inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2002

Brevi note di commento al decreto legislativo 4 settembre 2002 n.198 (Decreto Gasparri)

di Nunzio Fornaro
(Avvocato-Segretario dei Comuni di Alessano e Patù)

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Premessa

 

Il decreto legislativo n. 198 del 4 settembre 2002  Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art.1, comma due, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 “ (Decreto “Gasparri”) trova origine nella  delega affidata al Governo ad  emanare, entro 12 mesi dalla L. 443 del 21.12.2001 che la conteneva, una disciplina normativa in materia di accelerazione  delle procedure di realizzazione di infrastrutture ed insediamenti produttivi “strategici” e di “preminente interesse nazionale” per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese (artt. 1 e 2). L’individuazione degli interventi è contenuta nella deliberazione CIPE n. 121 del 21.12.2001 la quale in particolare elenca in sintesi un piano specifico per il  comparto delle telecomunicazioni.

Finalita’

 La “mission”della legge delega, dunque, consiste nel riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale (art. 1, co. 1) piuttosto che nell’introduzione di disposizioni regolatrici in materia di inquinamento elettromagnetico; ciò anticipa naturalmente il tenore delle norme contenute nel decreto, ispirate a  criteri di “deregulation” e di liberalizzazione delle procedure di installazione ed individuazione delle modalità per il corretto insediamento degli impianti.

Tuttavia, nonostante la normativa in esame non possa essere formalmente inserita nella serie di provvedimenti legislativi, nazionali, regionali o regolamentari,in materia di tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazione e radiotelevisivi, (L. 36/01, D.M. 381/98 e le varie leggi e delibere regionali susseguitesi) essa fornisce numerose indicazioni in relazione alle problematiche, sollevate in dottrina e in giurisprudenza, circa:

1.      assimilabilità delle antenne radio alle opere di urbanizzazione primaria ed  assoggettabilità delle stesse alle prescrizioni urbanistico – edilizie (TAR Puglia – Lecce Sez. II Ordinanza dell’8.11.2001 n. 1392)

   

2.      possibilità di vicinanza degli impianti a “siti” considerati sensibili in virtù dei principi di “doverosa cautela” e di “precauzione”, in assenza di violazioni dei limiti di esposizione previste dal D.M. 381/98 e poteri regolamentari dei Comuni in ordine al posizionamento delle antenne radio-base, che travalichino la valenza urbanistica-edilizia, invadendo la materia sanitaria e radioprotezionista. (TAR Puglia-Lecce Sez.I Sentenza del 6 febbraio 2002,Consiglio di Stato Sez.VI sentenza del 3 giugno 2002 n.3098,Consiglio di Stato,sez.VI sentenza del 6 agosto 2002 n.4096

 

3.      riparto di competenze tra Comuni, Province, Regioni e Stato(Corte Cost.30.09.1999 n.382)

 

Ed invero, il decreto sembra spazzare via in un sol colpo molte delle discussioni susseguitesi negli ultimi anni relativamente alle succitate questioni.

Obiettivi e definizioni (artt. 1 e 2)

 

Come accennato gli obiettivi principali del decreto sono individuabili nell’art. 1 e possono essere sintetizzati con alcuni concetti chiave:

·                    liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni e incremento della concorrenzialità fra gli operatori

·                    accelerazione delle procedure autorizzatorie attraverso maggiore efficienza, pubblicità, concentrazione e speditezza,

·                    rispetto della normativa in materia di tutela ambientale e della salute

·                    rispetto delle competenze regionali nell’ambito di un quadro normativo omogeneo a livello nazionale

·                    incentivazione dei processi di modernizzazione nel settore strategico delle telecomunicazioni in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Per evitare problemi di carattere interpretativo, l’art. 2 precisa che la terminologia usata nel decreto deve essere intesa nel suo significato “tecnico”, desunto dalla normativa di settore (DPR 156/73, DPR 318/97, DPCM 3.3.1999, L. 36/01).

