inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2003

La giurisdizione del Giudice Amministrativo in materia di concorsi per il pubblico impiego: la “rimeditazione” delle Sezioni Unite della Cassazione.

di Iride Pagano

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1.-Il  riparto di giurisdizione  secondo il criterio della materia.

2.- La contrattualizzazione del pubblico impiego  e la progressione  nel rapporto di lavoro.

3.- I concorsi per la progressione verticale e l’abolizione dei meccanismi automatici di carriera.

4.- Gli orientamenti giurispudenziali.

5.- Le decisioni della Corte Costituzionale e il nuovo orientamento conforme delle Sezioni Unite della Cassazione(dec.n°15403 del 15 ottobre 2003).

 

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1.- In base al nuovo assetto normativo, scaturito dalla legge n.59/1997, cui hanno fatto seguito il  Decreto Legislativo n° 80 del 1998 e la legge n.205/2000, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo è determinato dal criterio della materia e non più dalle situazioni giuridiche soggettive poste a fondamento dell’azione.

La legge n.205/2000, nell’intento di conformare  il sistema italiano a quello europeo,  ha individuato le controversie di competenza del g.a. secondo  materie, indicate di volta in volta dal legislatore e non più in base alla tradizionale distinzione tra le posizioni giuridiche tutelate.

In particolare, detta legge ha ampliato la cognizione del giudice amministrativo a tutte le azioni esperibili, ivi comprese quelle di natura risarcitoria, prima  riservate alla cognizione del giudice ordinario.

L’articolo 7 della legge n.205 citata, che ha modificato il D.Lgs. n.80/98, ha devoluto alla cognizione del g.a. sia le controversie in materia di pubblici servizi , che  quelle aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia.

Stravolgendo l’assetto   preesistente, la l.n.205/2000  ha  ridimensionato i poteri cognitori del g.o. nei confronti della Pubblica Amministrazione, in quanto ha attribuito al giudice amministrativo competenza esclusiva anche in materia di illecito della P.A., illecito da intendersi come il comportamento  consistente nell’emanazione di un atto o provvedimento amministrativo e, comunque, attuato attraverso l’esercizio illegittimo di una pubblica funzione di competenza della P.A..(1)

 

I poteri di  cognizione del giudice ordinario sono rimasti, invece, invariati in ordine agli atti compiuti iure privatorum  dall’Amministrazione Pubblica e alle controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione dell’indennità, dovuta in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

 Va rilevato che il metodo del riparto per materie è  conforme  all’articolo 103 della Costituzione, in quanto detta norma fondamentale concede al legislatore ordinario di riservare, in via esclusiva, al g. a. la giurisdizione, qualora esista una stretta commistione tra attività autoritativa  e attività paritetica, da parte della P.A., e tra titolarità di interessi legittimi e di diritti soggettivi, da parte del privato.

Esempio scolastico di giurisdizione esclusiva del g.a., nel pregresso ordinamento, era costituito dalla materia del pubblico impiego.

Prima del D.Lgs. n.80/98,  le  controversie collegate a un rapporto di pubblico impiego rientravano nella competenza del g.a., a partire dalla fase di selezione attraverso le procedure concorsuali pubbliche, ex art.97 della Costituzione, con tutela di posizioni soggettive aventi natura di interesse legittimo, a quella finale, di conclusione del rapporto di p.i..

Tanto in forza del D.L. 30 dicembre 1923, n.2840, che, nell’ambito della riforma delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, aggiunse detta materia a quelle in cui il Consiglio di Stato stesso e le Giunte Provinciali amministrative conoscevano di questioni attinenti diritti soggettivi.

La scelta di includere la materia del pubblico impiego  nel diritto amministrativo fu determinata dall’intento di meglio tutelare la  duplice posizione di prestatori d’opera - impiegati e titolari di un ufficio pubblico, e, per questo, titolari di pubbliche potestà, con l’intento di risolvere i non trascurabili problemi di carattere pratico derivanti dalla difficoltà di distinguere i diritti soggettivi dagli interessi legittimi.

