inserito in Diritto&Diritti nel settembre 2002

Il quadro previdenziale obbligatorio dei dipendenti pubblici

di Michele Squeglia[1]

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1.1. Introduzione

 

Il tema dei trattamenti di quiescenza nel Pubblico Impiego e, in particolare, della loro evoluzione nel prossimo avvenire, è divenuto negli ultimi anni un argomento su cui confluire teorie distinte e spesso distanti, accomunate dalla demonizzazione della cultura del diritto all’assistenza.

Esso costituisce per lo più una zona sismica nel campo del diritto, che va studiata con metodo particolare e che merita attenzione per l’affermarsi nella stessa di fenomeni che hanno ripercussioni sempre più vaste. Fenomeni che fluttuano dall’esatta individuazione del concetto di trattamento di quiescenza fino a giungere alla loro lenta e graduale affermazione come legittimo diritto, dalla giuridica certezza di esso all’interazione delle possibili variabili economiche[2]. Tutte questioni che, atteso lo status quo ante del dibattito in atto, vanno poi confrontate con le istanze di risanamento del bilancio statale, con l’assunzione degli impegni europei -sottoscritti con il trattato di Maastricht[3]-, con l’annosa faccenda dell’accorpamento della gestione dei dipendenti statali, con il conseguente rafforzamento del polo previdenziale pubblico, con il definitivo decollo della previdenza complementare, e, non per ultimo, rapportate all’esigenza di liberazione dello stato di bisogno del cittadino[4] .

Ciò induce a pensare al sistema previdenziale pubblico come ad un sistema di lavori in corso, di cui si conosce il progetto voluto dal legislatore e le cui fondamenta sono radicate nelle leggi emanate agli inizi degli anni Novanta ma non anche il quando esso verrà definitivamente completato, e, soprattutto, se esso poi, nella sua applicazione pratica, risponderà all’iniziale modello, in modo da addivenire ad un corpus normativo unico per il pubblico e per il privato, salvaguardando eventualmente solo quelle normative contrassegnate da un’effettiva specificità del settore.

1.2. L’evoluzione del diritto pensionistico dei dipendenti pubblici

 

 

Per parlare di un vero e proprio diritto alla pensione (e, come si vedrà, non solo di essa) occorre sfogliare le pagine della storia più recente, considerato che nei tempi della monarchia assoluta la sua concessione era un arbitrio del sovrano intenzionato a concederla solo a quei sudditi, in primis ai militari, che avessero prestato servizi degni della sua benevolenza[5].

Scovando più a fondo, tracce dissimili si rinverranno soltanto nel Regno di Sardegna, alla fine del XVIII sec., che ne ammetterà la fruibilità soltanto a favore di quei professori universitari che, maturando un‘anzianità apprezzabile di servizio, si trovavano in condizioni di età e/o di salute tali da giustificarne il beneficio. Non si trattava di un vero e proprio riconoscimento del diritto, ma quantomeno di una situazione per cui l’interesse proiettato al di là della vita lavorativa, riceveva tutela per la possibilità di attuare un comportamento con effetti giuridicamente rilevanti.

Questi scampoli di solidarietà - che culminarono subito dopo in interventi dello Stato a favore di quei soggetti che possedevano redditi insufficienti ad assicurare la loro adesione ad istituende casse volontarie- mostrano un approccio alla concessione della pensione non più legata a requisiti soggettivi ma agganciata a ragioni di interesse pubblico.

Difatti, l’impegno sociale dello Stato, di qui in avanti, non si esaurirà nello svolgere una funzione di mediazione degli interessi individuali, ma assumerà compiti che lo impegneranno direttamente come protagonista dato che perseguirà un interesse che è patrimonio di tutta la collettività.

Ne è esempio il tentativo, avvenuto nella seconda metà del XIX, di regolamentare la materia relativamente ai dipendenti statali in maniera organica (e, precisamente, con la legge n. 279 del 15.06.1893) e il cui successivo regolamento di esecuzione (r.d. del 05.09.1865 n. 603) conterrà parti compatibili con i principi enucleati nel testo unico del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato emanato a metà del XX secolo (d.p.r. del 1973 n. 1092[6]). Per essi veniva trattenuto un contributo che affluiva al bilancio dello Stato il quale si faceva poi carico dell’erogazione delle prestazioni e del relativo adeguamento.

