Coltivazione di cannabis “light” e sequestro probatorio

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La Terza Sezione penale, in tema di stupefacenti, ha affermato che il controllo demandato, ex art. 4, comma 1, legge 2 dicembre 2016, n. 242, al Corpo Forestale dello Stato in relazione alla coltivazione di “cannabis sativa L”, in quanto finalizzato ad accertare il rispetto delle condizioni in presenza delle quali la legge citata stabilisce la liceità di tale attività, ha natura diversa rispetto all’ordinario controllo di polizia, finalizzato ad acquisire elementi di prova per l’accertamento di reati, sicché non assume rilievo, ai fini della legittimità del sequestro probatorio eseguito in relazione al delitto di illecita coltivazione di organismi vegetali da cui sono ricavabili sostanze stupefacenti, il mancato rispetto, da parte della polizia giudiziaria operante, della procedura contemplata dal citato art. 4.

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Corte di Cassazione – Sez. III Pen. – Sent. n. 28501 del 16/07/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale del riesame di Como ha confermato il decreto di convalida del sequestro probatorio emesso dal PM nei confronti dell’indagato per il reato di cui all’art. 73, T.U. sugli stupefacenti, ed avente ad oggetto della marijuana rinvenuta nella disponibilità del ricorrente.
Avverso l’ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione deducendo tre motivi: 1) violazione di legge in relazione al dovere di motivare adeguatamente il provvedimento ed in particolare alla omessa indicazione da parte del pubblico ministero delle modalità della presunta azione delittuosa e del nesso di pertinenza tra beni in sequestro e reato; 2) violazione di legge in quanto il giudice del riesame avrebbe ritenuto non fondate le doglianze concernenti il mancato rispetto delle procedure di cui all’art. 4, l. n. 242 del 2016 per essere stato infatti operato il sequestro ai sensi dell’art. 354 cod. proc. pen.; 3) violazione di legge in quanto l’indagato svolgeva attività di coltivazione lecita ai sensi della legge n. 242 del 2016, sicché gli organi inquirenti avrebbero dovuto vagliare e specificare le ragioni per le quali quella coltivazione di per sé non costitutente reato integrasse in concreto un illecito penale.
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Stupefacenti – Manuale pratico operativo

Il presente manuale vuole offrire una panoramica della disciplina giuridica degli stupefacenti che, partendo dalla ricostruzione dell’iter normativo e giurisprudenziale segnato dalle molteplici riforme e decisioni della Corte costituzionale, affronta le problematiche più attuali all’attenzione delle aule giudiziarie.Il richiamo continuo alla giurisprudenza e alla dottrina consente di avere chiari punti di riferimento per un approccio critico e, nello stesso tempo, pratico alla disamina delle questioni trattate. L’analisi delle fattispecie incriminatrici – tra cui ampio spazio è dedicato, tra gli altri, al reato associativo, alla coltivazione e detenzione di sostanza stupefacente, al fatto lieve – ripercorre i principali arresti di legittimità e spunti di riflessione utili all’operatore del diritto.Un particolare focus è stato riservato alle misure cautelari reali, con specifico riferimento ai sequestri di canapa industriale, per via delle problematiche ancora irrisolte nella giurisprudenza, tra cui il tema dell’efficacia drogante e della commercializzazione delle infiorescenze e dei preparati a base di cannabidiolo (CBD).Claudio Miglio e Lorenzo Simonetti,Avvocati cassazionisti del Foro di Roma, titolari dell’omonimo Studio legale che da anni ha una particolare attenzione al fenomeno degli stupefacenti e al mercato della canapa industriale. Relatori in convegni e corsi di formazione.

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2. Coltivazione di cannabis “light” e sequestro probatorio: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare complessivamente infondato il ricorso, esamina congiuntamente il primo e il terzo motivo, osservando che i giudici del riesame, con riferimento al nesso di pertinenzialità tra quanto sequestrato ed il reato ipotizzato, nonché con riferimento alla concreta finalità probatoria, lo hanno ritenuto del tutto legittimo, facendo il decreto di convalida riferimento alla necessità di acquisire riscontri all’ipotesi di reato in esame, anche attraverso l’esecuzione di accertamenti tecnici.
La Suprema Corte riprende un consolidato principio secondo il quale “il sequestro e l’eventuale procedimento di riesame non devono anticipare il definitivo accertamento della sussistenza del reato che forma oggetto dell’indagine del processo, perché in tal modo verrebbe alterata e stravolta la sfera delle specifiche attribuzioni dei giudici nelle singole fasi del processo“. Il controllo del Tribunale del riesame sul decreto di convalida concerne la ragione del sequestro e, qualora, come nel caso in esame, si tratti di sequestro probatorio, la necessità delle cose necessarie per l’accertamento dei fatti.
Da ciò consegue che “il decreto di sequestro deve essere giustificato e motivato soltanto mediante l’indicazione della fattispecie concreta nei suoi estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione, nonché della norma penale che si assume violata, con esclusione di qualsiasi indagine preventiva sulla sussistenza del reato“.
Ad avviso della Corte, dunque, ciò che conta è che l’azione investigativa del pubblico ministero si fondi su fatti che la giustifichino sul piano razionale, non potendosi impedire alla logica di plasmare su quei fatti un’ipotesi di lavoro.
Per ciò che concerne il secondo motivo, invece, viene chiarito come il Tribunale del riesame abbia fatto effettivamente buon governo della disposizione dell’art. 4, l. n. 242 del 2016, la quale fa “salvo ogni altro tipo di controllo da parte degli organi di polizia giudiziaria eseguito su segnalazione e nel corso dello svolgimento di attività giudiziarie“.
Ebbene, proprio il riferimento ad “altro tipo di controllo” rende ragione della finalità diversa che il controllo eseguito dalla polizia giudiziaria riveste rispetto ai controlli contemplati dalla generale previsione dettata, per il solo Corpo Forestale dello Stato, dal comma 1 dell’art. 4 cit.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha sancito la legittimità dei provvedimenti contro i quali si è proposto ricorso e ha chiarito che i controlli effettuati erano finalizzati ad accertare il rispetto delle condizioni in base alle quali la l. n. 242 del 2016 consente la liceità della coltivazione e non invece i controlli, svolti dalla polizia giudiziaria, che hanno tipicamente finalità diverse.
Per questi motivi, la Cassazione ha rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

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