E l’attribuzione, in via esclusiva, al giudice amministrativo di tale materia trovava fondamento nella prevalenza dell’interesse pubblico , di cui era portatrice la P.A., rispetto alla pretesa azionata dal dipendente.

La Carta Costituzionale confermò, con l’articolo 103,  l’attribuzione al g.a. della cognizione sui rapporti di p.i. e, con gli articoli 97 e 98, la inclusione di detta materia nel diritto pubblico.

 

 Già in base all’ordinamento preesistente alla legge delega n. 59/97, quindi, la giurisdizione esclusiva del g.a. era determinata anche in funzione della materia, indipendentemente dalla contestazione di un provvedimento, come nelle ipotesi della mera richiesta di riconoscimento di un diritto derivante dal rapporto di p.i. o di condanna al pagamento di somme dovute a tale titolo.

E l’affidamento al g.a. dei poteri  di cognizione relativi al pubblico impiego presentava  elementi rilevanti di garanzia, per il dipendente, probabilmente di maggior consistenza di quelli assicurati dal  processo del lavoro.

 In realtà, può essere criticabile la scelta di togliere al giudice amministrativo la giurisdizione sui rapporti di lavoro con la P.A., quasi a compensazione  dell’attribuzione a questi della materia di risarcimento danni per comportamento illegittimo dell’Amministrazione.

In particolare, dubbi sono stati sollevati da una parte della dottrina, in ordine alla capacità del giudice ordinario di poter sindacare sugli interessi legittimi, nonché di valutare  il vizio dell’eccesso di potere.(2)

In realtà, pur dopo il cambiamento di regime, che ha portato a quel processo comunemente detto di “privatizzazione” , meglio, di contrattualizzazione del rapporto di p.i., non è possibile equiparare il  rapporto di lavoro subordinato privato a quello svolto alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, per il semplice motivo che la P.A. non è un imprenditore privato.

La connotazione tipica del “datore di lavoro”, nel caso di un rapporto di p.i., pone quest’ultimo su un livello che rimane di necessaria differenziazione rispetto a un rapporto alle dipendenze di un privato.

Si è osservato che l’impreditore privato opera sulla base dell’articolo 41 della Costituzione, che riconosce libertà all’iniziativa economica privata, mentre l’Ente pubblico datore di lavoro è tenuto al rispetto di principi diversi, primo fra i quali quelli del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, delineati dall’art.97 Cost..

Di qui l’esigenza che la progressione dei pubblici dipendenti avvenga per concorso, unica formula procedimentale in grado di assicurare l’attuazione di detti principi costituzionali.

Va, inoltre, rilevato che il pubblico dipendente continua anche oggi a godere di uno status  particolare, con diritti e obblighi ulteriori e diversi rispetto a quelli riconosciuti dall’ordinamento al lavoratore privato, e, in particolare, con un regime di responsabilità differente in caso di inosservanza dei propri doveri e obblighi(3).

E la persistenza di una sostanziale differenza tra rapporto di lavoro privato e rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni è stata  confermata dalla Sentenza n° 82 del 12-27 marzo 2003 della Corte Costituzionale, in tema di ritardo nella corresponsione di crediti di lavoro, che, nel riconoscere la diversità ontologica dei due rapporti, afferma che “la pubblica amministrazione conserva pur sempre, anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato, una connotazione peculiare”.(4)

La precedente devoluzione a un unico giudice, nell’ambito di un unico giudizio, delle controversie relative sia agli aspetti autoorganizzatori della P.A. che agli aspetti di gestione veri e propri,   costituiva  un   vantaggio per il dipendente pubblico, per il fatto stesso che questi era messo in condizione di esercitare, sia pure indirettamente, anche una forma di controllo sul potere organizzatorio dell’Amministrazione , secondo il principio di legalità, tramite la cognizione di un giudice specializzato.

