Con la sentenza 7580 del 28/02/2011 la Sesta Sezione Penale della Corte di cassazione ha stabilito un importante principio riguardante il motivo di rifiuto della consegna, a seguito di Mandato d’Arresto Europeo, di cui all’art. 18 lett. “P” della legge 69/2005. Premessa necessaria è sottolineare come la stessa la Decisione Quadro 2002/584/GAI, con la quale è stato introdotto il Mandato d’Arresto Europeo indicasse, all’art. 4 n. 7 lett. A, la facoltà di rifiutare la consegna del ricercato “ Se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge dello Stato membro di esecuzione sono considerati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in un luogo assimilato al suo territorio”. La legge 69/2005, con cui si è recepita tale DQ attuando in Italia l’istituto del MAE, all’art. 18 lett. “p” prevede che la Corte d’Appello rifiuta la consegna “se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio”. Premesso che nella legge italiana è scomparsa ogni distinzione tra motivi di rifiuto obbligatori e facoltativi come stabiliti dal testo europeo, con tale norma si attuano le disposizioni della DQ relative al rifiuto per motivi di competenza dello Stato italiano in relazione a ragioni di territorialità della legge penale.
Occorre ora analizzare il caso concreto a seguito del quale è nata la pronuncia in esame. L’Italia ha ricevuto un Mandato d’Arresto Europeo emesso dalla Corte di Grande Istanza di Parigi per ottenere la consegna di un cittadino bosniaco, che si trovava sul nostro territorio nazionale, accusato di una serie di gravissimi delitti tra cui associazione a delinquere finalizzata al furto, alla ricettazione ed alla tratta di esseri umani in danno di soggetti minorenni con l’uso di torture, violenza sessuale ed induzione alla prostituzione. Tali fatti, secondo la documentazione inviata dalla Francia e passata al vaglio della Corte d’Appello di Roma erano stati commessi in numerose città francesi “nonché in Roma” tra il 2008 ed il 2010. La Corte romana disponeva la consegna del ricercato ed i difensori del predetto proponevano ricorso per cassazione avverso tale decisione indicando tra i motivi di gravame il fatto che il reato associativo, stante la dimora in Italia del soggetto a far data dal 2008, non avrebbe potuto che consumarsi in Italia, ed anche la stessa autorità francese aveva indicato Roma tra i luoghi di commissione. Veniva quindi lamentata la violazione dell’art. 18 Lett. “p” l. 69/2005 in quanto le contestazioni facevano esplicito riferimento al territorio italiano e la richiesta non era limitata ai fatti accertati su suolo francese.
La motivazione della Suprema Corte inizia sottolineando come l’art. 6 comma 2 del codice penale reciti che “ Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato , quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.”, rilevando poi come la Corte d’Appello di Roma avesse correttamente stabilito che le indagini, e le risultanza probatorie allegate a sostegno della richiesta di consegna, fossero riferite esclusivamente a reati commessi all’estero. Il riferimento a Roma, secondo la Corte territoriale, era stato effettuato solo per sottolineare l’ampiezza dell’organizzazione medesima. La Corte d’Appello, sulla base di tali risultanze, aveva altresì affermato che la possibile commissione di reati sul suolo italiano fosse solo ipotetica e non oggetto della richiesta del MAE. Alla luce di questo, secondo i Giudici della sesta sezione, mancherebbero le condizioni oggettive per affermare che parte di tale condotta, idonea a fondare una notizia di reato e l’esercizio dell’azione penale, si fosse verificata in Italia. La mancanza di tali presupposti rende quindi inapplicabile l’art. 18 lett. “p” il quale è ispirato all’art. 7 della Convenzione europea di estradizione con il quale si è dato preminente rilievo alla giurisdizione territoriale dello stato richiesto, risolvendo in suo favore eventuali casi di conflitto positivo riguardante il medesimo fatto.
La Corte, nel rigettare il ricorso, ha quindi concluso affermando il seguente principio “ L’art. 18 lett. “p” della legge 69/05 obbliga al rifiuto della consegna solo quando la consumazione in tutto o in parte in Italia dei reati, cui si riferisce il mandato di arresto europeo, sia delineabile con riferimento a specifiche condotte ed eventi che costituiscano contenuto idoneo a fondare una notizia di reato che consenta l’immediato contestuale esercizio dell’azione penale per gli stessi fatti per i quali procede il giudice estero, da parte dell’autorità giudiziaria italiana”.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento