*** Con
il Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2003, n.137 recante
disposizioni di coordinamento in materia di firme elettroniche a norma
dell'articolo 13 del decreto legislativo 23 gennaio 2002, n. 10 può dirsi
ormai completo – anche se occorrerà attendere ancora qualche giorno per
l’approvazione delle Regole tecniche – il quadro normativo cui
dovrebbe essere affidata la disciplina dell’utilizzo e della
circolazione dei documenti informatici e delle firme elettroniche,
strumenti dai quali – in buona parte – dipende il processo di
informatizzazione in atto nel nostro Paese.
Come
è emerso nel recente Convegno Nazionale sul Diritto Amministrativo
elettronico svoltosi a Catania nei giorni scorsi, sembra, dunque, arrivato
il momento per formulare un primo bilancio del lavoro svolto dal nostro
legislatore negli ultimi sei anni e, più in generale, per fermarsi a
riflettere sulle possibili conseguenze che potrebbero venirsi a produrre
nelle prossime settimane nel nostro Ordinamento, nell’attività
amministrativa ed in quella tra privati per effetto della definitiva
entrata in vigore di detto complesso normativo.
Tali
valutazioni e considerazioni sembrano dover necessariamente muovere –
anche se la circostanza sembra esser sfuggita talvolta al nostro
legislatore – da quel principio della piena equiparazione del documento
informatico a quello cartaceo sancito, per la prima volta, in Italia,
attraverso la Legge 15 marzo 1997, n. 59.
E’,
infatti, evidente, che tutte le disposizioni dettate in materia negli
ultimi sei anni avrebbero dovuto semplicemente dare concreta e compiuta
attuazione a detto principio che, come è noto, costituisce indefettibile
presupposto per l’ingresso del nostro Paese nella “Società
dell’informazione”; senza digitalizzazione dei flussi documentali
pubblici e privati, infatti, ogni altro processo di informatizzazione è
impossibile o, comunque, destinato al fallimento.
Il
“compito” assegnato al legislatore consisteva, dunque, nel far si che
– attraverso i nuovi strumenti informatici e telematici – la
formazione e l’utilizzo di un documento informatico producesse, nel
nostro Ordinamento, effetti giuridici equivalenti a quelli
tradizionalmente prodotti dall’impiego del supporto cartaceo e
dell’inchiostro.
Tali
effetti – volendo semplificare un discorso che meriterebbe certamente
maggiore spazio ed attenzione e, quindi, inevitabilmente rischiando di
incorrere in possibili imprecisioni – possono essere riassunti, alla
luce dell’elaborazione giurisprudenziale e normativa dell’ultimo
cinquantennio, nelle garanzie - benché solo relative - di integrità ed
inalterabilità del contenuto del documento tradizionalmente ricollegate
all’utilizzo della “forma scritta” ed in quelle – anche in questo
caso non assolute – di imputabilità di detto contenuto ad un
determinato soggetto affidate alla “sottoscrizione autografa”.
Presupposti
di detti effetti giuridici erano, infatti, da un canto la circostanza che
il supporto cartaceo fosse, per sua natura, idoneo a rivelare eventuali
episodi di alterazione del contenuto del documento e, dall’altro, quella
che le peculiarità della firma autografa di ciascun individuo
costituissero – grazie alle regole elaborate in grafologia – uno
strumento affidabile, benché non infallibile, di imputazione e, dunque,
un collegamento univoco tra documento e suo sottoscrittore.
Sempre,
nel quadro normativo previgente, i predetti obbiettivi di integrità e
imputabilità venivano – in relazione a talune tipologie di atti
ritenute dal legislatore di particolare rilievo – rafforzate attraverso
il ricorso a strumenti giuridici quali, ad esempio, l’autenticazione
della sottoscrizione ovvero la dichiarazione di un terzo – pubblico
ufficiale – che attestasse che la formazione e, in particolare, la fase
della sottoscrizione di un determinato documento era avvenuta in sua
presenza e che, pertanto, non poteva dubitarsi, “fino a querela di
falso” della circostanza che il contenuto dell’atto fosse imputabile
alla persona che ne risultava firmataria.
