inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2002

La svolta informatica nella trasmissione del sapere - Dal documento cartaceo a quello informatico.

di Vincenzo Greco 

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Non è la prima e, sicuramente, non sarà l’ultima volta che vediamo giuristi impegnati ad affrontare novità tecnologiche. È già successo con le problematiche bioetiche, dove ci si è domandato a lungo (e la discussione è tutt’altro che esaurita) come si possa disciplinare giuridicamente un problema nato in ambito tecnologico.
La scienza offre possibilità, tocca all’uomo selezionarle e sfruttarle, se ritiene che sia il caso.
Da un po’ di tempo le più importanti possibilità offerte dalla scienza hanno riguardato il campo dell’informatica. E l’uomo ha saputo cogliere queste opportunità modificando, non si quanto coscientemente, il proprio modo di vivere, di pensare, di organizzare. Naturalmente, la cosa non poteva lasciare indifferente il mondo del diritto. 
Qui si vuole analizzare quanto è già cambiato e quanto potrebbe ancora cambiare applicando le conoscenze informatiche al mondo giuridico. 
Una storia veramente paradigmatica, in questo senso, è quella offerta dalla nozione di “documento”, fondamentale in ogni processo (un processo senza documenti non è neanche immaginabile).
D’altronde, non potrebbe essere altrimenti: proprio il documento è l’elemento che più si prestava ad essere radicalmente trasformato dalle innovazioni tecnologiche.
Perché se è vero che la funzione principale del documento è quella di informare qualcuno su qualcosa (un fatto, una immagine, una decisione, una proposta, una richiesta ecc.), e se è vero che tale informazione può essere tra-mandata attraverso almeno tre sensi percettivi (vista, udito, parlato), ebbene, come poteva una scienza come l’informatica (già il nome dice qualcosa), basata sulla trasmissione di informazioni non intervenire a modificare in radice la formazione del documento e la rappresentazione in esso contenuta?
Ma prima ancora di esaminare più da vicino la trasformazione giuridica del concetto di documento ancora qualche osservazione preliminare e generale potrebbe aiutarci ad inquadrare meglio il fatto che l’era tecnologico-informatica, nonostante abbia già prodotto rilevanti mutazioni in ogni campo, sia ancora lontana dallo stabilizzarsi. E ancora tante conseguenze vi saranno, magari non tutte auspicabili, anche in campo giuridico.
Riflettiamo un momento sulla funzione informativa (ma sarebbe ancora meglio dire tras-missiva) del documento.
Ogni documento rappresenta una trasmissione del sapere, di qualsiasi natura. Trasmettendo il sapere, esso si dota anche anche di una funzione informativa e rappresentativa.
La trasmissione del sapere nella storia ha seguito varie modalità. La prima, quella orale, sembrava ormai destinata ad essere solo oggetto di studi antropologici, superata, per importanza e frequenza d’uso, dalla modalità scritta.
Ma era solo una impressione, peraltro sbagliata. Perché la trasmissione orale del sapere è rimasta ancora in voga, sia pure in un ambito, per così dire, ufficioso. Quando si doveva e si deve comunicare ufficialmente una notizia non si poteva, e non si può tuttora, fare a meno della comunicazione scritta. Ma se la stessa notizia la si deve comunicare non ufficialmente (insomma, senza necessità che questa comunicazione dovesse essere successivamente provata, e la traccia scritta è il miglior strumento di prova) allora la forma orale rimane comunque quella più usata.
Per motivi molto semplici.Perché è più rapida da utilizzare. Risparmiano tempo (e fatica) sia il mittente che il ricevente. Perché è più diretta. Perché non richiede formalismi e formalità. Perché si presta ad uno scambio (la risposta di chi riceve la notizia può essere data subito), quello stesso scambio che oggi viene chiamato, nel mondo dell’informatica, come interattività. 
Insomma, la forma orale di trasmissione del sapere non era affatto deceduta. 
E non è arduo trovare uno dei motivi più forti che hanno spinto scienziati e tecnici di ogni genere a profondere studi e applicazioni nel campo dell’informatica proprio nell’esigenza di recuperare importanza alla trasmissione veloce del sapere, proprio come quella assicurata dalla forma orale.
La forma orale sarà anche veloce, ma non era, né potrebbe essere, dotata di quei caratteri di certezza e provabilità che, invece, caratterizza la forma scritta. Insomma, si sentiva il bisogno di creare uno strumento che unisse la certezza della forma scritta alla velocità della forma orale. 
Non solo. Questo nuovo strumento non doveva essere né scritto né orale. Doveva costituire un tertium genus, vicino ai primi due, tanto vicino da potersi trasformare in scritto o in orale, senza, per questo, perdere le sue caratteristiche.
Non doveva essere scritto perché lo scritto occupa spazio e il rapporto tra materia e spazio destinato ad ospitarla andava sempre più riducendosi con allarmanti previsioni per il futuro (ancora non del tutto sconfessate, come ben sa chi frequenta gli uffici). Non doveva essere orale non solo per il motivo appena esaminato (la certezza della trasmissione) ma anche perché lo strumento orale, da solo, era comunque limitato; occorreva accompagnarlo a mezzi di comunicazione in ogni caso tecnologici (telefono, fax), insomma non umani.
Insomma, si trattava di creare uno strumento che avesse la velocità della forma orale, la certezza della forma scritta senza, però, soffrire della la volatilità dell’orale classico e della materialità dello scritto classico.

