Vari fattori determinano il formarsi di una cultura organizzativa, senz’altro il principale è il carattere nazionale risultato dall’ambiente naturale e dagli eventi storici che hanno modellato la società, a questo si affianca la cultura espressa dal settore economico-sociale in cui agisce l’organizzazione, nonché dalle persone”simbolo” che risultano diventare “eroi” di un mito interno e quindi simbolo del pensiero organizzativo “aziendale”.
D’altronde gli individui sviluppano propri valori nel processo di socializzazione e inserimento nei diversi tipi di organizzazione, questi valori sono anche il frutto di una ricerca e selezione mirata di individui con cultura già coerente con quella dell’organizzazione a cui la socializzazione provvederà ad un ulteriore adattamento e i riconoscimenti premiali organizzativi ne rinforzeranno selettivamente comportamento e atteggiamenti. (Personalità morale organizzativa).
La cultura risulta essere pertanto il contesto sociale entro cui il singolo agisce ed è plasmata in parte da soggetti dominanti nella società, essa attraverso i processi di socializzazione porta al controllo individuale della personalità nel suo agire nel contesto, che si esprime nei comportamenti conformi accettati e approvati dagli altri membri, in particolare per quei valori sociali fondamentali relativi al rapporto gerarchico, al potere e al lavoro.
Questi valori dominanti che si esprimono prima in miti, credenze, racconti e successivamente in sistemi “normativi” e pertanto comportamentali imposti, sono invisibili agli stessi individui che tendono ad accettarli inconsciamente.
Hofstede individua in cinque diverse dimensioni il profilo di una personalità modale questo in una qualsiasi cultura:
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Avversione all’incertezza, circostanza che viene a riflettersi sulla propensione a rischio;
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Distanza di potere tra individui di diverse classi sociali o livelli occupazionali;
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Individualismo e collettivismo, a seconda se si tenda a enfatizzare il bisogno del singolo o del gruppo;
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Mascolinità e femminilità, a seconda del prevalere dell’aspetto della crescita e della sfida sulla qualità dell’ambiente di lavoro;
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Schemi mentali orientati a lungo o al breve termine, con conseguenze sull’impostazione organizzativa (crescita delle retribuzioni lente o rapide, temporaneità o stabilità nelle relazioni di lavoro con crescite della carriera rapide o più lunghe ma comunque stabilizzate).
Abbiamo più volte sottolineato la rilevanza dell’ambiente sull’organizzazione in generale e sul gruppo più in specifico, a riguardo un ulteriore aspetto è dato dal grado di dinamicità e incertezza che viene su di esso ad impattare, un ambiente stabile favorisce il mantenimento dei processi e delle relazioni sia in termini affettivi che di utilità economica, al contrario un ambiente altamente dinamico impone non solo una continua rivalutazione economica, ma anche un mutare di relazioni personali.
Partendo dalla definizione sommaria di cultura nella società, come abbiamo già indicato, possiamo descrivere la cultura del gruppo quale insieme di valori dominanti, opinioni, atteggiamenti e norme che sono la base per giustificare decisioni e comportamenti (Tosi), su questi viene ad incidere la complessità del sistema ambientale a cui si può reagire con una maggiore o minore formalizzazione normativa del gruppo in rapporto ad una leadership più o meno accentratrice dai rapporti verticistici; all’opposto può realizzarsi una struttura piatta in cui la comunicazione aperta tra i membri favorisce uno scambio di informazioni e la suddivisione dei compiti di elaborazione, questo tuttavia comporta la necessità di una forte integrazione dei singoli nel gruppo con un conseguente rapido e non ostacolato feedback di controllo.
Weick rileva che non vi è nell’organizzazione un netto confine tra interno ed esterno, in quanto la realtà oggettiva delle relazioni prende vita dall’esperienza soggettiva che la esprime (ambiente attivato), mentre i singoli a loro volta cercano di conferire un senso alle proprie azioni nell’ambiente in cui operano, questo tanto in un sistema complesso che nei sottosistemi (gruppi) che lo compongono.
Vi è nell’uomo la necessità di controllare le situazioni e i processi per ridurre lo stress derivante dall’incertezza della complessità, questo avviene mediante una semplificazione della stessa attraverso attrattori caotici, i quali non sono altro che le idee preconcette elaborate attraverso miti, racconti ed esperienze personali, si da “organizzare il disordine” in termini psicologici e condurre attraverso logiche complesse alla semplicità probabilistica, infatti afferma Prigogine che “il caos non impedisce una descrizione quantitativa, ma esige una riformulazione della dinamica a livello degli operatori di evoluzione, è una descrizione probabilistica e realistica allo stesso tempo” (46).