Tale
contesto costituisce, dunque, il parametro in relazione al quale occorre
giudicare l’adempimento del nostro legislatore al “compito” cui si
è già fatto cenno.
Cerchiamo,
a questo punto, di procedere con ordine esaminando il quadro normativo –
ormai pressoché definitivo – in materia di firme elettroniche e
documento informatico.
(A)
Ai sensi del combinato disposto degli art. 1, lett.b e 10 del D.P.R. 28
dicembre 2000 n. 445 - Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa il documento
informatico da intendersi come “la rappresentazione informatica di atti,
fatti o dati giuridicamente rilevanti…ha l'efficacia probatoria prevista
dall'articolo 2712 del codice civile, riguardo ai fatti ed alle cose
rappresentate”.
Per
effetto del richiamo all’art. 2712 c.c., dunque, il legislatore ha
inteso equiparare il documento informatico privo di qualsivoglia genere di
firma elettronica alle “riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le
registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione
meccanica di fatti o di cose” che a norma della richiamata disposizione
formano – nel nostro ordinamento – “piena prova dei fatti e delle
cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne
disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Sul
punto l’equiparazione del legislatore appare, nel complesso,
condivisibile e, in ogni caso, insuscettibile di produrre conseguenze
particolarmente pregiudizievoli sotto il profilo della “tenuta”
dell’Ordinamento e della certezza del diritto nei rapporti tra privati e
tra questi ultimi e le Pubbliche amministrazioni.
Il
documento informatico, infatti, viene equiparato a strumenti meccanici del
passato la cui efficacia giuridica – peraltro di scarso rilievo - già
nel regime tradizionale prescindeva completamente dalla sottoscrizione ed
era piuttosto ricollegata alla materialità dei supporti magnetici e
meccanici.
D’altra
parte la Giurisprudenza già nel vigore dell’originario testo del D.P.R.
10 novembre 1997, n. 513 - che in relazione a tale aspetto corrispondeva
integralmente a quello risultato degli ultimi sei anni di elaborazione
normativa – aveva chiarito che “i dati forniti da un sistema
computerizzato di rilevazione e documentazione (documenti informatici non
sottoscritti elettronicamente n.d.r.) possono costituire ai sensi
dell’art. 2712 c.c. e dell’art. 5, comma 2, D.P.R. 10 novembre 1997,
n. 513 (oggi art. 10, comma 1 del D.P.R. 445/2000 n.d.r.), prova del fatto
contestato, ove sia accertata la funzionalità del sistema informatico e
le risultanze di esso possano assurgere a prova presuntiva congiuntamente
a circostanze esterne ad esso, altrimenti provate” (cfr.Cass. 6
settembre 2001, n. 11445).
Sembra
dunque evidente che in relazione al documento informatico privo di
“sottoscrizione elettronica” il testo definitivo del D.P.R. 445/2000,
come modificato da ultimo attraverso il D.Lgs 10/2002, non produce alcuno
sconvolgimento nel sistema documentale ed anzi elimina un elemento di
incoerenza del testo previgente che attribuiva l’efficacia probatoria di
cui all’art. 2712 c.c. solo ai documenti informatici “sottoscritti
digitalmente”.
Al
riguardo potrebbe semmai discutersi – ma rimando ogni approfondimento
alle prossime righe – dell’equiparabilità delle caratteristiche
ontologiche dei prodotti e strumenti di cui all’art. 2712 c.c. con
quelle dei documenti informatici: materialità e corporeità contro
immaterialità e volatilità.
(B)
A norma del combinato disposto degli artt. 1, lett. cc) e 10, comma 2 del
D.P.R. 445/2000 “il documento informatico, sottoscritto con firma
elettronica (n.d.r. da intendersi come l'insieme
dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite
associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di
autentificazione informatica) soddisfa il requisito legale della forma
scritta. Sul piano probatorio il documento stesso è liberamente
valutabile, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e
sicurezza. Esso inoltre soddisfa l'obbligo previsto dagli articoli 2214 e
seguenti del codice civile e da ogni altra analoga disposizione
legislativa o regolamentare.”.