E il giudice amministrativo poteva  far ricorso allo strumento del vizio per eccesso di potere, sotto i molteplici profili sintomatici individuati dalla dottrina, apparentemente limitato alla verifica della legittimità formale delle modalità di esercizio del potere, per analizzare anche il merito amministrativo(5).

Operazione, questa, preclusa ora al giudice del lavoro, con il rischio di una riduzione effettiva della tutela del lavoratore-dipendente pubblico, rispetto all’assetto preesistente .

Dal contesto generale del pubblico impiego, va  scorporata la materia dei concorsi.

In particolare, il quarto comma dell’articolo 63 del D.Lgs. n.165/2001, definito come il nuovo Testo unico in materia di pubblico impiego, stabilisce che “ restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”.

Una prima conclusione è possibile trarre da tale dato testuale, che il legislatore ha individuato una materia, quella dei concorsi, appunto, e l’ha “affidata” alla cognizione del giudice amministrativo.

In sede applicativa, l’art.63 citato ha avuto discordi soluzioni nell’ambito giurisprudenziale, in quanto restava incerto  se  la materia demandata al g.a. riguardasse tutti i tipi concorsi per pubblico impiego  o soltanto le procedure finalizzate all’accesso iniziale alla dipendenza presso pubbliche amministrazioni, quelli ,cioè, impropriamente detti concorsi esterni, con la partecipazione di soggetti non legati già da rapporto di lavoro.

Tale discriminazione sarebbe stato voluta dal legislatore, con l’inserimento, nel comma 4 dell’art.63 T.U.n.165/2001, dell’espressione “ procedure concorsuali per l’assunzione” , che lascerebbe intendere la volontà  di riservare alla cognizione del giudice ordinario le procedure mirate alla progressione in carriera dei dipendenti  già legati da rapporto di lavoro con le Amministrazioni Pubbliche. 

  

 

2.- Prima della l.n.312/80, il personale alle dipendenze della P.A. era ripartito secondo il modulo delle carriere,  a loro volta suddivise in qualifiche.

La progressione da una qualifica all’altra avveniva con il sistema delle promozioni, riconosciute in base ai titoli in possesso del dipendente (scrutinio per merito comparativo e  scrutinio per merito assoluto) o per esami (merito distinto).

Con la legge n.312 del 1980, recante un nuovo assetto retributivo- funzionale del personale, le carriere sono state abolite e il metodo delle promozioni  è stato sostituito dal pubblico concorso, che, secondo l’intento iniziale del legislatore, doveva essere aperto a tutti (si cfr. art. 1, comma 1, D.P.R. n.487 /1994).

Nella realtà, però, il concorso per l’accesso a qualifica superiore, in molte ipotesi, da pubblico è divenuto a carattere “misto”, cioè, con quote di riserva a favore di dipendenti, o solo interno, in quanto non consentiva la partecipazione a candidati non aventi un rapporto di impiego con l’Amministrazione.

Già l’articolo 24, comma 6, del D.P.R. n.347/1983, recante il primo Accordo per il personale degli Enti Locali, stabiliva che “ fermo restando quanto previsto dal precedente 3° comma, gli enti possono prevedere nell’apposito regolamento, in accordo con le organizzazioni sindacali, i profili professionali  che debbono essere ricoperti, sulla base di esperienze professionali acquisibili all’interno dell’ente stesso, mediante procedure concorsuali interne”.

Il comma 3° richiamato prevedeva una riserva del 50% dei posti a concorso a favore del personale in servizio presso l’Ente, che appartenesse alla qualifica funzionale immediatamente inferiore e con almeno tre anni di anzianità nella qualifica.

 Il sistema delle qualifiche si è dimostrato carente sotto il profilo della individuazione delle professionalità acquisite dai lavoratori, a causa dell’estremo irrigidimento delle posizioni acquisite, considerato che il passaggio da una qualifica all’altra   era fortemente limitato dall’obbligo delle procedure concorsuali.

