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Cenni preliminari.
Il Trattato di Maastricht ha individuato nell’indebitamento netto e nel debito delle pubbliche amministrazioni gli indicatori di riferimento, al fine di stabilire regole comuni per i paesi membri in tema di finanze pubbliche. Al fine di perseguire i comuni obiettivi di politica economica, e di far fronte agli impegni assunti in sede europea, la ricerca di concetti e di parametri omogenei si è rivelata sin dall’inizio una scelta dovuta.
In relazione alla nozione di pubblica amministrazione, il diritto europeo, sin dall’elaborazione del concetto di “organismo di diritto pubblico”, ha posto l’accento sull’effettivo esercizio di attività di interesse generale, e non invece sulla natura giuridica pubblicistica degli enti.
Attualmente, la definizione di operatore pubblico nella contabilità nazionale (CN)1 fa riferimento alla natura dell’attività economica espletata dai singoli enti, e coincide con la nozione di soggetto pubblico di cui al Regolamento (CE) n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996, relativo al Sistema europeo dei conti nazionali e regionali nella Comunità, noto come “SEC95”2.
Pertanto, nella contabilità nazionale, che classifica in modo univoco ogni unità istituzionale, l’operatore pubblico viene identificato con il cosiddetto “settore delle pubbliche amministrazioni” (S.13) previsto dal citato regolamento comunitario. Tale sistema, al fine di stabilire il settore di appartenenza di ciascuna unità, analizza la natura economica dell’attività esercitata, la funzione che l’unità svolge ed il tipo di relazione economico-finanziaria con le altre istituzioni.
Ciò ha determinato un allargamento della nozione di pubblica amministrazione, già oggetto di una pluralità di definizioni nel diritto interno, viste le molteplicità di concetti validi in tema di procedimento amministrativo, pubblico impiego, accesso agli atti amministrativi, contabilità e finanza pubblica e in altri settori. Al riguardo, il decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 196,3 prevede, all’art. 1, comma 2, che “ai fini della presente legge, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari. Al comma 3, la norma dispone che la ricognizione delle amministrazioni pubbliche è operata annualmente dall’ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 luglio4.
Analoghe definizioni sono state adottate da altri atti normativi in tema di contabilità e finanza pubblica, come il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, e il recente decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 91.
In virtù di tale richiamo all’elenco elaborato annualmente dall’ISTAT in attuazione dei criteri previsti dal SEC95, la complessa definizione comunitaria del “settore delle pubbliche amministrazioni” ha dato luogo ad un altrettanto complesso contenzioso amministrativo, tuttora privo di una soluzione univoca.
2. Il settore delle pubbliche amministrazioni. Definizione comunitaria e applicazioni nel diritto interno.
Sul punto, il SEC95 prevede che “il settore amministrazioni pubbliche (S.13) comprende tutte le unità istituzionali che agiscono da produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita, la cui produzione sia destinata a consumi collettivi ed individuali, e sia finanziata in prevalenza da versamenti obbligatori effettuati da unità appartenenti ad altri settori, nonché tutte le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nella redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese”.
Le unità istituzionali comprese nel cd. settore S.13 sono: 1) gli organismi pubblici (esclusi i produttori pubblici aventi la forma di società di capitali pubbliche o dotati, in forza di una normativa specifica, di personalità giuridica e le quasi-società, classificate nei settori delle società finanziarie o non finanziarie) che gestiscono e finanziano un insieme di attività, che consistono principalmente nella fornitura di beni e servizi non destinabili alla vendita; 2) le istituzioni senza scopo di lucro dotate di personalità giuridica che agiscono da produttori di altri beni e servizi non destinabili alla vendita, controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni pubbliche; 3) i fondi pensione autonomi, se soddisfano le due condizioni di cui al paragrafo 2.74 del SEC95.
Inoltre, sempre secondo il regolamento, il settore delle amministrazioni pubbliche è suddiviso in quattro sottosettori: amministrazioni centrali, amministrazioni di Stati federati (privo di rilevanza nel diritto italiano), amministrazioni locali ed enti di previdenza e assistenza sociale.
Il sottosettore amministrazioni centrali comprende tutti gli organi amministrativi dello Stato e gli altri enti centrali la cui competenza si estende normalmente alla totalità del territorio economico, esclusi gli enti centrali di previdenza e assistenza sociale. Il sottosettore S.1311 comprende anche le istituzioni senza scopo di lucro controllate e finanziate in prevalenza dalle amministrazioni centrali, la cui competenza si estende alla totalità del territorio economico.
Il sottosettore amministrazioni locali comprende gli enti pubblici territoriali la cui competenza si estende ad una parte del territorio economico, esclusi gli enti locali di previdenza e assistenza sociale, nonché le istituzioni senza scopo di lucro controllate e finanziate in prevalenza da amministrazioni locali, la cui competenza è limitata al territorio economico di tali amministrazioni.
Il sottosettore enti di previdenza e assistenza sociale comprende tutte le unità istituzionali centrali, la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali, alle quali determinati gruppi della popolazione sono tenuti a partecipare o a versare contributi in forza di disposizioni legislative o regolamentari, la cui gestione sia svolta dalle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda la fissazione o l’approvazione dei contributi e delle prestazioni, a prescindere dal loro ruolo di organismo di controllo o di datore di lavoro. Inoltre, il regolamento prevede che, di norma, non esiste alcun legame diretto tra l’importo del contributo versato da un individuo e il rischio cui esso è esposto.
Nel diritto interno degli Stati membri, secondo il Regolamento (CE) n. 223/09 spetta a ciascuno Stato membro la designazione dell’autorità statistica nazionale. In Italia, tale autorità è l’ISTAT, ai sensi del D.lgs. n. 322/89 e del D.P.R. n. 166/10, il quale ha funzioni di coordinamento a livello nazionale di tutte le attività connesse allo sviluppo, alla produzione ed alla diffusione di statistiche europee, ed esercita la funzione di interlocutore della Commissione (Eurostat) per le questioni statistiche e, unitamente a quest’ultima, contribuisce a comporre il sistema statistico europeo.
Per quanto riguarda l’applicazione dei suindicati criteri, nell’ambito degli adempimenti demandati alle autorità statistiche nazionali degli Stati membri dell’Unione europea, ai sensi del regolamento n. 2223/96, l’ISTAT ha l’obbligo di predisporre annualmente l’elenco delle unità istituzionali che rientrano in tale settore al fine dell’elaborazione del conto consolidato, già in forza di quanto previsto dalla L. n. 311/04 (legge finanziaria 2005), e attualmente ai sensi del sopracitato art. 1, comma 3, della L. n. 196/09, secondo criteri e per finalità di natura statistica e economica.
Nella procedura di individuazione dei soggetti inseriti nel conto consolidato5 l’ISTAT, nell’ambito degli adempimenti demandati alle autorità statistiche nazionali degli Stati membri, è tenuto alla redazione dell’elenco nell’ambito della procedura sui deficit eccessivi regolata dal Trattato di Maastricht, in applicazione dei criteri e delle norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico comunitario. Inoltre, i saldi dei conti elaborati sulla base di comuni principi di composizione e di rilevazione dei dati costituiscono i targets di riferimento per gli obiettivi assunti dai singoli Paesi per il patto di stabilità, obiettivi del cui rispetto i Paesi possono essere chiamati a rispondere anche, in caso di scostamenti rilevanti, attraverso procedimenti per i disavanzi eccessivi.
3. L’elenco delle amministrazioni inserite nel conto consolidato pubblicato annualmente dall’ISTAT. Natura giuridica ed effetti.
In relazione alla natura di tale ricognizione, la giurisprudenza degli ultimi anni si è divisa, talvolta qualificando l’elenco quale provvedimento amministrativo vero e proprio, in base a quanto previsto dal dettato normativo, altre volte riconoscendo la sua natura esclusivamente statistica e la conseguente inidoneità a produrre effetti esterni.
