisdizione sul contenzioso in materia di servizi pubblici locali. 

 

1- Approccio all’argomento.

La riforma dei servizi pubblici locali disposta con l’art. 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 mediante l’introduzione di incisive modifiche al T.U.E.L. approvato con D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267  appare ictu oculi di notevole rilievo (poiché, sulla spinta di direttive comunitarie emanate in tale rilevante settore, viene reimpostata l’intera materia su basi in gran parte nuove), e tuttavia inutilmente farraginosa e ambigua, dal momento che si vuole realizzare la riforma esclusivamente dal lato dei soggetti gestori, trascurandosi del tutto –ci sembra- la prospettiva del cittadino-utente.  La nuova disciplina è densa di implicazioni, non sempre chiare, sul piano di diritto sostanziale; ma ci sembra che la stessa presenti interessanti risvolti anche in tema di giurisdizione, in particolare per quanto attiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo –che nella materia dei servizi pubblici in generale appartiene a tale giudice in forza del disposto dell’art. 33 del D.Lgs. n 80/98, nel testo modificato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205- e al riparto di giurisdizione rispetto al G.O. La linea di demarcazione fra le due giurisdizioni, invero, non appare ben delineata (nemmeno, del resto, nell’ambito dei servizi pubblici in generale), e all’argomento occorre dedicare un po’ di attenzione (cosa che faremo nel prosieguo della trattazione).

 

Per tratteggiare l’assetto della giurisdizione esclusiva del G.A., sui servizi pubblici locali, con l’illustrazione anche degli aspetti che rimangono inesplicati o problematici, conviene adottare un approccio operante, all’incirca, su tre versanti. In primo luogo, invero, conviene tratteggiare la giurisdizione esclusiva del G.A. sui pubblici servizi in generale, quale risultante dalle norme appena richiamate, gettando uno sguardo anche alle possibilità di risoluzione delle liti, in via alternativa alla giustizia ufficiale, mediante arbitrato. In secondo luogo, sarà opportuno accennare all’estensione e delimitazione della g. e. rispetto alla giurisdizione del giudice ordinario, con particolare riguardo ai contratti pubblici. In terzo luogo occorre tratteggiare, sia pure per sommi capi, la riforma dei s.p.l. onde comprenderne meglio le implicazioni sul piano giurisdizionale, per tornare poi su quest’ultimo tema, al fine di trarre le opportune conclusioni.

 

 

2- Estensione e limiti della giurisdizione sui servizi pubblici in generale, per tipo di controversia.

Conviene, per iniziare, riportare integralmente la norma posta con il menzionato art. 33, precisando –per quanto la cosa non incida sulla sostanza del discorso- che, nella transizione dal decreto n. 80/98 alla legge n. 205 del 2000, qualcosa è cambiato circa l’individuazione delle singole materie, tanto che il contenuto sub lettera e), nella precedente versione, figurava sub f) (delle modifiche si terrà conto di seguito, affrontando i singoli argomenti). La lettera dei primi due commi dell’art. 33 è la seguente:

“33. 1. Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481 (*) (**).

2. Tali controversie sono, in particolare, quelle:

a) concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali, le istituzioni o le società di capitali anche di trasformazione urbana;

b) tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi;

c) in materia di vigilanza e di controllo nei confronti di gestori dei pubblici servizi;

d) aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti alla applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale;

e) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'àmbito del Servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità” (*).

 

(*) Articolo così sostituito dall'art. 7, L. 21 luglio 2000, n. 205. Con riferimento al precedente testo la Corte costituzionale, con sentenza 11-17 luglio 2000, n. 292 (G.U. 19 luglio 2000, n. 30 - Serie speciale) aveva dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del primo comma, nella parte in cui istituiva una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. Con la medesima sentenza la Corte aveva inoltre dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 2 e 3 del presente articolo.

(**) La Corte costituzionale, con sentenza 11-17 luglio 2000, n. 292 (Gazz. Uff. 19 luglio 2000, n. 30, serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 1, sollevate in riferimento agli articoli. 76 e 77, primo comma della Costituzione; ha dichiarato inoltre la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 35, sollevata in riferimento agli articoli 3, 103 e 113 della Costituzione.

 

Orbene, deve dirsi che non solo l’elencazione appena riportata, ma finanche la disposizione-guida di cui al primo comma suscitano non poche perplessità, sotto il profilo contenutistico oltre che sistematico. In effetti, è difficile sottrarsi all’impressione che il passo che ha voluto, in principio, intraprendere il legislatore, venga di fatto sminuito e ridimensionato dalla preoccupazione di esso legislatore di delimitare su diversi piani e linee di confine la nuova giurisdizione, quasi fosse spaventato dall’imponenza numerica e dal tipo di controversie che andava ad attribuire al G.A., di cui, in fondo, sembra volersi salvaguardare il tipo e la qualità della giurisdizione. Ed invero, in parte le precisazioni normative appaiono superflue perché inerenti a liti che, pressoché naturaliter, apparterrebbero comunque alla giurisdizione amministrativa; in parte valgono a sottolineare la preoccupazione di non inserire nel contenzioso oggetto della giurisdizione appena devoluta liti, per così dire, “di massa” quali le controversie individuali di utenza, ecc.

 

In secondo luogo, dal momento che non si comprende come possano farsi rientrare nella “materia dei pubblici servizi” sub-materie come la vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, (peraltro frutto di una variazione rispetto alla versione originaria dell’art. 33, ove sembrava che anche i servizi relativi alle attività creditizia e assicurativa, in quanto tali, fossero interessati dalle modifiche legislative), le puntualizzazioni della norma circa l’espressa inclusione delle liti relative possono intendersi come l’intenzione di prevenire possibili conflitti di giurisdizione, dal momento che, né possono sicuramente includersi nella materia dei servizi pubblici l‘attività creditizia, assicurativa e di intermediazione mobiliare (svolte, oltretutto, da soggetti con veste giuridica di privati), né l’attività di vigilanza e controllo su di esse può qualificarsi come un pubblico servizio (se non con qualche forzatura). Ed invero, non sembra dubitabile che, pur trattandosi di attività economiche svolte da privati (ma, va sottolineato, sulla scorta di un regime autorizzatorio a cura degli organi pubblici preposti dalle discipline di settore), le eventuali liti che potessero insorgere fra soggetto controllato e organo di controllo debbono ritenersi appartenere alla giurisdizione del G.A., siccome inerenti al potere di vigilanza e controllo, che si esplica, appunto, in forme pubblicistiche o latamente autoritative. E allora la previsione normativa –ribadita, sul piano generale, subito dopo nella lettera c) del comma secondo- vale, qui, specialmente per la precisazione che si tratta di giurisdizione esclusiva (o piena), e non di sola legittimità.

 

Del pari, non pare potersi dubitare che le controversie concernenti l’istituzione, modificazione o estensione dei soggetti gestori di pubblici servizi (comprese le società di capitali) –di cui alla lettera a)- possono attrarsi solo per estensione in detta materia dei pubblici servizi, in ogni caso dovendo ritenersi attribuite alla giurisdizione del G.A. anche senza un’esplicita previsione (a parte, anche qui, la precisazione che la giurisdizione è divenuta esclusiva, o piena). Quanto alla previsione sub b), per giunta, parrebbe sostenibile l’assunto che, anche in assenza  della stessa, simili controversie rientrino nella giurisdizione esclusiva del G.A., sul presupposto che necessariamente, nel caso, deve preesistere un accordo fra tali soggetti, in forza di una norma di portata generale quale l’art. 11 della L. 241 del 1990 (attinente ad accordi e convenzioni fra e con organi della p.a.), come si vedrà di qui a poco. Invece, non pare giustificabile la previsione di cui alla lettera d), e non solo perché reiterativa di altra disposizione, ampliativa della nuova giurisdizione esclusiva, con l’aggiunta, ai servizi pubblici, edilizia e urbanistica, dell’intera materia degli appalti pubblici (infra, par. 6). Infatti –a parte la considerazione che incongruamente ivi si parla di appalti, oltre che di servizi, anche di lavori e forniture (il che appare oggettivamente in contrasto con la previsione –nello stesso art. 33, co.1 del D.Lgs. n. 80 del 1998- di una nuova giurisdizione esclusiva limitatamente alla materia dei servizi pubblici), sta di fatto che la statuizione circa la spettanza al G.A. in sede di giurisdizione esclusiva delle controversie relative alla materia (per tutti gli appalti pubblici) figura tal quale nell’art. 6 della medesima legge 205[1]. Alla luce di quest’ultima novella legislativa, dunque, la previsione della lettera e) si pone all’incirca come un “doppione” (con effetti, al più, rafforzativi).

 

Infine, le previsioni di cui alla lettera e) mostrano, con qualche ambiguità, che –quanto alle liti attinenti in senso stretto alla prestazione del servizio e alle relative regole- l’intento devolutivo concerne non (tutte) le controversie potenziali fra utenti e gestori dei servizi pubblici, bensì quelle concernenti forme di esercizio di potere pubblico o di competenze pubbliche. Ma -tenuto conto dei vari modi in cui può manifestarsi il “momento pubblicistico” nei rapporti fra organi della p.a. e cittadini, e ricordato come l’esplicazione di competenze, appunto, di natura pubblicistica, possa avvenire sia mediante l’emissione di un provvedimento, di tipo concessorio[2] o autorizzatorio, sia attraverso forme di silenzio- assenso o il perfezionarsi di fattispecie relative alla così detta denuncia legittimante, o denuncia di inizio attività, ex art. 19 della legge n. 241/90 (genericamente, atto di assenso, esplicito o implicito), ovvero anche mediante l’esplicazione di poteri di vigilanza e/o controllo[3]-, a conti fatti il singolo utente ben poche volte potrebbe trovarsi coinvolto in controversie siffatte (che investano, cioè, le regole dettate in via pubblicistica per lo svolgimento del servizio). Di conseguenza, le contestazioni mosse dal singolo destinatario delle prestazioni in cui consiste il pubblico servizio dovrebbero, dunque, continuare ad appartenere, in massima parte, al G.O.

 

Secondo un’altra linea interpretativa si potrebbe sostenere anche che –ove mai in contratti singoli di utenza fosse ravvisabile una fase di evidenza pubblica, che precede la stipulazione del contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi pubblici, a somiglianza di quanto accade nel settore degli appalti, presi in considerazione dalla successiva lettera d) ovvero dei  contratti pubblici, su cui ci si soffermerà più avanti- il legislatore abbia inteso distinguere le controversie ad essa correlate dalle altre. In tal modo, mentre le controversie che si innestano su tale fase verrebbero attratte nell’orbita della nuova giurisdizione esclusiva del G.A. (laddove prima si trattava di giurisdizione di sola legittimità), quelle attinenti a vertenze di ordine contrattuale o extracontrattuale, in ordine specialmente all’esecuzione del contratto stipulato al termine di detta fase, rimarrebbero affidate alla giurisdizione del G.O. (tesi che viene tenuta ferma da taluni autori[4] anche in relazione alle concessioni e alle convenzioni inerenti –c.d. concessioni-contratto-, le controversie relative alle quali figurano, peraltro, attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. fin dall’art. 7 della legge n. 1034 del 1971. Per maggiori accenni sul punto, cfr. par. successivo). 

[Del resto, deve dirsi che tutto questo non appare esplicito nella disposizione in esame, dove, in realtà, sembra presa in considerazione la situazione di quei soggetti (utenti) che hanno stipulato un contratto con il concessionario o gestore, inerente alla prestazione del servizio nei suoi confronti, singulatim -ad es., l’erogazione o fornitura di acqua o energia elettrica per uso domestico, o di trasporto, ecc.- che si innesta (ed anzi lo presuppone) su un –diverso- accordo concluso dall’ente pubblico con un soggetto affidatario del servizio  (contratto di servizio tra p.a. e soggetto gestore). Pare, tuttavia, che una simile conclusione debba ricavarsi, indirettamente, da varie altre disposizioni più o meno criptiche, fra cui, ad es., l’art. 6.1, e la lettera d) dell’art. 33.2].

 

Per quanto concerne, invece, le controversie cui si riferisce la lettera b), cui si è già accennato brevemente retro, se il riferimento normativo è alle liti che possono insorgere tra le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi, comunque denominati e a tutte le contestazioni che possono trarre origine o causa dalle determinazioni della p.a. concernenti l’istituzione, modificazione o estinzione dei soggetti gestori, di cui alla lettera a) che precede (come parrebbe preferibile, a una lettura più meditata), la specificazione normativa appare, quale corollario della precedente lettera a), affatto condivisibile.

 

Se, al contrario, il riferimento fosse alle liti e contestazioni inerenti al conseguente contratto o disciplinare, o capitolato, ecc., inerente alla concessione o appalto, la finalità della disposizione (da leggere, in tale ipotesi, come attributiva al G.A. della giurisdizione anche delle liti inerenti all’esecuzione del contratto), si può dire trattarsi di una norma chiarificatrice, nel senso di prevenire possibili conflitti di giurisdizione. Ciò vale, infatti, caso mai si ritenesse che la previsione generale di cui all’art. 11 della L. 241 (attributiva alla giurisdizione esclusiva del G.A. di tutte le vertenze in tema di accordi e convenzioni tra p.a., ivi comprese quelle inerenti all’interpretazione ed esecuzione degli stessi) non bastasse per giustificare la devoluzione al G.A. anche di dette controversie.

 

Invece, a nostro modo di vedere non sembra che possano sussistere dubbi circa l’inclusione nella giurisdizione in discorso delle controversie eventualmente insorgenti in relazione ai c.d. “contratti di servizio pubblico”, di cui parla l’art. 4.4 della legge n. 59/97, da riguardare quale contratto a oggetto pubblico. (Si tratta di contratti stipulati dalle regioni ed enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze i  quali, sulla scia delle direttive comunitarie, sono destinati a regolare i rapporti fra dette p.a. e il soggetto gestore di un servizio pubblico sotto qualsiasi forma –concessione; appalto; mediante costituzione di società a capitale misto, o consorzio, o una delle altre forme già previste dall’art. 22 della legge n. 142/90- in ordine agli aspetti finanziari, al controllo dell’osservanza delle condizioni e modalità di espletamento del servizio, eccetera, in particolare con riguardo ai trasporti di interesse regionale e locale. Peraltro, per una più puntuale previsione al riguardo vedasi, ora, il novellato art. 113, comma 11 del T.U.E.L. di cui al D.Lgs. n. 267/2000, nel testo sostituito dall’art. 35 della menzionata L. n. 448/2001, su cui infra).  

 

Al fine di indicare criteri atti a fissare meglio la linea di demarcazione fra giurisdizioni dei giudici amministrativo e ordinario, verosimilmente, indicativa del senso globale del nuovo criterio di ripartizione (nella materia dei pubblici servizi) può apparire l’individuazione delle azioni instaurate -a fronte di manifestazioni di esercizio del potere, come sopra sottolineato-, ad es., da associazioni o comitati che si fanno portatori di interessi collettivi o diffusi -come quelli dei consumatori o degli utenti di specifici servizi o di categorie degli stessi (ad es. i servizi finanziari di intermediazione mobiliare e del credito)- onde contrastare decisioni dell’organo pubblico competente o del concessionario (se ne ha il potere) riguardanti la fissazioni di prezzi e tariffe, nonché delle condizioni, modalità, aspetti quali- quantitativi di espletamento del servizio, e simili. Controversie del genere rientrerebbero certamente nella giurisdizione del g.a., alla stregua dell’interpretazione proposta.

 

Per contro, le contestazioni –inerenti alla qualità del servizio, ovvero a inadempimenti contrattuali, o a responsabilità per lesioni inferte per effetto della cattiva o mancata prestazione del servizio, e simili (c.d. faute de service)- mosse da singoli utenti ed aventi contenuto risarcitorio o reintegrativo, ma con riferimento a contratti individuali o a specifiche obbligazioni sorte da illeciti extracontrattuali (danno alla persona o alle cose; invalidità civile, ecc.)  apparterrebbero al G.O.

 

Orbene, se questo è uno schema che pare corrispondere al disposto legislativo, sembra potersi confermare le conclusioni poco addietro raggiunte, nel senso che, da un lato, il giudice amministrativo è, in tal modo, liberato da liti e contestazioni minute, e dall’altro che il medesimo giudice sembra vedere in certa misura ridimensionato il timore di essere letteralmente sommerso da una valanga di cause “di massa” (in tal modo la sua giurisdizione, pur significativamente estesa e potenziata, conserverebbe i caratteri di sindacato sull’esercizio del potere pubblico, che le è connaturale). Da ciò consegue che le azioni miranti al risarcimento -o, prima ancora, ovvero alternativamente o congiuntamente, alla reintegrazione in forma specifica- investirebbero non tanto i singoli rapporti (contrattuali o paracontrattuali) di utenza, quanto le relazioni, più ampie e presupposte, intercorrenti fra amministrazione concedente e soggetto concessionario, fra associazioni di consumatori e soggetti gestori di servizi pubblici, e così via, inerenti, in buona sostanza, a una sorta di contratto-quadro.

 

D’altronde, non si sfugge al timore che potranno aprirsi dispute sulla giurisdizione, troppo labile apparendo il confine tracciato[5]. O forse, come prospetta qualcuno, data anche la vastità della giurisdizione esclusiva potenziata[6], le innovazioni normative di cui stiamo discorrendo apriranno la strada, a questo punto, ad una inevitabile (fatale?) trasformazione di tutta intera la giurisdizione del g.a. in giurisdizione esclusiva, senza che si possa più disquisire, sia pure con costruzioni spesso eleganti e raffinate, su cosa appartenga alla cognizione di un giudice e cosa, invece, riguardi la giurisdizione di un altro?

 

In un certo senso, paradigmatico del criterio di ripartizione della giurisdizione che sopra abbiamo affacciato in via ipotetica, può apparire il criterio che sembra implicitamente adottato dalla  sopravvenuta (al D.Lgs. n. 80 del 1998) legge 30 luglio 1998 n. 281 (“Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”). Secondo questa legge, le associazioni di consumatori e di utenti aventi certi requisiti, fissati nell’art. 5 della legge medesima (art. 3), “sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi...”.

 

Infatti tale giudice, nell’ottica qui adottata, non potrebbe che essere il G.A., alla stregua delle conclusioni or ora raggiunte. La legge, invero, non specifica quale sia il giudice competente, con la conseguenza che spetterà alla giurisprudenza fissare i criteri di ripartizione fra i giudici ordinario e amministrativo di questo ulteriore tipo di controversia. Sembra, tuttavia, in tutto coerente con il sistema introdotto dagli art. 33-35 del D.Lgs. n. 80/98 (e con le considerazioni or ora fatte) ipotizzare che, ove la controversia instaurata contro il soggetto gestore di servizi pubblici da un’associazione di utenti, riguardi le condizioni secondo le quali viene reso agli utenti o consumatori (non necessariamente individuati singulatim) il servizio pubblico o la qualità del medesimo, e simili, questa debba essere instaurata davanti al giudice amministrativo siccome rientrante in quelle elencate dall’art. 33. Viceversa, le azioni -cui pure fa cenno l’art. 3, al comma 7-  instaurate da singoli consumatori o utenti (che non possono non riguardare il contratto individuale) andrebbero, alla stregua del menzionato criterio, incardinate davanti al giudice ordinario.