Tale sistema  è stato,poi, definitivamente messo in crisi con il processo di “depubblicizzazione” del pubblico impiego, a seguito del quale ha acquisito maggiore rilevanza la logica del “risultato”.

Il nuovo modello organizzativo, che si ispira al modello di impresa, non può più coniugarsi con il sistema delle qualifiche funzionali, caratterizzato da estrema rigidità, più consono  al modello burocratico di organizzazione in vigore fino agli anni ’90.

Con il nuovo sistema di classificazione, il personale degli Enti Locali, ad esempio, viene articolato su quattro categorie, denominate con le prime lettere maiuscole dell’alfabeto.

La “categoria”, come descritta nel nuovo contratto, nella pratica, non si discosta poi di molto dalla precedente “qualifica”, in quanto, come questa, viene sostanzialmente caratterizzata dalla tipologia delle funzioni esplicate.

 L’elemento differenziatore effettivo, rispetto al passato, è quello numerico, costituito dalla riduzione delle precedenti otto qualifiche in solo quattro categorie.

Tale riduzione  ha determinato una notevole semplificazione della gestione del personale, soprattutto per i passaggi all’interno della stessa  categoria, che avvengono secondo la progressione orizzontale(6).

Non molto è mutato per la progressione verticale, per la quale è sicuramente esclusa la promozione automatica del dipendente.

 

3.-Secondo l’ordinamento attuale, si distinguono, quindi, due tipi di progressione di carriera, quello orizzontale e quello verticale.

Il primo ha carattere esclusivamente economico, si svolge all’interno di ogni categoria, e a ciascuna posizione acquisita corrisponde un trattamento economico in aumento progressivo, con incrementi successivi, a partire dal valore iniziale di ogni categoria.

La progressione orizzontale avviene comunque tramite procedure selettive, basate su  vari elementi di valutazione, che tengano conto  della esperienza acquisita dal dipendente.

Tanto richiede che le singole amministrazioni predeterminino criteri permanenti per la valutazione delle prestazioni e dei risultati dei lavoratori, valutazioni affidate ai dirigenti, secondo scadenze periodiche.

La progressione verticale, invece, consente al pubblico dipendente il passaggio dalla categoria di appartenenza a quella immediatamente superiore, passaggio che non ha rilievo solo sotto il profilo economico, ma comporta necessariamente variazioni sostanziali sia della posizione giuridica che delle mansioni espletate.

E il passaggio avviene proprio tramite procedure selettive, che continuano a essere formulate secondo il tipico procedimento del concorso , per lo più organizzato con la combinazione di prove scritte e/o pratiche e prove orali, alle quali è, in molti casi, consentita la partecipazione anche agli esterni non dipendenti(concorso misto), e che sfocia un nuovo inquadramento del dipendente, in una categoria diversa, tramite la conclusione di un nuovo contratto di lavoro.

In particolare, va evidenziato che il sistema attuale della progressione verticale sostituisce il precedente assetto  dei concorsi interni, assumendone la stessa natura giuridica, mentre il rapporto tra la P.A. datrice di lavoro e il singolo dipendente, che abbia beneficiato della progressione verticale, è un rapporto del tutto nuovo, proprio perché il contratto che lega le parti secondo il nuovo inquadramento è diverso, come diverse sono le mansioni che il dipendente andrà a svolgere (7).

E tale dato di fatto già di per sé  può intendersi sufficiente a far ritenere che le controversie relative a procedure concorsuali per progressione verticale rientrino nella competenza del giudice amministrativo, perché comunque si tratta di concorsi per l’assunzione in un nuovo rapporto di lavoro.

A tale notazione va aggiunta la circostanza , confermata dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, n° 82/2003, che rapporto di lavoro privato e quello alle dipendenze di pubbliche amministrazioni continuano ad avere differente natura.