Di qui il passo è breve, perché il legislatore alla fine del secolo scorso deve essersi detto che in una tale impostazione la direzione da intraprendere non dovesse portare unicamente all’assorbimento delle casse volontarie fino ad allora istituite, ma bisognasse porre lo Stato in posizione di garante, ai fini della concessione della prestazione pensionistica.

La successiva istituzione di casse– di cui la prima[7], in ordine temporale, fu la Cassa per la pensione degli insegnanti elementari sorta per effetto della legge del 16.12.1878 n. 4648[8]- costituisce storia recentissima, a conferma di un indirizzo, che vuole riconosciuto il diritto pensionistico, e che, d’ora in avanti, non verrà più messo in discussione.

Basti pensare che esse -inizialmente affidate agli Istituti di Previdenza amministrati dalla Cassa Depositi e Prestiti e quindi lasciati alla Direzione Generale del Ministero del Tesoro- sono successivamente confluite, dal 18.02.93, all’Istituto Nazionale dei Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (d’ora in avanti INPDAP), sorto a sua volta dalle ceneri –per effetto del d. lgs. del 30.06.94 n. 479- dell’Istituto Nazionale dei Dipendenti degli Enti Locali (INADEL), dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Dipendenti Statali (ENPAS) e dell’Ente Nazionale di Previdenza dei Dipendenti degli Enti di diritto Pubblico (ENPDEP).

Orbene, non sorprende che, alla luce di tale evoluzione, la dottrina più autorevole ma anche l’orientamento giurisprudenziale più recente[9] non dubitino sulla natura del diritto, ritenendolo effettivamente perfezionato al momento della cessazione del rapporto di lavoro qualora si verifichi l’evento assicurato (il raggiungimento di un limite di età o la maturazione di un periodo di servizio).

Parlare, perciò, di costituzionalizzazione del diritto pensionistico non appare incomprensibile se si analizzano, in maniera sistematica, le garanzie costituzionali di cui agli art. 36 e 38, i cui principi sono intesi ad assicurare -non soltanto a colui che presta qualsivoglia rapporto di lavoro ma- anche a chi cessa dal servizio mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, tenuto conto della qualità e della quantità del lavoro che si è prestato.

Ma c’è di più. Perché, a ben vedere, il diritto in esame presenta, per un verso, il requisito dell’indisponibilità in quanto il titolare non può compiere alcun atto di disposizione né di trasferimento; per un altro verso, esso conserva il requisito dell’imprescrittibilità, giacché, al pari dei diritti personali o di status, non si estingue qualora il titolare per inerzia non lo eserciti per un periodo di tempo determinato dalla legge[10]. Proprio in questa direzione il legislatore, con il Testo Unico del 1973 n. 1092, all’art. 5, ha sancito il principio per cui “il diritto al trattamento di quiescenza diretto o di reversibilità non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza o per altre cause[11].

La legge del 1991 n. 274 ha poi aggiunto, all’art. 2, che per gli iscritti alle gestioni amministrate dall’INPDAP e per i loro superstiti “il requisito della cittadinanza italiana non costituisce requisito per l’acquisto o al mantenimento del diritto al trattamento di quiescenza diretto, indiretto o di reversibilità”. Né si può tacere circa le caratteristiche di sequestrabilità e di pignorabilità dei trattamenti di quiescenza e dei relativi assegni accessori, tranne l’indennità integrativa speciale (art. 143 del T.U. n. 1092/73) qualora occorra realizzare crediti da risarcimento del danno causato dal dipendente all’Amministrazione, mentre rimane fermo per tutti i dipendenti pubblici i requisiti di impignorabilità e di insequestrabilità della pensione e il suo eventuale trattenimento non può essere superiore al quinto, giusta l’applicazione del d.p.r. del 5 gennaio 1950 n.180.

1.3. Il nuovo scenario dopo gli interventi legislativi della prima metà degli anni Novanta e il percorso dell’omogeneizzazione al sistema previdenziale privato.

Il proliferare della produzione legislativa della prima metà degli anni Novanta, il cui oggetto ha investito anche i regimi pensionistici esclusivi dell’assicurazione generale obbligatoria, è stato frutto di un disegno complessivo teso non solo a salvaguardare gli aspetti della disciplina previgente ma anche al perseguimento di una politica di progressiva omogeneizzazione al regime dell’Assicurazione Generale obbligatoria gestita dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale[12] (d’ora in avanti INPS).

