Cass. pen sez. I^ n.546/06 : “revirement” in materia di abrogazione parziale del reato di mancanza alla chiamata in relazione alla sopravvenuta normativa sull’abolizione del servizio militare di leva.

sentenza 07/09/06
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CASS. PEN. SEZ. I^ n. 546/06:
 
sul ricorso proposto da
 
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere
 
udita la requisitoria del P.G. che ha concluso per l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 7 Dlgs n.215/01 in relazione all’art. 52 Cost.,nel merito per il rigetto del ricorso;
 
OSSERVA
 
Con sentenza 11.ottobre 2005 la Corte Militare di Appello di Roma confermava la sentenza12 gennaio 2005 del tribunale militare di La Spezia che aveva dichiarato (omissis) responsabile del reato di mancanza alla chiamata aggravata (artt.151 e 154 c.p.m.p.), perché essendo stato chiamato alle armi mediante manifesto di chiamata, con obbligo di presentarsi presso il Distretto Militare di Bologna alla data del 7 novembre 1995, non aveva ottemperato a tale obbligo.
Avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per Cassazione il (omissis) chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, a seguito della sospensione del servizio di leva stabilita dall’art.7 del d.lgs. 8 maggio 215/01.
Alla odierna udienza il P.G. militare ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 D.lgs 215/01 in relazione all’art. 52 Cost. nella parte che consente di essere interpretato nel senso di ritenere abrogate le norme penali che colpiscono le condotte di rifiuto del servizio militare obbligatorio. Nel merito ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il ricorso dell’imputato deve essere accolto, sia pure per motivi non del tutto coincidenti con quelli dedotti dal ricorrente.
Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di precisare che l’intervenuta sospensione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata. Ne consegue che l’art. 7 del D.lgs. n.215/01, così come l’art. 1 comma sesto della l.14 novembre 2000 n.331 (“Le FF.AA. sono organizzate su base obbligatoria e su base professionale secondo quanto previsto dalla presente legge), devono essere considerati norme integratrici del precetto penale e che, con riferimento alle situazioni da essi disciplinate, trova applicazione l’art. 2 co.4 c.p. (“se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”); sicchè la sospensione del servizio di leva comporta la non punibilità della condotta di chi, in precedenza,, essendo obbligato a tale servizio, a rifiutato di prestarlo. Ciò non significa, ovviamente, che la norma incriminatrice di cui all’art. c.p.m.p.(così come ogni altra norma incriminatrice di condotte di rifiuto del servizio militare) sia stata abrogata, ma semplicemente che è venuta meno una norma integratrice del precetto penale che attiene esclusivamente ai giovani assoggettati all’obbligo di leva sino al 31 ottobre 2005, data di cessazione del servizio dell’ultimo contingente chiamato alle armi il 31 dicembre 2004 (art. 1 l.226/2004).
E’ il caso di aggiungere che questo collegio non ritiene che la nuova normativa abbia comportato la totale e generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio, dal momento che, anzi, esso continua ad essere previsto in riferimento a specifiche situazioni e a determinati casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace (art. 2 l.331/2000). Di qui il richiamo che questo collegio ritiene di dover fare, in materia di sucessione delle leggi penali nel tempo, al comma 4 dell’art. 2 cp.,(e non già al comma 2 di tale norma, come è stato ritenuto da questa stessa Sezione nella sentenza 12316/del 10 febbraio 2005 ******). Del resto, le SS.UU. penali di questa Corte hanno chiarito che deve applicarsi il terzo comma e non il secondo comma dell’art.2 c.p., in presenza di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti, commessi prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose (Cass. SS.UU., 26 marzo 2003 n.25887, ********).
Consegue da tutto ciò che l’art. 7 del D.lgs. n.215/01 non si pone in contrasto con l’art. 52 Cost., poiché non può essere interpretato nel senso di una generalizzata eliminazione del servizio militare obbligatorio, né nel senso di una intervenuta abrogazione dell’art. 151 cpmp, ma soltanto nel senso, appunto, dell’intervenuto venir meno di una norma integratrice del precetto penale attinente una determinata categoria di soggetti. D’altro canto l’art. 52 Cost. stabilisce che il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge. Va pertanto dichiarata manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale.
In applicazione della normativa transitoria prevista dal combinato disposto degli artt. 3 comma primo, l.n. 331/00, art. 7 comma primo D.lgs. n.215/01 e 1 l. 226/04, per i giovani nati prima del 1985 e già chiamati alle armi,, il servizio militare di leva è rimasto obbligatorio solo sino al 31 ottobre 2005, data di cessazione dal servizio dell’ultimo contingente chiamato alle armi il 31 dicembre 2004. Essendo ormai decorso tale ultimo termine, la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto concretamente contestato all’attuale imputato, in virtù del venir meno della predetta norma integratrice del precetto penale, non è più previsto dalla legge come reato.
 