Va, inoltre, rilevato che con sentenza n° 89 del 27 marzo 2003, la Corte Costituzionale ha affermato : ” a seguito della cosiddetta privatizzazione, derivante dalla riforma del 1993, il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni non è assimilabile, sotto ogni aspetto, a quello svolto alle dipendenze di datori di lavoro privati, atteso che – limitando l’esame al solo profilo genetico del rapporto- il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art.97, terzo comma, della Costituzione.

L’esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui al primo comma dello stesso art.97 della Costituzione, di per sé rende palese la non omogeneità delle situazioni e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione (in rapporto) a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati”.

 

Tali  rilievi della Corte Costituzionale hanno suscitato, nel recente passato, seri dubbi in ordine all’orientamento prevalente della Corte di Cassazione, che demandava al giudice ordinario la cognizione dei concorsi per progressione verticale nel pubblico impiego, considerata la evidenziata diversità dei rapporti di lavoro oggetto di cognizione.

 

4.- Secondo l’orientamento prevalente dei giudici ordinari nonché di parte della giurisprudenza amministrativa, l’articolo 63, comma 4, D.Lgs.n.165/2001, che riconosce la competenza del giudice amministrativo, sarebbe applicabile unicamente alle procedure concorsuali comunemente dette esterne.

In particolare, il T.A.R. Lazio Sez.III Ter, con recente sentenza  n°3202 dell’8 aprile 2003, in ordine al ricorso proposto da dipendenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per l’annullamento dei provvedimenti di esclusione dalla prova finale del corso concorso per l’accesso alla posizione economica C2, ha dichiarato inammissibile l’impugnativa, per difetto di giurisdizione. (8)

La scarna motivazione della sentenza è costituita da un richiamo della sentenza delle Sezioni Unite civili della Cassazione n° 7859 dell’11 giugno 2001, secondo la quale  sono da ritenersi attribuibili “ alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie inerenti ad ogni fase del rapporto di lavoro, dalla sua instaurazione fino all’estinzione compresa ogni fase intermedia, relativa a qualsiasi vicenda modificativa, anche se finalizzata alla progressione di carriera e realizzata attraverso una selezione di tipo concorsuale”.

Ma la Suprema Corte, con la decisione richiamata, è andata oltre la vicenda sottoposta al suo esame, riguardante un provvedimento di revoca ex nunc di incarico dirigenziale di secondo livello nell’ambito dell’ASL  n.3 del Centro Molise: il primo comma dell’articolo 63 D.Lgs.n.165/2001 devolve espressamente alla cognizione del giudice ordinario i  provvedimenti di conferimento e di revoca degli incarichi dirigenziali, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti.

La ratio di tale attribuzione è da vedersi nella prevalenza dell’elemento fiduciario rispetto a quello para-concorsuale per la valutazione dei titoli.(9)

     E’ stato rilevato dal Consiglio di Stato, con decisione del 15 marzo 2001, che la procedura di affidamento di incarico dirigenziale è priva  di carattere concorsuale, considerata la particolare formulazione che prevede un giudizio di idoneità, non vincolante da parte della Commissione(10)

Ma come può affermarsi la cognizione del g.o., alieno alla discrezionalità amministrativa, qualora i provvedimenti mirati alla costituzione di un diverso rapporto di lavoro, per progressione verticale del dipendente,  facciano parte di un procedimento che abbia tutte le caratteristiche del  concorso, anzi di un pubblico concorso, in considerazione del generale divieto di assunzioni e promozioni ope legis e/o per espletamento di mansioni superiori?

La circostanza che i concorsi siano riservati esclusivamente a dipendenti delle amministrazioni pubbliche o abbiano invece carattere “misto”, nella realtà, assume scarsa rilevanza, in coerenza con la logica del riparto di giurisdizione per materia.

