Convenzione UNESCO del 2003: previsioni e impatto

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Il patrimonio culturale, nella convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale trova la definizione all’articolo 2
Come indicato in un precedente articolo che ho scritto per Diritto.it, (1) il concetto di patrimonio culturale ha avuto una particolare evoluzione. Si è assistito ad un graduale riconoscimento dapprima di quello che è patrimonio tangibile o materiale e successivamente di quello che è patrimonio intangibile o immateriale. Ora, quest’ultimo, cristallizzato nella Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, nota semplicemente come Convenzione UNESCO del 2003, trova la definizione all’articolo 2[2]. Potremmo pensare che la Convenzione UNESCO del 2003 sia un semplice passo avanti compiuto dagli Stati o che questo sia stato raggiunto come una sorta di automatismo: tuttavia mi pare opportuno inquadrare gli sforzi fatti per capire a fondo la Convenzione di cui parliamo oggi.
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Indice

1. Il contesto e la genesi della Convenzione UNESCO del 2003


È importante considerare il contesto in cui la Convenzione prende forma. Intorno agli anni 60 e 70 era nell’aria un rinnovato interesse per un patrimonio culturale che non riguardasse solamente il tangibile. Un interesse molto sentito a partire dagli anni 70 perché tra il fenomeno della decolonizzazione e l’inizio di un crescente ruolo dell’ONU, tra pregi e difetti del funzionamento dell’organizzazione, si sentiva il bisogno del riconoscimento e della tutela del patrimonio culturale come di una materia in cui nuovi spunti e riflessioni dovessero essere presi in considerazione. Pensiamo alla Convenzione UNESCO del 1972 sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale: una Convenzione il cui obiettivo era la protezione del patrimonio dell’umanità e che introduceva il concetto di outstanding universal value (OUV), cioè l’eccezionale valore universale di un patrimonio culturale e/o naturale. Un riconoscimento internazionale che travalicasse i confini nazionali – pensiamo al centro storico di Roma[3] o a Machu Picchu – ma che per lo più continuava ad essere per il patrimonio materiale. Così dopo questa Convenzione era già opinione diffusa che si dovesse ampliare la tutela ed è qui che espongo brevemente il percorso precedente la Convenzione UNESCO del 2003.
Subito dopo l’emanazione della Convenzione del 1972, il governo boliviano depositò presso l’UNESCO una richiesta di chiarimento per uno strumento giuridico vincolante a livello internazionale destinato alla salvaguardia del folklore che avrebbe dovuto essere aggiunto, sotto forma di Protocollo, alla Convenzione universale sul diritto d’autore del 6 settembre 1952. L’intervento dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI), così sollecitato, diede luogo all’attività di un Comitato di esperti che, pur a seguito di un largo dibattito sulla protezione del folklore, anche con riferimento al suo possibile sfruttamento economico, fu solo in grado di proporre, a distanza di trent’anni, nel 1982, il Model provisions for national law on the protection of expressions of folklore against illicit exploitations and other prejudicial actions[4], evidentemente insufficiente rispetto alle aspettative di partenza. Successivamente, sulla scorta del Model Provisions, UNESCO e OMPI presentarono nel 1984 una bozza comune per una Convenzione, bozza che rimase tale perché la Convenzione non venne mai approvata. Dopo questo insuccesso, l’UNESCO decise di adottare uno strumento di soft law: la Recommendation on the Safeguarding of Traditional Culture and Folklore[5]. Circa dieci anni dopo si assistette per la prima volta nell’ambito dell’attività dell’UNESCO all’uso del termine ‘immateriale’ con la International Consultation on the Preservation of Popular Cultural Spaces – Declaration of the Oral Heritage of Mankind[6] ed in quest’occasione il Marocco presentò una risoluzione per la messa in campo di un Programma del patrimonio immateriale che venne poi approvata dalla Conferenza Generale dell’UNESCO pochi mesi più tardi. Successivamente si giunse alla Proclamation of Masterpieces of the Oral and Intangible Heritage of Humanity: tale Programma era concepito per realizzare un congruo equilibrio nella distribuzione geografica dei beni iscritti nelle Liste UNESCO e aveva il merito non solo di individuare degli esempi di pratiche o di elementi meritevoli di valorizzazione ma anche di sottolineare l’importanza del tema del patrimonio culturale immateriale. Tuttavia, nella Conferenza di Washington tenuta dal 27 al 30 giugno 1999 emerse la debolezza di questo strumento. Ma i lavori svolti fin qui non furono fini a sé stessi: da qui partirono i lavori per la Convenzione del 2003 e furono considerati vari punti fondamentali per l’elaborazione di un nuovo strumento di diritto internazionale. In sede della Conferenza Generale UNESCO tenutasi a Parigi nel 1999[7], fu accolta una mozione per l’approvazione di uno strumento dedicato al patrimonio immateriale. Con la Conferenza Generale UNESCO del 17 ottobre 2003 [8] si adottò la Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale.
Un percorso quindi tortuoso ma affascinante. Cosa ha portato di nuovo la Convenzione UNESCO del 2003?


