SOMMARIO: 1) La struttura della previgente fattispecie di cui all?art. 2631 cod. civ.; 2) L?impostazione normativa dell?infedelt? patrimoniale nella previsione dell?attuale art. 2634 cod. civ.; 3) Successione di norme e soluzioni teoriche in ordine alla questione della continuit? normativa tra fattispecie incriminatrici; 4) Orientamenti giurisprudenziali: la posizione delle Sezioni unite sul tema della distinzione tra abrogazione e continuit? normativa; 5) Considerazioni conclusive.
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1.?????? La struttura della ?previgente fattispecie di cui all?art. 2631 cod. civ.
L?analisi della pronuncia della Corte di Cassazione n. 8673/04, riportata in calce, che interviene in merito alla delicata questione interpretativa relativa alla configurabilit? del rapporto di continuit? normativa fra il modello delittuoso contrassegnato dalla violazione delle disposizioni in materia di conflitto di interessi, di cui al previgente art. 2631 cod.civ., e l?ipotesi di reato, contenuta nell?attuale art. 2634 cod.civ., rubricata come infedelt? patrimoniale, caratterizzata dall?avere operato il soggetto agente in una situazione di conflitto d?interessi – ipotesi di reato introdotta con la riforma dei reati societari, attuata con l?entrata in vigore del d.lgs. 15 aprile 2002, n. 61 -, deve assumere come premessa una comparazione tra le due fattispecie in questione.
???? Ad un primo sguardo, in effetti, risulta evidente una parziale sovrapponibilit? fra gli elementi costitutivi delle condotte tipiche descritte dalle due fattispecie appena citate.
???? Anteriormente alla predetta riforma del 2002, l?art. 2631 cod.civ. (1) rappresentava la sola norma volta ad apprestare una tutela di carattere generale rispetto al dovere di fedelt? degli amministratori. La norma in parola qualificava, iinfatti, come delitto, sanzionandola con la pena pecuniaria della multa, la condotta di chi tra gli amministratori di una societ?, <<avendo in una determinata operazione, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della societ?>>, non si asteneva dal <<partecipare alla deliberazione, del consiglio o del comitato esecutivo, relativa all?operazione stessa>>; in pi?, era prevista, nel comma successivo, l?applicazione, oltre alla multa, della pena detentiva, nell?ipotesi in cui <<dalla deliberazione o dalla operazione fosse derivato pregiudizio alla societ?>>.
???? Secondo l?opinione prevalente in dottrina, il disposto in oggetto rappresentava ipotesi di reato di pericolo presunto, configurandosi la norma sul conflitto d?interessi, cos? come espressa, come figura di mero delitto di infedelt?, alla cui realizzazione appariva pertanto estraneo l?elemento del danno: il tenore letterale del primo comma della norma in parola, infatti, autorizzava la conclusione – secondo i sostenitori di quest?indirizzo esegetico (2) – che la punibilit? fosse giustificata anche nel caso in cui, dalla delibera del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, a cui avesse partecipato l?amministratore in conflitto d?interessi, la societ? avesse tratto, non un danno, bens? un vantaggio; mentre il concretarsi del danno raffigurava, ai sensi? del 2? comma dell?art. 2631 cod.civ., unicamente circostanza aggravante dell?illecito penale societario.
???? A questo orientamento ricostruttivo, definito in letteratura giuridica come formalistico, se ne contrappose un altro, c.d. sostanzialistico, di cui era espressione la posizione assunta dalla Corte di Cassazione nella prima sentenza pronunciata in materia (3).
???? La Suprema Corte, in tale decisione, aveva affermato che si dovesse giudicare non integrata la violazione della norma sul conflitto d?interessi, di cui all?art. 2631, <<ogniqualvolta l?amministratore>> avesse partecipato <<alla delibera sostenendo decisamente la soluzione favorevole alla societ? e votando per essa>>. Il modello delittuoso in oggetto, cio?, rappresentava, a parere dei giudici di legittimit? del ?59, ipotesi di reato di pericolo concreto di un danno alla societa commerciale, con conseguente necessit? di prova, ai fini dell?applicazione della sanzione prevista dalla norma in esame, della reale messa in pericolo del patrimonio della societ? stessa.
????? A fondamento della propria conclusione, in ordine alla natura giuridica del reato de quo ed al conseguente ambito applicativo delle sanzioni previste dall?art. 2631, la Corte di Cassazione pose la distinzione tra presenza e partecipazione alla votazione della delibera, consideradoli concetti non coincidenti tra di loro, specificando che l?espressione codicistica ?non si astiene dal partecipare alla deliberazione del consiglio? andasse riferita semplicemente <<all?astensione dall?esercizio del diritto di voto e non all?astensione dalle discussioni o dalla presenza alla delibera>>, e giungendo per questa via interpretativa a ritenere che solo la partecipazione dell?amministratore alla formazione del giudizio dell?assemblea, mediante l?esercizio del suo diritto di voto a sostegno della decisione sfavorevole per la societ?, potesse costituire illecito penalmente sanzionato.
????? Ci? nonostante, il disposto normativo in esame fu valutato, nell?ambito della dottrina penalistica (4), incapace di disciplinare situazioni in cui, in particolare, all?interesse della singola societ? si fosse aggiunto un interesse estraneo a quello dell?ente collettivo commerciale, a causa dell?attribuzione da parte della legge di un eccessivo spazio di intervento da parte del giudice in termini di possibilit? di controllo ex post, di merito e di opportunit?, circa la rilevanza del conflitto d?interessi rispetto alla deliberazione del consiglio d?amministrazione, con la conseguente difficolt? di rispetto del principio di tassativit? della norma penale.
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2.?????? L?impostazione normativa dell?infedelt? patrimoniale nella previsione dell?attuale art. 2634 cod. civ.
???? ?L?attuale art. 2634 cod.civ., a seguito della riforma nel 2002 del titolo XI del codice civile, dispone che <<gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della societ?, al fine di procurare a s? o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla societ? un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione [?]. La stessa pena si applica se il fatto ? commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla societ? per conto di terzi, cagionando a questi ultimi un danno patrimoniale. In ogni caso non ? ingiusto il profitto della societ? collegata o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall?appartenenza al gruppo. Per i delitti previsti dal primo e secondo comma si procede a querela della persona offesa>>.
????? Al fine della corretta interpretazione della norma in oggetto, va osservato in primo luogo che, in ordine alla definizione di interesse relativo all?attivit? d?impresa, si sono affermati – in letteratura giuridica – modelli interpretativi differenti: secondo un primo orientamento ricostruttivo (denominato, in dottrina, come contrattualistico), che privilegia i titolari delle partecipazioni sociali, l?interesse sociale va identificato con quello comune dei soci, inteso, sotto un profilo di valutazione a carattere oggettivo, come ci? che rappresenti il meglio per l?insieme degli interessi particolari e qualitativamente uguali dei soci, in funzione del raggiungimento dello scopo comune, e da cui andrebbe esclusa l?incidenza di interessi esclusivamente soggettivi.