Un passaggio che si è presentato obbligato, considerata la necessità di stabilizzare la spesa previdenziale rispetto al prodotto interno lordo, notevolmente incrementata a causa di una normativa in materia pensionistica (per i dipendenti degli enti locali e per i sanitari, la l. n. 965/65, n.85/68, n.379/55, n. 1077/59, n.131/83, n.274/91 e i  d.p.r. n.138/86, n.538/86, mentre per i dipendenti statali il d.p.r. n. 1092/73) che individuava fino ad allora semplicemente dei limiti minimi di età e di servizio per conseguire il diritto a pensione, rinviando alle disposizioni contenute nei regolamenti dei singoli enti e delle amministrazioni circa l’applicazione dei limiti massimi di età o di servizio per il collocamento a riposo d’ufficio.

Se poi si aggiunge la possibilità, fino ad allora riconosciuta al dipendente, di conseguire il diritto ancor prima di aver raggiunto i limiti previsti (venti anni di servizio per gli uomini, riducibili di ulteriori cinque anni in caso di donne coniugate con prole - il fenomeno delle cd. pensioni baby-) si comprende anche perché il posto fisso e stabile nella pubblica amministrazione rappresentava agli occhi dei più una meta alla quale ambire.

Invero, di queste diversità rispetto al settore privato se ne era già occupata la Corte Costituzionale con la sentenza del 1991 n. 282,  secondo la quale era ragionevole assicurare anche per i pubblici dipendenti, che non avessero maturato  il numero di anni necessario per conseguire il minimo trattamento pensionistico, il diritto a rimanere in servizio fino al compimento dell’anzianità minima e, comunque, non oltre il settantacinquesimo anno di età.

Il decreto legislativo del 1992 n. 503, emanato in esecuzione dell’art. 3 della legge delega n. 421 del 23 ottobre 1992, ha innovato profondamente l’ordinamento pensionistico dei pubblici dipendenti al fine di giungere ad un duplice risultato: da un lato,  in nome del riavvicinamento alla normativa privatistica, con decorrenza 1° gennaio 1993, ha imposto un blocco per il conseguimento delle pensioni di anzianità, dall’altro ha svelato le intenzioni del legislatore convinto che occorresse scardinare alcuni dei pilastri tradizionali. In quest’ottica, vanno interpretate le disposizioni intese a introdurre nuovi limiti di età per la pensione diretta di vecchiaia, facendo però salvi i maggiori limiti stabiliti dai regolamenti organici degli enti; ad influire sui limiti minimi di servizio ai fini del conseguimento della pensione diretta di anzianità; a prevedere il limite della retribuzione pensionabile; ad elaborare una normativa più restrittiva in merito al cumulo tra pensione e stipendio; ed, infine, a consentire l’ingresso della perequazione automatica delle pensioni. Peraltro, il decreto in questione si era preoccupato anche di coloro che avessero maturato il diritto alla pensione al 31.12.92 secondo la disciplina previgente, ritenendo necessario lasciare immutati i limiti di servizio, modificandone invece le modalità di determinazione della retribuzione pensionabile e conseguentemente confermando i contingenti delle pensioni di anzianità dal 1°settembre successivo a quello della data di cessazione. In questo modo, la gradualità dei requisiti anagrafici e contributivi veniva estesa ad un arco temporale che si proiettava fino al 2008, al fine di realizzare l’osmosi di norme con il sistema previdenziale privato.

Il quadro delineato non risultava però perfettamente congruente, tant’è che il legislatore, a distanza di due anni, interveniva con il d.l. n. 553 del 1994, successivamente reiterato con il d.l. n. 654 del 26.11.94 e poi trasformato in legge n.724 del 30.12.94, facendo ricorso allo strumento della sospensione dei trattamenti di anzianità, rispetto ai limiti di età e di servizio previsti dai rispettivi ordinamenti. In particolare, gli specifici interventi (art. 15 e 17) riguardavano, con decorrenza 1°gennaio 1995, oltre i limiti di età, la parificazione dell’aliquota di rendimento, la composizione della retribuzione pensionabile, le aliquote per la pensione indiretta e di reversibilità nonché la perequazione automatica. Di significativo interesse risultava poi l’estensione ai regimi esclusivi anche dell’integrazione al minimo, limitatamente alle pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti.

