Una delle grandi questioni irrisolte dell’attuale sistema sanitario nazionale, risulta essere l’area contrattuale nazionale dei dirigenti ( area medico-veterinaria e area sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa ).
L’importante questione sta nel fatto che il reclutamento di personale nelle aree considerate , fa sì che la risorse umana assuma immediatamente il ruolo di dirigente. Di fatto, però , sappiamo tutti che un medico di prima assunzione o un veterinario di dirigente ha ben poco , in quanto spesso non gestiste risorse umane , ne tantomeno risorse economico-finanziarie e strumentali. Quello che è certo e che tale personale viene considerato con la dicitura di dirigente professional.
La figura professionale del dirigente è caratterizzata dall’autonomia e dalla discrezionalità delle decisioni, nonchè dall’ampiezza delle sue funzioni tali da influire sulla conduzione della organizzazione aziendale o di una unità o servizio. Da sempre infatti si è inteso il dirigente come il diretto collaboratore del datore di lavoro nell’attività organizzativa della struttura operativa, che ha la funzione di attuare le disposizioni generali ricevute, coordinando il lavoro degli altri dipendenti.
Però al fine di stabilire l’esatto inquadramento della risorse umana, se l’appartenenza alla categoria dei dirigenti è espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, occorre far riferimento non alla nozione legale di tale categoria, ma alle relative disposizioni della contrattazione ed il giudice ha l’obbligo di attenersi ai requisiti dalle medesime previsti, poiché esse – riflettendo la volontà delle parti stipulanti – assumono valore vincolante e decisivo, tenendo altresì conto che in organizzazioni aziendali complesse è ammissibile – anche in riferimento alla prassi aziendale ed alla concreta organizzazione degli uffici – la previsione di una pluralità di dirigenti ( a diversi livelli con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia che però facciano salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal poter direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore. ( così la Corte di Cassazione 16/04/2005 n. 8650).
Il Codice Civile ha sua volta prevede all’art. 2095 tra le categorie di lavoratori subordinati , quella dei dirigenti, demandano alla legge la determinazione dei requisiti di appartenenza della categoria. Ora se andiamo velocemente e con estrema sintesi ad analizzare l’articolo 4 del D.Lgs.vo n. 165/2001 vediamo che ai dirigenti spetta una funzione che impegna l’organizzazione anche verso l’esterno , con competenze gestionali finanziarie, tecniche , di organizzazione delle risorse umane, strumentali, di controllo.
Da ultimo il D.Lgs.vo 30 Dicembre 1992 n. 502 – “ in materia di riordino della disciplina in materia sanitaria” e successive modifiche ed integrazioni apportate con il successivo decreto legislativo n. 229/99 – prevede che in sede di contrattazione collettiva nazionale siano previsti, in conformita’ ai principi e alle disposizioni del decreto , i criteri generali per la graduazione delle funzioni dirigenziali nonché per l’assegnazione , valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali e per l’attribuzione del relativo trattamento economico accessorio correlato alle funzioni attribuite e alle connesse responsabilità dl risultato.
Per il vero la norma in argomento, anche se il titolo era bene augurante “ Disciplina della dirigenza medica e delle professioni sanitarie” , non rimarca purtroppo il ruolo ben distinto del dirigente rispetto al professionista sanitario, enfatizzando e usando il termine dirigente sanitario , anche rispetto a termini e funzioni più a carattere professionale quali “ l’autonomia tecnico-professionale”, “ la collaborazione multiprofessionale”, “ l’erogazione di prestazioni appropriate e di qualità”.
Anche all’atto di prima assunzione la norma continua a parlare di “ dirigente sanitario cui sono affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia “ . E’ evidente , pertanto , che la norma ha inteso comprendere nella qualificazione giuridica di dirigente , sia le funzioni professionali che quelle a carattere gestionale.
In ragione di tale qualificazione , la stessa Contrattazione Collettiva Nazionale , non aveva molti margini per introdurre una netta diversificazione funzionale tra i compiti propri del dirigente e i compiti del professionista .
