*** Grande attenzione meritano le vicende
che hanno preceduto la sentenza n. 500/99 della Corte Suprema di
Cassazione in merito alla risarcibilità dell'interesse legittimo: la
problematica è lungi dall'essere risolta e grandi schieramenti, tanto
giurisprudenziali quanto dottrinari, si scontrano sul tema che oggi ci
occupa.
Ebbene chiarire che il punto di
partenza di giurisprudenza e dottrina era comune: all'annullamento di un
atto, emesso dalla P.A., da parte del Tribunale Amministrativo seguiva la
non risarcibilità dell'interesse legittimo. Le ragioni erano le seguenti:
oltre alla mancanza storica di una norma ad hoc che prevedesse
espressamente la risarcibilità dell'interesse legittimo, il privato
avrebbe comunque a disposizione il mezzo appropriato per l'eliminazione
del provvedimento illegittimo, ossia il giudice amministrativo, e, come
tale, codesto mezzo sarebbe sufficiente a tutelare il privato nei
confronti degli atti della pubblica amministrazione, nonché a risarcire
l'eventuale pregiudizio da quest'ultimo sofferto; in parole semplici,
l'annullamento dell'atto amministrativo viziato sarebbe di per se
sufficiente, in qualunque caso, a risarcire il pregiudizio subito dal
privato. L'unico danno risarcibile era quello derivante da un
provvedimento lesivo di un diritto soggettivo. Si sosteneva, addirittura,
che nel caso in cui il privato portasse alla cognizione del Giudice
Ordinario una domanda di risarcimento per lesione di un interesse
legittimo, tale organo avrebbe dovuto rilevare o, come meglio si può
definire, eccepire la propria incompetenza.
"Il diritto all'edificazione,
nella disciplina urbanistica di cui alla legge n. 1150 del 1942, modif.
dalla legge n. 765 del 1967, sorge per effetto del rilascio della licenza,
difettando la quale la posizione del proprietario del fondo ha natura di
mero interesse legittimo. Pertanto, l'esperibilità dell'azione di
risarcimento del danno davanti al giudice ordinario, contro la pubblica
amministrazione, postulando atti di questa non soltanto illegittimi, ma
anche illeciti, cioè lesivi di un diritto soggettivo, mentre deve
riconoscersi nell'ipotesi in cui il giudice amministrativo annulli per
vizi di legittimità il provvedimento di revoca della licenza in
precedenza concessa, va esclusa nel diverso caso in cui il detto
annullamento riguardi il provvedimento di diniego della licenza, poiché
la rimozione del diniego stesso lascia la posizione del privato nella
originaria consistenza di interesse legittimo. Né l'invocata tutela può
ritenersi accordabile dopo l'entrata in vigore dell'art. 13, primo comma,
della legge n. 142 del 1992 ("legge comunitaria" per il 1991),
che ha attribuito il risarcimento del danno ai soggetti lesi da atti
compiuti dalla P.A. in violazione del diritto comunitario in materia di
aggiudicazione degli appalti pubblici, in quanto detta disposizione non
risulta aver introdotto in via generale e di principio una tutela
risarcitoria per la lesione di posizioni soggettive riconducibili agli
interessi legittimi (Cass.
Civ. Sez. Un. 20-04-1994, n. 3732)".
A sostegno della risarcibilità degli
interessi legittimi una parte della dottrina, contraria all'unanime
giurisprudenza, aveva proposto la seguente motivazione:
"la loro risarcibilità e'
confortata dal principio costituzionale espresso dall'art. 24 Cost.,
secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti e interessi legittimi, e dall'art. 13 della legge 19 febbraio 1992
n. 142 (Disposizione per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria
per il 1991), secondo cui "il soggetto che ha subito una lesione a
causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di
appalti pubblici di lavori o di forniture e delle relative norme interne
di recepimento possono chiedere all'amministrazione aggiudicatrice il
risarcimento del danno", con la precisazione che "la domanda di
risarcimento e' proponibile dinanzi al giudice ordinario da chi ha
ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo con sentenza del giudice
amministrativo".