Seguendo la ratio legis dell’articolo 63 D.Lgs. 165/2001,  la scelta di attribuire al giudice amministrativo la materia dei pubblici concorsi è stata determinata dalla considerazione che in essa sono assenti valutazioni di carattere privatistico-gestionali del personale, sia quando si tratti di concorsi esterni che interni, in quanto essi, nella pratica, presentano identiche caratteristiche strutturali e funzionali.(11)

Condividendo l’orientamento  fin qui contrario della magistratura ordinaria prevalente, si arrivava, in buona sostanza, ad adottare come metodo di riparto non più la materia, bensì la provenienza, interna o esterna alla P.A., del concorrente.

Di tale metodo non vi è traccia  nell’assetto logico-sistematico dell’ordinamento vigente.

Ma l’aspetto più “inquietante” era costituito dalla constatazione che la giurisprudenza della Cassazione, favorevole all’affidamento della cognizione dei concorsi c.d. interni al g.o., seguiva un tracciato diverso da quello della Corte Costituzionale.

 

5.- Con la  “storica” sentenza n°1 del 4 gennaio 1999, la Corte Costituzionale ha stabilito due principi fondamentali:

a.- “alla regola del pubblico concorso per l’assunzione di personale nei ruoli della P.A. sono ammissibili deroghe da parte del legislatore  solo nei limiti segnati dall’esigenza di garantire il buon andamento dell’Amministrazione o di attuare altri principi di rilievo costituzionale destinati a garantire le peculiarità degli uffici di volta in volta considerati ;

b.- al regime del pubblico concorso, funzionale al buon andamento della P.A., non si sottraggono i passaggi a una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema che non prevede carriere o le prevede entro ristretti limiti nell’ambito dell’Amministrazione; ciò in quanto anche in tali passaggi è ravvisabile una forma di reclutamento,con la connessa esigenza di un selettivo accertamento delle attitudini, da non rivolgere di regola al solo interno della stessa Amministrazione, al fine di evitare di reintrodurre surrettiziamente il modello delle carriere”.

Quindi,  per le progressioni verticali, la selezione deve avvenire tramite procedure, aperte anche agli esterni, secondo il modello del concorso pubblico, il solo in grado di consentire  la   scelta del candidato più meritevole.

Ma vi è di più.

Con la Ordinanza n°2/2001, la Corte Costituzionale, seguendo un proprio consolidato orientamento, ha evidenziato l’erroneità del presupposto interpretativo da cui era partito il giudice remittente, secondo cui la procedura concorsuale, oggetto del giudizio, avrebbe avuto natura differente, rispetto ai concorrenti in quota di riserva e per quelli esterni.

Ha, in particolare, rilevato la Corte che, sia per gli uni che per gli altri, si trattava di “una procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando”: il passaggio ad una fascia funzionale superiore, dal momento che comporta l’accesso a un nuovo posto di lavoro, corrispondente a funzioni più elevate, è, secondo il giudice delle leggi, una figura di reclutamento  soggetta alla regola del pubblico concorso, da equiparare al primo accesso all’impiego.

 L’analisi svolta  dalla Corte Costituzionale sull’articolo 97 della Costituzione, in riferimento alle tipologie concorsuali, ha smentito l’interpretazione fin ad allora seguita dalla Corte di Cassazione in ordine al quarto comma dell’art. 63 T.U.n.165/2001, secondo la quale il termine “assunzione” ivi usato  coinciderebbe necessariamente con quello di “primo accesso” al pubblico impiego.

In effetti, il termine assunzione non viene usato dal legislatore nel senso privatistico di instaurazione del rapporto di lavoro, ma nel senso “pubblicistico” di accesso al lavoro, in riferimento ad ogni ipotesi di accesso a un posto nuovo della dotazione organica dell’Amministrazione che abbia indetto il concorso.(12)

Come evidenziato anche da parte della dottrina, il nuovo Testo Unico del p.i., quando parla di assunzione nelle Amministrazioni Pubbliche, fa riferimento al reclutamento del personale in linea generale , sia nel caso che la procedura selettiva sia riservata agli interni, nei limiti di legittimità stabiliti dalla Corte Costituzionale, sia che la procedura concorsuale sia aperta agli esterni , con o senza quota di riserva per gli interni.