Questo nuovo strumento di trasmissione del sapere, che assomma in sé tutte queste caratteristiche, è il documento informatico.
Non poteva, quindi, non avere successo. Perché è potenzialmente in grado di risolvere le esigenze poste dall’attuale società, che possono sintetizzarsi in esigenze: a) di velocità; b) di istantaneità; c) di burocratizzazione; d) di forte semplificazione delle procedure e delle formalità; e) di dematerializzazione (con conseguente aumento del rapporto numerico tra materia e spazio destinato ad accoglierla, entrato in una crisi così profonda che solo ora sembra potersi intravedere la fine del tunnel). Non potendosi aumentare lo spazio, comunque finito, è solo riducendo un numero variabile come quello della materia che la tendenza negativa poteva interrompersi. E l’informatica sembra proprio incanalata verso questa sfida: ridurre la materia, puntare sul piccolo, un micro che contiene, però, enormi quantità di informazioni.
E questa unione-fusione di trasmissione del sapere ha prodotto anche un altro effetto, di cui qui si può solo fare un breve cenno: lo strumento informatico spesso si presenta come strumento scritto secondo i ritmi dello strumento orale e simbolico.
Si pensi a come vengono spesso scritte le e-mails, dove, potendoselo permettere, non ci si fa scrupolo di forme linguistiche corrette e, magari, si finisce con l’indicare la parola “per” con una semplice “x” o abbreviando la parola “comunque” con “cmq”. 
Anche gli sms (i “brevi messaggi di testo” che è possibile mandare attraverso telefoni cellulari) rientrano in questa logica di fusione-unione di linguaggi: nel regno dello strumento orale, proprio del telefono, entrano messaggi scritti, con toni e cadenze molto vicine a quelle del telegramma.
Io non escluderei che in un futuro, neanche lontano, anche gli sms possano avere le loro implicazioni giuridiche di cui il legislatore dovrà tenere conto.
Dunque, assistiamo a cambiamenti nel linguaggio, tanto quello scritto quanto quello orale, nelle abitudini, nelle procedure, nello stesso modo di formare i documenti e di trasmettere, dunque, le informazioni. 
Anche il documento ha potuto usufruire di questi cambiamenti, sia in punto di formazione che in punto di trasmissione dello stesso. E aumentate sono anche le potenzialità rappresentative del documento: oggi, un documento formato secondo criteri informatici non è più solo in grado di contenere uno scritto ma anche tracce audio, fotografie, disegni, grafici ecc. 
Anche il documento, insomma, può usufruire di una multimedialità prima inimmaginabile. Abituati al “pezzo di carta”, è difficile pensare che ora un solo supporto possa contenere una così grande quantità di informazioni, e di diversa natura e rappresentate in maniera multiforme, tale che nessun supporto cartaceo potesse prima assicurare.
Occorrerà abituarsi alle rappresentazioni informatiche, nel processo penale e anche in quello civile, non solo di atti scritti, ma anche di testimonianze (nei processi di mafia sono già in uso gli interrogatori a distanza), di rappresentazioni video ed audio, di complicati calcoli peritali ecc..
Da ciò può intendersi come sia molto difficile dare una definizione esauriente del termine “documento informatico”. Neanche il legislatore lo ha fatto. Si può solo mantenersi in termini generali e dire che il documento informatico è sia il supporto che contiene ogni tipo di rappresentazione (ogni tipo, dunque da quella scritta a quella fonografica a quelle fotografica a quella audiografica a quella grafica) sia la rappresentazione stessa. E il supporto può essere tanto materiale (un floppy disk, un cd-rom) tanto immateriale (una e-mail, un programma informatico): in ogni caso, vi deve sempre essere un margine di materialità, proprio per favorire la rappresentazione. Quanto è contenuto dentro un floppy o un cd-rom deve poter essere visualizzato e, se è il caso, stampato; ugualmente dicasi per una e-mail. Lo stesso programma deve poter “girare” in un computer ed essere visualizzato su uno schermo. Insomma, bene si vede come all’elemento immateriale proprio di qualsiasi prodotto informatico, compreso il documento, si deve accompagnare, in qualche modo, un “mezzo” materiale, che sia un dischetto, un cd-rom, un monitor, una stampante ecc..
Eppure è proprio l’immaterialità il carattere fondamentale del documento informatico: un’immaterialità pronta, però, a tramutarsi in materia quando occorra. 
Il documento informatico naviga in questo limbo tra immaterialità e materia e il mondo del diritto, abituato a dividere e classificare i concetti con precisione, ordine e certezza, non poteva non trovarsi a disagio. 
Insomma, come considerare il documento informatico? Un bene immateriale o materiale? E quale forza esso può assumere? Forza probatoria o è più prudente considerarlo alla stregua di un semplice elemento conoscitivo? 