   

3- L’estensione della nuova giurisdizione esclusiva: i singoli servizi pubblici.

E’ stato osservato che non è mai esistita una “materia” afferente ai pubblici servizi in senso giuridico, e che, semmai, la stessa è stata configurata, come pura creazione legislativa (tuttavia, sulla base di precedenti emergenze normative, sia pure non univoche, e di spunti offerti dalla giurisprudenza) dalle norme di cui stiamo discorrendo. Il legislatore, d’altronde, sembra contare sull’opera interpretativa e applicativa della giurisprudenza, affidando al giudice amministrativo il compito –come pure si è rilevato- di individuare i tipi e gli specifici servizi interessati dalla riforma, concorrendo in tal modo a determinare l’ambito della materia, fissando linee di confine più precise.

 

Al tempo stesso (come pure già osservato), la norma (art. 33.1 citato), nel riferirsi a detta materia, riporta una serie di indicazioni ed anzi una sorta di nomenclatura attinente, verosimilmente, a quelle attività in merito alle quali lo stesso legislatore era portato a ipotizzare il sorgere di dubbi circa la possibilità di ascriverle, o meno, alla materia medesima. Parla, così, di “materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995 n. 481”.

 

Come si è visto, dette indicazioni, certamente soltanto esemplificative di una vasta e altrimenti indefinita materia, a tutta prima sembrano indurre qualche perplessità, circa l’ascrizione alla materia dei servizi pubblici di talune delle attività indicate: si è già osservato, ad es., che solo con una forzatura la vigilanza sulle attività creditizia, assicurative e di intermediazione mobiliare può considerarsi servizio pubblico. Prima di svolgere qualche ulteriore considerazione al riguardo, osserviamo che, probabilmente, ha giocato, nel ricomprendere una simile attività fra i servizi pubblici, l’ottica comunitaria, vale a dire la concezione che dei servizi di rilevanza pubblica ha elaborato l’UE in relazione al settore degli appalti pubblici: l’area interessata dai servizi nel settore degli appalti che rientrano nella normativa comunitaria (e ormai, sulla scia di questa e delle norme nazionali di recepimento, anche di quelli che, in ragione dell’importo, inferiore alla soglia comunitaria, sarebbero tuttora regolati dalla sola disciplina nazionale) è, invero, molto vasta.

 

Gli appalti di servizi nel senso comunitario hanno decisamente influenzato la normativa interna e la stessa sistematica del diritto amministrativo, con inevitabile fuoriuscita dal mero settore della disciplina degli appalti pubblici. Le modifiche, fra l’altro, attengono ai soggetti, in particolare i destinatari (o fruitori) del servizio. Ed invero questi, se, in un’ottica normativa nazionale, potevano essere, in passato, esclusivamente soggetti pubblici (nel senso, cioè, che i servizi oggetto dell’appalto sarebbero quelli resi dall’impresa appaltatrice all’ente pubblico appaltante per il suo funzionamento, come avviene, ad es., per i servizi di manutenzione o pulizia degli edifici pubblici), ora in detta area vengono inclusi anche gli utenti di un pubblico servizio[7], fruitori del servizio approntato dai comuni o da organismi all’uopo predisposti o incaricati.

 

In quest’ultimo caso in passato, ordinariamente, all’erogazione dei medesimi servizi pubblici la p.a. competente provvedeva o direttamente ovvero attraverso un soggetto privato, cui veniva rilasciata un’apposita concessione, che lo investiva di appositi poteri pubblicistici (i rapporti successivi erano, poi, regolati da un contratto che accedeva alla concessione). Ora, il diritto comunitario, con la sua visione delle cose –che non fa sostanziali distinzioni fra appalti e concessioni, e che è indifferente al quesito di chi siano i soggetti destinatari del servizio (enti pubblici o i cittadini-utenti) ha indotto sostanziali modifiche, anche se la legislazione fatica ad uniformarsi a detta concezione la quale, se indubbiamente è più pragmatica, certamente è concettualmente più sommaria e induce a tralasciare costruzioni concettuali solide e basate su istituti giuridici collaudati, dai contorni netti e dai contenuti univoci.

 

Fatti questi rapidi accenni all’accezione comunitaria dei servizi a rilevanza pubblica, viene da rilevare un ulteriore errore sistematico (non si saprebbe dire quanto legato alla visione del diritto indotta dal diritto comunitario) in cui sembra cadere il legislatore, nel classificare fra i servizi pubblici classiche attività amministrative quali quelle di vigilanza o controllo che, ordinariamente, non si rivolgono ai cittadini-utenti di prestazioni rese (il più delle volte) in regime contrattuale, bensì consistono in attività di organi pubblici, investiti di determinati poteri (in specie di controllo o sanzionatori), nei riguardi di altri soggetti –pubblici o privati-, nell’ambito dell’attività amministrativa di controllo (che una ben nota partizione dell’attività propriamente amministrativa, contrappone all’amministrazio­ne attiva e a quella consultiva).

 

Qualche breve osservazione va fatta in relazione all’attività creditizia e di intermediazione finanziaria, dal testo originario dell’art. 33.1 incluse senz’altro nella materia dei servizi pubblici. Tutto sommato tale assimilazione suscitava minori perplessità, essendo penetrata nel senso comune da maggiore tempo l’idea che si tratti di attività a rilevanza pubblica. Che, ad es., il credito costituisca un servizio a rilevanza pubblica, poteva già desumersi dalla legislazione di settore, inerente, appunto, all’attività creditizia. Ora, poi, è subentrata la legge 14 novembre 1995 n. 481, che include fra i servizi di pubblica utilità l’esercizio del credito, ed istituisce le autorità di regolazione di detti servizi di pubblica utilità (tuttavia non per l’attività creditizia, ma per le telecomunicazioni da un lato e per l’energia elettrica ed il gas dall’altro). Allo stesso modo poteva apparire non incoerente l’inserimento anche dell’attività di intermediazione mobiliare nella materia dei pubblici servizi. Si deve presumere che si tratti dell’attività di intermediazione nella compravendita dei titoli mobiliari e prodotti finanziari, attività propria delle c.d. SIM (società di intermediazione mobiliare), di cui alla legge n. 1/92. Come si vede, in entrambi i casi si tratta di soggetti privati: sia gli enti creditizi (ormai tutti trasformati in S.p.A. con relative fondazioni), sia, a maggior ragione, le SIM, sono soggetti di natura privatistica (in quest’ultimo caso può trattarsi anche di persone fisiche).

 

Si è visto, d’altra parte, che il legislatore della legge 205 del 2000 è andato di diverso avviso, modificando il testo del primo comma dell’art. 33 nel senso di far rientrare nella materia dei pubblici servizi solamente l’attività di vigilanza e di controllo su tali settori (del che già si è detto).

 

E’ preferibile lasciare, ora, il discorso inerente all’individuazione degli ulteriori servizi a rilevanza pubblica inclusi nella giurisdizione piena ex art. 33-35 del D.Lgs. n. 80/98, non solo perché i rimanenti e più tradizionali servizi pubblici non dovrebbero presentare problemi al riguardo, ma anche perché, nei casi dubbi, sarà (dovrà essere) il giudice a dire la sua parola a formare una giurisprudenza.

 

3-bis- Estensione della giurisdizione esclusiva, con riguardo ai contratti pubblici.

E’ giunto, ora, il momento –dopo avere illustrato il contenuto della nuova giurisdizione esclusiva ex D. Lgs. n. 80/98, così come modificato dalla legge n. 205 del 2000- di approfondire l’argomento, onde comprendere meglio la portata effettiva e l’estensione della giurisdizione esclusiva in generale (i.e. per tutte le materie le controversie relative alle quali in essa rientrano), e, più da vicino, in relazione ai contratti della P.A., in particolare nella materia dei servizi e degli appalti pubblici.

 

Con riferimento alla giurisdizione esclusiva in generale, deve dirsi che, prima della recente riforma –che ha concentrato presso il G.A., sottraendola al G.O., la cognizione delle controversie di tipo reintegratorio (risarcimento del danno e reintegrazione in forma specifica)- la medesima g.e., pur comportando l’estensione, oltre all’azione di annullamento, (propria del giudizio ordinario di legittimità), anche all’azione di accertamento e a quella di condanna, era pur sempre limitata (come si è spiegato nell’apposito capitolo). Infatti, ogni questione riguardante vertenze a contenuto risarcitorio, ovvero attinente ai c.d. diritti patrimoniali conseguenziali, doveva di necessità essere portata davanti al G.O. (stante il vecchio sistema).