Tanto in conformità con il terzo comma dell’articolo 97 della Costituzione, per il quale  “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Secondo l’interpretazione esplicativa della Corte Costituzionale, l’obbligo del concorso sussiste, infatti, non solo per il primo accesso ma anche per il passaggio alla qualifica funzionale superiore, da intendersi come accesso a un diverso posto della pianta organica, comportante lo svolgimento di mansioni e funzioni nuove superiori.

E secondo il Supremo Consesso, questo passaggio va equiparato al primo accesso.

Si legge già nella decisione n°487/1991( Presidente Corasaniti, Estensore Pescatore):”  questa norma [articolo 97 Cost., n.d.R.], nel primo comma, prescrive che i pubblici uffici  siano organizzati in modo da assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione e all’ultimo comma dispone che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,salvo i casi stabiliti dalla legge”. Tale ultima disposizione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va interpretata nel senso che il concorso pubblico costituisce la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego, in quanto è il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione.

Inoltre, questa Corte ha affermato che anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore, poiché comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro, corrispondente a funzioni più elevate, è una figura di reclutamento soggetta alla regola del pubblico concorso(sentenza n.161 del 1990)”.

Tale passaggio è da equiparare, quindi, al primo accesso all’impiego, comportando funzioni differenziate rispetto a quelle in precedenza esercitate, in relazione alle quali è necessario  un nuovo e diverso accertamento d’idoneità. Alla regola generale del pubblico concorso, il legislatore può derogare ….adottando criteri diversi, con una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione …. E cioè facendo ricorso a procedure “ congrue e ragionevoli in rapporto al fine da raggiungere e all’interesse da soddisfare” ( sentenza n.81 del 1983)…”.

Tale orientamento della Corte Costituzionale è stato confermato dalla  propria successiva (e costante) giurisprudenza: si ricordi da ultimo la sentenza n.89 del 27 marzo 2003 (Pres. Chieppa, Red. Marini), riguardante soggetti già dipendenti, ma a tempo determinato, del Ministero della Pubblica Istruzione, e che disconosce l’applicabilità anche al p.i. dell’articolo 2 l.n.230/1962, in tema di conversione del rapporto di lavoro privato a termine in rapporto a tempo indeterminato.

Ribadisce la Suprema Corte in detta ultima decisione: “ il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni non è assimilabile, sotto ogni aspetto, a quello svolto alle dipendenze  di datori di  lavoro privati, atteso che … il principio fondamentale in materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è quello, del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante concorso, enunciato dall’art.97, terzo comma, della Costituzione.

L’esistenza di tale principio, posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione ….di per sé rende palese la non omogeneità delle situazioni e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio …”.

Per inciso, secondo chi scrive, considerato  che la privatizzazione del pubblico impiego, allo stato, è ancora soltanto  tendenziale e preso atto della non omogeneità delle situazioni, dovrebbe venir meno addirittura la ratio dell’attribuzione alla giurisdizione del g.o. del pubblico impiego.

Di fronte a tale incertezza di fondo, è opportuno mantenere la via indicata dal legislatore , e, seguendo il metodo di riparto per materia, riconoscere la persistenza della giurisdizione del giudice amministrativo per tutta la materia dei concorsi, ivi compresi quelli per progressione.

Prendendo atto  del constante orientamento della Corte Costituzionale, le Sezioni Unite civili della Cassazione,  con la decisione n°15403 del 15 ottobre 2003, si sono finalmente dedicate “ ad una necessaria rimeditazione”, a conclusione della quale hanno affermato che “ il quarto comma dell’articolo 63 decrto legislativo n.165&01, quando riserva alla giurisdizione del giudice amministrativo <le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione di dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni>, fa riferimento non solo alle procedure concorsuali strumentali alla costituzione, per la prima volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle prove selettive dirette a permettere l’accesso del personale già assunto ad una fascia o area superiore: il termine <assunzione>, d’altra parte, deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale…”.