Soltanto a metà degli anni novanta (la l. del 1995 n. 335) si verranno a formulare le linee guida del sistema previdenziale futuro, giacché si stabilisce: a) la commisurazione della pensione ai contributi versati; b) la flessibilità nell’accesso alla pensione; c) l’armonizzazione delle regole previdenziali; d) la stabilizzazione della spesa previdenziale rispetto al prodotto interno lordo; e) lo sviluppo e il definitivo decollo della previdenza complementare.

Alcuni di questi, indicati dall’art.1, c.1-5, sono destinati tuttora ad essere implementati da successivi decreti governativi, ma ciò che desta interesse, tanto da definirlo “un cambiamento epocale”[13], è stato l’introduzione di un sistema, quale quello contributivo, destinato a prendere il posto del preesistente sistema retributivo con la necessaria previsione di una fase, per l’appunto, transitoria. Il passo in avanti compiuto dal legislatore è consistito nel computo della pensione effettuato, per gli assunti dal 1° gennaio 1996, sulla base dei contributi versati e non più sull’ultima o sulle ultime retribuzioni percepite, avvantaggiando i lavoratori che permangono più a lungo nel mondo del lavoro rispetto a quelli che decidono di abbandonare prematuramente. Insomma, se prima risultava conveniente collocarsi a riposo anticipatamente al fine di prestare una qualsiasi altra attività lavorativa, ora risulterebbe più conveniente che logico il percorso inverso per non rimetterci il capitale contributivo accumulato.

In quest’ottica, l’accelerazione verso il processo di armonizzazione ha condotto, da un lato, ad una revisione del processo di innalzamento dell’età, anticipandolo dal 2008 al 2004, dall’altro, ad un inasprimento dei limiti di servizio e ad una graduale eliminazione delle pensioni di anzianità, il cui conseguimento avveniva con meno di 35 anni di servizio utile (art. 1, c. 27).

L’ultimo intervento è avvenuto con la legge finanziaria per l’anno 1998 (la legge  del 1997 n. 449, art. 59 e seg.) che è intervenuta sulla maggiorazione dei servizi, sull’arrotondamento dei servizi utili a pensione, sui termini per la presentazione della domanda per la pensione di anzianità, sui nuovi requisiti di accesso richiesti per il diritto a pensione con effetto dal 1° gennaio 1998, nonché sull’unificazione delle forme di adeguamento delle prestazioni pensionistiche e delle aliquote di rendimento.

Orbene, alla luce del quadro descritto se emergono chiare le difficoltà di calibrare diritti e aspettative acquisiti anteriormente alle norme via via succedutesi, tant’è che le scelte compiute mostrano non poche incongruenze (prima fra tutte, le aliquote di rendimento, introdotte dal d.lgs. del 1992 n. 502), è pur vero che più di vera e propria omogeneizzazione - che implica una necessaria identità sostanziale- sarebbe opportuno parlare di armonizzazione  (così come è correttamente rubricato l’art.2 della legge n. 335/95) intesa come anticamera conducente all’osmosi di norme con il sistema previdenziale privato[14]. A conferma, basti riflettere che l’omogeneizzazione di per sé implica una legittima collimazione di normative, non essendo giustificabile alcuna differenziazione tra il settore pubblico e privato -se non per ragioni di tipo culturale-, e che non può dirsi neppure compiuta solo perché identificabile con l’avvenuta privatizzazione dei rapporti di lavoro, di cui al d. lgs. n. 29 del 1993. Difatti, l’equiparazione della disciplina all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e superstiti, gestita dall’INPS è prevista solo per coloro che vengono assunti dopo l’entrata in vigore della legge n. 335/95, talché per coloro che risultano già occupati a tale data troverà applicazione la previgente disciplina.

D’altronde, a sfavore dell’omogeneizzazione risultano le difficoltà legate ad un sistema previdenziale pubblico che da sempre ha adottato non solo un proprio modo di erogazione delle prestazioni ma anche una propria organizzazione e che, tra l’altro, deve fare i conti al suo interno anche con una gestione attualmente separata dei dipendenti statali.

 

 

1.4. Le gestioni previdenziali amministrate dall’INPDAP e la questione dell’accorpamento della gestione dei dipendenti statali.