 

La stessa poteva dirsi abbracciare l’intera gamma di controversie solamente nelle ipotesi in cui non si potesse ipotizzare alcuna questione inerente alla reintegrazione patrimoniale, oppure dove la reintegrazione in forma specifica si realizzasse in una con la rimozione dal mondo del diritto (mediante l’annullamento giudiziale) del provvedimento, allo stesso modo di quanto avviene nel giudizio ordinario di legittimità, in specie in relazione ai provvedimenti ablatori cui corrispondono interessi legittimi di tipo oppositivo. Negli altri casi –a parte, tuttavia, la materia del rapporto di pubblico impiego, dove certamente la giurisdizione (ora per la gran parte traslata nella competenza del giudice del lavoro) era completa, coprendo nella sostanza anche fattispecie sostanzialmente di tipo reintegratorio- la giurisdizione esclusiva era pur sempre incompleta, e tale completezza si può dire raggiunta soltanto con la concentrazione presso il G.A. della cognizione sulle controversie di tipo risarcitorio (prima con il D.Lgs. n. 80/98 e poi con la legge n. 205 del 2000).

 

D’altra parte, deve dirsi che le cose stanno tuttora in modo sensibilmente diverso per quanto concerne i contratti pubblici (o della P.A.), come si è già accennato, e finanche per la giurisdizione esclusiva in tema di concessioni, sancita fin dalla legge n. 1034 del 1971 (art. 7).

 

Se, infatti, pare doversi ritenere –secondo un discorso già abbozzato retro- che nei procedimenti a evidenza pubblica destinati a sfociare nella stipulazione di un contratto (che qui definiamo contratto pubblico, senza ulteriori approfondimenti sul punto), come specialmente nei procedimenti di gara, la giurisdizione sulle controversie che possono insorgere con enti e amministrazioni pubblici appartiene al G.A. solo  ove queste siano inerenti alla fase, appunto, di evidenza pubblica (vale a dire, al procedimento amministrativo diretto a sfociare nella formazione e manifestazione di volontà negoziale della p.a.), laddove quelle che nascono dal contratto stipulato su tale base (in specie inerenti all’esecuzione ed anche all’interpretazione del contratto)[8] appartengono al G.O., allora non può certamente parlarsi di giurisdizione completa.

 

Persino in materia di concessioni (come si accennava), la g.e. sancita nella legge del 1971 (così come interpretata da buona parte della dottrina e dello stesso G.A.) non significava affatto che detta giurisdizione si estendesse alle liti riguardanti l’esecuzione del contratto, e ciò finanche per le c.d. concessioni-contratto (la figura, alquanto controversa, che per lo più viene concepita come una convenzione, regolante il rapporto, che affianca il provvedimento concessorio –o, in altre impostazioni, accede al medesimo), come è stato segnalato[9] e come mostra la prassi giudiziale. In effetti, tale ripartizione della giurisdizione fra G.A. e G.O. sarebbe giustificata dal fatto che le posizioni, nel rapporto contrattuale, sono affatto paritarie (diritto – obbligo). [Ma in realtà tale visione viene a smentire in qualche modo l’opzione per la giurisdizione esclusiva].

 

Unica eccezione (apparente) sarebbe rappresentata, nella concezione di taluni autori[10] e secondo una giurisprudenza, non uniforme né costante, del G.A., dalle determinazioni unilaterali della p.a.- contraente a carattere autoritativo che intervengano ab extra sul rapporto contrattuale disponendone la risoluzione, sulla scia di apposite previsioni legislative, quali l’art. 11.4 della L. n. 241 del 1990 (e, prima ancora, per un’ipotesi più specifica ma non certo irrilevante, l’art. 345 della L. n. 2248, all. F del 1865, nonché, con maggiori dubbi, l’art. 340 della medesima legge). In simili casi la giurisdizione sulle controversie relative si apparterrebbe alla giurisdizione esclusiva del G.A.

 

In definitiva, può dirsi che la giurisdizione esclusiva “tradizionale” o pregressa, di poco più ampia rispetto alla giurisdizione ordinaria di legittimità, non ha mai veramente riguardato, nella materia dei contratti pubblici, il rapporto contrattuale, e che la stessa viene “riempita” alquanto solo con la recente riforma, mediante concentrazione preso il G.A. delle vertenze concernenti la reintegrazione patrimoniale (con riferimento, tuttavia, alla sola fase di evidenza pubblica e agli effetti discendenti da atti, comportamenti e provvedimenti che intervengono in detta fase procedimentale).

 

[D’altra parte, occorre segnalare un ambito –all’incirca parallelo a quello dei veri e propri contratti della p. a.- nel quale dette conclusioni non valgono, nel senso che, significativamente, la giurisdizione esclusiva del G.A., legislativamente stabilita, certamente riguarda anche tutte le controversie relative alle vicende inerenti all’esecuzione, coprendo, così, veramente l’intero arco delle controversie ipotizzabili. Ed invero, il già richiamato art. 11 della legge n. 241 del 1990, disponendo (al comma 5°) che, in tema di accordi dei privati con la p.a. (ovvero tra diverse p.a., per effetto del richiamo nel successivo art. 15) –siano essi integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo conclusivo del procedimento- le controversie appartengono alla giurisdizione esclusiva del G.A., esplicitamente statuisce che detta g.e. include anche le liti concernenti l’esecuzione dell’accordo.

 

Orbene, senza scendere più a fondo nel tema della natura degli accordi ex art. 11 (che, del tutto concisamente, possono assimilarsi alle convenzioni fra e con la p.a., talora sorta di accordi-quadro o normativi, comunque ad oggetto pubblico), per comprendere le ragioni di una simile scelta del legislatore, si può dire che lo stesso abbia avuto riguardo al fatto che, nel caso, si tratta comunque di materia coinvolgente interessi pubblici (ivi comprese le accezioni facenti riferimento a posizioni giuridiche soggettive di parte, quali interessi collettivi, di determinati corpi sociali o gruppi, ecc.), tanto è vero che l’assetto e la composizione di interessi al riguardo sarebbe prevista, ordinariamente, mediante emissione di un provvedimento amministrativo. Tanto basterebbe a giustificare come mai anche le liti concernenti l’esecuzione di un accordo che tale provvedimento ha sostituito rimanga in dominio del giudice amministrativo, cui l’ordinamento affida il controllo giudiziale della cura degli interessi pubblici][11].

 

Premessi questi chiarimenti sulla portata e il significato della giurisdizione esclusiva, si può ora abbozzare un prospetto riepilogativo delle azioni esperibili davanti al G.A., e delle tipologie di sentenze in cui è diretto a sfociare il giudizio.

     A) In primo luogo, come appare scontato, può esperirsi l’azione di annullamento, diretta a sfociare nella classica sentenza costitutiva recante, appunto, l’annullamento (o la riforma, nei casi di giurisdizione estesa al merito) del provvedimento impugnato.

 

D’altra parte, bisogna considerare che la stessa giurisdizione di annullamento assume oggi una nuova prospettiva. Infatti –tralasciando gli effetti dell’annullamento nelle ipotesi ulteriori (es., annullamento dell’esclusione da gare e concorsi, ecc.), che possiamo dare, qui, per scontati, nel senso di risultato utile consistente nella riammissione alla procedura concorsuale (cfr., comunque, infra)- se già in passato, anteriormente all’attribuzione al G.A. della giurisdizione sulle liti risarcitorie, si disputava circa gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione di una gara sul contratto (di appalto di lavori pubblici, o concessione di costruzione e gestione, ecc.), stipulato con l’impresa vincitrice, a seguito dell’aggiudicazione risultata poi illegittima, va verificato cosa oggi ciò comporti in termini di risarcimento. Al riguardo è, invero, noto l’orientamento  giurisprudenziale prevalente presso i giudici amministrativi, consistente nel teorizzare che l’annullamento degli atti inerenti alla gara (in particolare, l’aggiudicazione) travolge di per sé il contratto  stipulato sulla base dei provvedimenti risultati illegittimi, contrario essendo l’orientamento della Cassazione[12], per la quale il contratto concluso non viene inciso dall’annullamento, che potrà dare luogo soltanto a risarcimenti, e sarà operante, previa disapplicazione dell’aggiudicazione illegittima. Orbene, seguendo la prima ipotesi, oltre ad eventuali risarcimenti parziali in ordine al tempo trascorso prima dell’annullamento, è chiaro che spetterà all’impresa risultata vittoriosa nel giudizio il subingresso nella posizione contrattuale del soggetto cui illegittimamente era stato  affidato l’appalto (ovvero il diritto alla stipulazione del contratto in luogo di quest’ultima, se il contratto non sia stato ancora concluso). Nella seconda ipotesi, viceversa, la parte risultata vittoriosa nel giudizio amministrativo potrà accampare soltanto il diritto al risarcimento (comprese, riteniamo, il lucro cessante e le chances perdute). [Si veda la soluzione in tal senso prescelta dal legislatore della c.d. “legge sulle grandi opere” (L. 21 dicembre 2001 n. 443 e D.Lgs. 28 agosto 2002 n. 190, art. 14.2)].

 

     B) In secondo luogo, va considerata l’azione di accertamento (che identifica, in buona sostanza, la giurisdizione esclusiva del G.A., differenziandola da quella ordinaria di legittimità). Procedendo schematicamente, si può dire che l’accertamento può riguardare: 1) il diritto all’ammissione alla gara da cui il ricorrente era stato illegittimamente escluso; 2) il diritto a vedere esclusa l’impresa illegittimamente ammessa; 3) il diritto alla stipulazione del contratto, quale legittimo aggiudicatario (eventualmente in luogo del soggetto che illegittimamente era risultato vincitore, se già stipulato il contratto: supra), ecc. [Talune di queste ipotesi possono anche vedersi come esempi di reintegrazione in forma specifica].

     C) L’azione giudiziale potrebbe autonomamente qualificarsi come diretta ad ottenere tale reintegrazione in forma specifica, ad es. la stipulazione del contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione a favore di altri (ma cumulativamente con l’azione di annullamento, secondo l’orientamento giurisprudenziale affermatosi e ormai pressoché consolidato).