A tali motivazioni la Corte rispondeva
che "il diniego della licenza o concessione edilizia, al pari del
ritardo nel rilascio della medesima, ed ancorché sia intervenuta
pronuncia del giudice amministrativo di accertamento della illegittimità
del relativo comportamento, non consente al privato di proporre davanti al
giudice ordinario azione di risarcimento del danno contro la pubblica
amministrazione, stante l'esperibilità di tale azione solo per fatti
lesivi di diritti soggettivi, non di interessi legittimi, quali sono da
qualificarsi quelli inerenti al conseguimento dell'indicato
provvedimento". In parole semplici si ammetteva il risarcimento del
danno del diritto soggettivo affievolito ma non si ammetteva la tutela
dell'interesse legittimo che, intervenuto il provvedimento amministrativo
di attuazione, sarebbe comunque diventato un diritto soggettivo.
Ed ancora:
Si vedano ancora le seguenti sentenze:
"La posizione del proprietario di
un fondo che proponga domanda di approvazione di un progetto di piano di
lottizzazione del fondo stesso ha natura e consistenza di interesse
legittimo e non di diritto soggettivo perché il rilascio
dell'approvazione costituisce espressione dei poteri autoritativi e
discrezionali che la Amministrazione pubblica esercita per la
regolamentazione degli insediamenti abitativi e dell'assetto del
territorio comunale. Pertanto nel caso in cui sia annullato il
provvedimento con il quale era stata rigettata tale domanda il
proprietario del fondo non può pretendere alcun risarcimento e la sua
istanza proposta per ottenerlo è improponibile per difetto assoluto di
giurisdizione, non essendo configurabile un diritto soggettivo al ristoro
del danno per lesione di interessi legittimi, mentre resta in proposito
irrilevante che dall'annullamento del provvedimento di rigetto derivi per
l'amministrazione l'obbligo di provvedere, potendo il nuovo atto avere un
contenuto sia favorevole che sfavorevole al richiedente.(Cass.
Civ. Sez. Un. N. 7751/1998)."
Di contro evidenziamo alcune sentenze
della Suprema Corte che asseriscono la risarcibilità del diritto
soggettivo affievolito:
"In caso di domanda risarcitoria
verso la P.A., per asserita lesione di un diritto soggettivo costituito
per effetto di un provvedimento amministrativo - come avviene con la
licenza edilizia -, la contestazione della legittimità di tale atto da
parte della stessa P.A., che ne invochi la disapplicazione, non mirando a
far valere, in positivo, la precedente posizione di interesse legittimo,
bensì soltanto, in negativo, la insussistenza del diritto soggettivo di
cui sia stato chiesto il risarcimento, si pone come mera eccezione dagli
effetti limitati alla proposta domanda e conoscibile, come tale, dal
giudice ordinario, oltre che proponibile per la prima volta anche nel
giudizio di appello. (Cass.
civile, sez. Unite, 11-03-1992, n. 2957)".
Tale motivazioni in verità non
risultano essere decisive tanto che, a tutt'oggi, non si è ancora fatta
chiarezza sull'argomento.
Inoltre a seguito dell'entrata in
vigore degli articoli 33-35 del D.lg. n. 80/98 l'ordinamento italiano si
è mosso verso una direzione ben precisa: le controversie riguardanti i
pubblici servizi ovvero quelle riguardanti atti, provvedimenti e
comportamenti della P.A. in materia di urbanistica e di edilizia sono
state devolute integralmente alla giurisdizione esclusiva abbandonando la
contrapposizione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi. Tale norma
ha permesso lo snellimento di numerosi processi, data la rilevante
abbondanza di causa pendenti nel settore, risparmiando molte energie prima
sprecate dalla dicotomia esistente.