? ????In senso critico rispetto al modello appena esposto, la diversa concezione ricostruttiva, cd. istituzionalistica, afferma la coincidenza dell?interesse sociale con l?interesse esclusivo dell?impresa in s? considerata, come autonomo soggetto di diritto (5), indipendentemente dall?interesse dei soci considerati nel loro complesso.
???? Alla luce dell?attuale riforma, e soprattutto di fronte alla procedibilit? a querela per molti reati societari – tra questi, come osservato, la stessa infedelt? patrimoniale – ? apparsa prevalere in dottrina (6) l?interpretazione conforme alla prima concezione sopra analizzata, tale che debba ritenersi che l?interesse personale dell?amministratore, direttore generale o liquidatore, corrispondente al vantaggio personale derivante dall?operazione decisa dall?assemblea – che pu? essere di stampo diretto, e cio? proprio del soggetto agente, o indiretto, cio? orientato a favorire anche, oppure in via esclusiva, terzi estranei alla societ? – deve porsi, ai fini dell?integrazione del reato in esame, in contrasto con un interesse oggettivo funzionale al raggiungimento dello scopo comune dei soci in ordine alla singola operazione in questione.
???? Ulteriormente, il tenore letterale della norma, in particolare il riferimento al danno patrimoniale cagionato alla societ? mediante l?atto dispositivo, ha condotto la dottrina alla conclusione che l?interesse sociale in conflitto deve avere natura esclusivamente economica, mentre, parrebbe che l?interesse extrasociale confliggente dell?amministratore, direttore generale o liquidatore possa avere anche carattere non patrimoniale (7).
????? A differenza che nella previgente disposizione di cui all?art. 2631 cod.civ., rappresentando l?art. 2634 cod.civ. un modello delittuoso con evento di danno, la configurabilit? del tentativo ? senz?altro possibile; ne ? esempio tipico, per la dottrina (8), l?ipotesi concreta dell?opposizione esercitata dal presidente del consiglio di amministrazione della societ? che impedisca il compimento dell?iniziativa delittuosa dell?amministratore di deliberare un atto pregiudizievole per la stessa societ?.?
????? L?elemento soggettivo dell?attuale reato di infedelt? patrimoniale ? costituito, in base all?interpretazione letterale della norma in esame, dal dolo intenzionale (il danno patrimoniale – statuisce il codice – deve essere, infatti, causato ?intenzionalmente?),?e specifico (in quanto indirizzato ?al fine di procurare a s? o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio?).
????? Secondo la prevalente dottrina, l?inciso ?fine di?ingiusto profitto o altro vantaggio? fa riferimento, in assenza di altra specificazione, ad una qualsiasi soddisfazione, piacere o vantaggio, patrimoniale o meno, non tutelato o consentito dall?ordinamento. E? di tutta evidenza, infatti, che la qualifica di ingiusto risulta limitata al profitto e non attiene al vantaggio, perch?, se il legislatore avesse voluto estendere tale qualificazione anche a quest?ultimo elemento, avrebbe usato una differente formula, come per esempio, ?profitto e vantaggio ingiusti?.
????? E? da ritenere, pertanto, che l?art. 2634 consenta, sotto questo profilo, la punibilit? anche di quelle condotte degli amministratori che siano sorrette da una finalit? non di arricchimento patrimoniale, ma da finalit? di altro genere che comunque rappresentino un?utilit? per se stesso o per terzi soggetti.
????? In ordine all?altro requisito dell?elemento soggettivo, l?intento emulatorio, ovvero l?intenzionalit? di procurare un danno patrimoniale alla societ?, l?avverbio ?intenzionalmente? ha ristretto, con riferimento alla previgente norma sul conflitto d?interessi, i confini di rilevanza penale della fattispecie incriminatrice, poich?, secondo la tesi dominante in dottrina (9), e conformemente all?interpretazione che, di tale forma espressiva, ha dato la Corte di Cassazione (10) ? in occasione dell?esame della fattispecie di abuso d?ufficio di cui all?art. 323 cod. pen. – la volont? dell?autore del delitto in narrativa deve essere diretta in modo inequivoco alla realizzazione del danno patrimoniale alla societ? e non sarebbe, pertanto, sufficiente la mera accettazione del rischio del possibile verificarsi del danno (cd. dolo eventuale).
????? Ci? nondimeno, questa lettura dell?avverbio ?intenzionalmente? non si presenta, in dottrina, come inevitabile, dal momento che parte della letteratura giuridica sembra intendere tale locuzione come riferibile ad ogni forma di condotta dolosa, anche se qualificata soltanto dal dolo eventuale (11).?
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3. ?Successione di norme e soluzioni teoriche in ordine alla questione della continuit? normativa tra fattispecie incriminatrici.
?????? Ultimata l?esegesi delle norme oggetto della sentenza in epigrafe, va? puntualizzato, ai fini dell?individuazione del rapporto tra le due fattispecie analizzate, che il fenomeno della modificazione legislativa di uno o pi? elementi costitutivi di una fattispecie incriminatrice, presenta sia in letteratura giuridica che nella prassi giudiziaria un alto tasso di problematicit? interpretativa. La distinzione, infatti, tra il fenomeno abrogativo e quello meramente modificativo costituisce problema di sempre maggiore rilievo, come testimonia l?intensificarsi dello sforzo interpretativo scientifico al riguardo.
???? ?In merito, invero, le stesse Sezioni Unite del 2000, nel valutare la sussistenza della continuit? normativa fra l?illecito penale di frode tributaria di cui all?art. 4 lett. f) D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516 e la nuova ipotesi di dichiarazione fraudolenta di cui all?art. 2 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, dopo aver evidenziato l?assenza, in guirisprudenza, di <<un orientamento prevalente ed univoco>>, rilevavano opportunamente come <<la giurisprudenza di questa Corte [?] spesso combina i vari criteri fra loro per assurgere ad una soluzione soltanto logicamente compatibile>> (12).
?????? ? opportuno, a questo riguardo, ricordare, pertanto, i principali criteri enucleati in letteratura giuridica.
?????? In via generale, pu? dirsi che tutte le teorie proposte dalla dottrina italiana, come anche da quella d?oltralpe, confluiscono, in linea di massima – da un punto di vista metodologico – in due grandi categorie: nella prima vanno collocate quelle concezioni che procedono, nell?individuazione della continuit? normativa, al raffronto del ?fatto storico con le fattispecie incriminatrici succedutesi nel tempo: in tale categoria, va ricondotta la teoria, di origine tedesca, dell?applicazione in concreto (13); nella seconda categoria confluiscono, invece, quelle dottrine il cui unico elemento condiviso va individuato nella convinzione che la linea di confine tra il secondo ed il terzo comma dell?art. 2 cod. pen. debba essere tracciata attraverso il confronto, operato in astratto, delle fattispecie normative considerate.