 

     D) Ancora, l’azione giudiziale potrebbe dirigersi verso forme di risarcimento in quanto tale, ma sempre previo annullamento dell’aggiudicazione. Ciò può accadere specialmente allorquando il contratto stipulato a seguito dell’aggiudicazione illegittima abbia avuto un principio (o più) di esecuzione. In effetti, non può disconoscersi al soggetto risultato vittorioso nel giudizio di annullamento la facoltà di opzione per il risarcimento dei danni subiti in luogo della reintegrazione in f. s. (vale a dire in luogo del subingresso nel contratto).

 

     E) Infine, un’ipotesi che riterremmo di considerare a parte concerne l’azione mossa da associazioni portatrici di interessi collettivi o diffusi al fine di ottenere la revisione di tariffe, prezzi, condizioni, modalità di espletamento del servizio pubblico (specialmente rispetto agli standard fissati nel contratto di servizio), ovvero la condanna alla restituzione del surplus di tariffa, azione da ritenere mista, di annullamento, accertamento e condanna.

 

Invece, se deve accettarsi la costruzione descritta poco addietro secondo cui ogni azione concernente il rapporto contrattuale (in specie l’esecuzione del contratto) va portata davanti al G.O., l’elencazione di cui sopra non può comprendere le corrispondenti azioni (quali, ad es., l’azione di  risoluzione per inadempimento o altra causa; l’azione di contestazione del recesso altrui; pretesa di adempimento, ecc.), nonché le altre azioni concernenti il rapporto individuale di utenza. Una simile conclusione sarebbe coerente con le considerazioni svolte, da un lato in ordine ai criteri di riparto della giurisdizione in tema di contratti pubblici, dall’altro  in merito all’interpretazione dell’art. 33, che testualmente contiene quest’ultima esclusione.

 

3-ter- L’arbitrato.

Sia pure brevemente, bisogna, a questo punto, dire di un altro strumento di risoluzione previsto dal sistema (in particolare, il codice di procedura civile), per così dire parallelo alla giurisdizione statuale o pubblica, vale dire della possibilità di compromettere per arbitri la risoluzione di ogni vertenza che si innesti sul contratto (esecuzione, interpretazione). Tale modalità, come è noto, risiede nella volontà delle parti (espressa in apposito atto, definito compromesso, separato dal contratto, ovvero mediante apposita clausola compromissoria inserita nel contratto medesimo). All’arbitrato le parti possono ricorrere anche nei contratti pubblici, a meno che non siano previste –come, del resto accade in relazione a specifiche previsioni anche nella materia civile- preclusioni legislative esplicite o implicite.

 

Tralasciando, dati gli scopi della relazione, l’illustrazione dell’arbitrato come istituto giuridico e come disciplinato nel c.p.c., deve dirsi della possibilità di compromettere per arbitri le controversie soggette alla giurisdizione esclusiva del G.A., in forza di recenti modifiche legislative[13]. Parenteticamente rileviamo fin d’ora che la previsione della competenza arbitrale in materia conferma, per altro verso, le conclusioni retro raggiunte in tema di appartenenza al G.O. della giurisdizione sulle liti concernenti la fase di esecuzione e interpretazione dei contratti pubblici (quanto meno per il contratto di appalto).

 

La disciplina dell’arbitrato in tale contesto non è, peraltro, lineare. Illustriamo, qui, la situazione in linea di larga massima.

 

     A) In primo luogo va ricordata la disciplina particolare dell’A. posta in relazione ai contratti inerenti agli appalti di lavori pubblici (che, va detto subito, era, nella disciplina pregressa, e rimane, in quella ora vigente, una forma atipica di arbitrato imposta ex lege ). L’arbitrato, qui –in accordo con quanto visto specialmente nel par. precedente- riguarderebbe controversie devolute al G.O., siccome inerenti al rapporto contrattuale, cosicché potrebbe ritenersi che l’arbitrato ammesso sarebbe quello “di diritto comune”, disciplinato nel codice di rito.

 

Senonché, in materia vige una disciplina particolare, che prevede un tipo speciale di A. disciplinato dalla legge (in maniera diversa prima e dopo la legge quadro sui lavori pubblici, n. 109 del 1994, e successive modifiche, specialmente quelle derivanti dalla L. n. 415 del 1998; si veda, da ultimo, l’art. 12 del già richiamato D.Lgs. n. 190 del 2002), secondo forme imposte dalla legge, con minori difformità rispetto all’istituto di diritto comune nel nuovo assetto della materia, rispetto alla normativa pregressa.

 

Il riferimento qui è agli art. 43 ss. del “capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici” del 1962[14]. Dette norme prevedevano non solo un’inversione a dir poco discutibile dei principi in materia di giurisdizione, nel senso che la risoluzione delle controversie veniva, di regola (a prescindere, cioè, da una apposita previsione contrattuale), affidata a un collegio di cinque arbitri, a meno che –e qui stava un’ulteriore, clamorosa anomalia- nel contratto non fosse inserita un’apposita clausola di esclusione della competenza arbitrale, in favore del G.O. (art. 47). [Detto sistema è stato costantemente  censurato dalla Corte costituzionale, in considerazione dell’affermazione dell’indefettibilità della giurisdizione[15]]. Anche la composizione del collegio arbitrale nel forse pletorico numero di cinque arbitri, era imposta ex lege, con attribuzione della presidenza a un magistrato amministrativo (il che, oltre tutto, pareva sintomatico della voluntas legis di mantenere in qualche modo in dominio del G.A. il controllo degli appalti pubblici, anche in relazione a vertenze in principio appartenenti al G.O.).

 

Il sistema schematicamente descritto, dopo travagliate vicende, è alquanto cambiato con la legge n. 109 del 1994 (art. 32, nella versione risultante dall’ultima legge di modifica: L. 18 novembre 1998 n. 415, c.d. “Merloni-ter”), e relativo regolamento di attuazione, (D.P.R. n. 554 del 1999, cit., art. 149 ss.). Limitandosi alle sole modifiche maggiormente rilevanti sul piano dei principi, si osserva che non soltanto è stata rimossa l’anomalia da ultimo segnalata (nel senso che, ora, la competenza arbitrale subentra alla giurisdizione pubblica solo se esplicitamente prevista nel contratto con apposita clausola, in mancanza valendo la regola della giurisdizione ordinaria), ma il collegio è composto, ora da tre membri, con maggiore vicinanza alle regole scritte nel c.p.c.

 

Segnatamente, mentre due arbitri sono nominati da entrambe le parti, il terzo, con funzioni di presidente,  (il vero giudice imparziale, si direbbe) viene nominato da una camera arbitrale (che siede presso l’Autorità di vigilanza dei l.p.), attingendo da un apposito elenco di soggetti ritenuti qualificati, tenuto dalla medesima camera arbitrale, secondo un meccanismo alquanto macchinoso. La norma testualmente stabilisce che l’arbitrato sia secondo diritto.

 

Per quanto il nuovo sistema, concisamente illustrato, possa considerarsi più vicino alla disciplina codicistica, si tratta pur sempre di un arbitrato ex lege, come è stato osservato[16].

 

     A-bis) Arbitrato “derogatorio” ex L 21 dicembre 2001 n. 443 e D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190.

 

     B) L’art. 6, comma secondo, della legge 205 ha introdotto nell’ordinamento, per la prima volta, la possibilità di risolvere mediante arbitrato controversie concernenti diritti soggettivi la cui cognizione sia devoluta al giudice amministrativo, vale a dire relative ad una qualsiasi delle materie soggette alla giurisdizione esclusiva del G.A. La disposizione prevede che non possa trattarsi se non di “arbitrato rituale di diritto”.

 

Si tratta di una molto significativa (e, tutto sommato, intrigante) novità, che si presta a suscitare dibattiti, dato il contrasto con l’assetto normativo consolidato previdente, e che potrà trovare applicazione in relazione agli appalti di servizi e di forniture .

 

Al riguardo occorre chiarire che siffatta possibilità non può in ogni caso considerarsi estesa alle situazioni giuridiche soggettive qualificabili come interesse legittimo. Ciò in considerazione sia del dato testuale, sia della tesi secondo la quale gli i. l. sono posizioni soggettive non disponibili da parte del titolare [tesi che qui assumiamo come  accettabile per il suo carattere di sintesi, esemplificativa di una situazione in realtà più complessa, in non pochi casi potendosi constatare come anche posizioni soggettive siffatte siano nella disponibilità del titolare (ad es. l’interesse pretensivo a un’autorizzazione di commercio in un determinato sito, e la sua trasmissibilità a titolo particolare)].

 

In merito a questa nuova previsione di competenza arbitrale, è ipotizzabile il sopravvenire di norme (allo stato mancanti) –anche di rango regolamentare attuativo- atte a disciplinarla in concreto, poiché la stessa non ci sembra creata per essere riassorbita negli schemi arbitrali di diritto comune.

 

Come è stato osservato, con questa novella, rimovendosi un limite normativo antico, è stato istituito un parallelismo con le vertenze soggette alla giurisdizione del G.O., dal momento che in precedenza le posizioni qualificate come diritti soggettivi  venivano, in concreto, discriminate a seconda che appartenessero a materie rientranti nella giurisdizione ordinaria (nel qual caso –ma non tutte, occorre dire: cfr. art. 806 c.p.c.- è comunque consentita la compromissione per arbitri), ovvero nella giurisdizione esclusiva del G.A., nel qual caso ciò non era consentito.