Cercando
di riassumere e prescindendo dalla pessima definizione di “firma
elettronica” (M. Cammarata, Sparita l'equivalenza tra firma autografa e
digitale!) il legislatore ha dunque inteso riconoscere al documento
informatico sottoscritto elettronicamente e, dunque, con un qualsiasi
metodo di “validazione” - quale, ad esempio, l’utilizzo del numero
di carta di credito – la natura di forma scritta tradizionalmente
propria delle rappresentazioni di atti e fatti su supporto cartaceo.
Tale
scelta del legislatore non può essere condivisa e costituisce un elemento di forte rottura ed incoerenza
rispetto al quadro normativo di riferimento; peraltro, conseguentemente,
non condivisibili e suscettibili di produrre gravi conseguenze sia sotto
il profilo della tenuta dell’Ordinamento che sotto quello della certezza
del diritto nei rapporti tra privati e tra questi ultimi e la Pubblica
amministrazione, sono le conseguenze che dal predetto principio vengono
fatte discendere sul piano dell’efficacia probatoria e
dell’adempimento agli obblighi di cui all’art. 2214 c.c. (Libri
obbligatori ed altre scritture contabili).
Il
regime e l’efficacia giuridica dei documenti predisposti “in forma
scritta” o “per iscritto” nel nostro ordinamento è, infatti,
inscindibilmente connesso alla materialità del supporto cartaceo ed alla
constatazione secondo cui detta tipologia di supporto è idonea a rivelare
i segni di eventuali alterazioni del contenuto del documento consentendo
così di fare legittimo affidamento sulla circostanza che tra il momento
di predisposizione del documento e quello successivo in
cui si rende necessario utilizzarlo il suo contenuto sia rimasto
inalterato.
E’,
dunque evidente, che il regime e l’efficacia giuridica dei documenti
predisposti in forma scritta prescinde completamente dalla sottoscrizione
degli stessi e dalle funzioni tipiche ricollegare a quest’ultima nel
nostro Ordinamento.
La
forma scritta – da tener ben distinta dalla “scrittura privata” –
viene generalmente richiesta dal legislatore in relazione a tutta una
serie di circostanze in cui risulta utile cristallizzare nel tempo
determinati atti e fatti a garanzia dei diritti di una o entrambe le parti
in taluni rapporti commerciali; basti pensare agli obblighi di
informazione posti a carico del professionista nei rapporti con il
consumatore.
D’altro
canto anche se si sposta l’attenzione sulle scritture contabili di cui
all’art. 2214 c.c. cui si fa riferimento nella disposizione del Testo
Unico in commento è agevole avvedersi che in relazione a detti documenti
il legislatore non ne ricollega la validità ed efficacia giuridica ad
alcuna sottoscrizione ma, piuttosto, alla “durevolezza” ed
“inalterabilità” – sebbene relative – del supporto cartaceo ed
alla vidimazione ad opera di un terzo (l’ufficio del registro delle
imprese o il notaio cfr. art. 2215 c.c.).
Se,
dunque, l’unica effettiva ratio che nelle diverse disposizioni di legge
che richiedono la forma scritta sta nella volontà di garantire alle
diverse parti coinvolte in ogni rapporto giuridico un legittimo
affidamento sull’integrità ed inalterabilità del o dei documenti
relativi a detto rapporto, non si vede quale utilità, al riguardo, possa
essere ricollegata all’utilizzo di qualsivoglia genere di firma
elettronica sia essa semplice, forte, debole, qualificata o avanzata.
Sul
punto l’errore nel quale è incorso il legislatore sta proprio
nell’aver ritenuto che lo strumento della sottoscrizione elettronica –
semplice o avanzata che fosse - potesse rivestire un qualche ruolo nel
processo di equiparazione in atto (cartaceo-digitale) e non già, come
rilevato da taluni, semplicemente nell’aver fatto riferimento alla firma
elettronica piuttosto che a quella digitale o ad altra firma elettronica
avanzata. (M.Cammarata, Sparita
l'equivalenza tra firma autografa e digitale!).