?????? Nell?ambito di tale ampia seconda categoria occorre ulteriormente distinguere i modelli ricostruttivi elaborati dalla dottrina, secondo due criteri logici differenti: quello di tipo cd. strutturale, che riconduce i presupposti della continuit? normativa al piano dello stretto raffronto formale, strutturale e sistematico tra fattispecie, e quello di tipo cd. valutativo o teleologico, che si avvale di modelli di spiegazione del fenomeno successorio essenzialmente valutativi. Alla prima tipologia appartiene la teoria dei ?rapporti strutturali? (14). Alla seconda, le teorie, prevalentemente di origine tedesca, della ?continuit? del tipo di illecito? (15); della ?piena continenza? (16); e, infine, la teoria della ?persistente modalit? d?offesa del medesimo bene giuridico? (17).
?????? La prima logica ricostruttiva, cd. dell?applicazione in concreto o del ?fatto concreto, prende le mosse dalla considerazione che, per stabilire se – tra la legge anteriore e quella posteriore – vi sia un rapporto di successione, occorre accertare se il fatto in concreto compiuto, e penalmente rilevante secondo la legge anteriore, continui ad esserlo anche per quella posteriore, a prescindere dal raffronto delle relative fattispecie tipiche, che potrebbero essere costituite anche da requisiti del tutto eterogenei, essendo sufficiente ai fini della determinazione dell?esistenza di un rapporto di continuit? normativa fra la legge precedente e la successiva, che l?interprete accerti che il concreto episodio, integrante la condotta tipica prevista dall?incriminazione originaria, sia in grado di soddisfare anche i requisiti contemplati dalla norma riformulata.
?????? Ebbene, nonstante la logica intuitiva intrinseca posta a fondamento del modello interpretativo esaminato, questo ? suscettibile di qualche osservazione critica.
?????? La dottrina pressoch? maggioritaria (18), e la recente giurisprudenza (19), obiettano, in particolare, che la tesi in oggetto contraddirebbe il principio di irretroattivit? della norma incriminatrice, di cui agli artt. 25, co. 2, Cost. e 2, co. 1, cod. pen., in quanto, una volta riportato un fatto concreto nell?area dell?illecito penale, utilizzando il criterio dell?applicazione in concreto, l?intero ventaglio delle sue connotazioni concrete potrebbe essere fruttato per conservargli rilevanza penale, anche quando gli elementi di fatto su cui originariamente si basava la qualificazione giuridica di tipicit? avessero perduto la propria rilevanza in seguito all?abrogazione della norma che li prevedeva, conferendo cos? rilevanza a fatti che prima erano ininfluenti perch? non menzionati dalla norma; sicch?, attraverso l?impiego di una qualificazione giuridica, introdotta solo successivamente alla realizzazione del fatto di reato, si finirebbe, seguendo questo orientamento, per attribuire rilevanza ad elementi strutturali della condotta illecita che, al tempo del commesso reato, potevano non avere alcuna rilevanza specifica.
????? Tuttavia, va segnalata, per la sua peculiarit?, la posizione singolare di chi (20) – pur se, forse, a dispetto della denominazione di tale tesi ? impernia la relazione successoria di diritto intertemporale nell?ambito della posizione ricostruttiva finora osservata, sul raffronto tra le fattispecie astratte delle norme incriminatici: richiamando la matematica degli insiemi, si afferma infatti che <<si tratta di vedere se, tra l?insieme dei fatti previsti come reato dalle legge precedente e l?insieme dei fatti previsti come reato dalla legge susseguente, sia possibile identificare un sottoinsieme di entrambi, al quale si adatti la nota del persistere della punibilit?>>.
????? Al fine di evitare, in ogni caso, le difficolt? connesse all?applicazione della teoria giuridica suesposta del ?fatto concreto?, sono stati elaborati, come prima accennato, criteri alternativi che, al contrario, focalizzano l?attenzione sulle fattispecie, considerate in astratto, poste in successione. Il pi? risalente fra questi – frequentemente utilizzato dalla giurisprudenza (21) e sostenuto, in particolare, dalla dottrina tedesca -, ? conosciuto come criterio della continuit? del tipo di illecito. Secondo tale modello, ? possibile affermare la sussistenza della relazione di continuit? normativa tra le fattispecie poste in rapporto successorio quando il <<nocciolo dell’illecito>>, descritto dalle stesse norme, rimanga essenzialmente invariato, rispettando, cos?, l?oggettiva prevedibilit? della qualificazione penalistica delle condotte umane. In altri termini, la continuit? fra le incriminazioni sarebbe riscontrabile – nel rispetto del principio dell?illecito penale come tipizzazione di offesa a beni giuridici – quando, nel passaggio dalla vecchia alla nuova norma, permanga sostanzialmente invariato l?interesse protetto (22).
?????? A questa impostazione ? stato obiettato, in primo luogo, che, intesa in maniera rigorosa, essa avrebbe un ambito di applicazione notevolmente ristretto, in quanto consentirebbe di affermare la continuit? normativa in materia penale esclusivamente in presenza, nelle due fattispecie, di elementi strutturali e teleologici identici: cosa che renderebbe il criterio medesimo superfluo, dal momento che vorrebbe, al contrario, disciplinare ipotesi di reato tra le quali sussista invece una, anche minima, difformit? tra le fattispecie a confronto. In ogni caso, la teoria della continuit? del tipo di illecito non fornisce parametri precisi per la soluzione del problema esegetico della continuit? normativa, in quanto, per vero, oscilla fra i due poli dell?interesse protetto e delle modalit? dell?offesa, ai quali, peraltro, ? attribuito un rilievo differente a seconda che si tratti di stabilire la continuit? tra fattispecie poste a tutela di beni individuali, piuttosto che di beni collettivi o superindividuali non qualificabili da un preciso sostrato materiale. Il modello in esame, dunque, a causa delle incertezze applicative che lo caratterizzano, pu? conferire rilevanza (esattamente come il criterio del fatto concreto) ad elementi costitutivi che, introdotti dalla nuova formulazione della fattispecie, erano, in realt?, del tutto irrilevanti al momento della commissione del fatto tipizzato dalla disposizione antecedente, superando i limiti costituzionalmente stabiliti del principio di irretroattivit? della norma incriminatrice (23).
????? ?Secondo la teoria della cd. piena continenza vi sarebbe successione di norme incriminatrici quando la nuova norma sia pienamente contenuta nella precedente, <<nell’ipotesi, cio?, in cui la dimensione normativa dell’illecito anteriore abbracci e ricomprenda in s? quella dell’illecito successivo>> (24). La principale critica rivolta, da parte della letteratura giuridica, alla tesi in oggetto prende le mosse dall?osservazione che tale impostazione teorica, da un lato, postulerebbe solo un determinato nesso di ipotetica specialit? fra la sfera della fattispecie successiva e quella dell?altra antecedente, restringendo in modo eccessivo la portata applicativa del fenomeno della successione, confinandola ai soli casi di stretta specialit? della norma nuova rispetto a quella previgente; dall?altro, si sostiene, sembrerebbe fondata su un tessuto argomentativo che esigerebbe un apprezzamento di valore circa il significato dell?elemento specializzante che limita la fattispecie posteriore, non offrendo parametri oggettivi per individuare l?elemento speciale stesso.