 

In merito a detta riforma ci limitiamo qui, del tutto sinteticamente, che non sarà affatto semplice, all’atto pratico, stabilire se ci si trovi al cospetto di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, donde l’ipotizzabilità di contestazioni al riguardo, con eccezioni di declinatoria di arbitrato, ecc. In definitiva il quadro della situazione inerente all’arbitrato, in materia di contratti pubblici, prevede:

 

      a) la possibilità –nella materia degli appalti e concessioni di lavori pubblici- di devoluzione della soluzione delle controversie ad arbitri, secondo le regole della legge n. 109 del 1994 (e relativi regolamento e capitolato generale), retro richiamate;

      b) la devoluzione ad arbitri secondo le regole dell’art. 6.2 della legge n. 205 del 2000, per gli appalti di servizi pubblici e forniture, nonché in ogni altra materia soggetta alla giurisdizione esclusiva del G.A.;

     c) il ricorso all’arbitrato così come disciplinato dal codice di rito in relazione a tutti gli altri contratti della p.a. (specialmente non a evidenza pubblica) non attinenti a materie soggette a detta g.e.[17] (es.: contratto di compravendita, anche a seguito di asta pubblica).                 

 

4- Affidamento di lavori, servizi o forniture con procedure a evidenza pubblica.

Si è già rilevato che, nel sistema normativo disegnato, in particolare, dalla  pregressa versione dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80 del 1998, era ravvisabile (nelle espressioni ivi usate) una rilevante discrasia tra la dichiarata volontà assertiva del comma 1, ove si stabiliva la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. delle (sole) controversie in materia di pubblici servizi, e il comma 2°, lett. e) cui corrisponde, ora, la lettera d) –come già rilevato, a seguito delle modifiche apportate a detto art. 33 dall’art. 7 della legge 205 del 2000- ove, nel precisare che fra le liti ricomprese in tale devoluzione erano da includere anche quelle relative alle procedure di affidamento di appalti a evidenza pubblica, si indicavano non i soli appalti di servizi, ma, altresì, quelli di lavori pubblici e le forniture.

 

Tale discrasia poneva delicati problemi, in particolare di incostituzionalità della disposizione di cui alla lettera e) per eccesso di delega (questioni, poi, effettivamente sollevate e risolte affermativamente dalla Corte costituzionale, come già ricordato), e comunque aveva suscitato anche teorizzazioni che tendevano a giustificare la stessa, per vari ordini di ragioni, e a ritenerla compatibile con il sistema[18]. Ma ogni questione deve ritenersi superata a seguito dell’emanazione della legge 205 del 2000 la quale, con l’art. 6, comma 1, esplicitamente devolve alla giurisdizione esclusiva del G.A. anche la “materia” degli appalti pubblici in genere.

 

La norma così dispone: “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale”.

 

Dal momento che sull’argomento ci siamo già soffermati, ci limitiamo qui ad annotare, da un lato, che la nuova g.e. è chiaramente limitata alle contese che possono insorgere in relazione alla fase di evidenza pubblica; dall’altro, che il testuale riferimento alla scelta del socio, mostra che in realtà tale nuova g.e. è alquanto più ampia di quanto potrebbe apparire, non  limitandosi la stessa alle procedure di affidamento di appalti e concessioni, ma, altresì a quelle preordinate all’individuazione dei soci privati nella formazione di società miste, preposte specialmente all’esercizio di servizi pubblici. (Di ciò si dirà più specificamente nei paragrafi che seguono, dedicati alla riforma dei servizi pubblici locali).

 

In ordine alla questione del riparto di giurisdizione già illustrato  nella materia dei contratti pubblici, in altre sedi[19] abbiamo auspicato una opportuna riunificazione della giurisdizione sull’intera gamma delle controversie fra ente appaltante e impresa appaltatrice, che ne derivano, in luogo dell’attuale criterio di riparto che, grosso modo, segue la linea di demarcazione seguente: fase procedimentale di evidenza pubblica, fino all’aggiudicazione – giudice amministrativo; fase dell’esecuzione del contratto – giudice ordinario. Prendiamo atto, per contro, che il legislatore, se ha inteso attuare una molto incisiva modifica dell’assetto della giurisdizione sulle controversie in materia di servizi pubblici (ivi compresi, come si è visto, gli appalti) e per l’edilizia e urbanistica, tanto ha fatto, in relazione agli appalti, relativamente alle (sole) procedure di affidamento. Dunque, le controversie inerenti all’esecuzione dei contratti pubblici restano affidate al giudice ordinario.

 

5.1- La riforma dei servizi pubblici locali.

Ci accingiamo qui a delineare, almeno per sommi capi, la nuova disciplina dei servizi pubblici locali dettata dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 (“legge finanziaria 2002), e nel regolamento governativo ivi previsto (al comma 16). Ciò non solo per il grande rilievo (per lo meno “quantitativo”) di detti servizi locali, e per l’importanza della riforma in sé, ma anche per le implicazioni sul piano della giurisdizione, in rapporto alle tematiche fin qui esaminate.

 

La nuova disciplina si pone, ad oggi, come lo sbocco di una significativa evoluzione dell’assetto normativo dei servizi pubblici locali, di cui tale nuovo assetto appare come l’ultimo passaggio (il momento iniziale può collocarsi, all’incirca, nell’art. 22 della legge 6 giugno 1990 n. 142), indotto dall’obbligo di attuazione di direttive comunitarie riguardanti, peraltro, i servizi pubblici non solo locali. Alla nuova disciplina sostanziale dedichiamo, qui, solo pochi cenni sintetici, centrati prevalentemente sui punti che esplicano riflessi sul contenzioso, con ricadute sulle questioni di giurisdizione.

 

Va precisato, preliminarmente, che il nuovo assetto normativo viene posto mediante la sostituzione –ad opera dell’art. 35 citato- dell’articoli 113 del T.U. sulle autonomie locali (approvato con D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267) e con l’aggiunta dell’art. 113-bis, relativo ai servizi privi di rilevanza industriale, nonché con una serie di altre disposizioni di minore rilievo riportate nei commi successivi del medesimo art. 35. Va, al tempo stesso, precisato che le nuove regole di cui al novellato art. 113 riguardano, espressamente, i soli servizi pubblici locali di rilevanza industriale (servizi individuati mediante il richiamato regolamento governativo). Invece, come già detto, i servizi privi di rilevanza industriale si trovano regolati nel successivo art. 113-bis.

 

5.2- Servizi pubblici locali di rilevanza industriale (art. 113 del T.U.E.L.).

Punto di partenza del nuovo assetto normativo è costituito dalla previsione –imposta dalle direttive comunitarie- concernente la facoltà degli enti di autonomia locale di stabilire la separazione fra proprietà di impianti, reti e altre dotazioni destinate all’esercizio di siffatti servizi (ad es., rete di distribuzione del  gas, acquedotti, ecc.), e gestione ed erogazione dei servizi. Tale facoltà di separazione può essere prevista dalle discipline di settore (art. 113 novellato, comma 3°). Ove venga stabilita la separazione, l’accesso agli impianti e alle reti –soggiunge la disposizione con puntualizzazione alquanto ovvia- deve essere garantito “a tutti i soggetti legittimati all’erogazione dei relativi servizi”, vale a dire ai soggetti affidatari dei medesimi.

 

La proprietà di impianti, reti, ecc, non può comunque essere ceduta, come chiarisce il comma 2°. Tuttavia, la stessa può essere conferita, anche in mancanza di separazione, dagli enti locali anche associati, a società di capitali; ma in tal caso la maggioranza del capitale (co. 13°) deve essere da essi detenuta, e la relativa quota non può essere ceduta. La società “conferitaria” pone gli impianti, le rete e le altre dotazioni a disposizione del soggetto incaricato dell’erogazione del servizio ovvero, se è stata prevista la gestione separata della rete, dei soggetti affidatari di detta gestione, ricevendone come corrispettivo il canone stabilito dall’autorità di settore o, in mancanza di quest’ultima, dagli enti locali.

 

L’ultimo periodo del comma 13 precisa che a dette società di capitali gli enti locali possono assegnare anche la gestione della rete, nonché –ciò che maggiormente rileva agli effetti del contenzioso- il compito di espletare le gare per l’individuazione del soggetto erogatore del servizio con procedure di evidenza pubblica, come previsto nel comma 5°.

 

D’altra parte, nelle ipotesi ordinarie (i.e., di non assegnazione della gestione delle reti alle società beneficiarie del conferimento della proprietà delle stesse), detta gestione, in caso di separazione, può avvenire, secondo quanto precisa il co. 4°: a) mediante società di capitali con partecipazione maggioritaria degli E.L. anche associati, cui la gestione può essere assegnata con affidamento diretto; b) a mezzo di imprese idonee, da individuare mediante gara a evidenza pubblica.

 

L’erogazione del servizio.

Per quanto concerne l’espletamento del servizio –ciò che più importa al cittadino-utente, vale la pena di sottolineare- i commi 5 ss. pongono le regole da seguire per l’individuazione del scelta del titolare (che deve essere una società di capitali, secondo quanto precisato fin dall’inizio), mediante gara a evidenza pubblica,[20] con la precisazione (nel tentativo, si direbbe, di conciliare ambiti di interesse pubblico diversi e spesso configgenti) che la gara medesima è indetta (art. 113.7) “nel rispetto degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla competente Autorità di settore o, in mancanza, dagli enti locali”.

