Finanziamento soci in favore della società e postergazione del rimborso

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Il finanziamento dei soci costituisce lo strumento più snello per far affluire alle società di ridotta dimensione risorse finanziarie aggiuntive senza sottostare alle norme che regolano il conferimento di capitale di rischio, con particolare riferimento alle formalità e ai vincoli stabiliti dal Codice civile in materia di aumento e di eventuale, successiva riduzione del capitale sociale.

Ma proprio perché, più in dettaglio, il finanziamento soci a favore delle società a responsabilità limitata può essere agilmente perfezionato e usato, in determinati casi, come una sorta di surrogato a bassa intensità di rischio rispetto alla formale iniezione di “mezzi propri”, ecco che interviene l’art. 2467 c.c. a fissare precisi paletti a tutela dei terzi, creditori della società.

      Indice

  1. La postergazione del diritto al rimborso del finanziamento effettuato dai soci a favore della società  ex art. 2467 c.c.
  2. Il recente orientamento della S.C. (Cass. civ., ordinanza 6 luglio 2022, n. 21422)
  3. Estensibilità dell’art. 2467 c.c. ad altri tipi di società

1. La postergazione del diritto al rimborso del finanziamento effettuato dai soci a favore della società ex art. 2467 c.c.

Ma procediamo con ordine.

Innanzitutto, occorre sottolineare che, a norma dell’art. 2467 c.c., il rimborso dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società a responsabilità limitata cui partecipano è postergato rispetto alla soddisfazione di tutti gli altri creditori.

Ciò, tuttavia, vale non in assoluto e in ogni circostanza, ma solo quando – come stabilito al secondo comma del predetto articolo – tali finanziamenti siano stati concessi “in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società” risulti “un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

Dalla lettura della norma ben si comprende la finalità che si prefigge il legislatore: evitare che, soprattutto nelle società di modeste dimensioni, i soci possano usare lo strumento del finanziamento per ricapitalizzare in maniera surrettizia la società, aggirando i vincoli che l’ordinamento prevede in materia di conferimenti di capitale.

La questione non è di poco conto, giacché l’apporto effettuato dai soci a titolo di finanziamento li pone sullo stesso piano di ogni altro creditore sociale, mentre il medesimo apporto effettuato a titolo di capitale, attribuisce ai soci unicamente il diritto a partecipare alla ripartizione del residuo attivo risultante al termine delle procedure liquidatorie e, dunque, dopo la preventiva soddisfazione di tutti i creditori sociali.

E naturalmente, il rischio di vedersi restituito de residuo gli apporti di capitale effettuati è ben maggiore quando, appunto, la società beneficiaria evidenzi un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o si trovi, comunque, in una situazione finanziaria tale che, per il livello di compromissione raggiunto, appaia preferibile e ragionevole una ricapitalizzazione, piuttosto che la concessione di un finanziamento da parte dei soci.

Tuttavia, se è chiaro lo spirito della norma, non appaiono del tutto pacifiche le sue condizioni di applicabilità, perché generici e non sufficientemente definiti sono i segnali di pericolo in presenza dei quali scatta l’obbligo di postergazione per il finanziamento effettuato dai soci.

Quando, infatti, lo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto potrà essere ritenuto “eccessivo” oppure il conferimento “ragionevole” in rapporto alla situazione finanziaria della società?

Certamente, principi contabili e dottrina economica potranno venire in aiuto, ma non fino al punto di stabilire regole precostituite valevoli in ogni situazione. Non fosse altro perché è lo stesso art. 2467 c.c. a prevedere che qualunque sorta di valutazione in ordine alla inadeguatezza del profilo patrimoniale della società o della sua situazione finanziaria dovrà tenere debitamente conto “del tipo di attività esercitata”.


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2. Il recente orientamento della S.C. (Cass. civ., ordinanza 6 luglio 2022, 21422)

Con propria recente ordinanza (Cass. civ., 6 luglio 2022, n. 21422) la S.C. ha avuto modo di tornare sulle caratteristiche della postergazione di cui all’art. 2467 c.c. e confermarne, in ultima istanza, la natura “sostanziale” oltre che “processuale”. Di modo che, secondo la Cassazione, la postergazione di cui si discute ben può trovare applicazione durante la vita della società e non solo quando si sia in presenza di un concorso in senso tecnico fra creditori, perché la società sia in liquidazione volontaria o contro di essa sia stata avviata un’azione esecutiva individuale o una procedura concorsuale.

