Il tema del caso in esame è l’individuazione dei rapporti giuridicamente configurabili tra affini-coeredi riguardo ai depositi bancari.
La vicenda. Alla morte di una donna, intestataria di un conto corrente, una figlia estingueva il medesimo c/c all’insaputa delle altre due figlie.
Qualche anno dopo, la stessa figlia, attestando alla banca che la madre fosse ancora viva, accedeva alla cassetta (bancaria) di sicurezza della defunta madre ed, indi, su azione giudiziale delle altre due sorelle, avente ad oggetto l’illecito relativo all’apertura della cassetta e non la querela per il reato, veniva condannata a pagare, ad entrambe le sorelle, quota-parte delle piccole somme rimaste sul conto corrente.
In secondo grado, le due sorelle, mediante controricorso (contenente ricorso incidentale) notificato il 26 maggio 2012 e depositato l’11 luglio 2012 in risposta al ricorso principale notificato il 18 aprile 2012, chiedevano, inoltre, il risarcimento del danno non patrimoniale e tale domanda, a differenza della domanda di risarcimento del danno patrimoniale rigettata in quanto non era stata provata la consistenza del contenuto (e della relativa preziosità) della cassetta di sicurezza, veniva accolta, condannando anche la banca al risarcimento di tale danno, sia pure escludendo il comportamento fraudolento (qualificato invece come colposo) dei dipendenti di banca. Inoltre, alla medesima sorella (la prelevante), che aveva prodotto giudizialmente la ricevuta delle spese funerarie sostenute, veniva negato, sulla base di testimonianze e della mancanza di certezza che il denaro utilizzato provenisse da fondi personali della stessa (già il giudice di primo grado sosteneva che il denaro fosse stato fornito da altro affine), il rimborso delle somme, chiesto alle due sorelle in relazione alle rispettive quote.
Il caso verte in ambito privatistico, precisamente in tema di successioni, con vari riflessi, anche penalistici, in altri settori dell’ordinamento giuridico.
In materia, trovano applicazione le disposizioni previste nel libro IV “delle obbligazioni”, titolo IX “dei fatti illeciti” mentre non è applicabile la norma di cui all’art. 2043 c.c.
Sotto il profilo processuale, è, infatti, da sottolineare che va ritenuto improcedibile il controricorso notificato entro il termine di quaranta giorni dalla notificazione (rispetto al ricorso principale) ma depositato oltre il termine di venti giorni dalla notifica. Invece, la domanda relativa al danno morale può essere accolta se, a partire dall’atto di citazione, la richiesta risarcitoria è stata proposta in relazione allo stesso fatto costituente reato e per cui i danni richiesti, in sede di impugnazione, sono implicitamente ricollegabili: così, il giudice non commette extrapetizione.
Nel merito, l’attenzione va focalizzata sul piano sostanziale in riferimento all’onere probatorio di ciascuna parte processuale ai sensi dell’art. 2697 c.c. (1).
All’uopo, va ricordato l’obbligo del giudice civile di accertare tutti gli elementi costitutivi del reato (2).
Segnatamente, quindi, per effetto dell’art. 2059 c.c. e 185 c.p., la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale, anche a titolo di concorso nel reato, è legittima se il magistrato abbia esaminato, puntualmente, l’oggetto del ricorso ovvero se fondata su un preciso illecito penale invocato, dalla parte, nei riguardi di quel determinato soggetto.
Bibliografia generale
1- Per approfondimenti, M. C. BIANCA, Diritto civile, n. 3, Milano, 2000 e n. 5, Milano, 1994.
2- Per approfondimenti, P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2007; P. RESCIGNO, Trattato di diritto privato, I – II, Torino, 1982.
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