 

 

E’ noto, che mentre per i dipendenti statali[15] le prestazioni pensionistiche vengono erogate senza che sia stato precostituito alcun fondo o una contabilità separata per cui al momento del collocamento in riposo lo Stato eroga la pensione con un prelievo diretto da un apposito capitolo del bilancio statale, per i dipendenti pubblici appartenenti a speciali categorie, fino agli inizi degli anni Novanta, era prevista l’iscrizione a casse amministrate  da appositi enti rientranti nell’area del parastato: a) la Cassa Pensioni dei Dipendenti degli Enti Locali (CPDEL); b) la Cassa per le Pensioni ai Sanitari (CPS); c) la Cassa per le Pensioni agli Insegnanti (CPI); la Cassa per le Pensioni agli Ufficiali Giudiziari e agli Aiutanti Ufficiali Giudiziari (CPUG).

Per i dipendenti del Ministero delle Poste e delle Aziende Autonome delle Ferrovie dello Stato vi provvedevano rispettivamente l’Istituto Postelegrafici e il Fondo operante presso il Ministero del Tesoro.

Mentre per i primi continua a sussistere l’originaria gestione, per i secondi l’art. 43 della legge n. 488/99 (la legge finanziaria 2000) ha soppresso il Fondo Pensioni del personale delle Ferrovie dello Stato e costituito presso l’INPS  un Fondo speciale al quale è obbligatoriamente iscritto tutto il personale dipendente delle Ferrovie S.p.A., già iscritto alla data del 31.03.00, nonché il personale assunto con decorrenza 1°aprile 2000 iscrivibile al Fondo speciale secondo la normativa previgente.

Per tutte le altre categorie di dipendenti pubblici è prevista l’iscrizione dal 18.02.93 (legge n. 479/94[16]) all’INPDAP, cui è affidata la gestione, oltre che delle soppresse Casse Pensioni, anche della Cassa relativa ai trattamenti pensionistici dei dipendenti statali (legge n. 335/1995 art. 2, c.1), nonché delle altre categorie di personale le cui prestazioni pensionistiche sono a carico del bilancio dello Stato, senza alcuna gestione distinta e separata (personale della Cassa Depositi e Prestiti, dell’ANAV, docenti delle Libere Università)[17].

La complessità di una simile operazione ha suggerito al legislatore di non alterare a breve i rapporti tra le Amministrazioni centrali e periferiche, le Direzioni Provinciali del Tesoro e l’INPDAP, giacché ai primi vengono comunque riservate, in regime di convenzione, tutte le attività connesse alla liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei dipendenti dello Stato.

In quest’ottica, la legge n. 335/95 se, per un verso, ha definito in maniera capillare l’assetto organizzatorio, per un altro verso, non ha indicato alcuna scadenza temporale, sicché assegnate all’INPDAP risultano soltanto i nuovi compiti attinenti la funzione di ufficio pagatore peraltro adempiuti accorpandovi il personale professionalizzato delle Direzioni Provinciali del Tesoro. A pieno regime opererà invece l’affluizione delle aliquote contributive a carico delle Amministrazioni Statali nella misura del 32% di cui l’8,20% a carico del lavoratore, oltre quelle a carico delle ex Casse Pensioni.

Uno scenario, questo, che si va delineando sempre più in fretta ove si considerino le circolari n. 17 del 15.03.2000 e n. 39 del 24.07.2000, la nota informativa n. 27 dell’8.06.2000 dell’INPDAP, nonché la circolare n. 159 del 09.06.2000 del Ministero della Pubblica Istruzione.

In particolare, la Direzione Centrale Prestazioni Previdenziali (D.C.P.P.) e la Direzione Centrale delle Entrate Contributive (D.C.E.C.) dell’INPDAP di concerto con la Ragioneria Centrale del Ministero del Tesoro hanno dettato criteri attinenti gli aspetti contabili relativi alla spesa per trattamenti di quiescenza del personale iscritto alla gestione separata Stato in modo da rendere operativi gli obblighi di cui alla legge n. 335/95.

Pur rimanendo ferma la competenza delle amministrazioni statali circa l’adozione dei provvedimenti che danno luogo sia al pagamento delle prestazioni sia alla acquisizione  dei versamenti contributivi, la circolare n.17/2000 compie un passo in avanti prevedendo che tutti i contributi relativi a siffatti provvedimenti, adottati dopo il 31.12.99, debbano affluire all’INPDAP. Conseguentemente tutte le attività tanto relative agli introiti quanto ai relativi esborsi (si pensi al pagamento dell’indennità una tantum) saranno curate dalle sedi territorialmente competenti, previa necessaria trasmissione ad esse dei documenti amministrativi distinti per tipologie.

