1) Se si vuole contestare la veridicità dell’attestazione apposta dal funzionario in riferimento al credito della banca per come risultante dagli estratti conto ed azionato in via monitoria lo strumento della querela di falso appare corretto nella misura in cui essa abbia la finalità di ottenere il risultato di privare quel certificato del valore di prova privilegiata affinché non possa essere più utilizzato per ottenere un decreto ingiuntivo.
2) Se però si contesta solo che gli importi risultanti dagli estratti conto sarebbero errati perché la somma esposta sarebbe la conseguenza di interessi commissioni e spese non dovute o non dovute nella misura richiesta, tale contestazione non può essere fatta valere con lo strumento processuale della querela di falso, poiché attiene all’esatto ammontare del credito e non alla falsità della certificazione del credito, in quanto la “verità” che predica l’art. 50 T.U.B. è limitata alla corrispondenza tra il saldo contabile risultante dall’estratto conto ed il certificato sottoscritto dal funzionario.
3) Se invece si contesta che il funzionario o l’istituto abbiano falsificato le scritture contabili dei rapporti di conto corrente o che la certificazione faccia riferimento a rapporti intercorsi con soggetti diversi da quelli per cui è causa o ancora che il certificato riporti un valore non conforme alle risultanze delle scritture contabili del rapporto, si può ancora utilizzare la querela di falso.
Nota alla sentenza
Il Tribunale di Padova, con la sentenza che si pubblica in calce, si è pronunciato su di un aspetto finora (stranamente) mai trattato ne dalla dottrina né dalla giurisprudenza: la falsità ideologica della certificazione / attestazione ex art. 50 Tub nei casi di pluriennali addebiti sul conto corrente, da parte della banca, di somme non dovute dal correntista per anatocismo, usura, interessi ed oneri non pattuiti; è noto che tale documento è utilizzato dalle banche soprattutto per chiedere ai giudici i decreti ingiuntivi nei confronti del correntisti cui viene revocato il fido e viene intimato il pagamento del saldo passivo risultante nell’ultimo estratto conto, con relativa segnalazione “a sofferenza” nella Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia.
Astrattamente il tribunale, nella decisione in esame, ammette la possibilità di contestare per falso la certificazione del dirigente della banca durante la fase monitoria però, per i giudici patavini, nemmeno l’eventuale discrepanza tra la somma indicata nella certificazione (che si rifà alle risultanze delle scritture contabili) e quella di cui la banca chiede il pagamento con il decreto ingiuntivo o quella di cui la banca concorda con il curatore l’ammissione allo stato passivo di un fallimento, è indice della falsità del documento e la querela di falso non è ammissibile perché la suddetta certificazione, secondo il tribunale di Padova, si limiterebbe ad affermare che il credito della banca è conforme alle scritture contabili ed in quanto tale, si tratterebbe di un’affermazione indubbiamente veritiera.
La norma dell’art. 50 Tub in realtà prevede una mera dichiarazione unilaterale del funzionario della banca, con funzione sia di certificazione della conformità del saldo dell’ultimo estratto di un determinato conto, alle scritture contabili della banca che di attestazione (dichiarazione di scienza) della “verità” (certezza) e liquidità del credito della banca, indicato nel suddetto saldo, passivo per il cliente.
La falsità della dichiarazione del dirigente della banca non riguarda tanto la certificazione sulla regolare tenuta della contabilità (la conformità dell’estratto conto alle scritture contabili), ma l’attestazione in merito all’esistenza di un credito certo (“vero e liquido”) della banca; il falso denunciato non è perciò materiale e palese (non sono falsificati i numeri utilizzati come dati contabili), ma ideologico ed occulto: non è “vero” il fatto giuridico (il credito della banca) che risulta dal documento, a causa di annotazioni indebite nelle scritture contabili, errori di contabilità sostanziali che comportano anche il falso in bilancio.
La doverosa conclusione cui si perviene, dopo aver letto la sentenza annotata, è che coloro i quali intendono contestare, con la procedura di cui all’art. 221 c.p.c., la falsità della certificazione del credito sottoscritta dal dirigente della banca, è opportuno non indichino solo il documento di cui all’art. 50 Tub, ma contestino per falsità anche tutti gli estratti conto (soprattutto in relazione ai dati contenuti nel riepilogo competenze), che sono i documenti contabili su cui si fonda la falsa attestazione del dirigente in merito alla certezza del credito della banca.
Da evidenziare che i giudici di Padova non si pronunciano (perché non richiesto) sulla questione della falsità delle segnalazioni effettuate mensilmente dalla banca alla Centrale rischi e sui danni conseguenti alla falsità (indotta) della certificazione di stato (“merito creditizio”), utilizzata da vari interlocutori di un‘impresa.
Nel caso de quo inoltre non risulta che, nonostante l’evidenza della falsità dei decreti ingiuntivi impugnati (ammessa dalla stessa banca), la Procura abbia avviato indagini, trattandosi di reati procedibili d’ufficio, in merito alla pur segnalata violazione dell’art. 479 c.p. (falso in atto pubblico), grave illecito che, nel caso esaminato dal Tribunale di Padova, ha poi indubbiamente comportato l’utilizzo in sede fallimentare dell’atto pubblico (il decreto ingiuntivo) falso, con conseguente violazione, da parte di altri soggetti, dell’art. 489 c.p. (uso di atto falso).
La Procura di Padova infine non sembra considerare che, ai sensi dell’art. 537 c.p.p. (pronuncia sulla falsità di documenti), anche nel caso di proscioglimento degli indagati, il giudice penale dovrebbe in ogni caso dichiarare la falsità dei documenti e che successivamente, ai sensi dell’art. 397 c.p.c. (revocazione proponibile dal pubblico ministero), il PM dovrebbe intervenire per la revocazione dei provvedimenti giudiziari fondati su prove false o sul dolo della parte.
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