La CGCE evidenzia come sia discriminatorio adibire un considerevole numero di lavoratori uomini a mansioni che potrebbero essere svolte anche dalle colleghe e riconoscere a queste ultime una differente retribuzione. Il datore non potrà addurre la volontà di mantenere buoni rapporti col sindacato quale scriminate di questa disparità.
È questo, in estrema sintesi, quanto espresso nelle conclusioni dell’Avvocato generale presso la CGCE rassegnate lo scorso 29 novembre.
Il caso. Alcune irlandesi,dipendenti del <<dipartimento della giustizia, delle pari opportunità e delle riforme legislative>>, erano assegnate alla polizia per svolgere mansioni amministrative. Lamentavano che tra queste esistevano posti <<destinati>> o <<riservati>> per i quali era prevista una differente retribuzione. Infatti, pur svolgendo le stesse attività dei colleghi, cui tali posti erano attribuiti in esclusiva, il loro salario era inferiore. Biasimavano anche la sproporzione tra il numero di impiegati di sesso maschile e femminile, tale che i primi ricoprivano ruoli che potevano essere assegnati anche a loro. Ricorrevano, perciò, alla locale Corte che ha sollevato << una serie di questioni riguardanti l’obbligo di fornire una giustificazione che incombe al datore di lavoro «in circostanze nelle quali sussista, prima facie, una discriminazione salariale indiretta basata sul sesso» e (..) se l’interesse a mantenere buone relazioni sindacali possa costituire, tra gli altri, un criterio legittimo di giustificazione ed in che misura. >>.
Discriminazione indiretta. Alcuni di questi posti sono riservati agli ufficiali di polizia poiché attinenti alla pubblica sicurezza, dunque potrebbero implicare una differente retribuzione. Gli altri ruoli possono esser ricoperti da entrambi, perciò è una discriminazione indiretta prevedere una diversa ripartizione di posti e stipendi tra i due sessi. Il datore dovrà riequilibrare le posizioni dato che, ai sensi dell’art. 1 e 3 Direttiva 75/117 e delle leggi nazionali sulla parità dei lavoratori, vige il diritto di uguaglianza ed al pari trattamento che gli stati membri hanno l’obbligo di adottare e far rispettare.
L’identificazione del tertium comparationis. <<Il diritto all’uguaglianza non è altro che il diritto di essere trattato alle stesse condizioni di chi si trova in una situazione giuridica equivalente>>. Il suo onere della prova dovrà essere fornito da chi lo invoca (CGCE Caso Brunnofer del 26/06/01), ed è simile a quello per la discriminazione, perciò << il tertium comparationis è il termine di paragone in virtù del quale si rende manifesta la disparità che richiede una giustificazione>>. Ciò nonostante << il datore di lavoro ha l’onere di provare che la sua prassi salariale non è discriminatoria «ove il lavoratore di sesso femminile dimostri, su un numero relativamente elevato di lavoratori, che la retribuzione media dei lavoratori di sesso femminile è inferiore a quella dei lavoratori di sesso maschile (sentenza del 17 ottobre 1989, Danfoss, 109/88, Racc. pag. 3199, punto 16)».>>. Tale numero dovrà essere dimostrato in modo rigoroso, sì da escludere che si tratti di un << di un fenomeno «fortuito» o «congiunturale», quanto piuttosto di un elemento strutturale o identificativo di un regime retributivo intrinsecamente discriminatorio.>>. Nella fattispecie è stata data ampia prova di ciò.
Il datore è obbligato a giustificare la disparità retributiva. Alla luce di quanto sopra detto il datore di lavoro deve giustificare tutto ciò ogni qualvolta sussista, prima facie, una discriminazione retributiva indiretta basata sul sesso.
I buoni rapporti col sindacato non sono un valido motivo di discriminazione. L’avvocato, con argomenti cui si rinvia in toto, ha escluso che mantenere buoni rapporti col sindacato possa legittimare tale disuguaglianza, fondata non sulla tipologia d’incarico ma sul ruolo ricoperto (funzionario) che può essere assunto anche da dirigenti civili, come le ricorrenti. Infatti, nell’ultimo decennio, per riorganizzare la funzione amministrativa della polizia, alcuni incarichi sono stati destinati anche a funzionari civili, permanendo così una differenza salariale. Ciò, però, è inaccettabile, quindi <<l’interesse a mantenere buone relazioni sindacali non può essere valutato in modo identico nel caso in cui la riorganizzazione che può pregiudicare tali relazioni risulti, per la sua immediatezza e per il suo impatto, più aggressiva per i diritti o le aspettative degli interessati e quando, invece, il processo di riorganizzazione viene dilatato nel tempo e le sue conseguenza mitigate, per effetto di un’esecuzione prevedibile, graduale e programmata>>. Saranno i giudici irlandesi a valutare il corretto bilanciamento degli interessi sottesi alla lite.
Ricorso al Consiglio di pari opportunità. L’art. 15 Dls 198/06 (codice delle pari opportunità tra uomo e donna) consente di ricorrere alla Consigliera di parità perché si attivi, anche con azioni legali, per eliminare queste discriminazioni, basate anche sulla religione, su diversi orientamenti sessuali e sulle opinioni politiche per tutelare i lavoratori di ambo i sessi che si trovano in una posizione di svantaggio (Vitale, Le azioni in giudizio della Consigliera di parità).
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