La partecipazione ai giudizi, che coinvolgono il suo interesse superiore può avvenire nelle forme della parte processuale o della sua necessaria audizione. Il minore deve essere considerato parte in senso processuale non solo in quanto destinatario diretto degli effetti del provvedimento, ma in quanto titolare di diritti e situazioni soggettive tutelabili in sede giurisdizionale, diritti e situazioni su cui incide il provvedimento. Il minore è parte[2] nelle controversie riguardanti il suo status, nei giudizi dichiarativi dello stato di adottabilità e nelle controversie de potestate disciplinate dall’art. 336 cod. civ., dove è previsto che anche il minore debba essere assistito da un difensore[3].
In questi procedimenti il minore è parte necessaria del giudizio. Non si può prescindere dall’attivazione del contraddittorio nei suoi confronti; per questo motivo affinché si concretizzi una compiuta difesa del minore, nel rispetto dei dettami costituzionali del giusto processo (art. 111 Cost.), è indispensabile prevedere un soggetto dedicato alla difesa del minore.[4]
Nei procedimenti in materia di status, il legislatore ha ritenuto che la posizione del minore trovi una tutela maggiore, sotto il profilo della legittimazione processuale, nell’istituzione di una figura del curatore speciale, che si faccia portavoce degli interessi del minore rispetto a quelli dei genitori.[5] Laddove, infatti, il minore sia parte processuale è necessario che la presenza del curatore speciale[6] venga formalizzata ab origine, attraverso l’interposizione soggettiva e la previa nomina di un suo rappresentate.
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Il minore parteciperà direttamente al giudizio mediante l’audizione. L’audizione ha una doppia natura.
In primo luogo, intesa quale “manifestazione di volontà”[7], che il minore ha sempre il diritto di effettuare purché abbia capacità di discernimento; è un diritto, il cui esercizio consente al minore di influire sulla formazione del convincimento del giudice.
In secondo luogo, l’audizione intesa quale “atto istruttorio necessario”, è uno strumento che consente al giudice di verificare se il provvedimento richiesto corrisponda all’interesse del minore.[8] Fa parte dell’istruttoria, poiché contribuisce a dare al giudice un elemento fondamentale di comprensione del thema decidendum. L’ascolto, tuttavia, non è assimilabile alla testimonianza né all’ interrogatorio libero della parte. Non è testimonianza, perché il minore non è terzo al processo. Non è chiamato a rendere una deposizione sulla contesa tra le parti, bensì su temi che attengono primariamente alla sua sfera personale. Egli può, inoltre, esprimere le proprie personali sensazioni e valutazioni, delle quali il giudice deve prendere atto, a differenza di quanto avviene per i testimoni. Non è interrogatorio libero, perché sotto il profilo dei presupposti non è sempre definibile se il minore sia parte o meno del processo.[9] L’ascolto, pur non essendo equiparabile ai mezzi di prova ordinari, rappresenta un istituto tipizzato, un “momento formale del procedimento”.[10]
La partecipazione del minore nelle forme dell’audizione è resa obbligatoria dalla norma generale dettata dalla legge di riforma del 2012 che, nell’enunciare i diritti e i doveri del figlio nel nuovo art. 315bis cod. civ., introdotto dalla legge n. 219, prescrive che il figlio minore che abbia compiuto i dodici anni o anche d’età inferiore ove capace di discernimento “ha diritto d’essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano” comprese, anche quelle in cui già partecipa in qualità di parte”.
Il legislatore[11] ha, così, qualificato, per la prima volta, l’audizione del minore come “diritto” del minore stesso, in grado di trovare attuazione in tutti i contesti, sostanziali e processuali, che possono riguardarlo, allineandosi a quanto già previsto dagli strumenti internazionali ed europei.[12] In particolare, questa disposizione attua quanto dispone l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli. “Nelle procedure avanti all’autorità giudiziaria” ha conferito ai fanciulli dotati “di sufficiente discernimento per il diritto interno”, in esse coinvolti, “i seguenti diritti:
a) ricevere ogni formazione pertinente;
b) essere consultato ed esprimere la propria opinione;
c) essere informato delle eventuali conseguenze dell’attuazione della propria opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione”;
ribadendo in tal modo, a livello internazionale, l’esistenza di un vero e proprio diritto dei minori all’ascolto giudiziale in tutti i procedimenti che li concernono.[13]
L’art. 12 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata in Italia con la l. n. 176 del 1991, inoltre, ha solennemente riconosciuto al più alto livello il diritto inviolabile di ogni minore capace di discernimento “di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne”. Mentre nella Convenzione di New York l’audizione diventa un obbligo per il giudice solo quando cioè si tratta di accertare che il minore non sia separato dai suoi genitori “contro la sua volontà”, nella Convenzione di Strasburgo, l’audizione diventa un obbligo, un dovere d’ufficio del giudice, uno strumento necessario per garantire che il contenuto della decisione sia conforme all’interesse superiore del minore.[14]
Sugli aspetti strettamente procedimentali dell’ascolto è successivamente intervenuto il d.lgs. n. 154/2013, il quale, attuando quanto prescritto nella delega contenuta nella citata legge, ha introdotto gli artt. 336 bis, 337 octies c.c. e 38 bis, connotando l’ascolto quale diritto soggettivo assoluto. L’ assolutezza produce due effetti; il primo, l’opponibilità erga omnes, il secondo, l’instaurazione di un rapporto immediato e diretto tra il soggetto e il bene (l’affermazione di opinioni che incideranno sulla proprio sfera esistenziale e relazionale).[15]