?????? Nella prospettiva propria dell?indirizzo valutativo si inserisce anche la teoria della persistente modalit? d?offesa del medesimo bene giuridico, espressione evolutiva, insieme, della tesi della continuit? del tipo di illecito e della teoria della piena continenza. Il criterio intepretativo in parola prende le mosse dal seguente presupposto: in un diritto penale caratterizzato, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 25, comma 2, Cost. e 49 cod. pen, dalla tutela di beni giuridici – principio di offensivit? – secondo modalit? d?offesa tipizzate nelle fattispecie incriminatrici – principio di frammentariet? -, la riformulazione di un reato genererebbe un fenomeno di abolitio criminis in tutti i casi in cui la modifica della struttura del reato comporti l?abbandono del bene giuridico tutelato secondo determinate modalit? di aggressione proprio della fattispecie anteriore e la contestuale emersione di un nuovo bene giuridico e diverse modalit? d?offesa nella fattispecie posteriore, e ci? a prescindere dalla circostanza che le strutture delle norme considerate siano omogenee o eterogenee. Seguendo questo modello esegetico, conseguentemente, nell?ipotesi in cui la modificazione sia tale che tanto la fattispecie originaria quanto quella successiva tutelino un medesimo bene giuridico, il fenomeno abrogativo, con l?applicazione del comma 2 dell?art. 2 cod. pen., si verificher? solo nei casi in cui la fattispecie successiva conduca nel campo delle azioni penalmente irrilevanti la specifica modalit? aggressiva tipizzata dalla precedente fattispecie, creando una nuova modalit? offensiva del medesimo bene giuridico tutelato. Questo avverr?, secondo gli assertori di tale orientamento, <<non solo nelle ipotesi in cui la fattispecie successiva si presenti strutturalmente eterogenea rispetto alla precedente, ma anche in tutti i casi in cui la fattispecie successiva sia speciale rispetto a quella antecedente. E ci? perch?, [?] in un diritto penale della frammentariet?, l?esistenza di una fattispecie viene meno quando la forma d?offesa ivi formalizzata non ? pi? tale a seguito di una modifica normativa. In tale quadro appare evidente che sul piano astratto ? allorch? una norma venga sostituita con una norma di portata specializzante ? la condotta contenuta nella prima non ? pi? idonea, nella nuova valutazione, a raggiungere una soglia minima di offensivit?, essendo insufficiente, in conseguenza della sua generalit?, ad integrare la condotta tipizzata dalla norma speciale>> (25).
???? Ci? nondimeno, anche il criterio valutativo o teleologico, basato, come ora accennato, sulla persistenza della medesima modalit? d?offesa rispetto allo stesso bene giuridico protetto nelle norme poste in successione di diritto intertemporale, non apparirebbe, secondo le Sezioni Unite della Cassazione del 2003 (26) – chiamate a comporre il contrasto giurisprudenziale, in materia di successione di leggi, nell?ambito dell?ipotesi di reato della bancarotta fraudolenta impropria – utilizzabile al fine di derimere i dubbi in ordine alla presenza della continuit? normativa nel tempo tra due fattispecie, n? come criterio principale n? come criterio correttivo o accessorio di altro modello: il criterio valutativo, infatti, lascerebbe, secondo i giudici di legittimit?, un?eccessiva discrezionalit? all?interprete nella valutazione sia del bene giuridico che delle concrete modalit? offensive del fatto, e non ancorerebbe, ulteriormente, tale soluzione al dato normativo, da cui al contrario il giudice non pu? prescindere. Secondo la Suprema Corte, pertanto, il criterio di tipo valutativo si sarebbe dimostrato, alla prova dei fatti, complessivamente assai poco capace di condurre ad approcci interpretativi sicuri, come confermerebbero i contrastanti orientamenti a cui l?applicazione del criterio in parola ha dato luogo, nella giurisprudenza di merito, in relazione alla soluzione dei problemi concreti di diritto intertemporale portati in primo piano dalla riforma penale societaria (27).
????? La dottrina pi? recente ha tentato di risolvere il problema della continuit? normativa tra fattispecie prendendo le mosse unicamente dall?analisi della struttura astratta della condotta prevista dalle norme in successione temporale, evitando, per quanto possibile, apprezzamenti di valore, implicanti un incontrollabile margine di arbitrio in grado di risolversi nella violazione del principio di irretroattivit? della norma incriminatrice, essendo questi qualificati in ogni caso da caratteri labili e incerti. A tale fine, ? stato elaborato il criterio, definito in letteratura giuridica, del rapporto strutturale tra fattispecie astratte. In base a questa impostazione ricostruttiva, nell?ipotesi di abrogazione espressa seguita da contestuale innesto di una nuova fattispecie, occorre negare – in osservanza della funzione di garanzia del principio di irretroattivit? della norma penale – la sussistenza del rapporto di continuit? normativa, ogni volta che l?ordinamento, nel riformulare la fattispecie, abbia previsto una condotta contrassegnata da elementi strutturali costitutivi eterogenei non assimilabili a quelli contemplati dal modello precedente (28). Al contrario, il rapporto di continuit? normativa sarebbe sussistente tutte le volte in cui le condotte tipiche delineate in via astratta dalle fattispecie in successione risultino omogenee – differenziandosi per la sola disciplina sanzionatoria – ovvero appaiano confrontabili da un punto di vista normativo, in quanto sorrette da un rapporto di genere a specie (29).
????? Seguendo questa direttrice interpretativa, nell?ottica propria della teoria del confronto strutturale, il fatto tipico, normativamente descritto dalla legge posteriore, sarebbe di per s? idoneo ad essere riportato nell?ambito della precedente fattispecie, determinando un fenomeno di continuit? normativa tra le fattispecie poste in rapporto successorio, allorquando ne costituisse una sottofattispecie determinata da una selezione di alternative gi? formalmente tipiche, o da una specificazione di elementi, rispetto alla fattispecie anteriore, oppure da un?aggiunta di nuovi requisiti.
???? ?Tale impostazione teorica, tuttavia, ? stata sottoposta a critica, in letteratura giuridica, da parte di chi (30) ha rilevato – osservando che la fattispecie, sul piano della teoria generale, ? la descrizione linguistico-concettuale di fatti della vita reale, ipotizzati in astratto, i quali sono qualificabili come giuridicamente significativi, allorch? si verifichino in concreto, in un determinato tempo e in uno specifico ambito – che l?interprete, che voglia mantenersi sul piano della tipicit? normativa, nel valutare la sussistenza del rapporto di continuit? temporale tra due norme penali, deve considerare esclusivamente gli elementi formalizzati nella fattispecie anteriore e non anche gli elementi implicitamente contenuti nella medesima. Conseguentemente, la teoria dei rapporti strutturali, si asserisce, potrebbe condurre in determinate ipotesi alla violazione del principio di irretroattivit? delle fattispecie incriminatrici, laddove dia rilievo ad elementi non formalizzati nella fattispecie anteriore e ritenuti come implicitamente contenuti in essa.?????
????? Dalla breve ricognizione compiuta emerge che il problema teorico della continuit? normativa tra fattispecie incriminatrici non sembra, in realt?, aver trovato una soluzione unanimemente condivisa. I motivi di tali contrasti interpretativi appaiono da ricercarsi, invero, in due esigenze contrapposte che, inevitabilmente, si contendono il campo nella soluzione del problema in esame. ?
