inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2003

La domanda di annullamento dell’atto amministrativo è presupposto di ammissibilità della azione  di risarcimento danni ? , nota  ad  Adunanza Plenaria n. 4/2003

di Rosario  Marcinnò

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Introduzione- Con la quarta decisione del 2003 l’Adunanza plenaria pone fine alla vexata quaestio inerente la c.d. pregiudiziale amministrativa .

Già con la l’Adunanza plenaria n.1/2003 i Magistrati di Palazzo Spada avevano trattato in modo incidentale il problema, affermando la necessità della previa impugnazione dell’atto amministrativo viziato, ai fini della proposizione di una domanda risarcitoria dei  danni scaturenti da questo.

Più precisamente l’A.P. era stata investita del quesito posto dal Consiglio di Stato, sezione V, circa la necessità che la tempestiva domanda di annullamento dell’atto amministrativo, che si ritiene lesivo della situazione soggettiva dell’interessato, sia o no un presupposto di ammissibilità della azione  di risarcimento danni nel nuovo quadro legislativo delineato dal D.L.vo n.80/98 e dalla Legge n.205/2000.

L’A.P. non aveva ritenuto opportuno decidere sul punto ritenuto non rilevante ai fini della decisione concreta, anche se tra le righe era sembrato che la risposta al quesito della pregiudiziale amministrativa fosse positivo, nel senso di considerarla necessaria. Il Collegio aveva però specificato che un rapporto di pregiudizialità necessaria, poteva porsi in tutte quelle ipotesi in cui occorreva statuire sulle conseguenze dell’annullamento degli atti di gara sui contratti stipulati tra il soggetto appaltante e l’aggiudicatario.  

 

La vicenda I fatti si svolgono in Sicilia nel 1996 allorchè  veniva avviata una procedura espropriativa per la realizzazione di una palestra nel territorio del comune di Palermo e di conseguenza  l’Assessorato Regionale al turismo emanava (decreto n. 297 del 4/05/1996) la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. Il decreto menzionava i termini di inizio e fine della procedura di esproprio ma  non indicava il termine di inizio e fine dei lavori, requisito quest’ultimo necessario ai sensi dell’art. 13 legge n.2359 del 1865. Peraltro il termine di inizio e fine dei lavori  veniva fissato con deliberazione della G.M. n.1344 del 31/05/1996, che confermava i termini per l’espropriazione, integrando così, con questo elemento essenziale il procedimento.

Gli atti venivano impugnati dai ricorrenti che lamentando la conseguente irreversibile trasformazione del proprio fondo chiedevano invano la sospensione della procedura. L’opera veniva iniziata e completata nei termini indicati dai citati provvedimenti.

Nel 2001 il Tar adito depositava la sentenza rilevando che il ricorso proposto dai proprietari dell’immobile, era finalizzato non già alla rimozione degli atti della espropriazione, al fine di vedersi restituito lo stesso  ma piuttosto al risarcimento del danno, conseguente la irreversibile trasformazione del fondo. Il collegio, in linea con le recenti pronunce del Consiglio di stato, evidenziava altresì la inammissibilità della azione di risarcimento,  proposta in difetto della impugnazione degli atti amministrativi dalla cui illegittimità, secondo i ricorrenti, scaturirono i danni.  Il Tar in sostanza ribadiva la necessità della pregiudiziale amministrativa in difformità a quanto previsto dalle Sezioni Unite, giurisprudenza invocata da parte ricorrente, ciò anche nel caso in cui gli atti fossero stati emanati in carenza di potere.

Il giudice di prime cure, ha infatti ritenuto che il riparto di giurisdizione operato dal D.L.vo n.80/98 come modificato dall’art. 7 Legge 205/2000, assicura piena tutela alle pretese dei ricorrenti  nell’ambito della giustizia amministrativa di legittimità, con la conseguenza che ove gli ordinari rimedi non siano azionati dalla parte nei termini con la conseguente rimozione del provvedimento lesivo, nessuna pretesa risarcitoria possa essere utilmente attivata.