Per rendere possibile tale sganciamento, la successiva nota informativa n. 27/2000, emanata dalla D.C.E.C. e dalla D.C.P.P., si preoccupa di indicare le necessarie istruzioni operative al fine di rendere possibile le operazioni individuate dalla circolare n.17.

Le premesse per il definitivo accorpamento sono state indicate nella successiva circolare n. 39/2000 in cui l’Istituto dispone la costituzione di una banca dati, aggiornabile automaticamente, allo scopo di assicurare la liquidazione immediata e in misura definitiva della pensione comprese tutte le altre prestazioni previdenziali ed assistenziali in modo da adempiere all’obbligo, di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge n.335/95, di inviare ad ogni assicurato, con cadenza annuale, un estratto conto che indichi le contribuzioni effettuate, la progressione del montante contributivo nonché le notizie relative alla sua posizione  assicurativa. Essa varrà a contenere i dati relativi alla retribuzioni corrisposte dal 1.01.93 al 31.12.98 comprensive del trattamento accessorio nonché ogni notizia in merito al servizio svolto, alla data di inizio del rapporto, e così via. Per agli anni successivi, tale flusso di informazioni verrà rinvenuto nel nuovo modello 770 che, presentato al Ministero delle Finanze in base alle disposizioni pubblicate sulla G.U. n. 305 del 30.12.99, conterrà, a partire dall’anno 2000, un apposito quadro relativo ai dati previdenziali ed assistenziali.

In questa direzione, il Ministero della Pubblica Istruzione –a seguito del d.p.r. n. 275/99, art.14, recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche –ha arrestato il processo di decentramento delle competenze in materia pensionistica alle istituzioni medesime, considerato, come si legge nella circolare n. 159, “limitato nel tempo” e produttivo di “problemi di ordine operativo, organizzativo, e di formazione del personale”, considerate le attribuzioni assicurate all’INPDAP.

Si può comprendere come una simile cascata di disposizioni e di istruzioni interne risultino motivate, a ben vedere, dall’esigenza di conoscere in modo puntuale e preciso la condizione previdenziale statale, considerato che per essa si è sempre brancolato nel buio data la difficoltà connessa alla mancanza di un onere contributivo a carico del datore di lavoro, cosicché per quantificare la relativa massa dei contributi, spesso si è fatto ricorso all’espediente di considerare l’aliquota a carico dell’ente datore di lavoro vigente nel regime CPDEL.

Del compito che è stato affidato all’INPDAP, può essere di ausilio prendere in esame le pensioni di anzianità maturate al 31.12.96, il cui numero[18]- ripartite tra il Ministero del Tesoro (scuola, militari, forze di polizia, aziende autonome, ministeri, università, magistrati), INPDAP e Ferrovie dello Stato- è di 1.516.180 milioni, mentre la relativa spesa complessiva è pari a lire 43.416 miliardi per il 1996 e che graficamente assumono la seguente rappresentazione:

Più in generale, la previdenza INPDAP contribuisce al rapporto spesa/Prodotto Interno Lordo per il 3,1%, mentre la spesa pensionistica complessiva in Italia ammonta nel 1999 al 15,1% del PIL[19].

Un quadro in evoluzione le cui premesse mostrano come la candidatura dell’INPDAP a polo previdenziale pubblico appare più che una semplice scommessa, che potrà essere considerata vinta solo qualora riesca a gestire in maniera autonoma la cassa dei trattamenti pensionistici statali, giacché il pericolo di creare un solco rispetto al polo previdenziale privato sembra altrettanto fondato[20].

 

 

 

1.5. L’estensione ai dipendenti pubblici del regolamento di sicurezza sociale dell’Unione Europea.

 

 

L’entrata in vigore del Regolamento della Comunità Europea n. 1606 del 1998[21] ha consentito di applicare -modificando i precedenti regolamenti n. 1408/71 e n. 574/72- ai dipendenti delle Amministrazioni pubbliche e al personale assimilato, la disciplina comunitaria di sicurezza sociale.