Dopo la tanto attesa inversione di rotta della Cassazione, è auspicabile che anche  l’orientamento della giurisprudenza amministrativa si consolidi nelle stessa direzione.

 

 

 

 

Nota bibliografica.

 (1)Claudio Varrone,Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria,in “Verso il nuovo processo amministrativo”commento alla legge 21 luglio 2000 n.205 a cura di Vincenzo Cerulli Irelli- Torino 2000.

 

(2)Alberto Romano, resoconto al Convegno “Il riparto di giurisdizione nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” Roma,12 ottobre 2001- in Amministrazioneincammino- Rivista elettronica di diritto pubblico a cura del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet”.

(3)cons.Stato,Ad.gen, parere, 13 agosto 1992,n.146, in cons.Stato 1992,I,1505: “La privatizzazione generale, astratta e globale del pubblico impiego ….non è obiettivamente possibile, giacchè né con interventi puramente nominali, né con la contrattualizzazione si può alterare la sostanza di rapporti giuridici, i quali traggono la loro qualificazione dalla natura pubblica degli interessi che vi sono implicati, dai connessi poteri dell’ente pubblico datore di lavoro a dalle stesse strutture in cui sono inseriti”.

Flavio Baraschi-Contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego e interesse pubblico- in Giustizia Civile:2002-Parte seconda pag.357.

 

(4)Si cfr. Nota a sentenza di Oberdan Forlenza”In presenza di un rapporto contrattualizzato il lavoro statale conserva connotati peculiari”,in Guida al Diritto, n°19/200, pag. 109.

 

(5)Salvatore Veneziano,”Dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla giurisdizione(quasi)esclusiva del giudice del lavoro”in I Tribunali Amministrativi Regionali,2000, parte seconda, pag. 105; Aldo Travi ,”La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Ammnistrazioni” in Riv. Dir. Proc.Amm. 2/2000, pag. 295;R.Damonte e A. Domencio Masuelli “ La nuova giurisdizione in materia di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni” in Foro Amministrativo 1999 pag. 1964.

 

(6) AA.VV.- Il nuovo contratto collettivo del personale degli enti locali-Cosa Come- Giuffrè Editore-1999.

 

(7) A.Provenzano-Riserva di posti per le progressioni verticali negli Enti Locali-in Giust.it n.5-2002;Luca Busico Conorsi interni: riflessioni sulla giurisdizione- in Giust.it b.2-2003

 

(8)Nel testo integrale in Giust.it- n.5-2003, con nota dell’Avv. Lucia Pepe.

 

(9)Il Tribunale di Genova , con Ordinanza n.753 del 22.9.2000 aveva  sollevato questione di legittimità  costituzionale dell’articolo 18 del D.Lgs. n.387/1998,poi confluito nell’articolo 63 T.U.n.165/2001,per violazione degli artt.76 e 77 della Costituzione e per eccesso di delega, nella parte in cui devolve le controversie attinenti la revoca degli incarichi dei dirigenti alla cognizione del g.o..

La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione , con sentenza n.275/2000, in quanto la tutela dei dirigenti è attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario in base a un’esigenza di unitarietà della materia.

 

(10)Micaela Lottini- “Concorsi per dirigenti sanitari di secondo livello, tra giudice ordinario e giudice amministrativo”- in Foro Amministrativo,T.A.R.-2002 pag.176.

 

(11)Vito Tenore- Riparto di giurisdizione sui concorsi interni nelle pubbliche amministrazioni- in Foro Amministrativo 2001,pag.1702; R.E. Ianigro “ I concorsi interni nel pubblico impiego privatizzato alla ricerca del giudive naturale” in Riv. T.A.R.Italedi2001 parte seconda pag.13 .

 

(12) Per un’analisi approfondita  si cfr. anche la decisione n°210 del 5 marzo 2002 del Tribunale di Lucca.