P.Q.M.
 
Dichiara manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
 
considerazioni a margine della sentenza 546/06 Cass. pen. Sez. I^: la sospensione del servizio militare di leva tra “abolitio criminis” ed “abrogatio sine abolitio” delle fattispecie penali di rifiuto del servizio militare.
 
 
La recente pronuncia della I^ sezione penale della Suprema Corte, ripropone nuovamente la problematica degli effetti dell’art. 7 d.lgs. 215/01, e delle ricadute sulle fattispecie penali di rifiuto del servizio militare obbligatorio, della sospensione del servizio militare obbligatorio.
Come si è da più parti sostenuto, in particolare anche dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. pen. sez. I^ 12316/05) una prima lettura, forse non sufficientemente meditata, aveva indotto a ritenere definitivamente abrogata ogni fattispecie penale di rifiuto del servizio militare obbligatorio, ed in particolare quella di cui all’art. 151 cpmp (mancanza alla chiamata) 14 l.230/98 (rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza) in ragione di un’interpretazione sistematica che vede nella dizione “sospensione del servizio di leva obbligatorio” una mera svista del legislatore, certamente incompatibile con la volontà, emergente dai lavori parlamentari, di abolire definitivamente ogni sanzione penale per le condotte di rifiuto del servizio militare.
Le cadenze argomentative di tale opzione ermeneutica sono rintracciabili nella giurisprudenza di merito (Trib. Firenze 01.07.03) ed in quella di legittimità (Cass. pen. sez. I^ n. 12316/05) nei seguenti passaggi:
–          il reato di cui all’art. 14, primo e secondo comma l.230/98 (rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza) è previsto a tutela dell’obbligo del servizio militare di leva, di cui sanziona la violazione;
–          la normativa in tema di servizio militare obbligatorio opera come legge extra-penale espressamente richiamata a integrazione della fattispecie penale;
–          l’abolizione del servizio militare obbligatorio, disposta con la legge 14 novembre 2000 n.331 ha dunque, come automatica conseguenza il venire meno, ex art. 2 c.p., del delitto di cui all’art. 14, primo e secondo comma , l.230/98;
–          tale effetto si è determinato con l’entrata in vigore della legge 331/00, a nulla rilevando che, sul piano amministrativo, la trasformazione dell’esercito in professionale e su base volontaria sia dilazionata nel tempo attraverso passaggi progressivi.
Da subito, per altro, la Procura Generale militare della Suprema Corte, avvedendosi delle sfumature esegetiche sottese alla nuova normativa, ha sollevato obiezione in ordine all’abrogazione “tout court” delle fattispecie penali di rifiuto del servizio militare obbligatorio, ritenendo, in essa confortata dalla lettera della legge, che lo stesso sia in realtà ancora vigente, seppure condizionatamente al ricorrere di situazioni di “necessità”, e come tale in uno stato di “quiescenza”.
Sulla base di quest’argomentazioni, nella sentenza che qui si commenta, il P.G. militare presso la Suprema Corte ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 7 d.lgs. 215/01 in relazione all’art. 52 Cost.
La Suprema Corte, nella sua opera nomofilattica, ha rigettato l’eccezione di costituzionalità, con un’interpretazione che tuttavia riconosce in nuce le obiezioni sollevate dalla Procura Generale Militare.
Intervenendo infatti, seppure incidenter tantum sulla questione dell’abrogazione totale o parziale delle fattispecie penali di rifiuto del servizio per effetto della normativa di riforma delle FF.AA., ha in qualche maniera sconfessato le sue prime uscite in materia, ed in particolare la sentenza nr. 12316/05 in cui si era espressamente affermata l’abrogazione di ogni fattispecie penale di rifiuto del servizio militare obbligatorio.
In conseguenza di questo “revirement” giurisprudenziale, la Corte Suprema ha avuto modo di affermare il seguente principio di diritto:
l’art. 7 del dlgs. 215/01, così come l’art.1 comma sesto della l.331/00 (“Le FF.AA. sono organizzate su base obbligatoria e su base professionale secondo quanto previsto dalla seguente legge”), devono essere considerati norme integratrici del precetto penale e che, pertanto deve trovare applicazione, in riferimento alle situazioni da essi disciplinate, l’art. 2 comma 3° c.p.(“se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”); la norma incriminatrice di cui all’art. 151 cpmp (e parimenti tutte le altri fattispecie penali di rifiuto del servizio militare) non sono peraltro abrogate (ai sensi dell’art. 2 comma secondo c.p.), essendo semmai venuta meno una norma integratrice del precetto penale che attiene esclusivamente ai giovani assoggettati all’obbligo di leva sino al 31 ottobre 2005, data di cessazione dal servizio dell’ultimo contingente chiamato alle armi il 31.12.04 (art. 1 l.226/04).
La pronuncia autorevole, che segue a quella diametralmente opposta della stessa sezione penale del 2005, costituisce pertanto un punto di approdo nel senso di un effetto parzialmente abrogativo della normativa sopravvenuta e dei suoi riflessi penali ai sensi dell’art. 2 cp.
Questa pronuncia induce pertanto alcune riflessioni inevitabili.
L’aver, in particolare escluso l’abrogazione, seppure in via interpretativa, di tutte le fattispecie penali di rifiuto del servizio militare obbligatorio (es: reato di mancanza alla chiamata, rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza, diserzione propria od impropria) determina evidentemente delle ricadute applicative, che saranno inevitabilmente destinate a provocare ulteriori ricorsi alla Suprema Corte.
E’ evidente che le sentenze di condanna definitive per i reati di cui in oggetto saranno, con questa interpretazione, fatte salve da ogni iniziativa del condannato che ne volesse chiedere, ai sensi dell’art.2 comma secondo c.p., la revoca della sentenza per abrogazione del reato ex art. 673 c.p.p.;
La sentenza commentata, invero suscita non poche perplessità, nella parte in cui sembra riproporre un paradigma, quello del dovere di obbedienza dei provvedimenti dell’Autorità militare, alla luce del quale verificare il disvalore connesso alla condotta di rifiuto del servizio militare.
La migliore dottrina, tuttavia, unitamente ad una parte minoritaria della giurisprudenza, ha da tempo individuato un altro bene-interesse protetto dalla normativa sul reclutamento obbligatorio del cittadino alle armi, che si è ritenuto essere quello dell’efficienza e del funzionamento delle forze armate, in luogo di quello meramente formalistico dei doveri di obbedienza ai provvedimenti amministrativi.
Questa opzione ermeneutica, che privilegia, viceversa il permanere del disvalore sociale della condotta in ragione di una disobbedienza ad un ordine dell’autorità anche in presenza di una normativa extra-penale che ha reso attualmente inesigibile la prestazione obbligatoria del servizio, non rende ragione del vero interesse protetto dalla norma penale che, viceversa, in ragione del principio di sussidiarietà del diritto penale, è volta ad incriminare condotte sostanzialmente, e non formalmente, idonee ad arrecare un vulnus all’ordinamento militare.
E’ facile prevedere, o forse inevitabile, che tale interpretazione sarà prossimamente soggetta ad una rivisitazione conforme ai principi di un diritto penale moderno ancorato ad una visione sostanziale della tutela criminale.
Sembra, in definitiva, che la prassi giurisprudenziale, anche la più autorevole, in certe occasioni sia incline a conservare la “specialità” del diritto penale militare, quale retaggio di un ordinamento arcaico e superato della giustizia dei capi, slegando l’interpretazione della norma da una tutela di valori effettivi e concreti quali appunto, l’efficienza, l’organizzazione delle forze armate, in luogo di concetti più appariscenti, ma anche più evanescenti come la regolare incorporazione del cittadino militare, che al più dovrebbero essere lasciati alla sfera della illiceità amministrativa.

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