????? Per un verso, infatti, vi ? la necessit? di elaborare un criterio che abbia un certo grado di elasticit? e consenta di affermare il rapporto di continuit? normativa in un numero ampio di ipotesi, al fine di non costringere l?interprete a giudicare non pi? rilevanti fatti ancora percepiti, dagli operatori di diritto e dalla sensibilit? comune, come carichi di disvalore, ogni volta che il legislatore proceda alla riformulazione di una fattispecie che, secondo un diffuso senso di <<giustizia sostanziale>> (31), non modifica del tutto il nucleo proprio dell?illecito punito dalla fattispecie abrogata.
????? Sotto altro profilo, invece, vi ? l?esigenza di ricorrere ad un parametro rigidamente formalizzato (32), il quale consenta di conservare in ogni caso la ratio di garanzia del principio di irretroattivit? della norma incriminatrice ma che, proprio per tale natura, pu? avere un raggio di applicazione ridotto e rendere inutile, di conseguenza, le istanze di giustizia materiale cui si ? fatto riferimento (33).
????? In virt? delle osservazioni svolte, ? il caso di osservare come, invero, i criteri del fatto concreto e i modelli che si fondano sul criterio dell?apprezzamento di tipo valutativo della fattispecie astratta sembrano soddisfare la prima esigenza descritta, ma, in pari tempo, implicano un notevole margine di arbitrio in grado di tradursi nella sostanziale violazione del principio di irretroattivit? della norma incriminatrice, cos? come prima accennato (34).
????? L?impostazione teorica del rapporto strutturale tra fattispecie astratte, a sua volta, soddisfa la necessit? di un riferimento di carattere formale, corrispondente, pertanto, alle esigenze di tassativit? delle fattispecie, ma potrebbe, in special modo nella sua traduzione pi? restrittiva, postulare la completa identit? delle fattispecie oggetto del rapporto successorio (35).
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4. Orientamenti giurisprudenziali: la posizione delle Sezioni unite sul tema della distinzione tra abrogazione e continuit? normativa.
????? Va, a questo punto, segnalato che, tra i primi commentatori della riforma del diritto penale societario (36), ? prevalso l?orientamento, ispirato alla formula della continuit? del tipo di illecito, in base al quale si ? sostenuta la soluzione in chiave di abolitio criminis totale, nel passaggio dall?abrogato art. 2631 al nuovo art. 2634. L?unico elemento in comune tra le due incriminazioni, si ? affermato lungo questa linea intepretativa, consisterebbe nel riferimento ad una situazione di conflitto d?interessi, mentre si avrebbero sostanziali differenze riguardo al tipo di offese sanzionate (mero pericolo nell?art. 2631 cod.civ., effettivo danno nel reato d?infedelt? patrimoniale); alle condotte (formale partecipazione ad una delibera nel primo caso, atto di disposizione patrimoniale nel secondo); alla struttura dei reati (di mera condotta il primo, di evento il secondo); all?elemento soggettivo (dolo generico nel primo caso, dolo intenzionale e specifico nel secondo).
????? Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (37), prendendo posizione in merito alla questione concernente i confini dell?ambito applicativo proprio dell?abrogazione e della successione di leggi penali nel tempo, hanno affermato, invece, il primato del paradigma strutturale dei rapporti tra fattispecie, secondo l?interpretazione offertane dalla dottrina maggioritaria (38). Secondo la Corte, il criterio strutturale sarebbe, di per s? solo, ancoraggio sufficiente per affermare la continuit? della tutela dei beni giuridici in gioco, in quanto la continuit? dell?illecito verrebbe assicurata gi? dalla stessa fattispecie legale; esso sarebbe, si aggiunge, anche il criterio <<pi? adeguato, anzi l?unico, coerente con l?insieme dei significati del principio di legalit?>>, di cui all?art. 25, comma secondo, Cost., per assicurare la continua coerenza delle valutazioni espresse dall?ordinamento penale, nella valutazione dei medesimi tipi di fatto. Perch? operi la regola del terzo comma dell?art. 2 cod. pen., si sostiene, <<deve essere esclusa l?applicabilit? sia del primo, sia del secondo comma. Ci? significa, da un lato, che in una vicenda di successione di leggi penali, perch? un fatto rimanga punibile, occorre non solo che sia tale in base alla nuova legge, ma anche che la nuova fattispecie costituisca reato in base alla vecchia>>.
????? L?adozione di tale criterio, seguito peraltro gi? dalla maggioritaria giurisprudenza (39), sarebbe imposta dalla lettera dell?art. 2 cod. pen., che, al 3? co., che pone a confronto due norme e non la norma e il fatto concreto, n? i beni giuridici protetti e le modalit? di offesa degli stessi. Da questo punto di vista, all?interprete spetterebbe, pertanto, accertare che il legislatore abbia riprodotto nella nuova formula i medesimi elementi oggettivi e soggettivi dell?ipotesi criminosa precedente e, di conseguenza, che – salvo gli elementi specializzanti aggiunti – la nuova previsione sia omogenea a quella pregressa, tanto che i fatti astratti che la norma introdotta punisce sarebbero stati puniti anche in forza di quella precedente espunta dell?ordinamento. Solo cos?, secondo l?opinione delle Sezioni Unite, l?applicazione della nuova disposizione a fatti pregressi, alla luce dell?art. 2, 3? co, cod. pen., non costituirebbe violazione del principio di irretroattivit?.
????? Questo fenomeno si verificherebbe sia quando gli elementi che concorrono a disegnare la tipicit? del nuovo reato siano speciali rispetto a quelli della norma anteriore, sia quando ad essere speciale si dimostri essere la norma anteriore rispetto alla norma successiva. Invero, l?omogeneit? strutturale tra fattispecie astratte, porterebbe l?interprete, seguendo l?interpretazione ricostruttiva, sopra citata, di autorevole dottrina e fatta propria dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, ad individuare tra le norme la sussistenza di un rapporto di specialit? per specificazione o per aggiunta: nel primo caso, la norma speciale restringerebbe l?ambito di penale rilevanza dei fatti sussumibili nella disciplina dell?altra norma posta in successione temporale, tanto che la norma di carattere cd. generale apparirebbe contenere tutti gli elementi di quella cd. speciale, mentre, questa ultima, sembrerebbe prevedere l?illiceit? di una sola parte delle condotte penalmente rilevanti in base alla prima disposizione oggetto del rapporto successorio; nel secondo caso, invece, la norma cd. generale non conterrebbe tutti gli elementi dell?altra disposizione normativa, ma al contrario sarebbe quest?ultima norma a prevedere tutti gli elementi di quella generale, pi? uno specializzante, ulteriore, ?nuovo?, non previsto nella fattispecie di stampo generale.
