La decisione in esame si riferisce ad un frequente malcostume nazionale e cioè quello di adoperare le autovetture di proprietà della propria amministrazione per fini non rigorosamente istituzionali.
Giova ricordare che l’utilizzazione delle autovetture delle “Amministrazioni dello Stato” e degli “Enti autonomi comunque finanziati dallo Stato “ trae la sua originaria disciplina generale nel Regolamento approvato con R.D. 3 aprile 1926, n. 746, il quale prescrive tassativamente che le autovetture assegnate alle citate Amministrazioni pubbliche debbono essere adoperate “esclusivamente” per ragioni di servizio, prevedendo anche che tale destinazione esclusiva trova eccezione soltanto in considerazione del rilievo delle funzioni svolte da determinate autorità, anche esse tassativamente indicate (Ministri, Sottosegretari di Stato, funzionari appartenenti al 1° e 2° grado dell’ordinamento gerarchico statale all’epoca vigente, Capo della Polizia, ecc).
Il principio generale della utilizzazione delle autovetture di proprietà delle Amministrazioni pubbliche esclusivamente per ragioni di servizio è stato – poi – confermato dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412, che all’art. 20 ha ribadito sia il “divieto di destinare autoveicoli di Stato ad uso esclusivo da parte di singoli funzionari dell’Amministrazione centrale e periferica dello stato” e sia la tassatività delle eccezioni (Ministri, Sottosegretari di Stato, ecc).
Lo stesso principio generale è stato – ancora – confermato dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”, che nei commi 118 e seguenti – anche per esigenze di contenimento della spesa pubblica – ha ribadito la distinzione tra autovetture di servizio ed autovetture in uso esclusivo, rinviando ad un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri la individuazione di particolari categorie (oltre quelle già indicate di Ministri e Sottosegretari di Stato), alle quali consentire l’uso delle auto di servizio.
Con D.P.C.M. 28 febbraio 1997 è stata – ulteriormente – confermata la distinzione tra autovetture di servizio ed autovetture in uso esclusivo, prevedendo – in particolare – che i “piani di utilizzo intensivo delle autovetture attualmente in dotazione e del relativo personale di guida” (da adottarsi da parte delle Amministrazioni pubbliche) possono prevedere l’assegnazione di autovetture ai soggetti preposti a strutture da individuarsi con apposito provvedimento e che l’utilizzo di dette autovetture “può essere consentito per esigenze di servizio del titolare, compresi gli accompagnamenti al e dal luogo di lavoro e gli spostamenti motivati da esigenze di sicurezza, fermo restando l’ottimale perseguimento degli obiettivi della struttura”.
E’ stata – quindi – emanata la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 febbraio 1998 in materia di utilizzo delle autovetture di servizio con l’obiettivo di pervenire ad una significativa riduzione delle spese nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse umane e finanziarie nelle Amministrazioni civili dello Stato e degli Enti Pubblici non Economici, da realizzare attraverso la dismissione del parco automobilistico, lo smantellamento delle officine esistenti e l’esternalizzazione del servizio di trasporto.
Il successivo D.P.C.M. 30 ottobre 2001 ha formalizzato la distinzione tra “autovetture di servizio in uso esclusivo” (specificando tassativamente – nell’art. 1 – i titolari delle seguenti cariche: Presidente del Consiglio dei Ministri, Vice Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministri, Vice Ministri, Sottosegretari di Stato, Primo Presidente e Procuratore Generale della Corte di Cassazione e Presidente del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, Presidente del Consiglio di Stato, Presidente e Procuratore Generale della Corte dei Conti, Avvocato Generale dello Stato, Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, Presidente di Autorità indipendenti) ed “autovetture di servizio in uso non esclusivo”, prevedendo – nell’art. 2 (a parziale modifica dell’art. 2 del citato D.P.C.M. 28 febbraio 1997) – che “i piani di utilizzo intensivo delle autovetture attualmente a disposizione delle Amministrazioni pubbliche e del relativo personale di guida possono prevedere l’assegnazione di autovetture non esclusive ai soggetti preposti alle strutture …. da individuarsi con apposito provvedimento” (tra le quali: le Sezioni e le Procure Regionali della Corte dei Conti, i Tribunali Amministrativi Regionali, le Avvocature Distrettuali dello Stato, la Direzione Nazionale Antimafia, le Corti di Appello, le Procure Generali della Repubblica presso le Corti di Appello, i Tribunali, le Procure della Repubblica presso i Tribunali, le Direzioni Generali delle Amministrazioni dello Stato, gli Uffici di livello dirigenziale generale, ecc.) e che l’utilizzo non esclusivo di tali autovetture “può essere consentito solo per esigenze di servizio, compresi gli accompagnamenti al e dal luogo di lavoro e gli spostamenti motivati da esigenze di sicurezza, fermo restando l’ottimale perseguimento degli obiettivi della struttura”.
