Il D.L.vo n. 5198 ha introdotto nuove figure di magistrati onorari sia requirenti che inquirenti, rispettivamente il giudice onorario di tribunale ed il vice procuratore onorario, affiancandoli ai precedenti, i giudici di pace, istituiti ex L. n. 37491, e sopprimendo le figure dei vice pretori onorari a seguito dell’uscita di scena delle preture circondariali1.
In ossequio alla normativa O.G. costoro tutti soggiacciono agli stessi obblighi, doveri e responsabilità, anche disciplinari, dei togati nell’esercizio e nello svolgimento delle funzioni loro assegnate, e, in particolar modo, se assegnati al settore civile, sono tenuti ad astenersi nei casi individuati dall’art. 51 del codice di rito civile, onde non incorrere in ricusazione ex art. 52 cpc.
Si è osservato un certo manierismo difensivo 2 che preliminarmente avanza formale istanza affinché il giudice (togato od onorario, indifferentemente) valuti l’opportunità di astenersi dal decidere un certo giudizio alla luce di quanto previsto dall’art. 51 cpc con espressa e formale riserva di depositare, all’occorrenza, nei termini di legge, ricorso per ricusazione, termini, di fatto, preclusi al momento del provvedimento del giudice, di tal che in parvenza ci si rimette all’imperscrutabile determinazione del giudicante, il quale, nel caso in cui dovesse decidere di non astenersi, prelude al ricorrente un circolo vizioso e cioè ad impugnare con gli atti esecutivi, se dinanzi a g.e., ovvero con espressa riserva d’appello, se dinanzi a g.i., ogni successivo provvedimento giurisdizionale, creando così l’humus per l’introduzione, successivamente, di ricusazioni à gogo.
Ci si chiede se nel caso, riscontrato non infrequente, in cui un difensore del circondario di tribunale ovvero del mandamento presso cui svolge le funzioni onorarie il g.o. ottenga una o più domiciliazione nel di lui circondariomandamento presso lo stesso, ovvero presso suoi associati o collaboratori di studio ovvero ancora presso il coniuge del g.o. esercitante la libera professione (ovvero, in quest’ultimo caso, indifferentemente, anche del giudice togato), sorga un rapporto di debito – credito, essendo il primo difensore debitore del secondo delle spese e competenze di domiciliazione, se non anticipate, ovvero il primo creditore del secondo, se anticipate in sovrappiù, per cui il g.o., ex art. 51, debba astenersi dal decidere le controversie di detto difensore.
La casistica prospettata non rientra di fatto nella disciplina di cui al co. 1 dell’istituto dell’astensione del giudice, normato dall’art. 51 cpc.
É pacifico che tale articolo prevede casi esclusivi di astensione diretta (nn. 1, 4 e 5), ove sia coinvolto il giudice personalmente, nel senso formale e sostanziale, e casistica mista di astensione diretta ed indiretta, con la precisazione che ricorre tale ultima ipotesi allorquando egli vi sia coinvolto di riflesso ove chi abbia rapporti diretti sia non il giudice ma il coniuge (nn. 2 e 3).
Per lungo tempo dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che tale elencazione fosse tassativa e che, per l’effetto, il primo comma disciplinasse casi di astensione obbligatoria mentre il capoverso dell’art. 51 cpc disciplinasse casi di astensione facoltativa.
A seguito dell’introduzione della modifica dell’art. 111 Cost. ed alla luce dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, chi scrive ritiene, con parte della dottrina, che tale elencazione sia suscettibile di interpretazione analogica od anche estensiva sicchè ad esempio oltre a fattispecie di interesse economico del giudice eo del coniuge possano ricomprendervi fattispecie di interesse <<morale>>, qualora però quest’ultimo sia di ampiezza tale da far ragionevolmente dubitare dell’imparzialità del giudice 3.
Tuttavia, pur a seguito della modifica dell’art. 111 Cost. ed in combinato disposto con l’art. 6 CEDU, tuttora è pacificamente ritenuto da dottrina, pur la più evoluta, e giurisprudenza, che i rapporti di credito o debito devono, per costituire motivo di astensione obbligatoria e ricusazione, essere continuativi e tali da rendere sospetta la figura del giudice, sicchè, ad es., la mera apertura di un conto corrente bancario presso un istituto di credito, pur creando un rapporto di credito e di debito (e non rapporti) non integrerà tale motivo di ricusazione, se non quando ricorrano altre particolari situazioni oggettive, come nel caso in cui la causa sia di valore particolarmente elevato e coinvolga gli interessi della filiale locale dell’istituto di credito presso il quale il magistrato è correntista4.
Si deve inoltre trattare di rapporti di debito – credito e non di credito e di debito di per sé considerati, ut de quo, rientrando tra i primi: i rapporti di mutuo, locazione, di vendita con pagamento dilazionato, i contratti di conto corrente bancario mentre è controversa la casistica sui contratti di deposito a risparmio, attesa, per questi, la loro spersonalizzazione degli attuali rapporti banca – cliente.
