Il fondo patrimoniale può essere costituito da uno dei coniugi o da entrambi, persino da un terzo a beneficio dei coniugi e dei loro figli.
Si può costituire sempre, sia prima che dopo la celebrazione del matrimonio.
Nell’ipotesi in cui il fondo patrimoniale sia costituito in prospettiva di un futuro matrimonio, l’atto costitutivo sarà condizionato (trattasi di condizione legale sospensiva) alla celebrazione delle nozze.
All’uopo, si distingue tra costituzione ad opera di uno solo dei fidanzati o costituzione effettuata da un terzo a favore dei fidanzati.
Nella prima ipotesi è necessario che anche l’altro fidanzato, nonché futuro sposo, partecipi alla stipulazione dell’atto costitutivo e la sua efficacia sarà subordinata alla celebrazione del matrimonio.
Nell’altra fattispecie, l’atto per essere valido deve specificare le generalità degli sposi, si perfeziona con l’accettazione di entrambi i fidanzati, sarà efficace post celebrazione nozze.
Con l’art. 167 c.c. il legislatore prevede espressamente che il fondo patrimoniale si costituisca mediante atto pubblico ed anche per testamento se la costituzione è effettuata da un terzo, con la necessaria presenza di due testimoni, ai sensi del combinato disposto degli artt. 48 L. 89/1913 (c.d. Legge Notarile) e 603 c.c..
Il terzo, dunque, ha una duplice scelta: costituzione dell’atto inter vivos o mortis causa; i coniugi solo per atto tra vivi.
La costituzione ad opera del terzo per atto tra vivi si perfeziona con l’accettazione da parte di entrambi i coniugi, accettazione da farsi con atto pubblico che può avvenire contestualmente alla costituzione del fondo patrimoniale o anche con atto pubblico posteriore.
Fino a quando i coniugi beneficiari non accettano, i beni rimangono nella piena e libera disponibilità del terzo.
La costituzione per testamento del fondo patrimoniale, invece, pone varie problematiche.
Innanzitutto si discute in dottrina circa la natura giuridica della relativa disposizione; più precisamente è da chiedersi se il fondo patrimoniale possa essere costituito a titolo universale, sull’intera eredità o su una quota della stessa, o a titolo particolare.
Prevale la teoria secondo la quale il fondo può essere disposto solo a titolo di legato poiché la costituzione a titolo universale contrasterebbe con la necessaria individuazione dei beni costituiti nel fondo.
Secondo altri autori, è possibile ricorrere anche ad una disposizione a titolo universale, ma solo nella forma di institutio ex re certa, considerato che il fondo patrimoniale, per sua natura, deve avere per oggetto solo beni determinati.
Qualora alla data di apertura della successione il matrimonio sia già cessato per annullamento o divorzio la disposizione sarà priva di efficacia.
Nel caso in cui la costituzione venga effettuata tramite un legato, bisogna distinguere tre ipotesi:
– legato con efficacia reale (il testatore costituisce direttamente i beni nel fondo);
– legato modale (il de cuius lega i beni ad uno dei coniugi con l’onere di costituirli nel fondo);
– legato di contratto (il terzo pone a carico del legatario, ossia uno dei coniugi, l’obbligo di costituire un fondo patrimoniale con il coniuge, attribuendo a quest’ultimo il diritto di pretenderne la conclusione).
Altra questione, discussa in dottrina, in merito alla costituzione diretta del fondo patrimoniale per testamento, concerne l’applicabilità dell’art. 167, comma 2 c.c.; tale norma contempla espressamente l’ipotesi di costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi effettuata da un terzo che si perfeziona con l’accettazione dei coniugi.
La dottrina prevalente sostiene che tale articolo non si applichi nel caso di legato di fondo patrimoniale, conseguentemente non è necessaria l’accettazione dei coniugi. Tale soluzione negativa si basa, principalmente, sul dato letterale della norma innanzi detta, che disciplina testualmente soltanto gli atti inter vivos, mentre per la costituzione mortis causa dovrebbero applicarsi le regole proprie della successione testamentaria, pertanto, il predetto legato dovrà considerarsi acquistato ipso iure all’apertura della successione. Questa tesi si basa, altresì, sulla considerazione che il profilo attributivo (a titolo universale o particolare) assorbe quello costitutivo del fondo, dunque i beni verrebbero acquisiti già gravati dal vincolo di destinazione nel fondo, conseguentemente non sarebbe necessaria l’accettazione ulteriore dei coniugi.