Il secondo orientamento sembra più aderente alla reale natura della ricognizione, nonché alle stesse finalità che hanno legittimato la sua istituzione. Difatti, l’elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato elaborato annualmente dall’ISTAT non rappresenta sostanzialmente un provvedimento amministrativo, una volta che esso riveste natura esclusivamente certificativo-dichiarativa, e costituisce un riferimento statistico del tutto inidoneo ad incidere di per sé sulle situazioni giuridiche soggettive degli enti ivi inseriti.
Al riguardo, è di tutta evidenza che le recenti leggi in materia di contabilità e finanza pubblica, ed in particolare la L. 196/09 e il D.L. 78/10, convertito dalla L. 122/10, e da ultimo il d.lgs 91/2011, adoperano un richiamo espresso all’elenco in esame al fine di applicare, agli enti ivi inseriti, le normative di riferimento. In tal modo, tali atti normativi individuano il proprio perimetro di applicazione negli enti inseriti nel conto consolidato secondo i criteri previsti dal regolamento europeo. In particolare, la problematica assume rilevanza in relazione all’applicazione delle norme in tema di riduzione dei costi degli apparati amministrativi e di contenimento della spesa pubblica.
Per tale motivo, il richiamo normativo ha dato luogo ad un rilevante contenzioso, tuttora privo di una soluzione uniforme, promosso dagli enti che ritengono di essere “illegittimamente” inseriti nella lista S.13. In effetti, tale definizione di soggetto pubblico, utilizzata nei documenti di contabilità e finanza pubblica, ha provocato un ulteriore spostamento della nozione tradizionale, dando luogo a non pochi problemi ermeneutici.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito in più occasioni che “il semplice inserimento in un elenco statistico non appare produttivo di effetti sostanziali”6, in quanto trattasi di una semplice ricognizione effettuata secondo criteri prestabiliti a livello europeo. L’assoggettamento alle misure di contenimento e in generale alle norme di contabilità e finanza pubblica non deriverebbe, pertanto, dal semplice inserimento di un ente nell’elenco ISTAT, ma direttamente dalla legge, che nel fare riferimento al suindicato elenco richiama (indirettamente) la nozione di settore delle pubbliche amministrazioni di cui al SEC95.
Pertanto, sembra più corretto l’inquadramento della problematica direttamente nella previsione normativa, in quanto è l’uso che la legge fa dell’elenco che produce determinate conseguenze, e non invece il semplice inserimento di une ente nella lista S.13.
Inoltre, è evidente che l’applicazione delle norme di contenimento a tali soggetti rappresenti una scelta di indirizzo politico, e che non derivi direttamente da un atto amministrativo. Il problema pertanto andrebbe meglio inquadrato nell’ottica della logicità e coerenza degli atti normativi, e non, come spesso accade, in termini di legittimità dell’elenco stesso. In tale direzione, per quanto riguarda gli effetti dell’elenco, si è orientata la giurisprudenza amministrativa, che in alcune recenti pronunce7, seppur paradossalmente in accoglimento dei relativi ricorsi, ha affermato espressamente in relazione agli asseriti danni derivanti dall’inclusione nell’elenco che “(…) il contestato elenco è stato formulato dall’ISTAT ai soli fini statistici e sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale di utilizzare anche a fini interni la nomenclatura comunitaria, non avendo esso alcun potere in materia di governo della spesa pubblica”. E poi che: “ i danni di cui la ricorrente si duole sono imputabili ad una scelta del legislatore nazionale che, con l’art. 6 d.l. n. 78 del 2010, convertito con la l. n. 122 del 2010, ha ritenuto – sulla base di una valutazione ampiamente discrezionale (non essendovi obbligato a livello comunitario) – di utilizzare la nomenclatura ISTAT e, quindi, comunitaria, per individuare i settori della pubblica amministrazione sui quali, a suo avviso, era necessario ed urgente intervenire con misure restrittive della relativa spesa e delle sue ricadute sul bilancio complessivo dello Stato. Segue da ciò che gli effetti delle suddette scelte legislative sono impropriamente imputati all’ISTAT e al suo provvedimento”.