Lo scopo è stato quello di assicurare, sotto l’aspetto previdenziale, quei lavoratori pubblici che avessero prestato attività lavorativa nei diversi Paesi membri, consentendo ad essi di totalizzare tutti i periodi di assicurazione e di contribuzione maturati nei diversi Stati per il conseguimento del diritto pensionistico in ciascuno di essi, nonché, consequenzialmente, di ottenere la corresponsione della pensione a carico di un Paese anche se residente nel territorio di un altro Stato.

Nel computo, avente ad oggetto la totalizzazione, viene però esclusa ogni possibile sovrapposizione di contribuzione per uno stesso periodo, giacché i contributi stazionano nel paese dove risultano accreditati senza che intervenga alcun tipo di trasferimento o di ricongiunzione.

Circa i periodi utili, ai fini del conseguimento della pensione, essi atterranno sia a tutti quelli prestati presso uno Stato membro fatti  valere in regime speciale per i pubblici dipendenti sia quelli esteri fatti valere in regime generale per lo svolgimento di attività che, se svolta in Italia, avrebbe comportato l’applicazione delle norme vigenti sul coordinamento tra le gestioni previdenziali[22].

Viene inoltre disposto che il diritto a conseguire tale trattamento pensionistico non sorge per periodi anteriori al 25 ottobre 1998 mentre esso potrà essere conseguito solo a partire dal 1° novembre 1998.

In particolare, l’art. 95-quater contiene anche una serie di norme transitorie aventi ad oggetto le situazioni pregresse, disponendo che per la determinazione dei diritti maturati antecedentemente si possono considerare i periodi assicurativi e gli eventi (invalidità, vecchiaia, e morte) verificatesi prima del 25 ottobre 1998 riesaminando -a richiesta degli interessati- sulla base delle disposizioni vigenti prima di tale data, le situazioni già definite sia con provvedimenti di accoglimenti che di reiezione[23].

Riguardo, infine, la competenza a gestire tali istanze, essa spetta all’INPDAP, a cui dovranno essere trasmesse le domande di prestazioni pensionistiche e temporanee di coloro che risultano iscritti unicamente ad un regime italiano per i pubblici dipendenti.

 

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Sondrio, 2002

 

f.to Michele Squeglia

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Note:

[1]Avvocato, Funzionario-Responsabile presso la Direzione INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica) di Sondrio.

[2] Si pensi al rallentamento del ciclo delle nascite o al tasso di sviluppo dell’economia.

[3] Come è noto, il processo di integrazione economica, recepito dal Trattato, ha previsto -conseguentemente al passaggio ad una terza fase (operante dal 1°gennaio 1999)- l’adozione di misure sanzionatorie nei confronti dei Paesi Membri che presentino un eccessivo deficit di bilancio dello stato. Peraltro, al fine di garantire che, dopo aver raggiunto i parametri indicati da Maastricht, i singoli Stati non pongono in atto delle politiche che li portino ad allontanarsi dai criteri fissati, nel corso del vertice di  Dublino del dicembre del 1996, è stato approvato il cd. patto di stabilità in cui si è disposto l’applicazione di sanzioni qualora si superi la soglia del 3% nel rapporto debito pubblico/Prodotto Interno Lordo.

[4] In generale, PERSIANI M., “Diritto della Previdenza sociale”, Padova, 1994; MAZZIOTTI F., “Diritto della Previdenza Sociale”, Napoli,1998.

[5] Per una più estesa trattazione a riguardo si veda CORREALE, “Pensioni (Impiego Pubblico)”, in Enc. giur. XXII, Roma, 1990, nonché dello stesso autore, “Gli aspetti giuridici della pensionistica nel settore del pubblico impiego”  in Informazione previdenziale, vol. I, 1991. 

[6] Sull’emanazione e sui sviluppi del d.p.r. del 1973 n. 1092 si veda DE MARIA, LANFAME, PEPE, SABATINI, “Il trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato e degli iscritti agli  Istituti di Previdenza del Ministero del Tesoro”, Roma, 1976.

[7] A differenza di quanto avveniva per i dipendenti dello Stato, esse erano finanziate da contributi versati in parte da speciali categorie di dipendenti pubblici e in parte dal datore di lavoro.

[8] Ad essa si aggiunsero: a) la Cassa per le pensioni ai sanitari, istituita con la legge del 14.07.1898 n.335; b) la Cassa Pensioni per gli Ufficiali Giudiziari e gli aiutanti ufficiali giudiziari sorta con la legge del 1907 n.754; c) la Cassa di Previdenza per le Pensioni agli impiegati degli Enti Locali, istituita con la legge del 6.03.1904 n. 88; d) la Cassa di previdenza per le pensioni dei salariati degli enti locali disciplinata dalla legge n. 680 del 1938.