Il
problema al riguardo non concerne il parallelo tracciato da Cammarata tra
firma elettronica e firma autografa ma, piuttosto, la pretesa – priva di
ogni fondamento – del legislatore di sostituire le garanzie offerte nel
sistema tradizionale dalla durevolezza ed inalterabilità del supporto
cartaceo con la sottoscrizione elettronica apposta dal predisponente il
documento stesso.
Il
testo definitivo della disposizione adottata dal legislatore è pieno di
incongruenze e, purtroppo, andrà necessariamente modificato per evitare
che ai danni già prodotti da ritardi ed incompetenze nel corso
dell’elaborazione del quadro normativo in materia di documento
informatico e firma elettronica si vada ad aggiungere anche la beffa di
disporre di strumenti incompatibili con decine e decine di altre
previsioni del nostro Ordinamento.
Prima
di proporre suggerimenti e prescrivere ricette, tuttavia, occorre fermarsi
a riflettere e studiare a fondo l’intero ambito dei rapporti civili ed
amministrativi coinvolti dalla rivoluzione copernicana in atto.
Si
corre altrimenti il rischio che la ricetta prescritta dal medico risulti
ancor più letale della malattia stessa almeno perché comporterebbe un
ulteriore ritardo senza consentire, tuttavia, di pervenire alla
guarigione.
La
ragione per la quale la semplice sostituzione al riferimento alle “firme
elettroniche” di quello alla “firma digitale” o altra firma
elettronica avanzata sarebbe del tutto inutile, può essere spiegata in
poche righe.
Laddove
il legislatore ha richiesto la forma scritta (o la forma scritta e la
vidimazione come nel caso delle scritture contabili) lo ha fatto, come si
è detto, preoccupato di garantire l’integrità ed inalterabilità di
determinati documenti ad opera di chiunque e, dunque, anche ad opera del
predisponente il documento stesso.
In
tale contesto tale intervento non sarebbe risolutivo in quanto il
predisponente – in possesso della chiave privata della propria firma
digitale e/o avanzata – potrebbe sempre modificare a suo piacimento il
documento stesso con buona pace delle garanzie di integrità ed
inalterabilità perseguite dal legislatore.
Il
punto merita, per questo, più attenta valutazione ma, può sin d’ora
ritenersi che la soluzione non possa e non debba essere ricercata nella
sottoscrizione elettronica.
Potrebbe,
forse, ipotizzarsi un sistema di validazione telematica ad opera di un
terzo, meglio se soggetto pubblico.
(C)
Le maggiori perplessità circa la strada percorsa dal legislatore in
materia concernono, ovviamente, la soluzione cui si è pervenuti in
relazione alla disciplina della firma digitale e/o delle altre firme
elettroniche avanzate e/o qualificate ed alle conseguenze sul piano del
regime e dell’efficacia giuridica che si è preteso di ricollegare ai
documenti informatici attraverso esse sottoscritti.
Al
riguardo il comma III, dell’art. 10 del D.P.R. 445/2000 dispone che
“il documento informatico, quando è sottoscritto con firma digitale o
con un altro tipo di firma elettronica avanzata, e la firma è basata su
di un certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per
la creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela
di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha
sottoscritto”.
La
disposizione ricollega, in sostanza, al documento informatico,
sottoscritto con firma digitale o elettronica avanza che sia, la più
forte “gradazione” di efficacia giuridica esistente nel nostro
Ordinamento ovvero quella riservata alla scrittura privata con
sottoscrizione autografa “riconosciuta o legalmente considerata come
riconosciuta” perché autenticata da un pubblico ufficiale o, piuttosto,
risultata autentica all’esito di un procedimento di verificazione o di
querela di falso.
Anche
a prescindere dai connotati sui generis che verrebbe ad assumere il
procedimento di querela di falso qualora avente ad oggetto una
sottoscrizione digitale o elettronica avanzata la previsione normativa in
commento non appare condivisibile evidenziando macroscopici limiti ed
elementi di debolezza del sistema.
