1. Del diritto di accesso – cenni
Il diritto d’accesso agli atti della P.A. è stato riconosciuto, dall’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i., alla generalità dei consociati.
Il principio di cui si discute si sostanzia, in pratica, nell’attribuzione ai cittadini del potere di controllo democratico sullo svolgimento dell’azione amministrativa.
Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, contiene una specifica disposizione concernente l’accesso ai documenti amministrativi detenuti da Comuni e Province.
A tale proposito, l’art. 10 del citato decreto legislativo, al primo comma stabilisce testualmente: «Tutti gli atti dell’Amministrazione Comunale e Provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del Sindaco o del Presidente della Provincia che ne vieti l’esibizione, conformemente a quanto previsto dal regolamento, in quanto la loro diffusione può pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese». Proseguendo, al secondo comma stabilisce: «Il regolamento assicura ai cittadini, singoli e associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi; individua, con norme di organizzazione degli uffici e dei servizi, i responsabili dei procedimenti; detta le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame di domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino; assicura il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’Amministrazione».
La portata dell’art. 10, tuttavia, non può indurre a pensare a un diritto di accesso riguardante gli atti comunali nel senso di legittimare la visione di tali documenti a prescindere da un preciso interesse qualificato e differenziato in capo al richiedente e comprendente il complesso indiscriminato degli atti medesimi, quasi a consentire quel controllo generalizzato che abbiamo visto escluso dall’art. 24, comma 4, della già citata legge 7 agosto 1990, n. 241.
Il diritto di accesso di cui il Consigliere Comunale o Provinciale è titolare oltre che dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 è assicurato e rinforzato dalla norma speciale di cui all’art. 43, comma. 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che testualmente recita: «I Consiglieri Comunali e Provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del Comune e della Provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato».
La norma accorda al Consigliere Comunale o Provinciale un diritto pieno e non comprimibile atteso che la speciale normativa, che detta il diritto di accesso dei Consiglieri Comunali e Provinciali non prevede alcun limite nemmeno a tutela di esigenze di riservatezza, fermo restando, tuttavia, il dovere per i Consiglieri medesimi di mantenere il segreto «nei casi specificamente determinati dalla legge» [1].
2. Diritto di accesso – diniego
Il diritto di accesso, di cui all’art. 43 citato al paragrafo precedente, potremmo dire essere più “privilegiato” rispetto a quello previsto dall’art. 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241, applicabile agli atti degli enti locali.
Le disposizioni richiamate collegano l’accesso a tutto ciò che può essere ritenuto effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo Consigliere Comunale o Provinciale
Tuttavia va rilevato che anche per il Consigliere il diritto deve essere esercitato in maniera corretta e non in contrasto con le finalità della legge. Infatti sarebbe discutibile il comportamento del Consigliere che chiedesse e ottenesse copia di documenti non utili per l’esercizio del mandato amministrativo. A tale proposito è stato ritenuto legittimo il provvedimento con il quale è stata rigettata una richiesta di accesso avanzata da alcuni Consiglieri Comunali riguardante un cospicuo numero di copie di “documenti ritenuti utili”, risultata non coerente con il mandato ed i compiti, definiti dalla legge, per i predetti soggetti configurandosi, come una forma di controllo specifico e non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo[2]. Va sottolineato che, in generale, il diniego di quel che può essere un accesso agli atti sia pure assolutamente improprio è legittimo ogni volta che la richiesta del Consigliere non sia stata avanzata per scopi «utili all’espletamento del proprio mandato» (come previsto dall’art. 43, comma 2, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), «e perciò con carattere meramente strumentale e perciò non utili all’espletamento del proprio mandato»[3].
3. Le minute dei verbali dei resoconti assembleari
E’ vero che la legge attribuisce una nozione molto ampia di documento amministrativo ricomprendendo in essa non solo gli atti interni al procedimento amministrativo ma anche quelli posti in essere da privati investiti di una pubblica funzione, in quanto, in ogni caso, volti a perseguire scopi e finalità di interesse generale e collettivo, tuttavia le minute dei verbali delle sedute assembleari non sono suscettibili di entrare a far parte del novero degli atti o documenti amministrativi, in relazione ai quali la legge consente agli interessati l’esercizio del diritto di accesso.
Il verbale comprensivo del resoconto assembleare (c.d. minuta) relativo ad una delibera del Consiglio Comunale o Provinciale non rientra nell’ambito oggettivo di operatività del diritto d’accesso e, quindi, nella nozione di documento amministrativo di cui all’art. 22, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Giova, infatti, osservare che i documenti amministrativi che possono formare oggetto di accesso e assentiti dalla norma citata sono, di regola, la rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie di atti, anche interni, formati dalla P.A. o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. L’art. 1, comma 1, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ripete sostanzialmente la stessa definizione, con la locuzione «ogni rappresentazione comunque formata».