[9] Cfr. P. SANDULLI, “Manuale di diritto amministrativo”, Napoli, 1994; Corte Costituzionale del 14.1.78  n. 8; Corte dei Conti, sez. II, del 12.05.82 n. 49970.

[10] Mentre il diritto è imprescrittibile, non lo sono le singole rate di pensione per le quali è, all’inverso, sancito la prescrizione quinquennale, per effetto dell’art. 2 della legge n. 428/85. Quello della imprescrittibilità costituisce una di quelle zone sismiche di cui si è accennato in precedenza -e di cui volentieri se ne farebbe a meno- perché per i lavoratori non appartenenti al settore  pubblico lo stesso diritto risulta non solo prescrittibile ma è anche previsto che i relativi  provvedimenti amministrativi sono impugnabili nel termini di dieci anni,  portando la Corte dei Conti a definire tale condizione giuridica di per sé “anomala” (Corte dei conti, 2.4.90-G.U. del 7.11.90,  pag. 92 e ss).-

[11] E’ fatta salva la revoca della pensione di reversibilità per il venir meno delle condizioni soggettive richieste (art.86) o per il passaggio del coniuge superstite ad altre nozze (art. 81).

[12] Sui motivi storici della separazione tra previdenza pubblica e privata si veda PERSIANI M., “Osservazioni sui regimi pensionistici del Pubblico Impiego” in Sic. Soc. 1977, pag. 339.

[13] Così R. PESSI, “Corrispettività e solidarietà nel nuovo sistema previdenziale”,  in Riforma del Sistema Previdenziale, Padova, 1995.

[14] Sul graduale processo di armonizzazione si veda CINELLI-PERSIANI  (a cura di), “Commentario della riforma previdenziale, dalle leggi Amato alla finanziaria 95”, Milano, 1995.

[15] In particolare, il d.p.r. n. 1092/73 elenca tra di essi: i dipendenti civili e militari dello Stato, i magistrati ordinari, amministrativi e della giustizia militare, gli avvocati e i procuratori dello Stato, gli insegnanti delle scuole e degli istituti di istruzioni statali, delle università nonché i dipendenti delle aziende autonome dello Stato.

 

[16] Un ampio commento delle norme del decreto legislativo in questione è in GULLI’, “Riordino e soppressione degli enti pubblici di previdenza e assistenza” in CINELLI-PERSIANI, op. cit., pag. 43.

[17] In realtà, già in sede di stesura del d.lgs. del 1994 n. 479, istitutivo dell’INPDAP, era già stata prevista la costituzione di un Fondo riservato ai dipendenti statali, la cui disciplina veniva demandata ad un apposito decreto del Presidente della Repubblica da emanarsi entro un termine prefissato.

Resta beninteso che, in attesa della definizione della nuova struttura, restano attribuite alle precedenti Amministrazioni le competenze in ordine alla corresponsione dei trattamenti provvisori per la costituzione di posizioni assicurative presso altre gestioni pensionistiche.

[18] I dati sono forniti dal Sole 24 Ore e dal Ministero del Tesoro.

[19] I dati sono ricavati dalla Relazione del Presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPDAP, circa gli orientamenti e gli obiettivi strategici per il triennio 2000-2003 del CIV, www.inpdap.it

[20] In tal senso, CINELLI-PERSIANI, “Podromi, svolgimenti e prospettive della riforma previdenziale” in ID., “Commentario della riforma previdenziale”, op. cit., pag. 14.

[21] Il regolamento è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale CE “L 209” del 25 luglio 1998.

[22] Per il primo caso, si pensi al lavoratore che abbia svolto un periodo di lavoro presso un’amministrazione pubblica italiana e successivamente si impieghi presso una amministrazione pubblica, per esempio, tedesca, mentre per il secondo caso si individui il lavoratore che abbia prestato attività presso un’amministrazione pubblica italiana e poi un’attività privatistica, per esempio, in Spagna.

[23] Le richieste di riesame vanno presentate entro due anni a decorrere dal 25 ottobre 1998 mentre se presentate successivamente decorrono dalla data della richiesta.