*** Premessa Da tempo il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie ,Lucio Stanca. ha auspicato un utilizzo sempre più diffuso delle nuove tecnologie nel settore della P.A., e particolarmente dell'uso della posta elettronica,con l'obbiettivo anche di attivare per ogni dipendente una apposita casella. Tale obbiettivo, già menzionato nel documento programmatico avente come titolo "Linee guida per lo sviluppo della società dell'informazione nella legislatura", approvato dal Consiglio dei Ministri del Con
riguardo a quest'ultimo argomento, pure molto
dibattuto in dottrina per quanto riguarda i poteri di controllo del datore di
lavoro, va rilevato, per incidens, che anche il recente Codice della privacy
sembra ignorare la disposizione dell'art. 24 della legge quadro del Il problema, come già accennato, ha rilevanti profili giuslavoristici, costituzionali , di tutela della riservatezza, di responsabilità amministrativa e contabile nonché di carattere civilistico e penalistico. Qui di seguito si traccerà un breve profilo della situazione dal punto di vista strettamente normativo e giurisprudenziale. Aspetti normativi e giurisprudenziali Non esiste allo stato in Italia alcuna norma specifica che regoli l'uso della posta elettronica e la navigazione su Internet da parte sia dei dipendenti pubblici che di quelli privati. Per
quanto riguarda il campo pubblico, in realtà, esisteva
una disposizione normativa relativa all'uso privato delle linee telefoniche
d'ufficio, contenuta nel decreto del Ministro della Funzione Pubblica del Tale disposizione di carattere puramente amministrativo,a parte il riferimento alle sole apparecchiature telefoniche, non appare comunque tale da escludere, ad avviso dello scrivente, totalmente la responsabilità civile e penale nel caso di uso illecito delle linee telefoniche da parte del dipendente pubblico. Per quanto riguarda ora l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale in materia, va detto che la dottrina penalistica è divisa in ordine alla definizione della natura giuridica della posta elettronica ed alla possibilità dei dirigenti dell'ufficio di controllare l'uso che i dipendenti fanno,in genere, degli strumenti tecnologici posti a loro disposizione. La migliore dottrina ritiene che, almeno sino a quando il dipendente non acceda alla sua casella ed apra il messaggio di posta elettronica, il messaggio stesso debba considerarsi come "corrispondenza chiusa" e come tale tutelata ai sensi dell'art. 616 c.p.. Questa tesi è stata sostenuta in giurisprudenza implicitamente da una decisione del T.A.R. Lazio, Sezione I ter, n. 9425 del 15.11.2001 in relazione ad una mailing-list in ambiente pubblico secondo cui… "la corrispondenza trasmessa per via informatica o telematica, c.d. posta elettronica, deve essere tutelata alla stregua della corrispondenza epistolare o telefonica ed è quindi caratterizzata dalla segretezza.”. La tesi in questione, sia detto per inciso, è stata anche sostenuta, sia pure senza adeguata motivazione, dal Garante per la protezione dei dati personali (vedi parere del 12.7.1999), secondo cui.appunto, la posta elettronica sarebbe protetta ai sensi dell'art. 616, comma 4, c.p..Lo stesso Garante,peraltro,in altro parere del 1 marzo 2001 ha, incidentalmente, ritenuto legittimo l'accesso del titolare del trattamento alla casella del dipendente in casi di necessità o di urgenza,ad es. nel caso di assenza o impedimento dell'incaricato. Per quanto riguarda la giurisdizione contabile è da citare una recentissima sentenza della Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemontedel 13/11/2003 che si è occupata del problema sotto il profilo del danno erariale.Con tale decisione è stata affermata,sia pure incidentalmente,la legittimità da parte dell'amministrazione pubblica della registrazione degli accessi dei dipendenti ai siti Internet ed il successivo controllo finalizzato, non solo alla repressione di comportamenti illeciti ma anche ad esigenze statistiche e di controllo della spesa.Nella specie si trattava di un dipendente di un ente pubblico che, nell'orario di lavoro, si era ripetutamente collegato a siti non istituzionali ed era stato per questo rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Verbania per i delitti di cui agli artt.314,323 e 640,2 comma,c.p.,patteggiando poi la pena… In ordine al potere del datore di lavoro di effettuare controlli per quanto
riguarda l'uso della linea telefonica da parte del dipendente del settore
privato, la sua legittimità è stata affermata,
inoltre, dalla scarsa giurisprudenza, sia di legittimità che di
merito, che si è occupata del problema,
sia pure con differenti motivazioni (vedi Cass. Sez.
Lavoro, Passando
ora al campo più strettamente penalistico è da dire che,a parte il caso sopracitato
conclusosi ,però, senza un esame del merito, non si rinvengono allo stato
decisioni giudiziarie relative all'abuso della posta elettronica e della
navigazione su Internet da parte del dipendente sia pubblico che privato,
mediante le apparecchiature dell'ufficio. Esistono tuttavia pronunzie relative all'uso
delle apparecchiature telefoniche in ambito lavorativo pubblico ma che
potrebbero anche applicarsi (ed in
questo senso va intesa la iniziativa della
Procura della Repubblica di Verbania) all'uso illegittimo della posta elettronica
ed alla navigazione non autorizzata in
Internet. La Corte Suprema, in realtà, è divisa sul punto, pur ritenendo
applicabile in materia l'art.314 del c.p. relativo al
peculato. Più in
particolare, mentre alcune decisioni
hanno ritenuto che il fatto debba essere inquadrato nell'ipotesi prevista dal
primo comma del citato articolo, punita con la grave pena della reclusione da
tre a dieci anni (vedi, da ultimo, Cass. Sez.VI,24/6-2001/13/1/
2002,n.30756), altre hanno invece affermato che si trattava di "peculato
d'uso", fatto punito con la più lieve pena della reclusione da sei mesi a
tre anni (vedi da ultimo, Cass. Sez. VI, Tutto ciò premesso, non c'è dubbio che l'intera problematica, nei suoi riflessi giuridici e normativi, andrebbe esaminata alla luce anche degli orientamenti della coscienza sociale. Appare infatti "illusoire et irrealiste", come affermato in Francia dalla CNIL, organo di protezione della privacy, in un pregevole rapporto intitolato "La cybersurveillance des salariés dans l'entreprise" del marzo 2001, una proibizione assoluta dell'uso per scopi personali degli strumenti tecnologici in ambiente lavorativo. Ciò che appare comunque urgente, di fronte alla diffusione del fenomeno, è di riesaminare l'inquadramento tradizionale dell'ipotesi di abuso nell'ambito penalistico per evitare soluzioni giurisprudenziali oggettivamente inique di fronte alla scarsa rilevanza della condotta, tenendo conto, da un lato delle esigenze di sicurezza e di correttezza amministrativa, dall'altro dalla necessità di evitare eccessive frustrazioni in ambiente lavorativo le cui conseguenze, sia detto per inciso, avrebbero come effetto una minore produttività. In
conclusione, andrebbe, ad avviso dello scrivente esaminata, in via prioritaria,
la possibilità di "depenalizzare", per così dire, le ipotesi non gravi di uso
privato degli strumenti tecnologici di ogni tipo da parte dei pubblici
dipendenti, prevedendo per i fatti una sanzione amministrativa, tenendo
presenti le vigenti disposizioni in materia di depenalizzazione (cfr. legge Roma Carlo Sarzana di S. Ippolito |
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