Davanti a queste novità tre sono, sostanzialmente, le reazioni a cui abbiamo assistito in ambito giuridico, specie nell’affrontare la questione della natura giuridica del documento informatico e la sua forza probatoria:
a) Indifferenza: si è creduto che le novità tecnologiche non fossero in grado di modificare i concetti giuridici, compreso quello di documento, e che, quindi, nulla, nel diritto, veniva a cambiare 
b) Adeguamento dell’interpretazione di vecchie norme alla mutata realtà, con una chiara operazione di interpretazione evolutiva (ammesso che quella evolutiva sia solo una tecnica interpretativa e non anche il risultato dell’interpretazione tout court, qualsiasi altra tecnica venga adoperata)
c) Adeguamento legislativo 

a) Sul primo atteggiamento è inutile soffermarsi. Si tratta di una reazione a forte tinte conservatrici, un misto di diffidenza, chiusura e ottusità che a nulla giova. Può forse giustificarsi con una certa dose di istintualità: l’immediata reazione davanti alle novità può anche essere quella di rifugiarsi nel cristallizzato, di negare che queste novità siano veramente rilevanti, che nulla è cambiato. Sono ragionamenti frutto di istinto; e, in quanto tali, destinati a scontrarsi con una verifica che, allo stato dei fatti, li ha sconfessati del tutto. Oggi nessuno si sogna più di negare ingresso anche in campo giuridico all’informatica.
b) Il secondo atteggiamento è, invece, quello tipico del giudice che, in attesa che si muova il legislatore, prende atto egli stesso della mutata realtà e si fa carico di adeguare il panorama normativo alle mutazioni che si trova a dover vivere. E, non potendolo fare creando nuovo diritto, lo fa adeguando il vecchio diritto alla mutata realtà tecnologica. Che si tratti di creazione, sia pure indiretta, di nuovo diritto è questione che interessa gli ermeneutici: è preferibile ritenere di no, perché il ventaglio di interpretazioni che spesso una norma apre è tale da far ritenere che quella norma possa anche essere adeguata alle mutazioni della realtà circostante. I termini di generalità e astrattezza servono anche a questo, a permettere alla norma di sopravvivere alla realtà che l’ha prodotta.
Tra i tanti esempi che si possono citare vi è una delle prima questioni che ha visto impegnata la Cassazione a definire quale sia la natura del documento informatico, quando ancora gran parte della dottrina lo definiva, con un punta di scetticismo, il così detto documento informatico (v. S. Patti, voce Documento, Enciclopedia del Diritto, Milano 1987). Parliamo della sentenza n. 886 del 13-2-1989 (v. DII, 1989, 545, ma anche Pizzutelli, Sulla forma e sulla prova del contratto concluso mediante telefax, in Quaderni giuridici dell’impresa, 1990, 55 ss.).
Si trattava di decidere sul valore probatorio del telefax, che potremmo considerare già un antesignano del documento informatico quale oggi lo intendiamo. La sentenza ha ritenuto applicabile l’art. 2712 a tenore del quale “Le riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui conto il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. 
c) Ma, nonostante tutti gli sforzi interpretativi rivolti ad adeguare norme antiche a mutate realtà, occorreva comunque un intervento legislativo.
E intervento vi è stato. Qui basterà citare il D.p.r. 10 novembre 1997, n. 513, che all’art. 1 lett. a) definisce generalmente il documento informatico come “la rappresentazione informatica di att, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Tale decreto costituisce un punto cardine per la disciplina del documento informatico e della firma digitale. La firma digitale è lo strumento idoneo a dare “paternità” al documento stesso: essa viene definita, sempre dall’art. 1 lett. b) del cit. decreto, come la “il risultato della procedura informatica (validazione) basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”. Aggiunge, poi, l’art. 10 che “a ciascun documento informatico … può essere apposta o associata con separata evidenza informatica una firma digitale. L’apposizione o l’associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e i documenti in forma scritta su supporto cartaceo”.
Di particolare importanza è, poi, l’art. 4 del decreto, norma di chiusura : “Il documento informatico munito dei requisiti previsti dal presente regolamento soddisfa il requisito legale della forma scritta”.