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2. Punti salienti della Convenzione UNESCO del 2003


La Convenzione UNESCO del 2003 nasce per colmare quel vuoto del diritto internazionale in ambito culturale di cui si erano fatti portavoce diversi paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, che avevano mostrato preoccupazione per la continua perdita ed erosione del loro patrimonio intangibile e per i quali gli elementi legati all’oralità e alla tradizione rappresentano la principale dimensione del patrimonio culturale e naturale. A questo si aggiungeva che la Convenzione UNESCO del 1972 non includeva quel patrimonio che si esprimeva sotto la forma di conoscenze e abilità tradizionali, nella musica, nella danza, nel teatro e nelle performances rituali. A ben vedere proprio per lungo tempo erano rimasti esclusi o sotto-rappresentati nelle liste rappresentative UNESCO i patrimoni dei territori dell’Estremo Oriente o di quelli di Stati in via di sviluppo che, seppur poveri di monumenti, erano ricchi di tradizioni popolari (anche) da proteggere.
La Convenzione UNESCO del 2003 è dunque strutturata allo scopo di apprestare un regime di tutela basato su una concezione di patrimonio di diverso raggio rispetto alla Convenzione del 1972, capace di mettere in primo piano anche il patrimonio culturale immateriale. Così il primo elemento notevole è la definizione di patrimonio culturale immateriale presente all’articolo 2[9].
Un elemento di assoluta novità riguarda il ruolo di primo piano delle comunità. Con la Convenzione UNESCO del 2003 si sottolinea l’importanza del ruolo delle comunità o dei gruppi perché veri e propri soggetti fondamentali: il patrimonio culturale immateriale nasce dalle comunità che lo creano e lo alimentano, ma al contempo le comunità attraverso e con esso preservano la loro identità. Il patrimonio culturale immateriale è pertanto radicato ad una comunità e non necessariamente vincolato ad un singolo territorio: prendiamo ad esempio la Dieta Mediterranea, uno dei numerosi elementi cosiddetti transnazionali iscritti nelle Liste Rappresentative. Nel caso della Dieta Mediterranea dobbiamo fare riferimento alle comunità presenti a Cipro, Croazia, Spagna, Grecia, Italia, Marocco e Portogallo[10]: non vi è alcuna precedenza di uno Stato su un altro o di una comunità su un’altra, è semplicemente un patrimonio condiviso.
La centralità del ruolo delle comunità o dei gruppi è presente nell’impianto della Convenzione. Sono proprio loro infatti ad essere il perno in tema di salvaguardia del patrimonio immateriale. Per citare dei casi: in base all’articolo 11 b), le comunità devono essere coinvolte nel processo di identificazione e individuazione del patrimonio culturale immateriale; in base all’articolo 14, sono tenute in considerazione in riferimento ad un obbligo degli Stati di promuovere attività di educazione e sensibilizzazione; in base all’articolo 15, gli Stati devono assicurare la più ampia partecipazione possibile delle comunità, dei gruppi e degli individui alla salvaguardia e alla gestione del loro patrimonio culturale immateriale.
E così sempre per rimanere in tema di salvaguardia si aggiunge un ulteriore tassello. Uno dei punti salienti della Convenzione UNESCO del 2003 è infatti la previsione di due liste:
–        La Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale, e
–        La Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale che necessita di urgente tutela.
Se la prima include un catalogo molto ampio del patrimonio culturale immateriale con ben 567 elementi, la seconda, con 76[11], include invece quello che rischia di scomparire per vari motivi come conflitti, degrado dell’ecosistema, poca trasmissione della conoscenza, poco interesse delle generazioni più giovani, sviluppo urbano, cambiamenti socio-culturali repentini etc.
Prestiamo inoltre attenzione ad un altro elemento delle Liste: il ricorso alla creazione di questi cataloghi ha un fine. L’articolo 16 della Convenzione precisa il significato delle liste in questione che è quello di “garantire una migliore visibilità del patrimonio culturale immateriale, di acquisire la consapevolezza di ciò che esso significa e d’incoraggiare un dialogo che rispetti la diversità culturale”.
Infine, pur nella rilevanza del contenuto delle disposizioni, la Convenzione UNESCO del 2003 rimette agli Stati molte attività nella realizzazione della protezione e valorizzazione del patrimonio culturale immateriale. Basta consultare la sezione III “Safeguarding of the intangible cultural heritage at the national level” per notare come gli Stati mantengono un ampio margine di discrezionalità di tipo legislativo e amministrativo.