L’art. 336 bis c.c., rubricato “Ascolto del minore”, disciplina, in via generale, le modalità con le quali tale diritto deve trovare attuazione. La nuova disposizione, attribuisce al presidente del tribunale o a un giudice da questi delegato il compito di procedere all’ascolto del minore, in tal modo privilegiando la modalità diretta di espletamento di tale adempimento, rispetto a quella indiretta, effettuata per il tramite di esperti. Essa, inoltre, introduce due possibilità di deroga rispetto al principio generale sancito nell’art. 315 bis c.c., prevedendo che non si dia luogo all’ascolto qualora sia “in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”.[16]
La clausola di esclusione si caratterizza per l’eterogeneità dei due criteri di eccezione individuati dalla norma, l’una attenendo al minore, considerato nella sua soggettività, l’altra alla rilevanza dell’ascolto all’interno del procedimento che riguarda il minore stesso. [17] Il giudice, infatti, può legittimamente evitare di procedere, quando rilevi che sia potenzialmente dannoso per il minore o inutile ai fini dell’adozione del provvedimento, fornendo, adeguata motivazione al riguardo, come prescritto dallo stesso art. 336 bis c.c. L’ eventuale omissione immotivata dell’audizione è ritenuta causa di nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, in quanto vizio insanabile.[18]
Questa impostazione trova conferma nella circostanza che la funzione di questo strumento processuale è quella di contribuire a fare emergere nel giudizio il punto di vista del minore, per consentire al giudice di tener conto del suo superiore interesse ai fini dell’adozione del provvedimento, con la conseguenza che di esso lo stesso debba fare a meno tutte le volte in cui il suo espletamento possa in concreto nuocere al minore stesso. Il dovere del giudice di procedere all’ascolto, eccezion fatta per le cause di esclusione indicate nella norma, trova infatti un limite naturale nella contraria volontà del minore il quale, non può essere costretto a intervenire in sede processuale per farsi “ascoltare” dal giudice, qualora abbia manifestato il suo dissenso al riguardo. L’ascolto è, infatti, un diritto soggettivo assoluto della personalità del minore, che si concretizza nella facoltà del minore di esercitarlo o non esercitarlo, in questo caso si tradurrà nel diritto del minore a non essere ascoltato.
[1] F.TOMMASEO, I profili processuali della riforma della filiazione, in Fam. e dir., 2014, 5, p.530.
[2] Può assumere la qualità di “parte in senso sostanziale” per l’assorbente ragione che la decisione, qualunque ne sia il contenuto, coinvolge la dimensione esistenziale del minore. Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Foro it. 2010, 3, I, 903
[3] A.CARRATTA, Verso un giusto processo minorile, in Dir. fam. pers., 2010, p. 268ss.
[4] F.DANOVI, L’avvocato del minore nel processo civile, in Fam. e dir., 2014, 2, p. 179ss.
[5] F.TOMMASEO, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam e dir., 2007, 4, p. 409 ss.
[6] In dottrina ci si interroga circa la nomina di un curatore speciale: se detta figura debba essere designata sempre, ovvero soltanto nelle ipotesi di conflitto di interessi e se il conflitto di interessi debba essere valutato in concreto o in astratto, in via successiva ovvero prognostica. In un’ottica di garanzia della posizione del minore sarebbe opportuno optare per la nomina ex ante in tutti i casi. La figura del curatore verrà indagata nel proseguo della trattazione.
[7] Relazione illustrativa che accompagna lo schema del decreto legislativo preparato dalla commissione presieduta da C.M.Bianca.
[8] F. TOMMASEO, La cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario, in Fam.e dir.., 2007, 10, p. 884.
[9] F.DANOVI, L’ascolto del minore nel processo civile, in Dir. fam. pers., 2014, 4, p. 1592.
[10] V. CARBONE, L’audizione è obbligatoria, come ribadito dalla recente legge 219/2012 sulla filiazione, in Corr. giur., 2013, 1029; Cass. 5 marzo 2014 n. 5097, in Foro it. 2014, 4, I, 1067.
[11] Precedentemente erano state le stesse Sezioni Unite, 21 ottobre 2009, n. 22238, in Foro it., 2010, I, 903 a rilevare come “l’audizione dei minori” nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori sia divenuta comunque obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo…e con il fondamentale ’art. 12 della Convenzione di New York del 1989” ed ad accertare l’inderogabilità del diritto di essere ascoltato del minore che ha preso parte al procedimento, essendo il rispetto di ogni “persona in età evolutiva” e della sua dignità un pilastro fondamentale del nostro sistema processuale, per cui nessun giudice potrà emettere provvedimenti che la riguardano senza prima averla consultata.
[12] A. NERI, Aspetti processuali dei recenti interventi legislativi in tema di filiazione, in Riv. Dir. Proc., 2014, 4-5, 1090.
[13] A. GRAZIOSI, Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, nota a Cassazione civile, sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Fam.dir., 2010, 4, 367.
[14] F. TOMMASEO, La cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario, in Fam. e dir., 2007, 10 p. 886.
[15] G.BALLARANI, Il diritto all’ascolto, in C.M. BIANCA (a cura di) La Riforma della Filiazione, Italia 2015, p 132.
[16] L.QUERZOLA, La revisione delle norme in materia di filiazione: profili processuali, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2014, 1, p. 186 : esprime la propria perplessità i merito alla configurabilità di un ascolto contrario all’interesse del minore. Ritiene che potranno essere contrari al suo interesse il provvedimento adottato dal giudice e cambiamenti essenziali delle vita del minore, ma non l’ascolto, che rimane di per sé un procedimento, uno strumento, un mezzo.
[17] A. NERI, Aspetti processuali dei recenti interventi legislativi in tema di filiazione, in Riv. Dir. Proc., 2014, 4-5, 1090.
[18] G.BALLARANI, Il diritto all’ascolto, in C.M. BIANCA (a cura di) La Riforma della Filiazione, Italia 2015, p 139.
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