 

Infrastrutture di telecomunicazioni ( artt. 3 e 4)

Il principio generale sancito dalla norma, che trova diretta ispirazione nella legge delega, è che  le infrastrutture di telecomunicazioni considerate strategiche ai fini dell’art. 1, co, 1, della legge 443/2001, sono considerate “opere di interesse nazionale” e sono assoggettate alle procedure che saranno illustrate nel prosieguo..

Le suddette norme demandano dunque al  Governo il compito di individuare “le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese”.

L’individuazione è operata mediante un programma specifico predisposto,  sentita la Conferenza unificata composta dalla Conferenza Stato-Città  ed Autonomie locali e dalle Conferenze Stato, Regioni, dai Ministri competenti sentite le regioni interessate o su proposta delle Regioni sentiti i Ministri competenti.

Per questa categoria di infrastrutture, dotate dunque del crisma di opere  di “interesse nazionale”, si superano integralmente le competenze che l’art. 8 della L. 36/01 riserva alle Regioni in materia di modalità per il rilascio delle autorizzazioni alle installazioni degli impianti e le si assoggettano alle procedure definite dal decreto  in oggetto.

Una seconda categoria di infrastrutture è individuata dall’art. 4 e riguarda gli impianti radio-elettrici, le modifiche alle loro caratteristiche di emissione, l’installazione di torri, tralicci, impianti radio-trasmittenti, ripetitori di servizi di telecomunicazione, di stazioni radio base per reti di  telecomunicazioni mobili GSM/UMTS, per reti di diffusione, distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle emergenze sanitarie ed alla protezione civile, le reti radio a larga banda punto multi punto.

Per queste infrastrutture, ad eccezione delle torri e dei tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, è stabilito:

a)     la loro compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica;

b)     la loro realizzabilità in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento.

Per tutte, senza eccezione, l’autorizzazione è concessa dal Comune, previo accertamento da parte dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale ovvero da altro organismo equivalente, del rispetto dei limiti di esposizione previsti dalla L. 36/01 e  fermo restando le disposizioni  a tutela dei beni ambientali e culturali di cui al D.Lgs  490/99 e quelli in materia di servitù militari.

Il legislatore sembra, con queste due norme, innestarsi nel dibattito sostenuto dalla giurisprudenza in tema di potere dei Comuni di introdurre limitazioni indiscriminate alla collocabilità di  stazioni radio base sul territorio attraverso modifiche o prescrizioni contenute nel Regolamento edilizio comunale o nel Regolamento d’igiene e sanità.

 Numerose pronunce avevano infatti ribadito il principio per cui gli strumenti urbanistici non potevano introdurre in via generale dei limiti all’installazione, stabilendo in astratto divieti generalizzati ma avevano il potere di individuare delle aree destinate ad impianti tecnologici ovvero introdurre limiti finalizzati esclusivamente al corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti, alla minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici sul territorio comunale, tenendo comunque in considerazione la compatibilità delle suddette prescrizioni con l’adeguata funzionalità del servizio pubblico di telefonia radiomobile. Ciò sulla base anche della normativa di settore (art. 8 co. 6 L. 36/01)  che attribuisce ai Comuni proprio la possibilità di adottare un regolamento in tal senso.

L’introduzione dell’art. 3, co, 2 appare dunque in controtendenza rispetto alla legge quadro, vanificando il potere comunale di pianificare, che,  sia pure con le limitazioni elaborate dalla giurisprudenza,  consentiva all’Ente locale di conservare un minimo  ruolo di  salvaguardia della salute dei cittadini e di tutela ambientale dall’emissione di onde elettromagnetiche, sia pur giustificate da competenze di carattere urbanistico e non sanitario, quest’ultime interamente devolute allo Stato ed alle Regioni (art. 1, co, 4 lett. c) e L. 59/97 e art. 69, co. 1 lett. e) D.Lgs. 112/98). In tal senso si è pronunciato recentemente il Consiglio di Stato-Sez. VI con sentenza n. 4096 del 6.8.2002.

Con riferimento alle competenze delle Regioni, si rammenta che l’art. 8, co. 1 della L. 36/01 riserva ad esse, tra l’altro,  l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti di telefonia mobile,  degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione, nel rispetto delle competenze dello Stato in materia di determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione, degli obiettivi di qualità e delle tecniche di misurazione e rilevamento dell’inquinamento elettromagnetico (art. 4, co. 2) nonché di tutela dell’ambiente e del paesaggio (art. 5).

Ed infatti molte Regioni, in conformità al ruolo loro riservato dalla legge nazionale, hanno dettato i criteri generali per la localizzazione degli impianti, spingendosi anche ad individuare criteri inerenti l’individuazione delle aree sensibili e la loro perimetrazione.

Con la L.R. n. 5 dell’8.3.2002, ad esempio, la Regione Puglia ha introdotto disposizioni in materia di competenza di Regione, Province e Comuni e di procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni,delle DIA o delle concessioni edilizie relative all’installazione degli impianti, nonché di ruolo dell’ARPA o dei PMP. Il legislatore regionale ha,inoltre, stabilito dei divieti di istallazione di impianti in ospedali, case di cara e di riposo, scuole e asili nido (siti sensibili) nonché su aree di interesse ambientale, storico – architettonico, culturale e testimoniale, accogliendo in tal modo le osservazioni sollevate dalle associazioni ambientaliste.

E’ indubbio che le disposizioni in  commento scavalcano completamente anche il ruolo delle Regioni o, almeno, ne limitano fortemente le competenze e dovranno essere valutata anche alla luce della riforma del Titolo II della Costituzione.

Artt. 5 e 6 – Procedimenti

 

L’autorizzazione avviene previa istanza al Comune su apposito modello allegato al decreto, corredata della documentazione comprovante il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità.

L’istanza è predisposta in modo tale da poter essere acquisita su supporto informatico e consentire la formazione di un catasto nazionale delle sorgenti elettromagnetiche.

Una procedura ancora più snella è quella prevista per gli impianti UMTS (cd. telefonini di 3^ generazione) o di potenza comunque uguale o inferiore a 20 watt; per questi è sufficiente una DIA conforme ai modelli predisposti dal singolo Ente locale o a quello allegato al decreto.

Il ruolo del Comune, per il tramite del Responsabile del procedimento, si limita alla verifica della  completezza della documentazione prodotta, con eventuale richiesta di integrazioni. La possibilità di esprimere un "motivato dissenso" appare piuttosto limitata, stante la quasi automaticità del rilascio delle autorizzazioni; tuttavia, in tal caso il Responsabile del procedimento convoca una Conferenza di servizi tra le Amministrazioni interessate (Comuni, Organismi di controllo, etc..) la quale si pronuncia a maggioranza dei presenti, sostituendosi alla Provincia e alle singole Amministrazioni, costituendo la decisione dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori. Ove il dissenso sia manifestato da un'Amministrazione preposta alla tutela dell'ambiente, della salute o del patrimonio storico ‑ artistico, la decisione è rimessa al Consiglio dei Ministri.. E' prevista, infine, una forma di silenzio accoglimento, decorsi 90 gg. dalla presentazione dell'istanza o della DIA.

 

Artt.7,  8 e 9 ‑ Altre infrastrutture

 

Un tertium genus di infrastrutture è costituito dalle opere edili, dagli scavi e dall'occupazione di suolo pubblico e dalle reti dorsali. Questa categoria è assimilata ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria (art. 3, co. 3), discostandosi espressamente da quelle tradizionali per il fatto, non secondario, di restare di proprietà degli stessi operatori.

Ad esse si applica la normativa specifica sulle opere di urbanizzazione, compreso dunque l'obbligo del versamento della TOSAP o COSAP al Comune. La disposizione in parola sembra sposare in toto la tesi, sostenuta da gestori di telefonia mobile, affrontata e risolta con esiti non univoci dalla giurisprudenza, secondo cui le antenne radio base per telefonia cellulare sarebbero assimilabili agli interventi di urbanizzazione primaria di cui alla L. 847/64 modificata dall'art. 44 L. 865/71 e, riguardo agli oneri concessi, alla L. 10/77.

In particolare varie ordinanze TAR avevano teso ad escludere tale assimilabilità, pronunciandosi soprattutto a favore della legittimità di quelle prescrizioni comunali che fissavano limiti massimi di altezza per le costruzioni, comprendendo tra queste anche le antenne, e negando dunque, sulla base di ciò, la concessione edilizia in zone non compatibili con la natura di impianti tecnologici delle stazioni radio ‑ base.

 

Il procedimento, fortemente semplificato, si basa su istanze da presentarsi su modelli standard, termini brevi per richieste di rettifiche e/o integrazioni, silenzio – accoglimento e, soprattutto sul  meccanismo della Conferenza di Servizi. Quest’ultimo ricalca quello previsto dall’art. 14 della L. 241/90 come modificata dalla L. 340/2000, per cui il provvedimento adottato a maggioranza dei presenti sostituisce gli atti delle singole amministrazioni ed equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, ad eccezione di motivato dissenso espresso da amministrazioni posti a tutela ambientale, storico – artistico e della salute nel qual caso la dichiarazione e rimessa  al Consiglio dei Ministri.

Una novità è costituita dal principio di “condivisione e  coubicazione”, ossia dell’obbligo di trasmissione al Ministero delle Comunicazioni da parte degli operatori dell’intenzione di effettuare scavi all’interno dei centri abitati; in tal caso, un apposito archivio telematico dovrebbe agevolare la condivisione dello scavo da parte degli operatori, con il duplice obiettivo di ottenere un minore impatto ambientale e una ottimizzazione delle risorse.

I dubbi circa l’efficienza del sistema derivano dal fatto che l’obbligo degli operatori consiste nella comunicazione, considerata presupposto per il rilascio delle autorizzazioni, ma non per la condivisione e coubicazione, la quale è subordinata ad un accordo fra gli operatori (piano comune degli scavi e delle opere) in assenza del quale l’Ente rilascia i provvedimenti abilitativi richiesti in ordine cronologico.

Per le reti dorsali, ossia nel caso di infrastrutture ricadenti in aree di proprietà di più  enti, si ricalca il meccanismo, ancora più appropriato stante la presenza necessaria di diverse amministrazioni, alla Conferenza di servizi, la quale soggiace ai medesimi meccanismi di cui agli articoli precedenti.

 

 

Art. 11 - Limitazioni legali alla proprietà privata.

 

La norma ha una notevole portata e, probabilmente, è destinata a sollevare le reazioni maggiori da parte di associazioni ambientalistiche e di difesa dei consumatori.

Essa modifica  il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale (DPR 23.3.1973 n. 156) in particolare l’art. 232, il quale già consentiva, allo Stato o ai concessionari di impianti di telecomunicazioni e opere accessorie,  di passare con i fili o i cavi senza appoggio, “sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private,  sia dinanzi a quei lati di edifici ove non ci siano finestre o altre aperture praticabili a prospetto” anche senza il consenso del proprietario.

La norma salvaguarda, tuttavia, il “libero uso della cosa secondo la sua destinazione” imponendo all’operatore di installare fili o cavi in modo tale da non impedirne la fruibilità.

Occorre tenere in considerazione il fatto che queste disposizioni sono sorte in un’epoca storica (inizio anni 70, ma il DPR 146/73 recepiva una legge del 1940, la n. 554) il progresso tecnologico nel campo delle telecomunicazioni,seppur in piena fase di sviluppo, implicava l’installazione di infrastrutture ed impianti  a basso impatto ambientale e che suscitavano scarse reazioni emotive nell’opinione pubblica. Ciò sia per la loro oggettiva bassa nocività (anche potenziale) sia perché la società, nel suo complesso, era meno sensibile a sollecitata su materie quali l’inquinamento elettromagnetico o la tutela del patrimonio architettonico e/o ambientale.

