Si procede ad una panoramica sostanziale di quanto contenuto nel DDL Lavoro approvato alla Camera in data 9 ottobre 2024. In particolare, si tratterà di disposizioni in tema di: somministrazione di lavoro; norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di attività stagionali; durata del periodo di prova e norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro.
All’approvazione del DDL abbiamo dedicato l’articolo: “Politiche per il lavoro e previdenziali, ok dalla Camera”. Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti
Indice
- 1. Disposizioni in tema di somministrazione di lavoro
- 2. Norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di attività stagionali
- 3. Durata del periodo di prova
- 4. Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro
- Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
1. Disposizioni in tema di somministrazione di lavoro
L’art.10 DDL Lavoro prescrive una serie di regole di ampio respiro che rivoluzionano l’attuale disciplina della somministrazione. In tal senso, l’elaborato tenta di individuare le maggiori novità.
1.1. Conversione automatica del contratto di somministrazione a T.D. in uno a T.I.
Ai sensi dell’art. 10 co.1 DDL Lavoro sono soppressi al primo comma dell’art. 31 D.lgs. n. 81/2015 il quinto e il sesto periodo, che affermano:
“Nel caso in cui il contratto di somministrazione tra l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore sia a tempo determinato l’utilizzatore può impiegare in missione, per periodi superiori a ventiquattro mesi anche non continuativi, il medesimo lavoratore somministrato, per il quale l’agenzia di somministrazione abbia comunicato all’utilizzatore l’assunzione a tempo indeterminato, senza che ciò determini in capo all’utilizzatore stesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il lavoratore somministrato (quinto periodo). La disposizione di cui al periodo precedente ha efficacia fino al 30 giugno 2025 (sesto periodo)”.
In forza dei due periodi, nel caso di somministrazione con lavoratori assunti dal somministratore (l’Agenzia) a T.I, l’impiego degli stessi (dei lavoratori) da parte dell’utilizzatore per un periodo superiore a 24 mesi non comporta l’automatica conversione del contratto a termine (fra lavoratore e utilizzatore) in un contratto a tempo indeterminato.
Ebbene, nell’ipotesi di espunzione delle suddette disposizioni verrebbe meno quell’eccezione alla regola generale secondo cui la durata del rapporto a termine fra utilizzatore e somministrato non può superare i 24 mesi, pena l’automatica conversione dello stesso in un rapporto a tempo indeterminato.
Nell’economica del rapporto quanto sopra si tradurrebbe in una sostanziale modifica del lato passivo del legame, giacché nell’ambito del contratto a T.I. il datore di lavoro, che è individuato inizialmente nella figura del Somministrante (l’Agenzia), in caso di conversione, sarà identificato nell’Utilizzatore.
1.2. Estensione deroghe limiti quantitativi e qualitativi
L’art. 10 DDL Lavoro estende le possibilità di esenzione alle limitazioni quantitative stabilite per i rapporti di lavoro a termine anche ai contratti di somministrazione.
Infatti, viene aggiunto al co.2. dell’art. 31 D.lgs. n. 81/2015, che già prescrive alcune ipotesi di deroga al limite percentuale di contratti di somministrazione (pari al 30% dei lavoratori a tempo indeterminato se si tratta di contratti a T.I. e al 20% se si tratta di contratti a T.D.), un rinvio all’art. 23 co.2 del decreto stesso, che afferma:
“sono esenti dal limite di cui al comma 1 (20%), nonché da eventuali limitazioni quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo determinato conclusi:
a) nella fase di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici; b) da imprese start-up innovative di cui all’articolo 25, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012, per il periodo di quattro anni dalla costituzione della società ovvero per il più limitato periodo previsto dal comma 3 del suddetto articolo 25 per le società già costituite; c) per lo svolgimento delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2;
d) per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi o per la produzione di specifiche opere audiovisive; e) per sostituzione di lavoratori assenti; f) con lavoratori di età superiore a 50 anni”.
Altresì, l’art. 10 DDL lavoro prevede che sia esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori che siano a loro volta assunti dal somministratore con contratto a tempo indeterminato.
Di conseguenza, pare chiara la novità, giacché l’utilizzatore potrebbe affidarsi esclusivamente a dipendenti somministrati purché:
i) questo rientri in una di quelle categorie di cui alle lett. a)-b)-c)-d)-e)-f) art. 23 co.2 D.gsl. n. 81/2015;
ii) a prescindere dalle condizioni di cui sopra, gli stessi lavoratori somministrati siano stabilmente contrattualizzati (siano, cioè, assunti con contratto a tempo indeterminato) dal somministratore.