Ma nonostante tanta letteratura la
Giurisprudenza ha continuato ad affermare la non risarcibilità degli
interessi legittimi se non fino alla sentenza n.500/99
la quale rappresenta un po' il giro di boa, se tale espressione ci è
concessa, tanto che è stata definita da alcuni dottrinari come sentenza
storica.
Essa afferma: "La normativa sulla
responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. ha la funzione di
consentire il risarcimento del danno ingiusto, intendendosi come tale il
danno arrecato "non iure", il danno, cioè, inferto in assenza
di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse
rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione
formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione
dello stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al
carattere atipico del fatto illecito delineato dall'art. 2043 cod. civ.,
non è possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di
tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di
comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale
intensità, l'ordinamento appresta tutela risarcitoria all'interesse del
danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri
profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione. Ne
consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella
di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può
essere fonte di responsabilità aquiliana, e, quindi, dar luogo a
risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per
effetto dell'attività illegittima della P.A., l'interesse al bene della
vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti
meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo.
Subito dopo tale sentenza né è
seguita un'altra ancora più favorevole alla pretesa risarcibilità
dell'interesse legittimo: "Ove la legge non impedisca in modo
assoluto al privato di svolgere un'attività ma ne subordini l'esercizio
ad autorizzazione, licenza, nulla osta o altro atto di consenso comunque
denominato, l'interesse all'esercizio di quell'attività riceve protezione
dall'ordinamento. Consegue, che nei casi considerati il privato ha diritto
al risarcimento del danno se subisce un pregiudizio per il fatto che la
pubblica amministrazione, attraverso un comportamento colposo, consistito
nella violazione di regole d'imparzialità, correttezza e buona
amministrazione, abbia in modo illegittimo rifiutato o ritardato il
consenso all'esercizio dell'attività ovvero imposto che l'attività
iniziata sia sospesa o abbandonata. (Cass.
civile, sez. III, 28-03-2000, n. 3726) ".
Nella motivazione di tale sentenza si
affermava che " ………Nei casi considerati, infatti, al privato
deve essere consentito di svolgere la propria attività, nel rispetto
delle norme poste a protezione di altri interessi, se non ricorrono
fattori concreti, sia pur oggetto di valutazione discrezionale, che
secondo la legge sono d'ostacolo a tale esercizio, in quanto valgono a
determinare situazioni di conflitto con prevalenti interessi della
collettività. Sicché, il privato ha certo diritto al risarcimento del
danno, se egli subisce un pregiudizio per il fatto che la pubblica
amministrazione, attraverso un comportamento colposo, consistito nella
violazione di regole di imparzialità, correttezza e buona
amministrazione, abbia in modo illegittimo rifiutato o ritardato il
consenso all'inizio dell'attività ovvero imposto che l'attività iniziata
sia sospesa o abbandonata. …………… Ed invero, una volta che si sia
prodotto l'effetto di consenso all'esercizio dell'attività, ne risulta
costituito in capo al privato un diritto soggettivo ad iniziarla e
proseguirla ed il diritto può essere sacrificato, in modo temporaneo o
definitivo, solo in base a provvedimenti tipici e legittimamente
adottati."
Tale è a nostro modestissimo parere
la corrente di pensiero più esatta da seguire e che rappresenta anche
l'idea dell'attuale unanime dottrina. E' certo che, in mancanza di una
norma ad hoc, la giurisprudenza di merito potrà continuare ad applicare
il principio della irrisarcibilità dell'interesse legittimo, come è già
successo, soprattutto ed a causa dell'ambiguità della sentenza n. 500/99
stessa la quale è comunque lungi dal considerare, in via di principio,
risarcibile la lesione dell'interesse legittimo, nonché per la mancanza
storica di una norma ad hoc.
L'Aquila 9 giugno 2002
Alessandro Ludovici www.guidaldiritto.it |
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