???? In breve: lungo questa linea ricostruttiva, alla luce delle osservazioni proposte dalla Suprema Corte in conformit? ai criteri suggeriti dalla maggioritaria dottrina, se il legislatore disciplina con la nuova disposizione lo stesso modello di reato, ma conferma la punibilit? esclusivamente di una parte dei fenomeni prima sanzionati, per quei fatti per cui permane la illiceit?, facendo ricorso agli schemi logico-concettuali della specialit? per specificazione o per aggiunta, non c?? abolitio criminis, ma una vicenda modificativa di disciplina; per i fatti la cui illiceit? penale, al contrario, non ? confermata, invece, non si pu? che sostenere la sussistenza del fenomeno abrogativo di tipo parziale (40).
5.?????? Considerazioni conclusive.
???? ?Tanto evidenziato sul piano generale, va esaminato, a questo punto, in base alla conclusione raggiunta dalle Sezioni Unite della Cassazione nel 2003 rispetto al problema della continuit? normativa tra disposizioni penali, il rapporto tra le due figure normative oggetto del presente esame, al fine di individuare quali elementi siano stati conservati, quali eliminati e quali aggiunti, sul piano strutturale, nella configurazione della nuova disposizione rispetto alla precedente, cos? da poter determinare l?esatta relazione tra le fattispecie sul piano del diritto intertemporale.
???? Il confronto tra le parti costitutive delle fattispecie de quo mostra, nel testo del nuovo art. 2634, una serie di elementi sia comuni, che concorrevano ? cio? – a descrivere il fatto gi? nella previsione di cui al precedente art. 2631, sia nuovi; tra questi, alcuni costituiscono specificazione di elementi gi? esistenti, altri sono vere e proprie innovazioni, aggiunte, certamente estranee al diritto previgente.
????? Il primo dato ad emergere ad una prima lettura dell?art. 2634, cos? come riformulato, ? l?estensione dei potenziali destinatari della norma: non sono pi? soltanto gli amministratori, come nell?abrogato art. 2631, ma anche i direttori generali e i liquidatori, di societ? indipendenti, collegate o appartenenti a gruppi, in quanto investiti, nell?ambito della struttura d?impresa, di un effettivo potere di gestione dei beni e degli interessi patrimoniali della societ?.
???? Resta invariato l?oggetto del divieto penale, continuando a permanere l?essenza della scelta incriminatrice nell?asservimento degli interessi societari, da parte degli organi dell?ente, a interessi esterni, potenzialmente confliggenti con essi.
???? Risulta estesa, invece, nell?art. 2634, l?area di applicazione, che ricomprende un?ampia tipologia di abusi commessi nella sfera dell?amministrazione attiva di una societ?: la norma, invero, non limita pi? la sua operativit? al solo presupposto del concorso nella deliberazione di atti di disposizione di beni sociali, come nella previgente norma abrogata, ma trova applicazione anche per il caso del compimento, manu propria, dei medesimi atti da parte dell?organo sociale individuale, senza la previa deliberazione consiliare, perch? omessa o per l?esistenza in capo all?autore dei poteri necessari per adottare la decisione in nome e per conto della societ?.
????? Risultano poi ricompresi, nell?ambito di rilevanza della nuova incriminazione, non pi? solo (come nella fattispecie abrogata) i beni della societ?, ma anche i beni appartenenti a terzi, posseduti o amministrati dall?ente (art. 2634, secondo comma). Non si tratta di un caso di specialit? per specificazione, ma della previsione di ipotesi ?nuove? rispetto al diritto previgente, con cui si ? estesa la tutela giuridica, oltre i confini dell?esclusivo patrimonio dell?ente, al patrimonio di soggetti esterni alla societ?. ?
?????? Il quadro degli elementi di tipicit? del fatto, di cui all?art. 2634 cod. civ., ? completato dal danno patrimoniale (rispetto agli interessi della societ? nell?ipotesi del primo comma e riguardo agli interessi dei terzi, per conto dei quali la societ? possiede o amministra, nell?ipotesi del secondo comma), quale conseguenza collegata, sotto il profilo causale, al compimento dell?operazione economica deliberata. La previsione del danno non costituisce una novit? rispetto al diritto previgente, ove era preso in considerazione come circostanza aggravante (limitatamente all?ipotesi della lesione del patrimonio dell?ente, l?unica prevista precedentemente dall?art. 2631), ma la riforma legislativa del 2002 ha operato una ricollocazione dell?evento, spostandolo dal piano degli elementi accessori al reato a quello degli elementi costitutivi. L?integrazione ha, quindi, valenza innovativa, sul piano della struttura della fattispecie: mentre, infatti, con la sola previsione normativa del conflitto di interessi, la legge attestava la tutela degli interessi patrimoniali della societ? alla soglia del pericolo, e puniva solamente nell?ipotesi aggravata la lesione effettiva del patrimonio, per effetto della riforma, la legge posticipa l?intervento della sanzione penale al momento della verificazione del danno, con la conseguenza, sotto questo profilo, di avere escluso dalla portata del nuovo art. 2634 una serie di comportamenti degli organi sociali, non tradottisi in danno per l?ente, che prima rientravano a pieno titolo nell?ambito applicativo della fattispecie di cui all?art. 2631.
????? Infine, la nuova incriminazione si qualifica per l?accentuata selettivit? dell?elemento soggettivo, richiedendo il dolo intenzionale e specifico, consistente nel perseguimento di un?ingiusto profitto o altro vantaggio. Si tratterebbe tecnicamente, invero, secondo la prevalente opinione in letteratura giuridica e in giurisprudenza, di specificazione rispetto all?elemento soggettivo richiesto gi? per la fattispecie abrogata.
????? Pur nella diversit?, dunque, delle soluzioni normative proprie dell?abrogato art. 2631 e del nuovo art. 2634, dall?analisi strutturale delle fattispecie, secondo il criterio di specialit?, emergerebbe tuttavia una parziale continuit? del tipo normativo di illecito tra la vecchia e la nuova disciplina incriminatrice, almeno nella parte in cui viene mantenuta ferma la rilevanza penale del comportamento infedele dell?amministratore in danno della societ?.
????? N? a contraddire il giudizio di parziale continuit? normativa, possono essere fatti valere gli elementi di tipicit? aggiunti al reato. La loro previsione avrebbe come unico effetto di estendere l?ambito applicativo della norma a fatti non compresi in un?area? omogenea.
????? Per le ipotesi nuove presenti nella norma introdotta nell?art. 2634, varrebbe, dunque, il divieto di applicazione retroattiva (art. 2, primo comma, c.p.). La norma sopravvenuta, pertanto, non sarebbe applicabile al comportamento infedele dell?amministratore, posto in essere in data anteriore alla riforma del 2002, commesso ?in relazione a beni posseduti o amministrati dalla societ? per conto di terzi?, previsto dal nuovo secondo comma dell?art. 2634. Come si ? gi? rilevato, non si tratterebbe di una specificazione dell?oggetto materiale dell?abrogato art. 2631, ma di un elemento assolutamente estraneo alla pregressa incriminazione, la cui previsione incide sulla direzionalit? offensiva della nuova fattispecie, ponendola a tutela di interessi patrimoniali anche di terzi.
????? Resterebbe inoltre fuori dall?ambito di incriminazione della nuova disposizione penale il concorso dell?amministratore alla deliberazione di un atto di disposizione patrimoniale, che non abbia cagionato un danno alla societ?, essendo, l?elemento del danno, essenziale ai fini della integrazione degli elementi propri della nuova fattispecie incriminatrice.
????? I fatti, al contrario, gi? sussumibili nella fattispecie anteriore alla riforma, che integrino parimenti gli elementi della fattispecie introdotta con la riforma dell?art. 2634, resterebbero compresi nell?ambito del penalmente rilevante, in quanto per essi troverebbe applicazione il terzo comma dell?art. 2 c.p.. Ci? varrebbe per il caso dell?amministratore infedele che in un contesto di conflitto di interessi, partecipando alla deliberazione di un atto di disposizione patrimoniale, abbia cagionato un danno alla societ?, purch? sia data prova dell?esistenza dell?elemento soggettivo del dolo intenzionale e specifico, prescritto dalla ?norma cos? come riformata.
????? Appare, quindi, conclusivamente condivisibile l?analisi – sia pure sinteticamente operata dalla Cassazione del 2004 in epigrafe – di sussistenza della parziale continuit? normativa tra le disposizioni in oggetto, e, pertanto, la statuizione della Suprema Corte circa la necessit? nel caso de quo, ai fini dell?addebitabilit? dell?ipotesi di reato, che fosse stata data prova della presenza nella condotta dell?imputato degli elementi soggettivi di carattere speciale introdotti dalla riforma del 2002 nel testo dell?art. 2634 cod. civ..
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CORTE DI CASSAZIONE; sezione V penale; sentenza 11 dicembre 2003; Pres. FERRUA, Est. CICCHETTI, P.M. CIAMI (concl. conf.); ric. Torrisi Salvatore; Marino Carmelo (parte civile). Annulla senza rinvio capi B) e D) e rigetta il ricorso di parte civile App. Catania 25 novembre 2002.
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Reati societari ? Infedelt? patrimoniale ? Continuit? normativa parziale con il conflitto d?interessi (vecchio testo) ? Configurabilit?.
(D.lgs. 15 aprile 2002 n. 61: <<Disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le societ? commerciali>>; Cod. Civ., artt. 2631 (vecchio testo) e 2634; Cod. Pen., art. 2)
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Se il fatto addebitato riguarda l?ipotesi di reato di ?conflitto d?interessi? nella vecchia formulazione dell?art. 2631 cod.civ., non pi? vigente alla data della sentenza impugnata, ed ha contenuto simile a quello previsto, nell?attuale formulazione, dall?art. 2634 cod.civ., la Corte di merito pu? solo verificare se la concreta contestazione contenga tutti gli elementi della ?infedelt? patrimoniale? al fine di pronunciarsi sulla sussistenza del reato. L?esito negativo, nel caso di specie, di una tale verifica – mancando il dolo specifico di procurare un ingiusto profitto a s? o ad altri e l?intenzionalit? di procurare un danno alla societ? – impone l?assoluzione. La Corte di merito, infatti, non pu? rielaborare il fatto per adattarlo completamente alla formulazione del nuovo art. 2634 cod.civ., pur potendosi ritenere sussistente la continuit? normativa parziale con il vecchio art. 2631 cod.civ..
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Note:
?1) Ampia la bibliografia sull?articolo del codice penale in esame: BETTIOL, Conflitto di interessi e deliberazione consiliare, in Giur. mer., 1971, p. 42 e ss.; STELLA, Profili penali del conflitto di interessi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, p. 940 e ss.; ZUCCALA?, Dei delitti di infedelt? degli organi verso la societ?, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1988, p. 149 e ss.; PEDRAZZI, Gli abusi del patrimonio sociale ad opera degli amministratori, in Riv. it. dir .e? proc. pen., 1953, p. 529 e ss.;
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2) Tra gli altri, NUVOLONE, voce: Infedelt? patrimoniale, in Enc. Dir., vol. XXI, 1971, p. 440; in termini analoghi, QUATRARO – PICONE, in La responsabilit? di amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori di societ?, 1998, p.1874 e ss.;
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3) Cass., sez III, 25 febbraio 1959, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1960, p. 939;
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4) In merito, ex aliis, FLICK, Attivit? bancaria e pubblico servizio: i termini attuali del dibattito, in Riv. Societ?, 1982, p. 750 ss.;
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5) ROSSI, in Il conflitto epidemico, 2003, p.77;
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6) ANTOLISEI, in Manuale di diritto penale. Leggi complementari I, I reati societari, bancari, di lavoro e previdenza. XII edizione aggiornata e integrata da L. Conti, 2002, p. 262;
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7) Sul punto, si veda? E. MUSCO, in I nuovi reati societari, 2002, p.140;
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8) CAPELLO, in Dolo e colpa nei reati societari, tributari, fallimentari, 2002, p. 251;
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9) MACCARI, Infedelt? patrimoniale, in I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le societ? commerciali, 2002, p. 160; E. MUSCO, op. cit., 2002, p. 147 e ss;
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10) Cass., Sez. VI, 1 giugno 2000, in Cass. Pen., 2001, p. 2681, e in Foro It. Rep., 2000, n.1829;
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11) MILITELLO, L?infedelt? patrimoniale (art. 2634), in I nuovi reati societari: diritto e processo, 2002, p. 487;
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12) Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2000, in Foro It., 2001, II, p. 143;
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13) In Italia, PAGLIARO, La legge penale tra irretroattivit? e retroattivit?, in Giust. Pen., 1991, II, p.1 e ss.; MANTOVANI, in Diritto penale, 1992, p. 87; Per la giurisprudenza di merito, fa applicazione del criterio del fatto concreto, Trib. Palermo, 25 marzo 1991, in Giust. Pen., 1991, II, p. 367; ai fini della risoluzione del problema della continuit? normativa fra alcuni dei reati dei pubblici ufficiali commessi in danno della P.A., Trib. Genova, 13 giugno 1990, in Foro It., 1990, II, c. 639 e ss. Per la giurisprudenza di legittimit?, recentemente, cfr. Cass., sez. III, 3 dicembre 1996, n. 4114, in Foro It. Rep., 1996, n.34;?