 

La gara –cui non sono ammesse le società che, in Italia o all’estero (anche di Paesi extra UE, a condizione di reciprocità: art. 35.2) già gestiscano servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto (i.e., senza gara) o previa procedura non a evidenza pubblica (es., mediante negoziazione privatistica) anche in regime di rinnovo, e, altresì, alle società controllate o controllanti- va aggiudicata “sulla base del migliore livello di qualità e sicurezza e delle prestazioni economiche e di prestazione del servizio, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica  e gestionale”[21] elementi che entrano a far parte del contratto di servizio.

 

Siffatto complesso criterio è avvicinabile al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa previsto nella disciplina generale relativa all’aggiudicazione degli appalti pubblici, ma appare, in verità, molto più articolato e “ambizioso”, e comporta per questo un’adeguata ponderazione dei vari componenti e del relativo peso nell’attribuzione dei punteggi. A sua volta il co. 8° prevede opportunamente che, ove sia economicamente più vantaggioso, con unica gara possa aggiudicarsi contestualmente una pluralità di servizi, diversi, però, dal servizio di trasporto (evidentemente in considerazione delle peculiarità e dei vincoli tecnici di quest’ultimo).

 

Ove la società affidataria dell’erogazione del servizio sia una società a capitale misto pubblico- privato, la quota di capitale degli E.L. può essere ceduta (co. 12°) –a differenza di quanto stabilito per la quota nelle società assegnatarie della proprietà- senza che ciò produca alcun effetto sui contratti in essere per quanto concerne l’affidamento e la durata.

 

Degno di nota, nell’ottica seguita in questo succinto excursus, appare la previsione (co. 11°) che tutti i rapporti degli enti locali sia con le società di gestione di reti e impianti, sia con le società erogatrici del servizio sono regolati mediante apposito contratto di servizio allegato ai capitolati di gara, ove dovranno prevedersi i livelli di servizio da garantire, nonché adeguati strumenti di verifica dei medesimi. Come appare evidente, dunque, detti contratti, nel mentre regolano il futuro rapporto con la società affidataria della rete o dell’erogazione del servizio, al tempo stesso entrano nella lex specialis della gara.

 

Un’ultima considerazione vorremmo fare (sempre in maniera sintetica) a proposito di quanto asserito (nel co. 5°) in ordine all’erogazione del servizio, il quale dovrebbe svolgersi “in regime di concorrenza”.Orbene, la disposizione può avere un senso soltanto ove riferita, diremmo, ai principi cui deve ispirarsi, sul piano generale, l’organizzazione e l’espletamento dei servizi pubblici locali, come tale espressione di un indirizzo politico-gestionale con riguardo alla vaire aree territoriali, e dunque tendenziale. In realtà, una volta che sia stato individuato il soggetto affidatario del servizio in un determinato ambito territoriale un comune o più comuni associati), non si vede come possa parlarsi di concorrenza (rispetto a chi?), non potendo essere che unitarie le tariffe o i canoni in tale ambito.

 

Degne di nota, infine, sono (per aspetti diversi) la previsione dell’obbligo degli E. L. (art. 35, co. 8) di trasformare, ai sensi dell’art. 115  del T.U.E.L.                        entro il 31 dicembre 2002, in società di capitali  le aziende speciali e i consorzi in essere (ex art. 31.8 del medesimo T.U.EL.) che gestiscono servizi a rilevanza industriale, e l’altra (art. 35.14), per la quale gli enti locali, anche in forma associata, individuano gli standard di qualità dei servizi, determinando le modalità di vigilanza e controllo delle aziende esercenti i servizi pubblici (in specie, deve presumersi, le società preposte all’erogazione degli stessi), “in un quadro di tutela prioritaria degli utenti e dei consumatori”. E’ auspicabile che venga data degna attuazione a quest’ultima disposizione –compito probabilmente facilitato dalla posizione di relativa “terzietà” degli E,L. rispetto ai soggetti gestori- in una prospettiva di sempre maggiore considerazione dei destinatari del servizio.

 

5.3- Servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale (art. 113-bis).

Una disciplina diversa –del resto, enucleata dal previgente art. 113 del T.U.E.L., e meglio sistematizzata nel nuovo assetto normativo- viene posta con l’art. 113-bis di esso D.Lgs. n. 267/2000, in relazione a quei servizi che, per rivestire interesse culturale sociale, etico, del tempo libero, et similia, non assumono modi di organizzazione e finalità a carattere imprenditoriale.

 

Consimili attività possono essere gestiti –secondo la nuova norma-  mediante: a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile. Il comma successivo prevede, ad ogni modo, che attività del genere possano esercitarsi in economia, in considerazione della modestia delle dimensioni, sia delle caratteristiche del servizio medesimo (ad es., servizio informativo e/o di indirizzamento dei turisti nel territorio del comune, effettuato mediante dipendenti del comune stesso).

 

Il carattere distintivo che conviene sottolineare rispetto ai servizi di rilevanza industriale riguarda, peraltro, a parte la veste giuridica (che qui può assumere la forma di società di capitali soltanto in via eventuale) e i modi di organizzazione, l’esplicita previsione che attività siffatte possono gestirsi mediante affidamento diretto, vale a dire senza che vi sia bisogno di espletare una gara a evidenza pubblica. Il servizio può essere affidato direttamente anche ad associazioni o fondazioni costituite o partecipate dal comune medesimo (co. 3°). Opportunamente, peraltro, il legislatore lascia liberi gli E.L. di affidare anche consimili servizi a terzi mediante procedure a evidenza pubblica, “laddove sussistano ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale” (ad es. consistente dimensione del servizio e della sua organizzazione tecnica, nonostante che il contenuto del medesimo rivesta carattere culturale, ecc.).

 

Infine, va rilevato un carattere comune con i servizi industriali, concernente l’obbligo, anche qui, di regolare i rapporti tra i soggetti erogatori dei servizi e gli enti locali mediante contratti di servizio (comma 5°), i quali svolgeranno una funzione analoga a quella brevemente tratteggiata in relazione ai servizi con rilevanza industriale..        

 

5.4- La giurisdizione sul contenzioso in materia di servizi pubblici locali.

A questo punto, avendo tracciato per grandi linee la nuova disciplina dei servizi pubblici locali ex art. 35 della legge n. 448 del 2001, qualche schematica considerazione va dedicata al tema della risoluzione delle controversie correlate, segnatamente per quel che concerne l’individuazione del giudice competente. L’individuazione della via più corretta al riguardo non può che avvenire sulla scorta delle considerazioni tracciate nei paragrafi precedenti, da cui non v’è motivo di discostarsi, salvo per alcune necessarie integrazioni e precisazioni, specialmente in tema di contratti di servizio.

 

In primo luogo va confermato che, in linea di massima, trattandosi di servizi pubblici locali, le relative controversie vanno ripartite tra G.A. e G.O. secondo gli schemi retro descritti, vale a dire individuando il giudice competente nel G.A. per tutte le liti che si innestano sul procedimento (fase a evidenza pubblica), fino alla stipulazione del contratto di appalto o concessione di servizio pubblico, ivi comprese le liti aventi ad oggetto il risarcimento o la reintegrazione in forma specifica. Le vertenze, invece, che nascono dal contratto e che riguardano l’esecuzione o l’interpretazione dello stesso (tranne, si vuole qui ribadire, quelle derivanti da provvedimenti autoritativi che intervengono ab extra sul rapporto contrattuale, secondo la concezione cui si è accennato e che ci sembra di potere mantenere ferma), vanno portate davanti al G.O. Alla cognizione del medesimo giudice appartengono inoltre –secondo il discutibile criterio di cui al comma 2°, lettera e) dell’art. 33 (retro illustrato)- le contestazioni concernenti i rapporti individuali di utenza (ivi comprese quelle che prima abbiamo definito “di massa”).

 

Di conseguenza, tutte quelle contestazioni che riguardano le procedure di ricerca del socio delle società di capitali costituite per la gestione delle reti o impianti, ovvero per l’espletamento dei singoli servizi, ovvero le procedure a evidenza pubblica (gare) per la scelta delle medesime società appartengono, evidentemente, alla giurisdizione esclusiva del G.A. Tanto premesso, si può arguire che non poche potranno essere anche le vertenze nascenti dall’affidamento diretto di servizi pubblici locali (strumento previsto in via derogatoria in determinati casi, come si è visto, nella nuova disciplina dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale e, come forma ordinaria, invece, dei servizi privi di rilevanza industriale, di cui all’art. 113-bis T.U.E.L.). Tali contestazioni potranno nascere ad iniziativa di chi, ad es., intenda contestare la ricorrenza dei presupposti per l’affidamento diretto ad altri, e pretenda l’effettuazione di una gara, ovvero di chi ritenga di potere legittimamente aspirare a detto affidamento diretto in luogo del soggetto prescelto dall’ente locale. (Infatti, non può ritenersi che l’a. d., ad es., dell’espletamento di servizi culturali avvenga mediante negoziazione privatistica, -o, peggio ancora, ad libitum- dovendo pur sempre l’ente locale seguire, ai fini della scelta, un minimum di criteri prefissati).

 

Al medesimo giudice amministrativo, inoltre, appartengono –a nostro modo di vedere- tutte le controversie che nascono dal contratto di servizio. Pur avendo il legislatore usato il termine “contratto”, invero, bisogna considerare che le relative regole si trovano, per così dire, “a monte” dei contratti di appalto o di concessione, di cui costituiscono un presupposto necessario, cosicché può ragionevolmente sostenersi che ci si trovi al cospetto, nella sostanza, di una convenzione o accordo amministrativo (i.e. strumento di composizione di interessi della p.a. con il privato o tra diverse p.a., come, ad es., le convenzioni urbanistiche o ospedaliere, non autoritativo, ma consensuale, ma ad oggetto èpubblico). Una simile conclusione sarebbe avvalorata dalla considerazione del contenuto, siccome comprensivo delle modalità di verifica e controllo dei livelli e modalità del servizio reso all’utenza, funzione che certamente appartiene all’interesse pubblico.