Ma allora un professionista, può essere anche un dirigente ?
Se guardiamo con stretto riferimento alle norme giuridiche attualmente vigenti diremo di si. Ma se guardiamo alla sostanza di quello che accade oggi nelle organizzazioni sindacali , sosteniamo nettamente di no.
Ciò non toglie , pero’ , di riflettere se valga la pena di tentare un riforma a tale stato di cose , nell’ottica di un miglioramento generale del sistema.
In primo luogo risulta essenziale chiedersi se sia , o meno necessaria, una riforma prima a livello di legislazione nazionale , riscrivendo l’articolo 15 del Dlgs.vo n. 502/92 , nel seno di definire in maniera più netta e diversificata i percorsi di carattere dirigenziale e quelli di carattere professionale. In ciò va tenuto anche in debito conto la necessità di una riforma dei canali di reclutamento, prevedendo delle procedure concorsuali diversificate.
Un primo passo significativo, a titolo di esempio , sembra averlo compiuto la Legge 1 Febbraio 2006 n. 43 “ in materia di professioni sanitarie infermieristiche , ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione” laddove all’articolo 6 , rimarca una prima ed importante differenziazione tra :
– professionisti specialisti in possesso del master di primo livello per le funzioni specialistiche;
– professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello in management;
– professionisti dirigenti in possesso del diploma di laurea e che abbiano esercitato l’attività professionale con rapporto di lavoro dipendente per almeno cinque anni , oppure ai quali siano stati conferiti incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 7 della legge 10 Agosto n. 251.
Tale norma avvia un percorso di differenziazione delle carriere e dei relativi titoli di studio , che comunque richiede un completamento da parte dell’assetto contrattuale nazionale.
Oltre il livello legislativo , che dovrebbe quindi fornire un quadro giuridico di base , occorrerebbe poi agire a livello delle aree contrattuali, nel senso quindi di una netta demarcazione tra le carriere dirigenziali proprie e le carriere professionali.
Ritornando all’aspetto sostanziale , lasciando per un attimo il campo giuridico, ci chiediamo però se questa riforma valga la pena di farla. A tale scopo tenterò di evidenziare alcune problematiche oggi esistenti nelle Aziende Sanitarie.
E’ ancora oggi prassi constante in molte aziende sanitarie , considerare rilevante , come importante traguardo e riconoscimento , avere la responsabilità di qualche ambulatorio , di qualche unità o struttura , fino al massimo riconoscimento delle responsabilità di tipo dipartimentale o di presidio ospedaliero o di zona distrettuale. Tanto che l’aspettativa di molti medici dirigenti risente ancora oggi di questa situazione . Ciò ha comportato un proliferare, a volte eccessivo, di strutture , sub strutture , unità ecc., creando a volte delle notevoli difficoltà di processo integrato delle cure , perché poi il cittadino ha bisogno di riposte che vanno date. Per non parlare poi del proliferare dei costi di mantenimento logistico di queste strutture plurime.
Nel contempo lo schiacciamento dell’area professionale, produce il fenomeno delle fughe degli specialistici all’esterno della organizzazione aziendale, a volte con contenuti effettivamente di distorsione, in quanto il professionista costruisce le sue aspettative e soddisfazioni attraverso ambiti di intervento diversi da quelli dell’unità funzionale di riferimento. A volte , drammaticamente , si è assistito anche all’uso improprio della funzione professionale , come sponsor di attrazione degli utenti verso interventi assistenziali in forma libero professionale. Questo ha prodotto un uso distorto della libera professione, dirottando risorse ed ambiti di intervento che potevano essere fatti a livello dei volumi prestazionali aziendali,
Il recente dibattito politico sull’ introduzione dell’esclusività del rapporto di lavoro, non risolve compiutamente il problema , se non si provvede ad una riforma radicale dell’impianto contrattuale , che non dia l’unica soluzione con norme di legge di “ costrizione all’esclusività” , ma invece che crei le condizioni , i meccanismi e le opportunità per rendere conveniente e soddisfacente il fatto di lavorare in modo esclusivo nell’Azienda Sanitaria.
