La Cassazione torna a pronunciarsi sul tema del danno da responsabilità medica: secondo la recente sentenza in commento deve escludersi il diritto all’indennizzo per i danni conseguenti a vaccinazioni obbligatoria nel caso in cui il personale sanitario abbia eseguito l’infusione nel rispetto del relativo protocollo sanitario ed il pregiudizio si sia verificato per caso fortuito.
Il ricorso, proposto dall’attrice dopo due sfavorevoli pronunce di merito, era diretto a far valere la presunta violazione dei principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio in campo di responsabilità della struttura pubblica.
La particolarità del caso consiste nel fatto che il pregiudizio da vaccinazione non conseguiva (come ordinariamente avviene) da contagio o reazione anafilattica, ma consisteva in una lesione permanente al nervo ascellare, raggiunto dall’ago cavo durante l’iniezione. Ecco in sintesi il caso: l’attrice aveva agito contro la Azienda Sanitaria deducendo la cattiva esecuzione di una iniezione intramuscolare finalizzata alla vaccinazione antitifica, dalla quale assumeva di aver riportato postumi permanenti. Il contraddittorio era integrato su istanza della convenuta A.S.L. mediante la chiamata in causa della propria compagnia assicuratrice e del medico che aveva eseguito l’iniezione. Tanto il giudice di prime cure quanto la Corte di Appello (interpellata a seguito del gravame promosso dalla soccombente), avevano rigettato la domanda: benché risultasse effettivamente provato che l’iniezione aveva danneggiato il nervo circonflesso, nessuna responsabilità risultava ascrivibile al medico vaccinatore (e per esso alla ASL) in quanto egli aveva somministrato il farmaco in maniera tecnicamente corretta. La lesione conseguiva, postulavano i giudici di merito, al fatto che il predetto nervo ha un andamento variabile da individuo ad individuo e, quindi, sostanzialmente imprevedibile.
La Cassazione ribadisce la correttezza dell’argomentazione esposta in secondo grado dovendosi escludere ogni responsabilità del medico che operi in ossequio a quanto stabilito dai protocolli sanitari, anche nell’ipotesi in cui risulti dimostrata la sussistenza del nesso causale tra condotto terapeutica e lesione.
Nel richiamare esplicitamente un analogo precedente (Cass., sezione III civile, sentenza 9 ottobre 2012, n. 17143) la Corte ribadisce in tema di risarcimento da attività medica i criteri di ripartizione dell’onere probatorio già precedentemente dettati: spetta all’attore l’onere di provare l’esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale; egli ha anche l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico. Spetta invece al sanitario fornire la prova della non imputabilità a sé pregiudizio.
Tale principio è stato peraltro già espresso in anche Cass., sezione III civile, 13 aprile 2007 n. 8826; Cass., sez. III, sentenza 20 ottobre 2014 n. 22222 e, più recentemente Cass., sezione III, sentenza 20 marzo 2015, n. 5590).
Secondo la Suprema Corte, inoltre, la natura “routinaria” della pratica medica in discussione (semplice profilassi antitifica) escludeva la necessità di eseguire specifici accertamenti preventivi ed il pregiudizio arrecato risulta così attribuibile al caso fortuito ovvero “all’andamento variabile e talvolta imprevedibile del nervo circonflesso”, così come accertato dalla consulenza tecnica eseguita in primo grado.
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