La sentenza è stata impugnata in appello davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ed i ricorrenti deducevano , a sostegno del gravame, che la mancata indicazione del termine di inizio e fine dei lavori nella procedura di esproprio, rende la stessa per costante giurisprudenza del giudice ordinario, inesistente per carenza di potere e quindi inidonea ad incidere sul diritto di proprietà degradandolo ad interesse legittimo. I ricorrenti ritenendo pertanto che il Tar adito,  giudice unico in materia di espropriazioni sia per i diritti che per gli interessi, avrebbe  dovuto tener conto dei principi giurisprudenziali che erano stati posti a base delle decisioni del G.O. denunciavano altresì, che qualora il Giudice di appello avesse confermato la decisione del Tar, gli stessi si sarebbero trovati privi di tutela in palese violazione degli artt. 3-24-113 e 42 della Costituzione.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa  per la Regione Siciliana, pur osservando che già nel 2001 la medesima questione era stata oggetto di ordinanza di rimessione, ha rimesso la vertenza alla Adunanza Plenaria, perché essa si esprima sulla questione della pregiudizale amministrativa e dunque sulla proponibilità di una autonoma azione di risarcimento danni indipendentemente dalla impugnazione dell’atto amministrativo dalla illegittimità del quale discenderebbe il danno lamentato. 

I precedenti nella giurisdizione amministrativa – La decisione della Adunanza plenaria preliminarmente effettua una completa ricognizione della  giurisprudenza civile ed amministrativa in materia di pregiudiziale amministrativa.Contribuisce in modo determinante alla perimetrazione della giurisdizione esclusiva del G.A. prendendo le mosse dagli artt. 34 e 35 del D.L.vo n.80/98 come modificato dall’art. 7 della Legge n.205/2000; stabilisce altresì  che l’occupazione appropriativa  va impugnata davanti al Tar,  esercitando di conseguenza  l’azione di risarcimento danni che dalla attività amministrativa dipendono. Numerosi sono i precedenti in materia, che testimoniano la necessità della previa impugnazione dell’atto amministrativo rispetto ad una azione di risarcimento danni che si pretendono collegati all’atto impugnato.

Già il Consiglio di Stato, sezione VI, con la decisione n. 3338 del  10/06/2002  aveva formulato la necessità della tempestiva proposizione della domanda di annullamento dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo di una situazione soggettiva del ricorrente, come presupposto di ammissibilità del risarcimento del danno che da quell’atto si intende derivare. Così come la stessa sezione con la sentenza n.252 del 15/02/2002  ha  affermato che ”la scomparsa della pregiudiziale amministrativa comporterebbe l’elusione del termine decadenziale ed è inoltre preclusa dall’assenza di un potere di disapplicazione in capo al G. A., che può conoscere in via principale il provvedimento amministrativo”

 Similmente aveva operato la quarta sezione del Consiglio di Stato con la decisione n.952 del  15/02/2002 stabilendo che per l’azione di risarcimento  del danno fosse necessaria non solo la previa azione di annullamento del provvedimento illegittimo ma anche che il relativo giudizio fosse stato coltivato con successo. Allo stesso modo la medesima sezione  con la sentenza n.4573 del 29/08/2001 aveva liquidato il problema in maniera netta statuendo che: “  la domanda di risarcimento del danno deve essere respinta difettando il presupposto dell’annullamento dell’atto amministrativo impugnato”.

 Ugualmente ex multis  Tar Sicilia -  Pa1ermo sez.I  11/10/2001 n. 3548, che afferma : ”non appare possibile recepire uno strumento processuale di tutela delle ragioni del privato che, sostanzialmente, prescinda dalla esistenza di tutta una serie di atti amministrativi aventi le caratteristiche provvedimentali dell’autoritatività (idoneità a produrre effetti unilaterali nella sfera giuridica dei destinatari), della presunzione di legittimità (sino alla decisione favorevole in ordine alle eventuali impugnative proposte), dell’immediata efficacia (a prescindere da eventuali patologie delle quali l’atto sia eventualmente oggetto e sino alla sua sospensione o annullamento) e della inoppugnabilità conseguente alla mancata impugnativa nei termini decadenziali)"; o ancora Tar Campania  27/03/2002 n. 1651  che pronunciandosi espressamente sulla pregiudiziale amministrativa ha affermato: “La domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi presuppone la previa (o contestuale) e tempestiva impugnazione del provvedimento amministrativo assunto come pregiudizievole, con la conseguenza che va respinto il ricorso proposto per la declaratoria del diritto al risarcimento dei danni patiti per illegittima esclusione da una gara d’appalto, ove l’atto che si assume lesivo (l’esclusione) sia rimasto inoppugnato e non abbia, pertanto, determinato una lesione non iure”.

Dall’esame di questi importanti precedenti, emerge chiara l’incongruenza di una situazione in cui, negando la necessarietà della pregiudiziale amministrativa, la Pubblica Amministrazione può essere  condannata al risarcimento dei danni, derivanti da un atto illegittimo, divenuto inoppugnabile. Nel caso di danni derivanti dalla attività amministrativa e da atti amministrativi illegittimi, l’ordinamento assicura tutela all’interesse del danneggiato con disposizioni specifiche che prevedono un breve termine per contestare gli atti al cui rispetto è subordinata la  protezione di quell’interesse in ogni forma. I giudici aditi dai ricorrenti, erano orientati nel senso che la omessa o tardiva impugnazione degli atti lesivi non consentisse di azionare la domanda risarcitoria. Il Collegio siciliano era dunque propenso a ritenere che, in presenza di una azione di risarcimento di danni  dipendente da provvedimenti amministrativi di carattere autoritativo, la tardiva o omessa proposizione del ricorso demolitorio non consentisse al giudice di esaminare incidentalmente la legittimità dei provvedimenti impugnati, anche se al solo fine risarcitorio, perchè  la decorrenza del termine per l’impugnazione  impedisce qualsiasi sindacato sulla funzione esercitata. Questo orientamento è stato confermato, come sopra accennato, dai giudici del C.G.A. nelle due ordinanze di rimessione, aventi ad oggetto lo scioglimento del nodo sulla pregiudiziale amministrativa.

I precedenti nella giurisdizione civile – Di contrario avviso i giudici della Cassazione che con la arcinota  della Cassazione a Sezioni unite n. 500 del 1999 ( seguita anche dalla recente sentenza della Cassazione 10 gennaio 2003 n. 157, che ha avuto origine dalla medesima vicenda processuale), non hanno ravvisato la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento, considerando la responsabilità della Pubblica Amministrazione non correlata alla mera illegittimità del provvedimento amministrativo, “bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa, dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto”. Con la conseguente possibilità, nell’ipotesi in cui l’illegittimità dell’azione amministrativa non sia stata previamente accertata e dichiarata, di svolgere tale accertamento in via incidentale e solo  al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito, “poiché l’illegittimità dell’azione amministrativa, costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ.”. Conformemente la già citata sentenza Cassazione Sezione I civile n.157/2003 ha ritenuto che l’azione di risarcimento sia esercitabile in modo indipendente ed autonomo, rispetto alla azione demolitoria di annullamento dell’atto amministrativo.

La seconda  azione, è fondata su presupposti diversi dalla prima poichè tende, secondo la Cassazione, ad effettuare un ripristino della legalità nell’interesse generale. La tutela  risarcitoria, viceversa, ha solo una efficacia di ristoro dei danni patiti dall’attore, che ha subito un pregiudizio dall’atto amministrativo illegittimo. Essa è “invocabile al giudice a prescindere dall’annullamento dell’atto, quale misura minore rispetto alla rimozione dell’atto che è ben più impegnativa per l’amministrazione che non la tutela riparatoria”.

Pertanto ad avviso della Cassazione non sussisterebbe alcun interesse da parte del dominus ad impugnare gli atti della procedura illegittima. “Questa attività si configura come un di più, anzi come uno spreco di attività giudiziaria”.

I giudici ordinari investiti del quesito sulla risarcibilità dell’interesse legittimo, decidono positivamente  muovendo dal presupposto che l’art. 2043 del c.c., che   disciplina l’illecito civile,  non ha limitato il risarcimento alle lesioni di diritti soggettivi ma lo ha previsto per tutte le situazioni soggettive meritevoli di tutela ivi compresi gli interessi legittimi.