Questo non elimina il determinismo ma lo miscela con la probabilità, si che il fattore tempo diviene l’elemento discriminante nella predizione umana del futuro, deterministico tra le biforcazioni, probabilistico nelle stesse, tuttavia questi è stato reso nella rivoluzione scientifica meccanicistica lineare e non più circolare, circostanza che conduce alla complicazione contrapposta alla complessità, il recupero del paradosso del tempo viene quindi ad evidenziare “il ruolo costruttivo del tempo” nei momenti di rottura degli equilibri nei quali “i fenomeni irreversibili non si riducono a un aumento di disordine” (Prigogine-23).
Si ha pertanto un cambiamento radicale della visione classica del mondo in cui i sistemi stabili erano la regola contrapposti alle eccezioni dei sistemi instabili, tuttavia tale mutamento dovuto alla tecnologia nel sociale crea instabilità nelle decisioni in cui eccessi di informazione possono destabilizzare se non opportunamente filtrati da lenti di lettura, si crea un difficile equilibrio tra semplificazione e complessità.
Il ruolo della causalità nella vita reale è comunque molto meno evidente, tanto che si attribuisce molto valore ai risultati e alle capacità di influenzarli, in una illusione del controllo sugli eventi che la Langer ha dimostrato essere una esigenza fondamentale dell’individuo ( Mlodinow).
La capacità di cogliere i piani diversi del problema e di metterli in relazione fra loro, consente di bilanciare una spinta all’accentramento quale reazione all’alto livello di ansietà e alla contemporanea tendenza al rimpianto del passato, con deleghe carismatiche in bianco di tipo salvifico, a questo si contrappone un ragionare sui limiti del “complesso” inteso come creatività da rimandare tuttavia ad alcuni parametri “normativi” costituenti elementi unificanti del sociale.
In ogni paese, atteggiamenti, cultura nazionale, istruzione e qualità della forza lavoro determina il rapporto ottimale tra economia individuale e pianificata, le condizioni generali entro cui si svolge la selezione di gruppo sono determinate infatti dalla società, il bagaglio genetico interviene solo a livello comportamentale dell’individuo, anche se non è esclusa una analoga trasmissione culturale per eredità tanto che Lumsden e Wilson parlano di “ geni culturali”.
Il linguaggio influenza non solo la costruzione della visione del mondo e dell’azione che in esso si svolge, ma anche dei modelli di apprendimento fino alla concezione dello spazio e del tempo, esso plasma i nostri schemi mentali, in altre parole il pensiero che non risulta più essere universalistico ( Boroditsky), tuttavia questa complessità permette di accrescere in termini evoluzionistici la capacità adattiva dei vari gruppi rispetto alle risposte richieste dall’ambiente.
La liquidità che Bauman osserva nella globalizzazione tecnologica ed economica, porta ad affermare che non esiste una sola e definita strada logica verso la razionalità (Merà), tanto da negare una razionalità completa al pensiero conscio a favore dei processi inconsci nei quali i “marcatori somatici” favoriscono “modelli mentali” atti a perseguire con rapidità soluzioni razionali, saltando in termini euristici i passaggi logici, risultano pertanto più aderenti alla realtà delle strategie miste che le varie strategie pure.
Ne consegue che per una adeguata comprensione di una cultura organizzativa deve adottarsi un approccio multidimensionale e multilivello, nel quale vi è una stratificazione a partire dai “valori basilari della coalizione dominante”, a cui si adeguano le “manifestazioni della cultura organizzativa” quali miti, ideologie, linguaggio, simboli, distinzione di status, selezione, socializzazione, riti e cerimonie, fino all’”esternalizzazione” nel momento dell’interazione della stessa con il contesto ambientale. (Tosi-Polati).
Lewin afferma esistere almeno tre fasi in un cambiamento inteso quale “adattamento”:
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Scongelamento;
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Trasformazione;
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Ricongelamento.
Il momento più difficile risulta essere quello del “disimparare”, nel quale si cela il disorientamento, l’ansia, in altre parole una minaccia al proprio essere in termini di stima verso sé e dagli altri, fondamentale risulta essere pertanto il generare una “fiducia” sugli esiti favorevoli del cambiamento e della sua sostenibilità, solo successivamente potrà esservi un processo di ristrutturazione cognitiva.
