La tematica dei reati ostativi ai fini del commercio ambulante e di quello esercitato nei pubblici mercati può, francamente, apparire se non parva materia quanto meno marginale rispetto a tematiche omologhe ma riferite ad altri settori. Si pensi, difatti, ai pubblici appalti, in relazione ai quali la cosiddetta moralità professionale – o, meglio, il difetto nel possesso dei requisiti che la contraddistinguono- produce ripercussioni decisive in sede di aggiudicazione e di successiva stipula.
Ciò, comunque, ha comportato che la tipologia dei reati ostativi, ancorché ferocemente dibattuta, sia stata comunque oggetto di riflessioni approfondite e, talora, sfociate nell’introduzione di correttivi decisivi nell’ambito di una politica del diritto orientata a diminuire la soglia di elusione da parte di coloro che non potessero vantare un casellario immacolato (vedasi, soprattutto, la possibilità di escludere dalle procedure concorsuali figure societarie che si fossero avvalse dell’art. 444 cpp (cd. “patteggiamento”)1
Quando, per contro, il pensiero corre alle forme di commercio sulle aree pubbliche, sembra doversi concludere che la mitologica figura del legislatore sia incorsa in una sottovalutazione sin troppo evidente nell’individuazione dei criteri sanzionatori. E’ quanto emerge da una rapida scorsa – ed altro non è possibile in una nota a margine- del rinnovellato art. 5 del dlgs. n. 114/1998 (“decreto Bersani”) che, con il recente recepimento nell’ordinamento nazionale della direttiva UE n. 2006/123 (cd. “Bolkestein”) a mezzo del dlgs n. 59/20010 (entrato in vigore il giorno 8 maggio 2010), è da leggersi nella sua rinnovata versione, nella quale compaiono significative modifiche. In particolare, alla stregua del disposto di cui all’art. 71 del citato dlgs n. 59/ 2010, si è proceduto ad una generale rivisitazione delle tipologie di reati ostativi. Basti citare, a parte la del tutto opinabile introduzione di nuove cause ostative (…”Non possono esercitare l’attività di somministrazione … coloro che …siano incorsi in infrazioni alle norme sui giochi”)2 e la contestuale cancellazione di altri che sembravano avere una loro ragion d’essere (ad esempio i delitti contro l’economia pubblica, di cui al libro II, titolo VIII, capo I), il richiamo alla sospensione della pena, la cui comprovata applicazione inibisce il temporaneo allontanamento dai commerci di chi ne avesse fruito. A tale ultimo riguardo, difatti, non soltanto si tratta di un’opzione normativa esattamente opposta a quella adottata nel settore degli appalti ma anche, e soprattutto, della sostanziale abolizione di un qualsivoglia meccanismo deterrente e sanzionatorio: chi, difatti, non sa che la maggior parte dei reati si colloca nell’area delle forme deflattive della giustizia ? (per l’appunto, sospensione, patteggiamento, non menzione della pena).
Quando, pertanto, gli uffici deputati al rilascio di autorizzazioni e concessioni su suolo pubblico si occupano della verifica di dichiarazioni mendaci in merito al possesso dei requisiti propedeutici all’esercizio del commercio, onde effettuare le eventuali segnalazioni alla Procura della Repubblica, sono ben consapevoli della natura defatigante ed irrazionale del loro lavoro, le cui basi giuridico- concettuali sono divenute, come si è visto, piuttosto approssimative e teoriche.
D’altro canto l’opacità della materia (che sembra denotare, si ribadisce, una scarsa attenzione del legislatore) può facilmente essere colta dall’interprete al momento in cui egli si trovi a dover valutare “l’interferenza” di altre componenti. Esse riguardano: 1) l’assimilabilità o meno all’istituto dell’indulto della sospensione della pena richiamata dal legislatore; 2) la necessità di computare o meno, ai fini della sua natura ostativa, il coacervo delle pene irrogate, delle quali sia parte anche quella concernente la ricettazione; 3) l’applicabilità o meno, ai casi di dichiarazioni mendaci rese prima dell’entrata in vigore del dlgs. n. 59/2010, del principio del favor rei; principio che nell’eventualità non fosse applicabile, comporterebbe ex se ulteriori e peggiorative conseguenze sulla sfera del prevenuto, in quanto il passato regime giuridico contemplava l’emergere della natura ostativa dei reati senza distinzioni di sorta tra pene sospese e non.
In particolare, sub 1), non ci si può esimere dal formulare ulteriori dubbi in quanto, anche a fermarsi ai principi elementari che regolano la materia del diritto penale, non sfugge come la distinzione tra sospensione in senso lato della pena e sospensione susseguente ad indulto non rappresenti un cavillo ermeneutico. L’indulto, in effetti, si configura come estinzione della sola pena principale, ovvero commutazione di questa in attività socialmente utile; laddove l’istituto dell’amnistia impropria 3 si estende anche alle pene accessorie che rivestono un ruolo non proprio secondario nel panorama sanzionatorio 4.
Da quanto sopra, in conclusione, emerge la necessità che, sebbene in ritardo, il legislatore compia un atto di resipiscenza, avendo cura di rimodulare disposizioni talora contraddittorie e che – sia chiaro- nulla hanno anche vedere con la normativa comunitaria, che ha lasciato ampi spazi ai legislatori nazionali.
1 L’art. 38 del dlgs. 163/2006 (cd. “codice degli appalti”) costituisce materia obbligata per coloro che volessero studiare la ratio delle esclusioni (talora, peraltro, facoltative ed affidate ad un più che ampio margine di dicrezionalità della stazione appaltante)
2Al riguardo si legga la monografia a firma di Elena Fiore (“ Le modifiche ai requisiti di accesso e di esercizio delle attività commerciali e i nuovi regimi autorizzatori”) contenuta negli atti del convegno “Commercio ed attività economiche – la nuova disciplina dei procedimenti autorizzatori e dello sportello unico dopo il decreto legislativo 59/2020”, tenutosi a Bologna il 28 maggio 2010 e organizzato dall’editrice Maggioli (che ha curato anche la pubblicazione di tali atti). In particolare, le riserve indotte dall’inclusione di una simile fattispecie sono esplicitate a pag. 54 del volume collettaneo, che accoglie gli interventi di altri autorevoli studiosi della materia.
3 Tale istituto, lo si rammenti, comporta l’estinzione della pena (ove non sopravvengano condotte di recidiva) in relazione all’accertata commissione di reati, in esito ai quali l’autore degli stessi viene condannato con sentenza passata in giudicato. Peraltro risulta del tutto evidente che l’istituto dell’amnistia propria non può rientrare nella materia che ci occupa in quanto concerne fattispecie criminose per le quali non sia stata ancora pronunciata una sentenza definitiva
4 Basti pensare all’interdizione dalle arti e professioni che costituisce fattispecie assolutamente calzante alla verifica dell’affidabilità morale dei soggetti nei confronti dei quali essa sia stata irrogata
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