Altra parte della dottrina, però, contesta che la sola volontà testamentaria sia sufficiente per la costituzione del fondo poiché, per sua natura, dovrebbe essere costituito con una convenzione matrimoniale, al pari degli altri regimi patrimoniali (comunione legale, separazione dei beni, comunione convenzionale), ergo, è necessario il consenso dei coniugi. Ancora, ci si è chiesti, in dottrina, se la rinunzia al legato debba o no provenire da entrambi i coniugi. Chi accoglie la soluzione affermativa precisa che il legato andrebbe rifiutato da entrambi i coniugi, dal momento che il fondo patrimoniale è regolato, per quanto attiene all’amministrazione dei beni, dalle norme previste per la comunione legale, in forza del combinato disposto degli artt. 168, comma 3 e 180 c.c..
La necessità del consenso di entrambi i coniugi si evince, altresì, dalla circostanza che con la costituzione del fondo patrimoniale conseguono doveri di amministrazione per entrambi i coniugi, anche nell’ipotesi in cui la proprietà dei beni conferiti in fondo sia attribuita solo ad un coniuge, (teoria preferibile).
Per quanto concerne il requisito formale, ci si chiede se la necessità della forma pubblica prevista per la costituzione del fondo patrimoniale inter vivos è richiesta anche per la costituzione mortis causa. Prevale l’opinione secondo la quale non è necessaria la forma pubblica, in quanto l’art. 167 c.c. utilizza il termine generico “testamento” senza precisazione alcuna, tra l’altro nel nostro ordinamento vigono i principi di “libertà delle forme” e di “equipollenza delle forme testamentarie”, pertanto, il fondo patrimoniale potrà essere costituito anche tramite testamento olografo e segreto.
In merito alla pubblicità, alcuni autori ritengono che, poiché il testamento non è considerato una convenzione matrimoniale, non sia necessaria la sua annotazione a margine dell’atto di matrimonio. La teoria prevalente, invece, sostiene che il fondo patrimoniale vada sempre pubblicizzato, sia se costituito per atto tra vivi, sia per testamento. La costituzione del fondo patrimoniale, oltre ad essere annotata a margine dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile, ex art. 162 c.c. (l’annotazione ha funzione dichiarativa), dovrà esser trascritta presso i registri immobiliari, ex art. 2647 c.c. (la trascrizione è degradata a mera pubblicità-notizia).
Ai sensi dell’art. 168, comma 1° c.c. la proprietà dei beni costituiti in fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione, ergo, la proprietà di tali beni può essere riservata ad un solo coniuge o se il fondo è stato costituito da un terzo, costui potrà riservarsi la titolarità dei beni conferiti nel fondo, o ancora, conferita ad altri soggetti diversi dai coniugi, come i loro figli. Nel caso in cui la titolarità dei beni conferiti nel fondo non sia attribuita ai coniugi, in capo a costoro si configura un diritto di godimento sui generis.
Ai sensi del 3° comma della predetta norma, tali beni sono amministrati da entrambi i coniugi, secondo quanto stabilito dalle norme previste per l’amministrazione della comunione legale.
La costituzione per atto tra vivi ad opera di un solo coniuge pone la problematica inerente la necessità o meno dell’accettazione da parte dell’atro coniuge, dal momento che l’art. 167 c.c. prevede espressamente l’accettazione solo per il caso di costituzione inter vivos ad opera del terzo. Dottrina e giurisprudenza prevalenti sostengono che ciascun coniuge possa prendere l’iniziativa, ma per la costituzione del fondo è necessario il consenso di entrambi. A conforto di tale teoria vi è la circostanza che l’amministrazione dei beni conferiti in fondo spetti ad entrambi i coniugi, secondo le norme della comunione legale, quindi con l’atto costitutivo del fondo scaturisce un dovere effettivo e reale, non eventuale, di amministrare i beni vincolati. A sostegno di questa tesi bilaterale vi è anche la circostanza che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale rientri tra le convenzioni matrimoniali, per la conclusione delle quali è sempre necessario il consenso di entrambi i coniugi, e quindi tale istituto giuridico del fondo ha natura contrattuale.
Parte minoritaria della dottrina ne sostiene, invece, la natura unilaterale basandosi, principalmente, sul fatto che la legge preveda testualmente il consenso di entrambi i coniugi solo per accettare la costituzione ad opera del terzo.
L’art. 171 c.c. rubricato “Cessazione del fondo” prevede che il fondo patrimoniale termini a seguito dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Tale norma può essere confrontata con l’art. 191 c.c. che disciplina le fattispecie estintive della comunione legale; da tale confronto emerge che l’art. 171 c.c. prevede meno cause di scioglimento.
In dottrina si discute dell’applicabilità di determinate ipotesi di scioglimento della comunione nel caso di fondo patrimoniale, poiché si pone il problema del carattere tassativo o esemplificativo dell’elenco di cui all’art. 171 c.c..
Per quanto concerne la morte presunta di uno dei coniugi, fattispecie espressamente prevista solo nell’art. 191 c.c., la dottrina prevalente ritiene che si applichi, per analogia, tale causa di scioglimento anche al fondo patrimoniale, pur non essendo disciplinata nell’art. 171 c.c..
In merito all’ipotesi della separazione personale dei coniugi, sia la dottrina che la giurisprudenza escludono che possa costituire causa di scioglimento del fondo poiché non rientra nell’elenco delle fattispecie di scioglimento del fondo di cui all’art. 171 c.c., basandosi anche sulla circostanza che il fondo può comunque essere utile in una situazione di crisi matrimoniale.
Neanche la separazione giudiziale dei beni, il fallimento e la dichiarazione di assenza di uno o di entrambi i coniugi sono configurabili quali cause di scioglimento del fondo.
Si discute sull’ammissibilità dello scioglimento convenzionale del fondo, non essendo prevista tale ipotesi nell’art. 171 c.c..
A conforto della teoria positiva vi è la circostanza che l’atto costitutivo del fondo è considerato convenzione matrimoniale, con la conseguenza che si applica la corrispondente disciplina; è possibile non solo la modifica ex art. 163 c.c., ma anche la risoluzione consensuale per le convenzioni matrimoniali, ergo, per analogia, secondo parte della dottrina ed anche della giurisprudenza, è ammissibile la risoluzione per mutuo consenso anche dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale. Ulteriore argomento a sostegno di tale tesi si desume dall’ultimo comma dell’art. 171 c.c., secondo il quale si applicano, in assenza di figli minori, le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale di cui all’art. 191 c.c. che prevede espressamente tale causa di scioglimento della comunione. Alcune pronunce giurisprudenziali afferamano la risoluzione per mutuo consenso del fondo patrimoniale anche in presenza di figli minorenni.
La teoria contraria, invece, si basa sull’elenco dell’art. 171 c.c., ritenendolo tassativo e non esemplificativo, nel quale non è previsto lo scioglimento per mutuo consenso.
Altra problematica riguarda la necessità o meno dell’autorizzazione giudiziaria in caso di scioglimento convenzionale del fondo.
All’uopo si sostiene che non è necessaria tale autorizzazione, neanche in presenza di figli minori, non essendo richiesta da alcuna norma, anche perché contrasterebbe con il principio di autonomia privata dei coniugi. Si precisa che l’autorizzazione giudiziaria è richiesta per alienare, ipotecare, dare in pegno o vincolare beni del fondo, se vi sono figli minori e soltanto nei casi di necessità o utilità evidente, ex art. 169 c.c..
Nel caso di annullamento del matrimonio o divorzio, il fondo si scioglie quando la relativa sentenza passa in giudicato.
In presenza di figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio; in tale ipotesi il Tribunale dei minorenni, su istanza di chi ne ha interesse, potrà indicare le norme per amministrare il fondo, ex art. 171, 2° comma c.c..
Il terzo comma della predetta norma pone problematiche inerenti la possibilità di attribuire la proprietà dei beni conferiti nel fondo ai figli, non contrastando le norme della Costituzione.
Secondo tale comma, il giudice può attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo, considerando le condizioni economiche sia dei genitori che dei figli.
Parte della dottrina ritiene che la predetta norma sia in contrasto con l’art. 42 Cost., nonché con il principio di autonomia privata, e si configurerebbe un’ipotesi di espropriazione per motivi di interesse particolare.
La norma non dovrebbe riguardare i figli minori, secondo una teoria, poiché essi sono tutelati in quanto il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio; secondo un’altra tesi, invece, si applicherebbe solo ai figli maggiorenni che non siano economicamente autosufficienti.
Parte della dottrina interpreta il 3° comma dell’art. 171 c.c. in maniera restrittiva, nel senso che il giudice può attribuire ai figli solo il diritto di godimento, non anche di proprietà, dei beni conferiti nel fondo.
Secondo altra tesi estensiva si può attribuire anche il diritto di proprietà ai figli, poiché il 3° comma, connesso con il 2°, dovrebbe riguardare i figli minori. Tale interpretazione supera eventuali problematiche costituzionali facendo riferimento agli obblighi di cui agli artt. 30 Cost. e 147, 148 c.c..
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento