inserito in Diritto&Diritti nel giugno 2001

L’ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART.402 DEL CODICE PENALE (VILIPENDIO DELLA RELIGIONE DELLO STATO)

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1.- Uno stato laico, democratico e repubblicano non può accordare una tutela penale privilegiata alla religione cattolica, considerandola "religione dello Stato", senza con ciò violare i principi fondamentali della Costituzione.

È questo il principio che è possibile ricavare dalla lettura della sentenza n.508 del 13 novembre 2000, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 402 del codice penale, intitolato "vilipendio della religione dello Stato", per contrasto con gli art.3 e 8 della Costituzione.

 

2.- I giudici della Consulta sono stati investiti della questione con un’ordinanza del 5 novembre 1998, con la quale la Corte di cassazione ha dubitato della legittimità costituzione dell’art.402, in riferimento agli art.3 c.1 e 8 c.1 cost.

Posta dal legislatore penale del 1930, la norma in esame - insieme ad altre che prevedevano una protezione di particolare favore per la religione cattolica - si giustificava per il rilievo che, nelle concezioni politiche dell’epoca fascista, era riconosciuto al cattolicesimo quale fattore unificante della nazione. Nella Relazione ministeriale (v. II, p.187) si legge infatti che il nuovo codice penale - a differenza di quello abrogato, il quale in ossequio al principio del liberalismo, per garantire il pieno rispetto del sentimento religioso dei cittadini, contemplava i delitti contro il sentimento religioso nel titolo relativo ai delitti contro la libertà (v. Antolisei, Manuale di diritto penale, p.s. II, Milano, 1986, 693) - tutela il sentimento religioso "anche in ciò che è l’origine, il fondamento della fede, ossia nella religione in sé e per sé". A giustificazione di tale affermazione la Relazione precisa che la religione ha contenuto tale da assurgere ad interesse generale, trattandosi di "un fenomeno della più alta importanza anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato".

In questo senso la religione cattolica era considerata "la sola religione dello Stato", secondo una formula che risaliva all’art.1 dello Statuto albertino del 1848, poi richiamata nell’art.1 dei Patti lateranensi siglati tra l’Italia e la Santa sede nel 1929, dove si dice che "l’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art.1 dello Statuto del Regno, pel quale la religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato".

La religione cattolica, dunque, essendo considerata un elemento costitutivo dello Stato godeva di una protezione particolare anche in campo penale, a differenza degli altri culti solo "ammessi", protetti per il tramite dell'art.406 c.p. (v. Antolisei, cit., 694).

 

3.- Finito il fascismo, si è subito posto il problema della compatibilità con la Costituzione repubblicana di una tutela rafforzata riconosciuta dal codice penale alla sola religione cattolica.

Articolata al riguardo è stata la posizione della dottrina. Secondo un primo orientamento - anteriore alla recente modifica del Concordato lateranense - la tutela privilegiata accordata in campo penale alla religione cattolica non contrasta con i precetti costituzionali, in quanto si accorda con la posizione di preminenza che la Costituzione assicura alla Chiesa cattolica con il richiamo fatto nell'art.7 ai Patti lateranensi e con l'affermazione agli art.3, 7, 8, 19 e 20 del principio della libertà religiosa (v. per tutti, Antolisei, cit., 696; Crespi, in Riv. it. dir. pen., 1951, 585; Venditti, Il diritto penale della stampa, 200).

Secondo altri, invece, la legittimità costituzionale dell'art.402 c.p. andrebbe valutata in base ai principi costituzionali, senza alcun riferimento alla posizione di preminenza riconosciuta alla Chiesa cattolica, considerando i Patti lateranensi incompatibili con il carattere non confessionale del nostro ordinamento costituzionale (v. per tutti, Crisafulli, in Arch. pen., 1950, II, 421).

Per Barile (in Dir. eccl., 1951, 432) l'art.402 creerebbe addirittura una inaccettabile disparità di trattamento fondata su motivi religiosi, poiché il non cattolico che villipende la religione cattolica va soggetto a pena, mentre ciò non accade per il cattolico che lede le credenze religiose dei non cattolici.

La tesi dell’incompatibilità delle norme del codice con la Costituzione fu accolta anche dal tribunale di Roma (XI sez., 29 maggio 1949, in Foro pen., 1949, 532), che successivamente avrebbe ritenuto tacitamente abrogato l'art.402 "per incompatibilità con l’ordinamento costituzionale repubblicano" (v. sent. 16 marzo 1976, in Foro it., 1976, II, 187), mentre la Corte di cassazione ha più volte respinto l’assunto, ritenendo che la religione cattolica apostolica romana, in base all’art.7 cost., dovesse ancora ritenersi la sola religione dello Stato (v. per tutte, Cass. 16 gennaio 1950, in Riv. it., 1951, 585).

Tale orientamento trovò poi conferma nelle sentenze 30 novembre 1957, n.125 e 31 maggio 1965, n.39 della Corte costituzionale. In particolare, con quest'ultima decisione la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità dell'art. 402 c.p. in riferimento agli art.3, 8, 19 e 20 cost., osservando come tale norma penale non implica discriminazioni in base alla religione professata, in quanto da un lato si rivolge indistintamente a tutti i destinatari della norma penale e dall'altro la tutela penale rafforzata assicurata alla religione cattolica si giustifica col fatto che si tratta della religione professata dalla maggioranza degli italiani.

Un radicale mutamento si è avuto con l’accordo di modifica del Concordato sottoscritto nel 1984, il cui protocollo addizionale all’art.1 recita: "si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come la sola religione dello Stato italiano". Tale affermazione è certamente venuta ad incidere in maniera profonda sui reati di cui agli art.402 e seg. c.p., venendo meno il principio della "religione dello Stato".

 

4.- Con la sentenza 508/2000 la Corte ritorna oggi - successivamente alla modifica del Concordato - sulla questione, dichiarando espressamente l’incostituzionalità dell’art.402 c.p. Secondo la Corte, in forza dei principi costituzionali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione (art.3 cost.) e di uguale libertà davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art.8 cost.), l’atteggiamento dello Stato democratico e repubblicano non può che essere di equidistanza ed imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose e non solo di quella cattolica, "imponendosi la pari protezione della coscienza di ciascuna persona che si riconosce in una fede quale che sia la confessione di appartenenza".

Rimane però sempre ferma - secondo la Consulta - la possibilità di regolare bilateralmente e quindi in modo differenziato i rapporti tra lo Stato e le singole religioni tramite lo strumento concordatario (per la chiesa cattolica) o quello delle intese (per le altre religioni diverse dalla cattolica). Tale posizione di equidistanza ed imparzialità dello Stato – proseguono i giudici costituzionali - è allora "il riflesso del principio di laicità che la Corte costituzionale ha tratto dal sistema delle norme costituzionali, caratterizzando la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e tradizioni diverse".

Così, a fronte di questi svolgimenti, l’art.402, redatto in epoca fascista, rappresenta oggi un anacronismo, al quale in tutti questi anni avrebbe dovuto porre rimedio il legislatore repubblicano e laico. In mancanza dei necessari interventi correttivi da parte del Parlamento - conclude la Consulta - "deve ora provvedere questa Corte nell’esercizio dei suoi poteri di garanzia costituzionale", dichiarando l’illegittimità dell’articolo 402 del codice penale.

 

 

Ciro Cardinale