Non necessita tuttavia che il credito debba essere certo ed esigibile atteso che esso, invece, deve essere non solo di entità rilevante ma continuativo nel tempo ed altresì attenere a numerose situazioni, atteso che la norma utilizza, quanto alla regola, il termine al plurale (“rapporti”) e non al singolare (“rapporto”) e quanto all’eccezione deve trattarsi di controversia di valore particolarmente elevato.
Ne consegue che in caso di rapporti obbligatori essi debbano essere almeno potenzialmente litigiosi o di rilevante ammontare, tenendo in considerazione i patrimoni delle parti coinvolte ed in caso di rapporto esso debba essere di una certa entità, intendendo quest’ultima come da valutare in senso oggettivo sia alla stregua della comune sensibilità sociale sia alla stregua di parametri statisticamente determinati o determinabili (es.: riferimento ai dati Istat).
Mentre, nel caso di specie, si è riscontrato sia che la-e domiciliazione-i si esaurisce-ono al massimo entro l’arco del mandato onorario sia che gli importi non sono mai elevati sia che più professionisti forensi condividono la medesima struttura senza vincoli di sorta e con organizzazione del proprio lavoro completamente autonoma.
Nel caso in cui, invece, domiciliatario sia il collaboratore di studio, applicando analogicamente la recente sentenza della Cassazione5, egli ne risponde personalmente senza alcun coinvolgimento dell’avvocato, singolo od associato, presso il cui studio ha svolto o svolge la pratica professionale.
Quanto allo studio associato, pur se, in linea di massima, si ritiene di escluderne la fattispecie, occorre verificarne di volta in volta l’articolato dello statuto.
Nel caso in cui poi tale difensore revochi la domiciliazione, richiedendo la restituzione delle somme rimesse in acconto, se creditore, ovvero richiedendo l’invio di parcella di domiciliazione, se debitore, se ne deduce che, quand’anche fosse mai esistito un rapporto di debito – credito, a voler ricomprendervi una o più domiciliazione-i con uno o più acconto-i, solitamente di importo non rilevante, e non plurimi rapporti di debito – credito (secondo l’interpretazione restrittiva) ovvero un rilevante rapporto di debito – credito (secondo l’interpretazione estensiva), sì come previsti dalla norma in esame, detto difensore ha, di fatto, provveduto ad eliminare tale ipotesi di astensione.
Di tal più se v’è l’ultronea circostanza che le somme siano state restituite (se creditore) ovvero versate (se debitore), esaurendo così del tutto il presunto rapporto di debito – credito, ovvero ancora giacenti ed in attesa di apprensione.
Sospetta è, poi, di certo, la “sollecitazione” all’astensione del g.o. proveniente da parte di quel difensore che abbia conferito un’unica domiciliazione e non abbia mai, sia in data antecedente sia in data successiva sia perdurante la stessa e sino a tale “sollecitazione”, eccepito alcunché, risultando difensore in molteplici processi, di cognizione eo di esecuzione celebrati dal g.o., come risultante dalla consultazione del ruolo generale e dal ruolo di udienza di detto magistrato.
Ne deriva che non solo l’eventuale ipotesi di astensione di cui al n. 3 del 1° co. dell’art. 51 cpc, ove mai rinvenibile, sia venuta del tutto a decadere, ma, alla luce di quanto argomentato, non siano altresì ravvisabili altri motivi di astensione anche ai sensi dell’art. 51 cpv. cpc.
Per il combinato disposto dell’art. 51 cpc e 78 dacpc, infine, si distingue la dichiarazione di astensione del giudice dalla richiesta di autorizzazione ad astenersi dello stesso al capo dell’ufficio.
Nel caso in cui il g.o. su “sollecitazione all’astensione” dichiari di non astenersi, si ritiene tuttavia opportuno richiedere preliminarmente di astenersi affinché il Presidente del Tribunale verifichi se, nel caso di specie, vi sia “serio pericolo per la serenità e l’obbiettività del giudizio, con perdita dell’indispensabile posizione di imparzialità e terzietà” (in termini: Cass. Civ, Sez. III, sentenza n. 702 3) o no ed in tal caso neghi al g.o. l’autorizzazione ad astenersi e gli faccia conservare piena capacità decisoria onde non divertire la controversia dal suo giudice naturale.
La parte che non dovesse poi condividere il provvedimento del Presidente del Tribunale, atto squisitamente amministrativo e pertanto inoppugnabile dinanzi la giurisdizione civile, potrà dolersene avanti la giustizia amministrativa, impugnandolo.
Avv. Mariarosaria Porfilio
1 il giudice di pace sostituisce a sua volta il conciliatore, incarico onorario ed ufficio giudiziario soppressi a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 37491
2 ordinanza G.O.T. Tribunale di Brindisi, Sez. Dist. Fasano, 66 8
3 Diettrich, in Il Diritto, Enciclopedia Giuridica del Sole 24 Ore, vol. 1, voce Astensione.
4 testualmente: AA.VV., Collana Le Fonti del Diritto Italiano, Codice di Procedura Civile, Giuffrè, sub art. 51.
5 Cass. Civ. Sez. I, n. 8445 8
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