In precedenza, il giudice amministrativo ha affermato che l’art. 1, comma 5 della L. 30 dicembre 2004 n. 311 qualifica espressamente come “provvedimento” l’atto impugnato, e quindi dà luogo ad una “delegazione amministrativa” di funzioni pubbliche ad un’amministrazione con specifiche competenze tecniche. Di qui la piena impugnabilità dell’atto8.
4. Conclusione.
Vista la notevole diversità di opinioni a livello giurisprudenziale, non sussiste allo stato una soluzione univoca per ciò che riguarda la natura giuridica, gli effetti e la conseguente impugnabilità dell’elenco in esame.
Tuttavia, anche se a livello ermeneutico la materia è in continua evoluzione, in mancanza di un orientamento univoco, alla luce dalla recente giurisprudenza è possibile affermare che l’applicazione della normativa in tema di contenimento della spesa non deriva sic et simpliciter dall’inserimento di un ente nell’elenco, ma rappresenta conseguenza diretta dalla legge e, in particolare, dalle scelte di indirizzo politico, in attuazione dei parametri comunitari.
Pertanto, sembra preferibile l’orientamento secondo cui l’elenco predisposto dall’ISTAT costituisce una semplice attività ricognitiva nel diritto interno, eseguita con discrezionalità tecnica e secondo i parametri europei. Tale impostazione potrebbe incidere, tra l’altro, sulla stessa impugnabilità dell’elenco ISTAT, in quanto atto del tutto inidoneo a produrre effetti giuridici, però ha il merito di spostare la problematica al vero nodo gordiano della questione che è quello della pluralità di definizioni di pubblica amministrazione e dell’incertezza sull’ambito di applicazione degli atti normativi, nonché sulla più complessa problematica dei criteri di definizione degli ambiti di applicazione delle leggi in generale, e, nello specifico, della normativa di contabilità e finanza pubblica.
Peraltro, in attesa di un’interpretazione univoca da parte del Consiglio di Stato, una valida soluzione alle varie problematiche derivanti dall’applicazione omogenea di taluni settori normativi agli enti inseriti nella lista S.13 potrebbe pervenire dallo stesso legislatore che, di volta in volta, potrebbe ampliare o restringere l’ambito di applicazione degli stessi ad una o più categorie di enti presenti nell’elenco in esame, a seconda delle finalità effettivamente perseguite dai singoli atti normativi.
1 Sul punto v. “I principali saldi di finanza pubblica: definizioni, utilizzo, raccordi”, a cura di Balassone F., Mazzotta B., e Monacelli D., Servizio Studi della Ragioneria Generale dello Stato, luglio 2008.
2 Cfr. Eurostat, Sistema europeo dei conti 1995 – Sec95, Lussemburgo, Eurostat, 1996.
3 Legge di contabilita’ e finanza pubblica, pubblicata nella GU n.303 del 31-12-2009 – Suppl. Ordinario n. 245.
4 Il decreto-legge 06.07.2011 n° 98 , pubblicato nella G.U. 06.07.2011, convertito con modificazioni dalla legge 15.07.2011 n° 111, ha previsto, all’art. 10, comma 16, che all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le parole: “entro il 31 luglio” sono sostituite dalle seguenti: “entro il 30 settembre”.
5 Per quanto riguarda gli aspetti metodologici v. D. Collesi, D. Guerrucci e F. Nusperli, “Istat, The Italian general government sector: size, boundaries, methods of classification and recent issues”, OCSE 2003.
6 In tal senso v. Consiglio di Stato, ordinanza n. 3695/08, rg. n. 5023/08, e ordinanza n. 975/2011, rg. n. 357/2011.
7 V. TAR Lazio 12/07/2011, sentenza n. 6213/2011, rg. n. 10345/2010; TAR Lazio 12/07/2011, sentenza n. 6209/2011, rg. n. 10395/2010; TAR Lazio 12/07/2011, sentenza n. 6206/2011, rg. n. 10346/2010.
8 In tal senso: TAR Lazio 14/02/2007, sentenza n. 4826/07, rg. 10676/2006.
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