E, infatti, già nel 2019 la S.C. (Cass. civ., 15 maggio 2019, n. 12994) aveva affermato che “l’art. 2467 c.c., comma 1, parla di rimborso «postergato» rispetto agli «altri creditori», espressione utilizzata per indicare il meccanismo di posposizione del diritto a quello altrui, non per alludere al momento dell’effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie; come conferma anche la sedes materiae, che è rimasta quella codicistica”.

Su questa scia “sostanzialistica”, gli Ermellini hanno sostenuto che il venir meno delle condizioni di cui al secondo comma dell’art. 2467 c.c. rende attuale, in capo alla società, l’obbligo di restituzione del finanziamento soci.

Ed invero, secondo la citata ordinanza, quando sia stato superato lo squilibrio patrimoniale o la situazione finanziaria “di pericolo” della società, “il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile” anche ove “non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali”, potendosi ritenere realizzata una situazione di soddisfazione “astratta” dei creditori terzi, in virtù del ritrovato equilibrio patrimoniale e finanziario della società.

Vi è, infine, un ulteriore aspetto sui la prefata ordinanza della Cassazione si sofferma ed è quello relativo alla perdita dello status di socio ed ai suoi effetti sulla postergazione ex art. 2467 c.c..

Ebbene, secondo la S.C., sia nel caso di perdita della qualità di socio prima del rimborso del finanziamento, sia nel caso di cessione da parte del socio della partecipazione sociale comprensiva del diritto alla restituzione della somma mutuata, non cambia la situazione: il diritto al rimborso del finanziamento soci rimane postergato.

Non muta, infatti, nelle due circostanze poc’anzi delineate “l’esigenza di tutela dei creditori, restando rilevante, ai fini dell’applicazione della disciplina, unicamente l’integrazione dei presupposti dell’art. 2467 c.c., comma 2, con riguardo al finanziamento a suo tempo concesso alla società partecipata”.

3. Estensibilità dell’art. 2467 c.c. ad altri tipi di società

Dal punto di vista sistematico l’art. 2467 è inserito all’interno delle disposizioni codicistiche che regolano la vita delle società a responsabilità limitata (Libro Quinto, Titolo V, Capo VII).

Ma la norma in questione è davvero applicabile solo ai finanziamenti effettuati a favore della società dai soci di s.r.l. o piuttosto è possibile estenderne l’applicazione ad altri tipi di società?

A favore di un’interpretazione non rigida delle condizioni di applicabilità dell’art. 2467 c.c. anche ai finanziamenti soci effettuati a favore di società diverse da quelle a responsabilità limitata si è più volte pronunciata la Cassazione.

Ma prima ancora, a ben vedere, è lo stesso Codice civile ad aprire un varco in tale direzione, laddove estende l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. alle cosiddette società eterodirette, stabilendo all’art. 2497 quinquies che “ai finanziamenti effettuati in favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l’art. 2467 c.c.”.

Ciò detto, poiché, come abbiamo in precedenza visto, l’art. 2467 c.c. ha l’obiettivo di tutelare la generalità dei creditori sociali, il meccanismo della postergazione del finanziamento soci da esso previsto disincentiva i comportamenti opportunistici dei soci volti a sottopesare la propria esposizione al rischio d’impresa attraverso il ricorso allo strumento del finanziamento in alternativa alla messa a disposizione della società di un apporto a titolo di capitale proprio.

È per questo che con sentenza del 2018 (Cass. civ., 20 giugno 2018, n. 16291) la S.C., riferendosi all’art. 2467 c.c., ha affermato che “tale disciplina deve trovare pertanto applicazione anche al finanziamento del socio di una s.p.a., qualora le condizioni della società siano a quest’ultimo note, per lo specifico assetto dell’ente o per la posizione da lui concretamente rivestita, quando essa sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una s.r.l.”.

E ovviamente, le concrete condizioni di conoscibilità della situazione dell’ente collettivo saranno con maggiore probabilità effettive, ove la s.p.a. abbia modeste dimensioni o abbia una base sociale ristretta o a carattere familiare (cfr. Cass. civ., 17 luglio 2015, n. 14056).

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