Quindi, i giudici della Cassazione con una operazione “spregiudicata” di esegesi normativa, se da un lato negano la pregiudiziale amministrativa (prevista expressis verbis dalla Legge n.205/2000) ribadendo con la sentenza n.157/2003 la piena autonomia della azione risarcitoria da quella demolitoria, dall’altro ricorrono ai criteri enucleati dal legislatore con la legge n.205/2000 per giustificare con un dato normativo positivo ed inequivocabile la risarcibilità degli interessi legittimi. “L’elemento decisivo” si afferma nella citata sentenza ”che permette di affermare il riconoscimento legislativo di un principio già operante nell’ordinamento di risarcibilità degli interessi legittimi sopravviene con l’art. 35 del DL.vo n.80/1998 come modificato dall’art. 7 Leggen.205/2000”. La normativa richiamata stabilisce i criteri di riparto della  giurisdizione esclusiva del G.a. prevedendo altresì la risarcibilità degli interessi legittimi. “Questi criteri non possono non valere per le controversie rimaste di competenza del giudice ordinario”.

 

Le norme di riferimento –  Il legislatore ha dunque fornito delle indicazioni univoche sia per la risarcibilità dell’interesse legittimo e sia per la necessità della pregiudiziale amministrativa, con la legge n.205/2000 in due importanti  occasioni.

La prima nel testo novellato dell’art. 7 legge n.1034/71 che prevede che il G.A.. conosce nell’ambito della sua giurisdizione “anche di tutte le questioni  relative all’eventuale risarcimento del danno… e degli altri diritti patrimoniali consequenziali” all’annullamento dell’atto amministrativo;  la seconda nel 5° comma dell’art. 35 del D.L.vo n. 80/98 che abroga espressamente l’art.13 della legge n. 142/1992 (norma dettata in materia di appalti comunitari) ed ogni altra disposizione che devolva al giudice ordinario, le controversie sul risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi. Il legislatore evidentemente ha portato l’azione risarcitoria nell’ambito della giustizia amministrativa, che è interamente tarata sull’annullabilità dell’atto e non sul mero accertamento dei suoi vizi. Egli ha dunque ha voluto dare priorità all’esame delle ragioni poste a base dell’atto o del comportamento silenzioso dell’amministrazione, e non all’esame – in via primaria ed esclusiva – della fondatezza della pretesa sostanziale del danneggiato A fronte di tanta chiarezza da parte del legislatore non si può negare che la questione risarcitoria  ormai conoscibile  da parte del giudice amministrativo, lo è in modo eventuale e  sussidiario, rispetto alla questione ordinaria, introdotta dall’azione di annullamento dell’atto amministrativo.

La Cassazione, come accennato pur infrangendo nel 1999, il dogma della irrisarcibilità dell’interesse legittimo con l’accennata ricostruzione dell’art.2043 cc. nega recisamente la necessità del previo annullamento dell’atto amministrativo al fine della proposizione della azione di risarcimento, ritenendo che quest’ultima si basi su presupposti diversi rispetto alla azione di annullamento dell’atto amministrativo.

 

 La sentenza Nel caso esaminato dall’Adunanza Plenaria, i ricorrenti affermano  di aver adito il giudice amministrativo, per ottenere il risarcimento del danno, subito per effetto di una occupazione espropriativa o usurpativa di loro  terreni , senza aver  impugnato tutti gli atti della  procedura di esproprio, iniziato con un decreto di esproprio viziato da nullità, in quanto l’attività  era stata compiuta in carenza assoluta di potere da parte dell’amministrazione.

L’Adunanza Plenaria ha affermato in primo luogo che non sussiste per il giudice amministrativo come richiesto dagli appellanti,  l’obbligo di portare all’interno della propria giurisdizione i principi affermati dal giudice ordinario.

In secondo luogo ha sottolineato che  la mancata impugnazione dell’atto integrativo del Comune (che pure era titolare per la normativa regionale di ogni iniziativa relativa alla esecuzione dell’opera) nell’ambito del  giudizio risarcitorio,  comporti l’impossibilità per il Collegio di prendere in esame la domanda riparatoria, riconoscendo così implicitamente la necessità della previa impugnativa dell’atto lesivo.