Alcune Aziende Sanitarie , quelle più accorte, hanno iniziato a valorizzare maggiormente il ruolo professionale dei cosiddetti “ dirigenti “ cercando nell’ambito della graduazione delle retribuzione di posizione variabile aziendale, di valorizzare di più il livello economico dell’incarico professionale di alta specializzazione , a volte , in alcuni casi equiparandolo agli incarichi di struttura semplice e anche oltre.
Tale tentativo , pur di buona volontà e direi necessità , cozza terribilmente, però, con la struttura del CCNL , che accosta all’incarico di struttura complessa e quello di natura dipartimentale , diverse indennità , difficilmente raggiungibili da una qualsiasi forma di graduazione “in alto “ degli incarichi di alta specializzazione.
Chiedersi , pertanto, se valga la pena tentare una riforma della struttura del CCNL e’ , pertanto , il presupposto fondamentale per dare incisività alla evoluzione dei nostri sistemi sanitari.
Mi limitero’ a fornire qualche spunto propositivo , che merita sicuramente una analisi più approfondita , in primis con le organizzazioni sindacali , al fine di giungere ad una soluzione condivisa di miglioramento del nostro sistema sanitario nazionale.
In primo luogo , pensiamo che vada proprio ridefinita la denominazione contrattuale “ area della dirigenza” iniziando con ciò ad impostare la prima diversificazione basilare e cioè : l’area della dirigenza e delle professioni medico-veterinaria e l’area della dirigenza e delle professioni sanitarie, professionali, tecniche e amministrative. Tale prospettiva consente a priori di identificare due distinti percorsi di sviluppo professionale: quello a carattere dirigenziale , che deve essere gestionale nel senso stretto del termine e quello a carattere professionale , che deve essere maggiormente valorizzato con possibilità di graduazione “ in avanti “ anche a livelli paritari con i piu’ alti incarichi gestionali, quando la disciplina , la specializzazione e’ ritenuta preziosa ed importante per la funzione assistenziale di una azienda sanitaria.
Un discorso a parte merita la dirigenza amministrativa , spesso trascurata e rilegata ad ambiti procedurali , ma che và invece valorizzata negli aspetti di pianificazione , direzione e controllo anche di carattere sanitario, come funzione principe di management di una azienda sanitaria , proprio nel senso classico di dirigente gestionale. La professione di un amministrativo a livello dirigenziale , non può che essere strettamente dirigenziale. In tale contesto servono meno dirigenti amministrativi ma buoni e capaci di gestire strutture e unità anche importanti a livello di macro-livello, creando le condizioni organizzative e funzionali affinché i professionisti possano esplicare al meglio la funzione più nobile e importate di una azienda sanitaria che rimane l’aspetto assistenziale ai cittadini.
In tale contesto e a tutti i livelli un cenno merita anche la necessità di riequilibrare i meccanismi di gestione , che oggi subordinano fortemente l’aspetto professionale a quello della direzione delle strutture, ritagliando e disegnando maggiormente gli ambiti di autonomia tecnico-professionale, rispetto al quadro gestionale concepito in senso di supporto.
In secondo luogo occorre concentrarsi , in particolare sulla riforma dell’articolo 27 dei CC.NN.LL. delle area dirigenziali, che prevedono la strutturazione degli incarichi dirigenziali come di seguito:
a) incarico di direzione di struttura complessa
b) incarico di direzione di struttura semplice
c) incarico di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e controllo;
d) incarico di natura professionale
Tale concezione – anche se ultimamente per dire il vero le Aziende Sanitarie hanno fatto notevoli sforzi ( nel processo di graduazione degli incarichi dirigenziali ) per innalzare il peso degli incarichi professionali specialistici – risente comunque di una architettura che produce concretamente il fatto che per fare carriera bisogna arrivare agli incarichi di direzione di una qualche struttura. Inoltre l’aver correlato agli incarichi di alta specializzazione, anche quelli di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi , di verifica e controllo , produce una sorta di appiattimento del livello specialistico, che va invece valorizzato e distinto dalle altre funzioni, anche come identificazione formale per dare un segnale ben preciso.