In altri termini,la normativa del cd. Codice postale, aveva ad oggetto l’installazione di cavi ed impianti telefonici o di antenne radio – televisive, per le quali veniva introdotta una servitù collettiva legale a favore dello Stato o del concessionario (art. 232, 1° co.  in caso di impianti di telecomunicazioni) o del proprietario o dell’inquilino di un condominio(art. 232, 2° co. in caso di antenne, sostegni, condutture, fili etc.),la quale si estendeva anche al passaggio del personale tecnico o manutentore dell’impianto.

E’ ovvio, che in questo contesto, la potenziale turbativa del proprietario dell’immobile era circoscritta ad ambiti “accettabili” e comunque non in grado di suscitare “allarmi sociali” più o meno giustificati. Infatti, la giurisprudenza che si è susseguita ha riguardato soprattutto azioni a tutela della proprietà, di carattere indennitario o di disturbi alle capacità ricettive, anche perché la dannosità di tale tipologia di impianti era di fatti impedita, fortemente limitata o non percepita come tale dalla loro natura quasi esclusivamente ricettiva e non trasmittente.

La norma è stata dichiarata estensibile per analogia alle stazioni radio – trasmittenti e agli impianti o antenne di irradiazione di trasmissioni via etere solo in epoca successiva, anche se ciò ha avuto uno scarso impatto nell’opinione pubblica, ancora non sufficientemente informata sul fenomeno dell’inquinamento elettromagnetico ( al più si lamentavano interferenze sugli apparecchi radiotelevisivi).

È evidente che la disposizione introdotta dall’art. 11 del decreto susciterà tutt’altra reazione, in quanto essa prevede che “l’operatore di telecomunicazioni incaricato del servizio può agire direttamente in giudizio per far cessare eventuali impedimenti e turbative al passaggio ed alla installazione  di infrastrutture”.

Se ciò risulta indubbiamente coerente con la definizione di “opere di urbanizzazione primaria” data dal legislatore alle opere civili, scavi  ed occupazione di suolo pubblico necessarie all’installazione di infrastrutture di telecomunicazioni e di reti dorsali ovvero con la realizzabilità, a prescindere dalla destinazione urbanistica, di quasi tutti gli impianti radio-elettrici, inevitabilmente questo potente strumento di persuasione finirà con determinare forti reazioni nel titolare del diritto di proprietà interessato ma anche nella comunità locale in generale e nelle associazioni di tutela di interessi diffusi presenti nel territorio.

 Infatti , i movimenti di opinione sull’argomento dell’inquinamento elettromagnetico sviluppatisi negli ultimi anni, il ruolo svolto dai Comuni in sede regolamentare e la copiosa giurisprudenza in materia, fanno presagire un ampio contenzioso, che presumibilmente finirà con l’interessare la Suprema Corte, involgendo principi di rango costituzionale quali la tutela della salute  (art. 32) o della proprietà (artt. 42 e 43).

Tutto ciò sarà probabilmente di più stretta attualità nel volgere di pochi mesi, considerato che le innovazioni normative in commento sembrano essere orientate alla facilitazione nella installazione di antenne in grado di sfruttare la tecnologia UMTS, le cui concessioni a sei diversi operatori hanno già garantito cospicui introiti allo Stato.

Ed invero la tecnologia 3G presuppone una maggiore quantità di BTS per la copertura capillare del territorio e, dunque, il posizionamento di nuove antenne autonome rispetto alle precedenti GSM, distanziate da non più di 250 m. e calcolate dunque in un numero massimo complessivo di 55 mila. È anche vero che i trasmettitori UMTS “lavorano” in media con potenza di emissione nettamente inferiori rispetto agli attuali sistemi GSM, ma la loro capillarità aumenterà notevolmente il tempo di esposizione alle radiazioni non ionizzanti, e ciò è considerato, insieme all’intensità del campo elettromagnetico, uno dei potenziali fattori di rischio.