1.3. Deroga condizioni ex. art. 19 D.Lgs. n. 81/2015
L’art. 19 co.1 D.lgs. n. 81/2015 stabilisce le condizioni affinché un contratto a termine possa proseguire oltre 12 mesi, per un massimo di 24. In particolare, la norma individua tre casi in cui ciò è possibile: a) nei casi previsti dal CCNL, b) per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva, c) in sostituzione di altri lavoratori.
Ebbene, l’art 10 DDL lavoro, stabilendo che “le condizioni di cui all’articolo 19, comma 1, non operano in caso di impiego di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati”, autorizza il datore di lavoro a impiegare per oltre 12 mesi (per un massimo di 24) tutti quei lavoratori che si trovino in determinate situazioni, purtuttavia mancando le condizioni di cui alle lett. a), b) e c) elencate sopra.
Per approfondire sul rapporto di lavoro subordinato consigliamo il volume: Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
50.40 €
2. Norma di interpretazione autentica dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di attività stagionali
Il co. 2 art. 21 D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce: “il lavoratore riassunto a tempo determinato dopo dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in un contratto a tempo indeterminato”.
La norma impone una “pausa” obbligatoria nei casi di plurimi rinnovi contrattuali. Infatti, questa impone che possa procedersi al rinnovo solo quando sia decorso un certo termine dalla data di scadenza del contratto:
– 10 giorni quando quest’ultimo abbia una durata pari o inferiore a sei mesi;
– 20 giorni per quel contratto che abbia una durata di oltre i 6 mesi.
La disposizione altresì prescrive che il mancato rispetto di tale periodo comporti l’automatica conversione del rapporto da determinato a indeterminato.
Ebbene, lo stesso co. 2 art. 21 D. Lgs. n. 81/2015 stabilisce che tale regola non trovi applicazione nei casi di lavoratori impiegati nelle attività stagionali.
In tal senso, il DDL Lavoro individua con precisione quali siano i lavoratori impiegati stagionalmente, definendo e ampliando il concetto stesso di attività stagionale, affermando:
“rientrano nelle attività stagionali, oltre a quelle indicate dal decreto del Presidente della Re pubblica 7 ottobre 1963, n. 1525, le attività organizzate per fare fronte a intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, nonché a esigenze tecnico-produttive o collegate ai cicli stagionali dei settori produttivi o dei mercati serviti dall’impresa”.
3. Durata del periodo di prova
In particolare, stabilisce quanto di seguito:
“Fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro. In ogni caso la durata del periodo di prova non può essere inferiore a due giorni né superiore a quindici giorni, per i rapporti di lavoro aventi durata non superiore a sei mesi, e a trenta giorni, per quelli aventi durata superiore a sei mesi e inferiore a dodici mesi”.
La norma potrebbe frenare l’incertezza che ha da sempre caratterizzato i criteri per la determinazione della durata del periodo di prova nell’ambito del contratto a termine, definendo un meccanismo automatico di determinazione della durata del periodo stesso.
Infatti, se attualmente la durata del periodo di prova è generalmente stabilita dal CCNL di riferimento, con la precisazione che, come prescritto dall’art. 7 d.lgs. n. 48/2023, questo non può avere una durata superiore a 6 mesi, l’attuale DDL lavoro, stabilisce che:
a) per i contratti di lavoro a termine di durata pari o inferiore a 6 mesi la durata del periodo di prova non può essere né inferiore a 2 giorni né superiore a 15.
b) per i contratti di lavoro a termine di durata superiore a 6 mesi la durata del periodo di prova non può oltrepassare i 30 giorni.
Ebbene, nel rispetto delle suddette cornici, si prevede che i giorni complessivi siano computati in relazione ai giorni di effettiva prestazione, ed in particolare si afferma che 15 giorni di prestazione effettiva equivalgano a un giorno di prova. (Esempio contratto a termine di 45 giorni: periodo di prova pari a 3 giorni)
4. Norme in materia di risoluzione del rapporto di lavoro
L’art. 19 co.1 DDL Lavoro afferma quanto segue:
“All’articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, dopo il comma 7 è inserito il seguente: «7-bis. In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”
La ratio della norma è di facile intuizione: frenare quella pratica largamente diffusa in cui il lavoratore, reiterando la sua assenza, “obbliga” il datore di lavoro a irrogargli il licenziamento così da poter accedere alla indennità di disoccupazione.
Infatti, prevedendo che in caso di assenza ingiustificata del lavoratore oltre il termine previsto dal CCNL o, in mancanza, oltre i quindici giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore (come se fossero dimissioni), la condizione necessaria per l’accesso all’indennità, l’irrogazione del licenziamento, verrebbe meno.
In tal caso, la novità starebbe nel fatto che la dimissione del lavoratore non è espressa, ma si deduca dalla circostanza che il lavoratore si sia assentato ingiustificatamente per un lungo periodo.
Ovviamente, è fatta salva la possibilità dell’interessato di superare tale presunzione, provando l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza.
Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia. Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento