Tribunale per i minorenni di Milano 12 maggio 2006
L’art. 4 della legge 8.2.2006 che estende l’applicazione della disciplina in tema di affidamento condiviso anche al contenzioso tra genitori naturali, richiama integralmente tutte le norme sostanziali e processuali contenute nella riforma, con ciò presupponendo l’applicazione del rito speciale di cui agli artt. 706 cp.c. e seguenti con la conseguenza che la competenza ad occuparsi dell’affidamento dei figli naturali appartiene al tribunale ordinario.
Tribunale i Milano sez. IX sent. 21-28 giugno 2006 n,. 7711
Anche dopo l’entrata in vigore della legge 8.2.2006 n. 54 è competente il Tribunale dei minorenni ai sensi dell’art. 317 bis c.c. e 38 disp. att. C..c. a decidere sulla domanda di affidamento di un minore proposta da un genitore naturale non contenendo l’art. 4 della suddetta legge , che estende l’applicazione della riforma anche ai figli naturali, alcuna disposizione espressa in tema di competenza giurisdizionale.
Nota
Le riportate decisioni sono una diretta conseguenza delle molte questioni che la legge cosiddetta dell’affidamento condiviso ha sollevato e continuerà a sollevare in futuro.
Esse sono, senza dubbio alcuno, il portato della frettolosità con la quale la riforma tanto attesa e tanto sperata è stata promulgata e della sciatteria con la quale si è giunti alla definitiva formulazione del testo.
Senza entrare in alcun modo sulla validità o meno dell’intera struttura della riforma, è evidente infatti, che il grave ed insanabile contrasto tra le due decisioni è la conseguenza di uno dei tanti dubbi che la L. 8 febbraio 2006, n. 54 suscita nel dettare una nuova regolamentazione di una materia che di tutto aveva bisogno, meno che di ulteriori incertezze, idonee a procrastinare la decisione.
Non occorrono profonda riflessione e grande conoscenza dell’argomento, infatti, per comprendere quanto sia deleterio per tutti, ma in primo luogo per il minore, l’eventualità che adita una Autorità Giudiziaria questa dichiari la propria incompetenza, costringendo le parti a ricominciare dall’inizio, con il rischio, non del tutto peregrino, almeno in un prossimo futuro, di un conflitto di competenza.
In presenza, dunque, di due decisioni che indubbiamente presentano aspetti condivisibili ed apprezzabili ed in attesa di un sollecito intervento della Corte di Cassazione, che indichi l’esatta portata della recente normativa, appaiono consentite alcune osservazioni.
È’ opportuno ricordare che la L. 54/2006, recita testualmente: “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.
Egualmente opportuno è ricordare che dette disposizioni da una parte hanno innovato la disciplina di carattere sostanziale in tema di rapporti personali tra i coniugi e tra questi ultimi e la prole, modificando l’art. 155 c.c. ed introducendo gli artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinqiues e 155-sexies, c.c , e dall’altra sul piano procedimentale hanno introdotto la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali dinnanzi la Corte d’Appello ed i criteri per disciplinare la “soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze e violazioni di legge”.
Se tale, come sembra, è l’ambito delle nuove disposizioni, la prima delle riportate decisioni, più che sorretta da una puntuale interpretazione delle stesse, sembra essere frutto dell’erroneo convincimento che le innovazioni abbiano voluto introdurre quella auspicata unificazione di procedure e di norme che aveva preceduto l’emanazione della legge de qua, in materia di rapporti familiari e filiazione.
Solo in tal modo, infatti, può intendersi il provvedimento in esame nella parte in cui il Giudice precisa che con la legge 54/2006 sarebbero stati “uniformati i procedimenti relativi all’esercizio della potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale con un richiamo generale che modifica la disciplina sino ad oggi applicata”.
Una siffatta affermazione non trova alcun riscontro nel testo di legge che,a ben vedere, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale dei Minorenni, nell’art. 4 non ha affatto manifestato l’intenzione di unificare le norme di carattere sostanziale e processuale, ma ha, invece, fatto riferimento esclusivamente alle “disposizioni della presente legge” per affermarne semplicemente l’applicabilità anche ai figli naturali.
Se ciò come sembra è esatto, è doveroso riconoscere che il tribunale dei Minorenni, avrebbe dovuto correttamente prendere atto che il legislatore “tradendo” le aspettative, che avevano preceduto l’emanazione della legge 54/2006, aveva soltanto voluto estendere quei cambiamenti anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati e non sforzarsi per trovare un’impossibile motivazione per declinare la propria incompetenza.
Del resto, un certo imbarazzo emerge anche dalla sentenza, nella quale si apprezza lo sforzo affannoso di trovare argomenti per sorreggere l’impianto scaturito dall’erroreo convincimento iniziale, allorché si è costretti ad ammettere che ciò che emerge dai lavori parlamentari non è determinante e ancor di più allorché si afferma che la volontà di unificazione, o ancor meglio l’effettiva unificazione delle procedure, deve ritenersi introdotta perché la nuova regolamentazione “non sembra più consentire la scissione tra le varie competenze” esistenti tra il Tribunale dei minorenni competente per l’affidamento ed il Tribunale ordinario competente per la determinazione dell’assegno di mantenimento e l’assegnazione della casa.
Ancor meno convincenti e determinanti sono il dedotto mancato richiamo alla clausola “in quanto compatibili” o ancora la circostanza che la nuova legge introducendo la possibilità di un reclamo dei provvedimenti dinnanzi la Corte d’Appello non ha in alcun modo menzionato la sezione di Corte d’appello per i minorenni, e da ultimo la maggiore facilità di adire un autorità giudiziaria su base distrettuale, anziché un Tribunale dei minorenni.
Facile appare rilevare che siffatti argomenti perdono qualsiasi rilevanza se, come sembra certo, deve escludersi che il testo emanato possa essere interpretato nel senso di ravvisarvi la volontà del Legislatore di modificare implicitamente una ripartizione di competenze come quella tra i tribunali ordinari e quelli dei minorenni, e si consideri che un’interpretazione logico-sistematica se da un lato porta ad escludere che l’art. 38 disp. att. cc. possa essere stato abrogato, dall’altro fa apparire perfettamente compatibile con il vigente sistema di ripartizione delle competenze le norme dettate dalla legge 54/2006.
Più corretta, dunque, appare sul pieno dei principi. la seconda delle decisioni richiamate, che in sostanza, esclude che possa ritenersi eliminata la competenza del tribunale dei Minorenni a decidere in ordine all’affidamento dei figli naturali, riconoscendo che la citata legge n. 56/2006, comporta esclusivamente l’obbligo di detto Tribunale di applicare quanto in essa previsto a tutti i giudizi in cui si discuta delle materie in essa disciplinate.
Il problema, comunque, è assai delicato e dovrà essere al più presto risolto, poiché il contrasto di giurisprudenza è già una realtà e l’incertezza fa correre il rischio di un inammissibile ulteriore prolungamento di procedimenti che, come si è detto, dovrebbero concludersi nel più breve temo possibile.
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