3. Considerazioni finali


La Convenzione UNESCO del 2003 è senza dubbio un importante strumento del diritto internazionale e un fondamentale testo in materia di diritto internazionale del patrimonio culturale. Dalla sua entrata in vigore nell’aprile del 2006, si è assistito ad un continuo aggiornamento delle attività dell’UNESCO sul patrimonio culturale immateriale.
Nei primi 10 anni per esempio sono stati realizzati: le Operational Directives for the Implementation of the Convention che, nella prima forma risalente al 2008, hanno definito le modalità per l’iscrizione nelle Liste; l’assistenza finanziaria ed le comunicazioni periodiche[12]; il meccanismo internazionale di assistenza che fino ad ora è stato richiesto da una sessantina di Stati per un totale di più di un centinaio di progetti finanziati; la creazione dell’Intangible Cultural Heritage NGO Forum che permette di favorire la comunicazione e lo scambio di buone pratiche tra le organizzazioni non governative riconosciute dalla Convenzione del 2003.
Negli ultimi 20 anni, si riscontra un notevole interessamento della materia dato che gli Stati hanno riconosciuto ampiamente il patrimonio culturale immateriale con normative nazionali (pensiamo all’Italia con l’introduzione dell’articolo 7 bis del Codice dei Beni Culturali).
La Convenzione rappresenta uno dei trattati internazionali con più Stati parte, ben 181, un testo perciò di una portata veramente internazionale e che ha segnato altri strumenti di diritto internazionale in materia, uno su tutti la Convenzione sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005 che è nota come Convenzione di Faro.

Bibliografia e sitografia


D’Alessandro, C. A. (2021) La tutela giuridica del patrimonio culturale immateriale: uno studio di diritto comparato. Milano: Wolters Kluwer-CEDAM (CISR, Centro italiano per lo sviluppo della ricerca, 67).
Lixinski, L. (2013) Intangible cultural heritage in international law. First edn. Oxford, United Kingdom: Oxford University Press (Cultural heritage law and policy).
Petrillo, P. L. (2019) The legal protection of the intangible cultural heritage : a comparative perspective. Cham: Springer.
Blake, J. (2006) Commentary on the 2003 UNESCO convention on the safeguarding of the intangible cultural heritage. Leicester: Institute of Art and Law.
 
Sitografia consultata
Text of the Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO.
UNESCO World Heritage Centre – Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage.

  1. [1]

    Definizione “patrimonio culturale” in diritto internazionale.

  2. [2]

    For the purposes of this Convention,
    1. The “intangible cultural heritage” means the practices, representations, expressions, knowledge, skills – as well as the instruments, objects, artefacts and cultural spaces associated therewith – that communities, groups and, in some cases, individuals recognize as part of their cultural heritage. This intangible cultural heritage, transmitted from generation to generation, is constantly recreated by communities and groups in response to their environment, their interaction with nature and their history, and provides them with a sense of identity and continuity, thus promoting respect for cultural diversity and human creativity. For the purposes of this Convention, consideration will be given solely to such intangible cultural heritage as is compatible with existing international human rights instruments, as well as with the requirements of mutual respect among communities, groups and individuals, and of sustainable development.

    2. The “intangible cultural heritage”, as defined in paragraph 1 above, is manifested inter alia in the following domains:
    (a) oral traditions and expressions, including language as a vehicle of the intangible cultural heritage;
    (b) performing arts;
    (c) social practices, rituals and festive events;

    (d) knowledge and practices concerning nature and the universe;
    (e) traditional craftsmanship.
    ”.

  3. [3]

    Per dovere di correttezza bisogna però precisare che quello che è iscritto al Patrimonio dell’umanità è “Historic Centre of Rome, the Properties of the Holy See in that City Enjoying Extraterritorial Rights and San Paolo Fuori le Mura”.

  4. [4]

    Model provisions for national laws on the protection of expressions of folklore against illicit exploitation and other prejudicial actions, with a commentary – UNESCO Digital Library.

  5. [5]

    Recommendation on the Safeguarding of Traditional Culture and Folklore | UNESCO.

  6. [6]

    rapport final-en (unesco.org).

  7. [7]

    Records of the General Conference, 30th session, Paris, 26 October to 17 November 1999, v. 1: Resolutions – UNESCO Digital Library.

  8. [8]

    Records of the General Conference, 32nd session, Paris, 29 September to 17 October 2003, v. 1: Resolutions – UNESCO Digital Library.

  9. [9]

    Vedi nota numero 2.

  10. [10]

    Mediterranean diet – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO.

  11. [11]

    Browse the Lists of Intangible Cultural Heritage and the Register of good safeguarding practices – intangible heritage – Culture Sector – UNESCO. Numeri consultati il 12 giugno 2023

  12. [12]

    Le Operational Directives in questi 20 anni sono state modificate più volte: nel 2010, 2012, 2014, 2016, 2018, 2020 e 2022. L’innovazione in questo senso è di assoluta importanza per dare un significato contemporaneo alla Convenzione.

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Lorenzo Venezia

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