Giova subito rilevare che l’ Adunanza Plenaria arriva de plano all'affermazione dell’importante principio della necessarietà della pregiudiziale amministrativa,  e non a seguito di una lunga  disquisizione teorica o di complicati lavori di esegesi della normativa in vigore; il Collegio, dà quasi per scontato che, una volta dimostrato come nel  caso di specie che l’atto amministrativo era stato adottato in carenza relativa e non assoluta di potere (e quindi di atto annullabile e non nullo) il mancato annullamento dell’atto viziato da incompetenza impediva l’esame delle azione risarcitoria. Peraltro , già l’Adunanza Plenaria n. 2 del 2002 aveva ribadito che è annullabile la dichiarazione di pubblica utilità quando l’Amministrazione eserciti il potere senza fissare la durata massima del procedimento).Si ricorda in proposito che i giudici delle SS.UU. a proposito dei provvedimenti ablatori, hanno sviluppato in aperto contrasto con i Giudici Amministrativi, una concezione ampia di carenza di potere ritenendone la sussistenza, sia quando il potere non è stato attribuito alla P.A., sia quando il corretto esercizio è inficiato da un vizio di legittimità ( c. d. carenza di potere in concreto), con la conseguenza che l’atto emanato in tale situazione è nullo e pertanto inidoneo a degradare il diritto soggettivo in interesse legittimo.

I giudici di Palazzo Spada, ritengono  che i ricorrenti avendo avuto conoscenza della delibera di giunta municipale in corso di giudizio  dovevano impugnarla con motivi aggiunti secondo il dettato dell’art. 21 1° comma legge TAR come modificato dalla legge n.205 del 2000.

Gli appellanti lamentano l’ingiustizia della situazione in cui si sono trovati, ritenendo che l’occupazione acquisitiva ricada nell’ambito della giurisdizione esclusiva, e, che in tale ambito le posizioni soggettive tutelabili siano solo diritti soggettivi e non anche interessi legittimi. Trattandosi dunque di diritti soggettivi la loro tutela può essere azionata autonomamente senza necessità di annullare gli “atti amministrativi degradatori o nulli” e richiamano in tal senso la giurisprudenza delle Sezioni unite.

Questa ricostruzione, particolarmente articolata, è per i giudici amministrativi priva di fondamento.

L’attribuzione di una data materia al giudice amministrativo, non determina che le situazioni soggettive sottostanti siano solo di diritto soggettivo ben potendo essere di interesse legittimo.

Il Giudice amministrativo dovrà esaminare preventivamente  e qualificare la posizione giuridica che si ritiene lesa al fine di esercitare i suoi poteri di conseguenza.

 

Le considerazioni – Dall’esame della sentenza, dei dati normativi e dei precedenti giurisprudenziali, risulta finalmente risolto, almeno per i giudici amministrativi, il problema della necessità della pregiudiziale amministrativa. Nonostante rimanga il contrasto con i giudici ordinari, che come sopra visto la escludono, si ritiene che il sistema stesso del diritto amministrativo giustifichi l’esistenza della pregiudiziale amministrativa. Il giudice amministrativo deve, prima di decidere su un eventuale condanna di risarcimento dei danni derivanti da un atto amministrativo viziato, conoscere l’atto amministrativo che va impugnato dalla parte entro il termine decadenziale. La proposizione di una azione risarcitoria, indipendente da una azione demolitoria non può essere elusiva del termine decadenziale di impugnazione. Il giudice amministrativo infatti non può conoscere dell’atto amministrativo in modo incidentale ed ove ne riscontri l’illegittimità  disapplicarlo come fa il giudice  ordinario (arg ex art.5 legge n. 2248/1865).  A tali ragioni  va anche aggiunta l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa; questa viene assicurata proprio dalla irremovibilità dell’atto che non viene  impugnato nel termine decadenziale. Tale certezza verrebbe meno qualora si consentisse l’esperimento dell’azione di responsabilità, prescindendo dalla impugnazione dell’atto amministrativo “pernicioso”  nel termine decadenziale. L’interessato potrebbe nel termine di prescrizione minacciare di esercitare una azione risarcitoria, costringendo di conseguenza la Pubblica Amministrazione ad annullare un proprio atto non perché lo richieda il legittimo esercizio dei poteri di autotutela, ma per il solo fatto di vedersi sottoposta a possibili pretese risarcitorie . Ove non si ammettesse, la pregiudiziale amministrativa, come continua a fare la Cassazione, si produrrebbe altresì il paradosso di non eliminare la fonte del danno, (l’atto amministrativo viziato) che può continuare nella produzione di effetti negativi, pur procedendo al ristoro del pregiudizio subito ingiustamente dall’attore.

 

Rosario  Marcinnò.