Ne
sottolineo due su tutti, sui quali, peraltro, mi è parso di scorgere una
sostanziale identità di vedute – sebbene nelle ovvie diverse sfumature
– tra i diversi addetti ai lavori presenti al Convegno Nazionale sul
diritto amministrativo elettronico di Catania:
(a)
il sistema di firma digitale disciplinato dal quadro normativo in commento
– contrariamente a quanto stabilito al comma III dell’art. 10 del
D.P.R. 445/2000 – non consente di pervenire ad una sufficientemente
forte certezza circa la provenienza del documento dal titolare della firma
digitale attraverso la quale il documento stesso risulta sottoscritto.
L’unico
elemento che tale sistema è idoneo a provare con un ragionevole grado di
certezza è la circostanza che il documento sia stato “sottoscritto”
con una determinata firma digitale o avanzata e che, pertanto, il
“sottoscrittore” disponesse del relativo dispositivo di firma.
Prima
di affidare la certezza del diritto nei rapporti tra privati e tra questi
ultimi e pubblica amministrazione ad una presunzione di costante
disponibilità del dispositivo di firma da parte del suo titolare, sarebbe
tuttavia opportuno verificare, che non sussistano né strumenti
informatici né giuridici per aumentare il grado di certezza ottenibile o
ridurre l’intensità dell’efficacia giuridica ricollegata alla
sottoscrizione con firma digitale.
Penso,
ad esempio, all’utilizzo di chiavi biometriche quale strumento di
attivazione del dispositivo di firma.
(b)
Ai sensi del comma II, lett. a) dell’art. 29 bis del D.P.R. 445/2000, il
certificatore ha, tra l’altro, l’obbligo di “identificare con
certezza la persona che fa richiesta della certificazione”.
Nessuna
ulteriore disposizione – almeno ad oggi – si preoccupa di limitare la
discrezionalità con la quale il certificatore – soggetto privato e non
già pubblico come sarebbe stato forse lecito attendersi vista la
rilevanza delle funzioni ad esso attribuite – può e deve procedere
all’identificazione.
In
tale contesto si corre il rischio che il certificatore finisca con
l’attribuire ad un soggetto un’identità digitale che “fa piena
prova fino a querela di falso” sulla base di una procedura basata sulla
richiesta e sull’esame di documenti aventi un’efficacia giuridica ben
inferiore: fotocopia di documenti di identità, codice fiscale
plastificato, metodi di riconoscimento in remoto via web e/o telefono.
Occorrerebbe
intervenire con urgenza sul punto per garantire – pur a prescindere
dalle perplessità sottolineate alla lettera a) – che vi sia un
collegamento univoco e “sicuro” tra l’identità contenuta nel
dispositivo di firma e quella del soggetto che ha chiesto ed ottenuto tale
dispositivo.
Quelle che precedono sono, ovviamente, solo considerazioni scritte
quasi di getto all’indomani di un’occasione di confronto quale il DAE
2003 nel corso della quale è tuttavia emerso come l’entusiasmo per il
completamento del quadro normativo in materia di firme elettroniche e
documento informatico sia frenato – nella mente di alcuni tra gli
addetti ai lavori – dalla seria preoccupazione per le conseguenze che
potrebbero derivare da una “frettolosa” implementazione e messa in
opera del sistema così delineato e disciplinato.
Si tratta, dunque, solo di spunti di riflessione sui quali sarebbe
opportuno confrontarsi anche nella consapevolezza che, domani mattina, le
firme digitali e le smart card che le contengono saranno in circolazione
in un Paese con un bassissimo livello di alfabetizzazione informatica e
che, quindi, il fiume in piena del progresso tecnologico che le ha
prodotte – se non opportunamente arginato da un quadro normativo solido
e chiaro – rischia di travolgere certezze e sicurezze giuridiche ed
informatiche.
Guido Scorza
scorza@cirfid.unibo.it
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