 

Se ciò è esatto, si può concludere che naturaliter, dunque, la giurisdizione appartenga al G.A., sotto un duplice profilo. Da un lato, infatti, la tesi sembra sostenibile alla luce di quanto si è detto a proposito dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80/98, tanto più che sul contratto di servizio potrebbero innestarsi le azioni, che altrove abbiamo definito “collettive”, mosse da associazioni di utenti e consumatori, o portatrici di interessi diffusi (che abbiamo sostenuto rientrare nella giurisdizione esclusiva del G.A.). Dall’altro, se –come sembra- regge l’assimilazione di detti contratti di servizio agli accordi ex art. 11 e 15 della legge n. 241 del 1990, del tutto scontata deve ritenersi la conclusione dell’appartenenza delle relative controversie al G.A.,  alla stregua di quanto si è detto su retro sull’argomento.

 

Quanto alla risoluzione delle controversie mediante arbitrato, si seguiranno le regole del c.p.c. (art. 806 ss.) se nel caso che le stesse rientrino nella giurisdizione del G.O., ovvero quelle di cui all’art. 6.2 della legge 205 del 2000 ove inerenti a diritti soggettivi correlativi alla giurisdizione esclusiva del G.A.

 

Italo Franco
(Consigliere del TAR Veneto)     

Note:

[1] In effetti, l’art. 6 –su cui ci si soffermerà brevemente nel par. 6- interviene a sanare quello che si poneva palesemente come un eccesso di delega, riguardando quest’ultima (nella legge n. 59 del 1997) le sole materie dei servizi pubblici, edilizia e urbanistica, e non pure gli appalti pubblici (in simile ottica poteva ritenersi costituzionalmente legittima solamente l’inclusione nella nuova giurisdizione esclusiva delle liti nascenti dai soli affidamenti di appalti di servizi). Tanto è avvenuto attraverso la piena “legificazione” dell’art. 33, mediante l’interpositio dell’art. 7 della legge 205 del 2000 (come si è osservato nel testo), peraltro con modifiche non irrilevanti rispetto al testo  originario della norma nel decreto delegato. 

[2] MARZUOLI – SORACE, voce Concessioni amministrative, in Dig. disc .pubbl., TO 1989, III, 280 ss., invece, ritengono (nell’ambito di una concezione, per così dire, paritetica delle concessioni amministrative) che le stesse non configurino provvedimenti (autoritativi ed esecutori).  

[3] Il “momento pubblicistico”, inoltre, può esplicarsi anche nella fase delle negoziazioni (si ricordino le forme dell’amministrazione negoziata o per accordi), e ancora mediante la sottoscrizione della convenzione, accordo o contratto fra la parte pubblica (concedente, secondo uno schema che un tempo costituiva la norma, e che ora pare piuttosto recessivo) e la parte privata (concessionario, sempre secondo il modello della concessione, o concessione-contratto).

[4] Per una convinta (e argomentata,anche se con ragioni in gran parte non condivisibili, almeno secondo chi scrive) esposizione di siffatta posizione, si veda, per tutti, D’ALBERTI, Concessioni amministrative, in Enc. giur. Trecc., ad vocem.

[5] Deve rilevarsi, tuttavia, che fino ad oggi non sembrano numerosi i casi di adizione del giudice amministrativo in relazione a controversie appartenenti al G.O. in forza dell’interpretazione più attendibile espressa nel testo. Poche sembrano, infatti, le sentenze declinatorie della giurisdizione (ma ciò dipende anche da come il foro ha recepito le novità legislative in discorso).

[6] F. SATTA, Intervento al convegno del 5 giugno 1998, cit., pag. 7.

[7] Per queste ed altre problematiche relative agli appalti di servizi retti dal diritto di derivazione comunitaria, cfr. le relazioni al convegno di Brescia del 27-28 ottobre 1995 (“La direttiva 92/50/CEE in materia di appalti di pubblici servizi attuata con decreto legislativo 17 marzo 1995 n. 157”): Appalti di servizi (problemi generali) di G. Greco; Le posizioni soggettive e i mezzi di tutela, di A. Bozzi, oltre a quelle di S. Giacchetti, A. Fera, ecc. Cfr., inoltre, G. Terracciano, Appalti di servizi e appalti di forniture, individuazione dell’oggetto del contratto e i contratti misti nella disciplina nazionale e comunitaria, in Cons. Stato, 1996, II, pag. 147 ss.

[8] In tal senso, tra gli altri, nettamente, V. DOMENICHELLI, La definizione in via giudiziaria o arbitrale delle controversie in materia di opere pubbliche, in L’appalto di opere pubbliche, a cura di R. VILLATA, PD 2001, pag. 871-75.

[9] Fra gli altri, D’ALBERTI, Concessioni amministrative, in Enc. giur., cit., ad vocem (e prima ancora, Idem, Le concessioni amministrative, Napoli 1981).

[10] Chi scrive ha sostenuto –con altri A.- la tesi di cui nel testo in FRANCO, Il nuovo procedimento amministrativo, PD 2001, sub commento all’art. 11 (con riferimento al contenuto del medesimo). Per l’orientamento contrario cfr, da ultimo, TAR Piemonte Sez. II, 17.11.2000 n. 1193 (resa in relazione all’art. 340 della L. n. 2248 del 1865, all. F), in www.giustizia.amminstrativa.it.

[11] Per qualche altra considerazione sulla natura degli accordi ex art,. 11 e 15 della legge 241 ci sia consentito rinviare al ns. Il nuovo procedimento amministrativo, PD 2001, sub commento ai rispettivi articoli. Sul tema delle convenzioni e degli accordi pubblicistici, più organicamente, cfr. G.D. FALCON, Le convenzioni amministrative, MI 1984; idem Convenzioni e accordi amministrativi, I e II (C. in materia ospedaliera), in Enc. giur. Trecc., IX, Roma 1988, ad vocem.

[12] Infatti, in tal senso è, pur con qualche oscillazione, l’orientamento della giurisprudenza dei giudici amministrativi, laddove la Cassazione aveva costantemente manifestato avviso contrario (nel senso dell’ininfluenza sul contratto già stipulato delle vicende giudiziali concernenti la presupposta aggiudicazione. Tra le più recenti e significative pronunce in tal senso, cfr.: TAR Napoli Sez 1^, 29.5.2002, n. ? ; indirettamente, Cons. St. Sez. VI, 18.6.2002 n. 3338 (entrambe riportate nel sito www.giustizia-amministrativa.it).

[13] Sull’arbitrato per la risoluzione delle controversie nelle opere pubbliche (nella normativa ora vigente), cfr. DOMENICHELLI, La risoluzione in via giudiziaria o arbitrale…, cit., 879 ss. Sull’a. quale ora riferito alla giurisdizione amministrativa, cfr. E. CARDI, Modelli processuali arbitrali nella giurisdizione amministrativa, e (più diffusamente) M. ANTONIOLI, Arbitrato e giurisdizione amministrativa dopo la legge n. 205 del 2000, entrambi in Dir. proc. amm., 2/2002, rispettivamente pag. 314 ss. e 326 ss.   

[14] approvato con D.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063, ora abrogato dall’art. 231 del regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici 11 febbraio 1994 n. 109, approvato con D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, e sostituito dal D.M. (l. p.) 19 aprile 2000 n. 145.

[15] Da ultimo, cfr. Corte cost. 9 maggio 1996 n. 152, in Foro it., 1966, I, 1905, con nota di A. BARONE, richiamata da M. ANTONIOLI, Arbitrato e giurisdizione amministrativa…, cit. 329

[16] ANTONIOLI, Arbitrato e giurisdizione amministrativa…, cit.

[17] Per una panoramica sui contratti della p.a. diversi da quelli, a evidenza pubblica come gli appalti pubblici, cfr. Zambardi, Forniture, appalti di servizi e contratti non comunitari (parte 3^), in STADERINI – FRANCO – ZAMBARDI, I contratti degli enti locali, 2^ ed., PD 2000. Per un’approfondita analisi dei contratti pubblici diversi da quelli canonici (in particolare, i contratti atipici della p.a.), cfr. M. DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, MI 1996. 

[18] Noi stessi avevamo argomentato in tal senso (Strumenti di tutela del privato nei confronti della p.a., PD 1999, pg. 403 ss. Ma ora ogni questione è, ormai superata, come si dirà nel testo.

[19] Fra i vari scritti ci limitiamo a ricordare il già menzionato  I contratti degli enti locali, cit. di STADERINI – FRANCO – ZAMBARDI (cap. V della parte 2^).

[20] Al  principio di gara può derogarsi soltanto –come prevede il comma 5 dell’art. 35- ai fini dell’affidamento del servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali dello stesso ATO (ambito territoriale ottimale) se l’affidamento avverrà entro 18 mesi dall’entrata in vigore della legge (n. 443 del 2001). 

[21] In tal caso, alla scadenza del periodo di affidamento, il nuovo gestore deve un indennizzo a quello uscente pari  al valore dei beni non ancora ammortizzati, il cui importo va indicato nel bado di gara (art. 113.9).