In data 20.9.2006 è pervenuta una missiva da parte del detenuto indicato in oggetto (che si allega in copia alla presente) indirizzata a questo Magistrato con la quale il soggetto si lamenta del fatto che non è stato autorizzato dal Direttore ad ottenere un colloquio con il proprio cane all’interno del carcere .
Nel reclamo il detenuto chiede, in particolare, di essere autorizzato ad avere almeno un colloquio con il proprio cane di razza COLLIE di nome RUDY, poichè in seguito alla sua carcerazione l’animale –che è sempre vissuto accanto a lui sin dal momento della nascita- è rimasto solo, venendo momentaneamente accudito da altra persona.
Il detenuto afferma di essere molto affezionato all’animale (che per lui è come un figlio), che la lontananza sta facendo soffrire entrambi, che il cane a causa dell’assenza del padrone sta subendo delle conseguenza negative sul piano della salute ( deperimento, depressione dell’umore ecc..).
Questo Magistrato di sorveglianza ritiene che anche se la lettera dell’art. 18 OP ( e art. 37 DPR 230/2000) sembra limitare i COLLOQUI dei detenuti solo alle PERSONE, la disciplina va tuttavia integrata e interpretata alla luce degli altri principi generali dell’ordinamento penitenziario ed in particolare laddove l’art. 28 OP prevede che “una particolare cura è dedicata a mantenere , migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti con le famiglie” .
La situazione di fatto evidenziata con il reclamo in esame sicuramente può rientrare nel concetto di importante legame affettivo per il detenuto e, pertanto, deve assumere rilevanza ai fini della decisione per l’autorizzazione ai colloqui da parte del Direttore .
Non si può, infatti, dimenticare che tra i principi generali dell’ordinamento giuridico italiano vi è sicuramente anche quello della “ tutela degli animali di affezione”, ove si stabilisce (anche se sotto altri profili), che lo Stato “promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione , condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente” come si legge espressamente nell’art. 1 della Legge n.281 del 1991.
Il “favor familiae” cui si ispirano numerose norme costituzionali (artt. 29-31 COST) consente di considerare meritevole di attenzione il legame affettivo nei confronti dell’animale domestico, ciò al duplice scopo di consentire al detenuto di coltivare e mantenere i valori affettivi più significativi e altresì di circoscrivere -per quanto più possibile- le ripercussioni negative sulla persona derivanti dall’interruzione della convivenza domestica con i propri cari a causa della protrazione della detenzione.
Il legame affettivo prospettato dal detenuto deve assumere, dunque, una effettiva rilevanza giuridica nel procedimento amministrativo di autorizzazione e va, pertanto, tutelato laddove ciò non osti con altri (e certamente prevalenti) principi e diritti previsti dall’ordinamento costituzionale, quali il dritto alla salute, alla sicurezza delle persone, all’igiene e alla tutela dell’ambiente.
Sotto tale profilo il Direttore dell’Istituto conserva la massima discrezionalità nel determinare di volta in volta le modalità, i tempi (ovvero, orari e frequenza) del colloquio, nonché nel valutare i presupposti alla cui esistenza subordinare il permesso all’incontro con il cane (ad es. esistenza di collare e museruola, documentazione medica su vaccinazioni e stato di salute dell’animale, requisiti della persona che lo accompagna all’interno), ciò tenuto conto della concreta situazione ambientale e logistica ( es. idoneità dei locali, personale addetto al controllo) e delle esigenze organizzative del carcere di Biella .
Si prega, pertanto, la Direzione di rivalutare l’istanza del detenuto volta ad ottenere il colloquio con il proprio cane, tenendo conto dei principi sopra esposti.
Cordiali saluti.
Manda alla Cancelleria per quanto di competenza.
Si comunichi anche al detenuto.
Vercelli, 01/11/06.
IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA
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