Con la contestuale direttiva del 30 ottobre 2001 del Presidente del Consiglio dei Ministri sui “Modi di utilizzo delle autovetture di servizio delle Amministrazioni Civili dello Stato e degli Enti Pubblici non Economici” è stato specificato – in particolare – che, “al fine di ottenere un consistente contenimento delle spese, l’affidamento a terzi (del servizio di trasporto di beni e persone da parte delle Amministrazioni pubbliche) deve comportare l’effettiva riduzione del numero delle autovetture e la conseguente ridefinizione dei fabbisogni di personale da adibire alla guida”, sottolineando che “la (c.d.) esternalizzazione….deve prevedere l’affidamento del servizio di trasporto, la dismissione del parco automobilistico, lo smantellamento delle officine esistenti” e che “le Amministrazioni sono tenute ad aderire alle convenzioni – previste dall’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e dall’art. 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 – stipulate dalla Concessionaria Servizi Informativi Pubblici (CONSIP) S.p.A., al fine di conseguire maggiori benefici in termini di economicità degli acquisti, miglioramenti dei livelli di servizio dei fornitori ed accellerazione delle procedure”.
Ripercorsa brevemente la normativa che nel tempo ha disciplinato il settore in questione, va anche fatto presente che nel passato sono sorti non pochi dubbi di ordine interpretativo circa la possibilità di ricomprendere tra le ragioni di servizio anche l’accompagnamento dalla abitazione alla sede di lavoro, e viceversa, e – nell’ipotesi affermativa – quali dovessero essere le circostanze di luogo e di tempo che lo giustificassero.
Va, al riguardo, segnalato che una utilizzazione comprensiva dell’accompagnamento dall’abitazione alla sede di lavoro e viceversa era divenuta piuttosto generale e piuttosto tollerata, purché nell’ambito territoriale della stessa Città dell’Ufficio di appartenenza, soprattutto dopo che si era maturato – in sede penale – un orientamento che aveva ritenuto consentito l’utilizzazione dell’autovettura di servizio per l’accompagnamento, nella stessa Città, dalla abitazione alla sede di lavoro, e viceversa, sancendo – invece – il divieto per ragioni personali di carattere privato o di familiari (Cass. Pen., Sez. VI, Sent. 14 dicembre 1978).
Ciò, peraltro, ha comportato – come conseguenza – l’instaurarsi di prassi certamente di abuso ed al limite della legalità (se non del tutto illegali), determinando via via nei vari beneficiari la convinzione di ritenere legittimo l’utilizzazione personale dell’auto di servizio, purchè strumentale al raggiungimento della sede di lavoro.
Il problema si è riproposto quando – in ragione dello sviluppo dei mezzi di trasporto personali – è stato, di fatto, ritenuto superato l’obbligo della residenza nella sede di lavoro; obbligo che, invece, è rimasto normativamente sempre in vigore, necessitando ancora – per il suo superamento – una specifica autorizzazione a risiedere fuori sede.
Diversa è la problematica relativa agli “spostamenti motivati da esigenze di sicurezza”, di cui è menzione nei citati DD.P.C.M. del 28 febbraio 1997 e del 30 ottobre 2001.
Tali esigenze rispondono, infatti, a finalità specifiche, ricomprese in particolari programmi di protezione riguardanti personalità ad alto rischio, alle quali – nell’ambito di detti programmi – vengono assegnate anche autovetture con caratteristiche speciali tali da offrire un maggior grado di sicurezza contro possibili attentati malavitosi (c.d. autovetture blindate).
Ebbene, l’assegnazione di queste autovetture – essendo strumentale alla protezione della persona di cui si è detto – comporta una utilizzazione che appare molto vicina a quella in via esclusiva indicata in precedenza, perché deve consentire la maggiore tutela possibile della personalità protetta per tutti i percorsi di viaggio, a prescindere – quindi -, in talune circostanze, da un concreto ed effettivo collegamento a specifiche ragioni di servizio.
In sostanza, l’uso di una “autovettura blindata” assegnata per ragioni di sicurezza nell’ambito di un particolare programma di protezione – pur non essendo mai riconducibile ad un uso personale in via esclusiva – può consentire, in specifiche circostanze, anche l’accompagnamento alla e dalla propria abitazione posta fuori dalla Città sede di lavoro, mentre una simile deroga non è consentita per l’uso normale delle autovetture non blindate in assegnazione ordinaria, che – come si è già detto – può comportare l’accompagnamento dalla abitazione alla sede di lavoro, e viceversa, soltanto nell’ambito territoriale della stessa Città sede dell’Ufficio di appartenenza.
Per quanto concerne la fattispecie all’esame dei giudici umbri, va segnalato che si è in presenza di utilizzazione di autovetture non blindate, assegnate (ovvero, più propriamente, consentite di volta in volta) non per ragioni di sicurezza e non in uso personale esclusivo.
I giudici, avendo accertato che il citato in giudizio utilizzava sistematicamente l’autovettura pubblica per essere accompagnato presso i propri domicili e viceversa – senza che tale benefit rientrasse nel contratto di lavoro da lui stipulato con l’ente pubblico – condannano per colpa grave in ragione del comportamento di negligente disinteresse ed imperizia tenuto dallo stesso nell’espletamento delle proprie funzioni di vertice.
Ai giudici è apparsa riprovevole la disinvoltura manifestata dal Direttore nell’abusare di tale servizio tenuto conto altresì che è stata acclarata una ulteriore voce di pregiudizio erariale corrispondente alle somme erogate a titolo di straordinario dall’ente pubblico a favore dei conducenti delle predette autovetture per le attività prestate in tali occasioni.
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