Non è qui il caso di insistere su particolari tecnici. Ma, per fare un esempio, quando si parla di “chiave” si pensi ad una vera e propria chiave che consente a chi la possiede di entrare in una stanza; la stanza è il documento informatico. Chi possiede la chiave (che, nel nostro caso, sarà qualcosa di molto simile ad una pass-word, una combinazione di lettere e numeri difficilmente prevedibile; si pensi alla combinazione, stavolta solo numerica, che consente di far funzionare un bancomat) potrà leggere il documento: e, in questo caso, si parlerà di chiave “pubblica” e il possessore è il destinatario del documento. La chiave di cui è, invece, in possesso il sottoscrittore del documento sarà diversa e consentirà ad esso di poter “firmare” il documento: solo lui potrà farlo.
Le chiavi possono essere fornite solo da appositi soggetti “certificatori”, iscritti in un elenco speciale tenuto dall’Aipa (Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione).
Insomma, il passo decisivo, con questo decreto, è compiuto. Il documento informatico assume piena dignità ed è del tutto equiparato a quello scritto. Ma, ricordiamoci, lo stesso documento informatico, pur non nascendo come documento scritto, può essere stampato: solo che non può essere firmato, a meno che non si apponga una firma originale su ogni copia, cosa a volte impossibile quando si stampano migliaia di copie dello stesso. 
L’introduzione della firma digitale proprio a questo è servita: ad evitare che il documento informatico fosse considerato solo alla stregua di una fotocopia. Invece, purché dotato del sistema di doppia chiave prima richiamato, ogni documento informatico dovrà considerarsi in forma scritta (indipendentemente se venga stampato o meno) e, soprattutto, in originale.
Successivamente, sulla materia è intervenuto il D.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, la cui finalità è quella di estendere i principi appena esaminati al campo della documentazione amministrativa. In questo decreto sono ripetute le nozioni, tra le altre, di documento informatico e firma digitale.
È importante il fatto che la p.a. finalmente sia dotata di uno strumento legislativo che le permetta di pensare ed operare nel campo della documentazione secondo le nuove modalità informatiche che abbiamo prima analizzato.
Si parlava di crisi del rapporto tra materia e spazio destinato ad ospitarla. Ebbene, questa crisi viene fronteggiata dall’art. 6 il quale autorizza sia le p.a. che i privati a sostituire i documenti dei propri archivi con la loro riproduzione su supporto fotografico, su supporto ottico o con altro mezzo idoneo a garantirne la conformità dei documenti agli originali.
Si parlava anche della lotta contro l’usura del tempo svolta dalla documentazione in genere. E l’art. 7, fra l’atro, avverte che “i decreti, gli atti ricevuti dai notai, tutti gli altri atti pubblici e le certificazioni sono redatti, anche promiscuamente, con qualunque mezzo idoneo atto a garantirne la conservazione nel tempo”.
Viene anche prevista una carta d’identità elettronica (art. 35 e ss.) destinata a rivoluzionare il sistema di identificazione personale: si pensi al solo fatto che essa può contenere anche l’indicazione del gruppo sanguigno e altri dati sanitari, ad esclusione del DNA.
Ciò potrà porre problemi di tutela della privacy dei propri dati personali. È, questa, una disposizione (art. 36 comma 3) che sicuramente darà filo da torcere tanto al Garante per la protezione dei dati personali tanto alla Corte Costituzionale stessa. Molto dipenderà da come verrà in concreto applicata.
Ma la carta d’identità elettronica potrà anche essere utilizzata per il trasferimento elettronico dei pagamenti tra soggetti privati e pubbliche amministrazioni. E’ quanto dice il comma 4 dello stesso art. 36.
Sono pochi esempi, questi, che dimostrano di come il legislatore abbia individuato proprio nello strumento informatico il miglior mezzo per rendere veramente efficaci i principi di sburocratizzazione, semplificazione dei procedimenti, alleggerimento dell’azione amministrativa che sono i principi cardini del nuovo ordinamento amministrativo quale, dall’inizio dello scorso decennio, sta venendo configurandosi.



(in collaborazione con : www.dialettico.it )