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14) Elaborata in dottrina da PADOVANI, Tipicit? e successione di leggi penali. La modificazione legislativa degli elementi della fattispecie incriminatrice o della sua sfera di applicazione, nell?ambito dell?art. 2 commi 2 e 3, c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, p.1354 e ss.; e in Diritto Penale, 1999, pagg. 50-51-52; accolta tra gli altri da, FIANDACA-E. MUSCO, in Diritto penale, parte generale, 2001, p. 77 e ss.; per una recente applicazione giurisprudenziale, cfr. Cass., 10 febbraio 2000, in Foro It. Rep., 2000, n. 10;
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15) In giurisprudenza, per una recente attuazione, si veda, Cass., Sez. V, 21 maggio 2002, in Cass. Pen., 2002, p. 3384 ss., e in Foro It., 2002, II, p. 401;
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16) In giurisprudenza, ha fatto ricorso di recente a tale modello interpretativo, Cass., 13 gennaio 2000, in Foro It. Rep., 2001, n. 32;
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17) In dottrina, M. MUSCO, in La riformulazione dei reati. Profili di diritto intertemporale, 2000, p. 109 e ss.; DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio. Struttura e offensivit? delle false comunicazioni sociali dopo il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, in Cass. pen., 2002, p. 1271 ss.;
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18) FIANDACA-E. MUSCO, op. cit., 2001, p. 77 e ss.; SEVERINO, voce: Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. giur. Treccani; DEL CORSO, Successione di leggi penali, in Dig. disc. pen., 1999, p. 96 e ss.;
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19) Cass., sez. III, 3 dicembre 1996, in Foro It.,1997, II, p. 692; Cass., sez. III, 27 aprile 2000, in Foro It. Rep., 2001, n.9;
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20) PAGLIARO, op. ult. cit., in Giust. Pen., 1991, II, p. 5;
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21) Recentemente, Cass., Sez. Un., 20 giugno 1990, in Foro It., 1990, II, p. 637, con nota critica di FIANDACA, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, e in Giust. pen., 1990, II, p. 513 e ss., con nota critica di TAORMINA, Ancora sui problemi di diritto intertemporale per le vecchie fattispecie di interesse privato in atti d’ufficio, i quali criticano la valorizzazione dei profili di natura teleologica a danno di una pi? rigorosa comparazione formale fra le fattispecie a confronto; In dottrina, ROMANO, Commentario sistematico al codice penale, p. 58, il quale, nondimeno, ne sottolinea i limiti applicativi;
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22) In ordine a tali rilevi, cfr. PADOVANI, op. cit., in Riv. it. dir. e? proc. pen., p. 1360 e ss.;
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23) Per tali rilievi critici, cfr. PADOVANI, op. ult. cit., p. 1361, il quale fornisce, accanto ad ampi riferimenti bibliografici relativi alla dottrina tedesca, alcuni esempi applicativi del criterio in esame, evidenziandone gli esiti interpretativi contraddittori; conf. anche SEVERINO, op. cit., p. 5; FIANDACA–MUSCO, Diritto penale, op. cit., p. 77; DEL CORSO, op. cit., p. 98; e, da ultimo, seppur in una prospettiva pi? ampia, M. MUSCO, op. cit., p. 75 e ss. La questione della sostanziale indeterminatezza del criterio in esame ?, in realt?, sottolineato anche dalla dottrina che ritiene di accedervi, la quale sembra prendere atto dell?insufficienza dei parametri in esso descritti; sul punto, cfr. ROMANO, op. cit., p. 57 e ss. La genericit? delle formule concettuali impiegate nella descrizione della continuit? del tipo di illecito ? individuabile anche in Cass., 20 giugno 1990, op. cit., p. 645, la quale, applicando il criterio de quo, parla di immutata <<intima essenza>> delle fattispecie previste dal nuovo art. 323 rispetto ai precedenti artt. 323 e 324 c.p.; a tal proposito FIANDACA, Questioni di diritto transitorio, op. cit., p. 638, e TAORMINA, Ancora sui problemi di diritto intertemporale, op.ult.cit., p. 514 e ss., criticano l?utilizzazione di opzioni valutative a detrimento di un pi? rigoroso raffronto tra gli elementi costitutivi delle fattispecie in successione.
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24) Cos? in PADOVANI, op. ult. cit., p. 1363;
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25) M. MUSCO, La riformulazione dei reati tributari e gli incerti confini dell?abolitio criminis, in Cass. Pen., 2001, p. 469 e ss.;
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26) Cass., Sez. Un., 26 marzo 2003, in Foro It., 2003, II, p. 586;
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27) Sul punto si vedano le attente considerazioni di PULITANO?, Legalit? discontinua? Paradigmi e problemi di diritto intertemporale, in Riv. it. dir. e? proc. pen., 2003, p. 1270 e ss.;
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28) In merito, si vedano le osservazioni di PADOVANI, op. ult. cit., p. 1370, il quale segnala come esempio di condotte eterogenee l?ipotesi prevista dal vecchio reato di infanticidio a causa d?onore e quella di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale.
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29) FIANDACA-E. MUSCO, op. cit., 2001, p. 77 e ss.; PADOVANI, op. cit., in Riv. it. dir. e proc. pen., p.1354 e ss.; PULITANO?, op. cit., in Riv. it. dir. e? proc. pen., 2003, p. 1270 e ss.;
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30) In ordine a tali rilievi, cfr. PODO, Successione di leggi penali, in Nss. Dig. It., 1971, XVIII, p. 653 e ss;
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31) La locuzione ? di FIANDACA, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, in Foro it., 1990, II, p. 637;
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32) In merito, PADOVANI, op. cit., in Riv. it. dir. e proc. pen., p.1360; ?
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33) I termini dell?alternativa fra orientamento sostanzialistico e formalistico, sono enunciati da PADOVANI, op. cit., p. 1362 ?e ?SEVERINO, op. cit., p. 5;
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34) In senso conforme, ARDIA, La riforma dei reati tributari e la nuova figura di frode in dichiarazione: riflessioni sul problema della continuit? normativa tra fattispecie incriminatrici, in Cass. pen., 2002, p. 404;
35) In senso critico, inoltre, si veda M. ROMANO, op. cit., p. 54, secondo il quale si pu? concretamente parlare di abrogazione di una norma – con contestuale applicazione del comma 2 dell?art. 2 c.p. – solo nel caso in cui sia <<eliminato il giudizio di disvalore dato dall’ordinamento>> in ordine ad una certa condotta; diversamente, nel caso in cui la valutazione di liceit? sia soltanto modificata, dovrebbe, pi? propriamente, trovare applicazione la disciplina dell’art. 2 comma 3 c.p.; L?applicazione del criterio del rapporto strutturale, secondo l?Autore, sembra manifestare i suoi limiti di fronte al problema pratico di evitare che, tramite il disposto dell’art. 2 comma 2 c.p., un intervento riformatore in materia penale comporti la concreta impossibilit? di perseguire molti dei fatti commessi nel vigore delle fattispecie abrogate, bench? tuttora avvertiti, dagli operatori di diritto e dalla sensibilit? comune, come carichi di disvalore e per ci? meritevoli di sanzione; risultando incapace, per effetto della sua natura di criterio esclusivamente formale, di farsi portatore delle esigenze di giustizia sostanziale avvertite nel momento di valutare la sussistenza del rapporto di continuit? normativa.
36) cfr. FOFFANI, Le infedelt?, in Il nuovo diritto penale delle societ?, 2002, p. 379 e ss.; conforme, ALDROVANDI, sub Art. 2634, in I nuovi reati societari, 2002, p. 128;
37) Cass., Sez. Un., 26 marzo 2003, in Foro It., 2003, II, p. 586;
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38) si veda, in merito, la nota n. 14;
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39) Ex multis, Cass., Sez. Un., 7 novembre 2000, in Diritto penale e processo, 2000, p.1591, ed in Foro It. Rep., 2000, n.1840; Cass., 15 gennaio 2001, in Diritto penale e processo, 2001, p.230, ed in Foro It. Rep., 2001, n.19;
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40) In merito, Cass., Sez. Un., 26 marzo 2003, in Foro It., 2003, II, p. 588;
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