Dobbiamo comunque considerare che la moltiplicazione delle formazioni sociali si risolve in una pluricollocazione degli individui, si che viene meno un ordine gerarchico sia dei valori che della loro legittimazione secondo schemi precostituiti, risolvendosi tutto in soluzioni individualiste nelle quali la società liquida, tecnologica e complessuale crea un divario tra le molteplici possibilità mentali alternative per la loro pratica attuazione, tenendo quale termine ultimo di compensazione per la difficoltà delle relazioni gli oggetti materiali secondo un approccio prevalentemente se non esclusivamente utilitaristico.
Gli elementi fondamentali del comportamento umano derivano dai caratteri etici, estetici, socio-relazionali e cognitivi, elementi che forniscono un senso all’agire umano e si intrecciano in una cultura del gruppo, tuttavia non di per sé sufficienti per descrivere e sostenere una cooperazione nel gruppo se questi assume la caratteristica di un sottosistema formalizzato dell’organizzazione, infatti Mc Kinsey parla di sinergia tra fattori organizzativi “soft” (scultura, significati, appartenenza sociale e ai clan ) e fattori “hard” (strutture e sistemi di misurazione e controllo).
Nell’attuale modello sociale la flessibilità richiesta al singolo si risolve in una precarietà etica finalizzata esclusivamente all’utile economico, misurabile in termini finanziari, in cui una apparente possibilità di infinite scelte nasconde un “dovere essere” economicamente predeterminato basato su apparente fiducia e solidarietà, in una reale atmosfera di sfiducia e sospetto reciproco (Bauman). Il venire meno della distinzione tra etica privata e pubblica crea le premesse per una giustificazione del prevalere del “gruppo” sulla comunità, sia nel sistema continentale in cui vige la netta distinzione tra “morale privata” e “legalità” determinata dal potere di una autorità superiore pubblica, che nel sistema del common law nel quale tale distinzione sfuma, lo sciogliersi dell’etica favorisce la dissoluzione della comunità nel gruppo (Viano ).
L’eterno conflitto tra comportamenti egoistici e altruistici è stato recentemente elaborato nella “teoria della selezione multilivello (SML)” a partire dal modello evoluzionista, se gli “imbroglioni” non produttivi hanno la fitness migliore nel gruppo a danno della struttura il loro stesso successo, nel diffondersi quale modello, porta alla sconfitta del gruppo nella selezione tra gruppi ( D. S. Wilson – E.O. Wilson) si che emerge che i processi decisionali collettivi non sono che il prodotto di una selezione di gruppo, come nel perenne conflitto fra modelli politici autoritari o democratici.
Legati al contesto ambientale sono i comportamenti “gregari”, nonché i pregiudizi di “conferma” ( confirmation bias) e di “disponibilità” ( availability bias ) che danno eccessivo peso sia alle informazioni che confermano il proprio giudizio che a quelle più recenti, il risultato ultimo sono “bolle comportamentali” simili e base per le “bolle economiche”, in una illusione di razionalità ( Stix).
In questa dinamica dei sistemi vi è un andamento ciclico, in cui le relazioni possono risolversi o in una stabilizzazione del gruppo o all’opposto in una implosione/esplosione a seguito del formarsi di un circolo vizioso auto-catalitico di azione-reazione dello stesso segno, aggressività con aggressività, stasi con stasi ( Gandolfi).
Il cambiamento che la dinamica dei sistemi prevede come naturale presenta in realtà delle resistenze selettive di stabilizzazione del sistema, il senso di minaccia e bisogno di sicurezza, svantaggi individuali anche contro i vantaggi organizzativi, la frustrazione per cattive esperienze precedenti, le resistenze già in atto presso altri sotto-sistemi che tendono a comunicarsi a seguito di interdipendenza, la cultura organizzativa e la struttura relazionale di potere, infine il gioco delle parti che si realizza nella psicologia della stabilità e dell’invidia ( Pilati- Tosi).
La capacità di creare nel gruppo la cooperazione risulta pertanto fondamentale, in questo la comunicazione deve restare aperta ed il leader deve potere agire ed influire nel flusso comunicativo, mantenendo la propria affidabilità e la capacità di risolvere le incertezze, nonché le tensioni inevitabili derivanti da dissonanze cognitive.
Bibliografia
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Z. Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Laterza, 2010;
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C. A. Viano, etica pubblica, Laterza 2002;
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G. Stix, La scienza delle bolle e dei crolli, in Le Scienze, 82-89, agosto 2009
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A. Gandolfi, Formicai , Imperi, Cervelli. Introduzione alla scienza della complessità, Bollati- Beringhieri, 1999.
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