Ciò posto, è evidente che semplici appunti, come deve considerarsi la registrazione effettuata dal Segretario Comunale o Provinciale a proprio uso, non ancora tradotti in atti, non assurgono alla qualificazione di documento amministrativo[4].
Sul punto, il giudice di prime cure del Lazio ha sostenuto che «Deve, invero, ritenersi che in carenza di una specifica normazione positiva, anche di livello secondario, che attribuisca alle minutazioni dei verbali delle riunioni degli organi collegiali, la veste ufficiale di atti o documenti amministrativi, ancorché strumentali e prodromici, siccome finalizzati al successivo adempimento della verbalizzazione formale, relativa alla determinazione finale e conclusiva effettivamente assunta dall’organo deliberante, la redazione, necessariamente affrettata ed approssimativa, di un testo informale, che, sulla scorta della comune esperienza, si rivela più assimilabile ad un brogliaccio che ad un resoconto assembleare, non possa valere se non per ciò che essa realmente rappresenta: cioè a dire, una serie di appunti ed annotazioni resi a futura memoria, che il segretario verbalizzante compila, ad uso interno e personale del proprio ufficio, e che, pertanto, sono destinati a restare nell’esclusiva disponibilità del medesimo, al fine della loro utilizzazione in sede di stesura definitiva del verbale di assemblea, senza che alcuno possa ritenersi investito della legittimazione di accedervi, per effettuare su di essi una consultazione a riscontro della veridicità e della fedeltà di riproduzione delle operazioni e delle discussioni svolte nel corso della seduta.” Poiché, dunque, le minute dei verbali non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie procedimentale, ma si pongono quali semplici strumenti di supporto dell’attività demandata ai funzionari addetti alla verbalizzazione, esse non rivestono alcuna rilevanza giuridica nell’iter formativo della documentazione ufficiale e, non rientrando, quindi, nel concetto di documenti amministrativi in senso proprio, non possono ritenersi soggette alla disciplina dell’accesso»[5].
4. Le registrazioni fonografiche delle sedute consiliari ad opera del Segretario Comunale o Provinciale
Altro limite che incontra il diritto all’accesso dei Consiglieri Comunali e Provinciali risulta dalla impossibilità degli stessi di accedere alla registrazione su supporto magnetico dell’adunanza del Consiglio Comunale o Provinciale, allorquando, la registrazione sia stata effettuata dal Segretario Comunale o Provinciale a proprio uso e, pertanto, assimilabile a dei semplici appunti non ancora tradotti in atti. La registrazione della seduta, dunque, non può qualificarsi come un documento amministrativo ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Sul punto è stato sostenuto ancora che: «Non sussiste il diritto dei Consiglieri Comunali di accedere alla registrazione su supporto magnetico dell’adunanza del Consiglio Comunale, atteso che la registrazione viene effettuata dal Segretario Comunale a proprio uso ed è assimilabile a dei semplici appunti non ancora tradotti in atti, che il Segretario Comunale utilizza per la formazione del verbale della seduta; la registrazione fonografica della seduta, pertanto, non può qualificarsi come un documento amministrativo, ai sensi dell’art. 22, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovendosi attribuire tale qualità solo al verbale della seduta6».
Non si tratta infatti di documento amministrativo, ma di un mero ausilio, riconducibile a semplici appunti, che il Segretario Comunale o Provinciale utilizza per la formazione del verbale della seduta. Quest’ultimo soltanto è il documento amministrativo.
Infine, a conclusione del presente contributo, anche quando vengono espresse opinioni da parte di taluni componenti di organo collegiale e raccolte in appunti da parte del Segretario Comunale o Provinciale, ovvero, siano state oggetto di registrazione fonografica «non sussiste il diritto di accedere alle opinioni espresse dai componenti di un organo collegiale ove le stesse siano state raccolte solo in appunti, ovvero quando il Segretario dell’organo collegiale abbia provveduto alla registrazione fonografica delle opinioni medesime»7.
* Segretario Generale della Città di Norcia (PG)
[1] Gioffré Giovanni, “Il diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali nella legislazione degli enti locali”, in «Diritto & Diritti» – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su Internet all’indirizzo https://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, Giugno 2008, pag. https://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/26092.html; TAR SARDEGNA, SEZ. II – Sentenza 30 novembre 2004, n. 1782.
[2] Così CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 28 novembre 2006, n. 6960.
[3] TAR PUGLIA – LECCE, SEZ. II – Sentenza 3 maggio 2004 , n. 2741.
[4] TAR VENETO, SEZ. II – Sentenza 9 gennaio 2002, n. 60.
[5] TAR LAZIO, SEZ II – Sentenza 9 maggio 2001, n. 4025.
[6] TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. III – Sentenza 13 marzo 2009, n. 1914.
[7] TAR LOMBARDIA – MILANO, SEZ. III – Sentenza 13 marzo 2009, n. 1914, cit.
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