Inoltre anche il processo contrattuale della progressione degli incarichi , impostato sulla anzianità maturata e/o sugli strumenti di valutazioni , risente in pari misura di questa impostazione che per arrivare agli incarichi di struttura “ ritenuti più preziosi” ci vuole, sulla carta, molto più tempo rispetto a quelli a valenza professionale.
Pertanto la riforma dell’articolo 27 dovrebbe quantomeno consentire di disciplinare i due binari delle carriere prevedendo :
In primo luogo una articolazione ben definita e distinta della carriera “ dirigenziale gestionale “ ad esempio :
– direzione di macro- struttura complessa ( a valenza di articolazione aziendale)
– direzione di struttura complessa
– direzione di struttura semplice
– dirigenza gestionale di accesso ( una sorta di primo livello propedeutico di accesso alla carriera gestionale in cui il dirigente collabora per un certo periodo di anni con il direttore responsabile )
In tale ambito vanno anche indicate in linea di massima le funzioni tipiche dirigenziali , attraverso un potenziamento delle attitudini proprie della funzione gestionale, quali ad esempio:
1.La funzione di pianificazione e di controllo direzionale;
2.L’organizzazione della struttura , la sua sicurezza e manutenzione;
3. La capacità di gestire e motivare le risorse umane ( elemento ancora carente nelle aziende sanitarie )
4. La sensibilità all’utilizzo economico delle risorse ( perché le risorse non sono infinite )
5. Lo sviluppo degli stili di leadership e la lotta al mobbing a tutti i livelli ( fenomeno oggi molto diffuso nelle organizzazioni sanitarie )
6 La capacità di fare sistema e di creare le condizioni organizzative e strutturali per il processo integrato assistenziale ;
7. La capacità di analisi , di semplificazione dei percorsi di orientamento e di accesso alla cure;
8. La capacità di controllo e di intervento immediato nei tempi di attesa alla cure e/o in caso di disfunzione dei servizi;
9. La capacità di introdurre sistemi di valutazione efficaci , tendenti allo sviluppo delle risorse umane;
10. La capacità di progettare la formazione ;
Ho citato solo alcuni punti , ma ce ne sono tanti altri , tanto per chiarire che dirigente non si nasce , ma si diventa con un percorso di carriera appropriato e ben definito.
In secondo luogo una articolazione di una carriera “ professionale “ di pari importanza rispetto a quella dirigenziale :
– incarichi di alto livello specialistico di eccellenza ( anche a valenza dipartimentale)
– incarichi di medio livello specialistico di rilevanza
– incarichi di ordinario livello specialistico
– incarichi professionali di accesso
In tale percorso dovranno essere maggiormente valorizzati i pesi e le graduazioni riferite alla posizione variabile , in modo che l’alto livello professionale specialistico , consenta una visibilità e importanza maggiore , al fine proprio di costruire un percorso di carriera parallelo e di pari importanza con la carriera dirigenziale gestionale.
Tale percorso dovrebbe valorizzare i ruoli professionali concentrando le carriere sui seguenti ambiti :
1) Lo sviluppo del governo clinico
2) L’appropriatezza , la precisione e la qualità delle cure assistenziali
3) La maggiore cura per la formazione , la ricerca e la didattica
4) Una maggiore cultura dell’integrazione professionale per ambiti dipartimentali “ professionali”
5) Lo sviluppo dei percorsi assistenziali . tipo ospedale / territorio e delle linee guida professionali
6) In generale l’attenzione e l’ambizione per lo sviluppo della professionalità specialistica come percorso di carriera riconosciuto e valorizzato dall’Azienda.
Le Aziende Sanitarie hanno, rispetto ad altri settori produttivi del paese, la più forte connotazione professionale .Creare le condizioni affinché questi professionisti possano esplicare al meglio la loro attivita’ richiede uno sforzo importante e costruttivo che, credo, vale la pena di affrontare, anche con soluzioni diverse e innovative.
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