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Introduzione del dott. Luca Sansone
Questo lavoro è nato all’improvviso, senza che l’argomento fosse stato oggetto dell’assegno settimanale, da una domanda di un allievo sul divieto dei patti successori. Mi è venuto di assegnare uno “schema”, esercitazione che faccio svolgere in non più di mezz’ora di tempo, sulla quale si apre poi un dibattito. La ritengo di fondamentale importanza perché formativa della capacità di lavorare all’impronta sul codice e di individuare il percorso necessario allo svolgimento del tema.
In questo specifico caso ho ritenuto che il risultato, visto il tempo a disposizione, fosse talmente incoraggiante, da proporlo all’interno della rubrica come esempio di organizzazione prodromica allo svolgimento di un tema.
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Il contratto a favore di terzo consiste in una pattuizione in virtù della quale l’effetto acquisitivo del contratto cui accede si produce in via diretta ed immediata nel patrimonio di un terzo, che rimane estraneo alla conclusione del contratto, non assumendone il ruolo di parte, né in senso sostanziale, né formale. Parti contraenti del contratto sono e restano promittente -tenuto alla prestazione nei confronti del terzo- e stipulante -nel cui patrimonio gli effetti del contratto si sarebbero prodotti in assenza della stipulazione, e che, per un interesse anche di natura esclusivamente morale o affettiva1 designa la persona del terzo-. Nondimeno, il terzo acquista un vero e proprio diritto che trova fondamento esclusivo nel contratto a favore di terzo, fuoriuscendosi dallo schema descritto dall’art. 1411 cc. nell’ipotesi in cui il diritto del terzo sorge per legge, o in quella in cui il terzo ricavi solo un vantaggio o anche se sia beneficiario dell’intera prestazione eseguita nei suoi confronti2, ma non acquisti la titolarità del diritto, provata dalla inequivoca intenzione delle parti contraenti di attribuire al terzo la titolarità del diritto rispetto alla prestazione promessa3. Diritto che deve essere autonomo e sorgere direttamente in capo al terzo, al di fuori di qualsiasi fenomeno di successione.
Sulla natura della pattuizione, contro la tesi ormai minoritaria che la costruisce come autonomo contratto, collegato al principale, si ritiene trattarsi di una clausola contrattuale, osservando che l’attribuzione patrimoniale a favore del terzo non modifica la funzione del contratto, che resta quella delle singole fattispecie cui la pattuizione accede. Pertanto, la disciplina applicabile risulta dalla fusione di quanto previsto negli artt. 1411 cc. e ss., con la normativa dettata per il singolo contratto concluso.
Si tratta, tuttavia, di una clausola che gode di una particolare autonomia, in grado di causare il depauperamento di un soggetto a fronte dell’arricchimento di un altro4, deroga espressa al generale principio civilistico di non interferenza nell’altrui sfera giuridica, ammessa in presenza di due condizioni: che nella sfera giuridica del soggetto entrino solo benefici (“acquista il diritto”)5, e che sia assicurata al terzo interessato la possibilità di rifiutare.
In quanto fonte dell’attribuzione patrimoniale a favore del terzo, si pone il problema della giustificazione causale del contr. a fav. di t. Sotto questo aspetto la diposizione dell’art. 1411, I comma subordina la validità dell’intera stupulazione all’esistenza di un interesse in capo allo stipulante: esso, sorreggendo l’attribuzione è irrinunciabile e andrà accertato con riguardo al rapporto fra stipulante e terzo6. Come anticipato, può trattarsi anche di un interesse morale o affettivo, secondo parte della dottrina, mentre taluni preferiscono identificarlo con l’interesse meritevole di tutela ex cc. 1322, finendo per restringere il campo di applicazione dell’istituto7. L’interesse può essere rinvenuto in una causa solvendi, consentendo allo stipulante di estinguere una precedente obbligazione nei confronti del terzo, o rappresentare la controprestazione dello stipulante a fronte della prestazione del terzo nei suoi confronti nata da altro rapporto fra i due, del tutto estraneo ed autonomo dal contratto concluso fra stipulante e promittente, ma la pratica offre numerosi casi di contr. a fav. di t. stipulati per intento di liberalità. In tal caso si concorda generalmente sulla natura di donazione indiretta ex cc. 809 della fattispecie, trattandosi di una conseguenza solo indiretta del negozio fra stipulante e promittente, avente una causa diversa, e dunque si ritiene che la clausola deve avere la forma non della donazione, ma del contratto concluso.
L’art. 1411 cc. disciplina la dichiarazione del terzo di voler profittare della stipulazione a suo favore.
La natura della adesione del terzo suscita notevoli contrasti in dottrina e Giurisprudenza.
Secondo la Giurisprudenza8 essa si configurerebbe come condicio iuris sospensiva dell’acquisizione del diritto, ammissibile anche quando manifestata per facta concludentia. Tuttavia si obietta che dalla lettera dell’art. 1411, II comma -“il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione”- l’effetto acquisitivo è immediato, contestuale alla stipulazione fra stipulante e promittente, effetto che può venir meno in caso di revoca o rifiuto -che fungono, in tal caso, da condiciones iuris, si badi, risolutive-. Pertanto sembra preferibile ritenere che la dichiarazione del terzo di voler profittare della stipulazione a suo favore, non è una accettazione in senso tecnico di un contratto a natura trilaterale, avendo come unica funzione consumare il potere di revoca o modifica della stipulazione da parte dello stipulante, oltre che il potere di rifiutare riconosciuto al terzo.
Corollario di tale affermazione è che il rifiuto del terzo non è vero rifiuto -che si configura nel caso di mancato acquisto di un diritto-, ma rinunzia a un diritto già acquistato. Esso è un atto, per taluni di natura negoziale, dispositivo, recettizio -ossia che produce i suoi effetti dal momento della comunicazione ai destinatari-, che risolve l’acquisto da parte del terzo, eliminandolo con efficacia retroattiva, efficacia che risale al momento della conclusione del contratto. Pertanto, la prestazione resta a beneficio dello stipulante, salvo “patto contrario”, ossia che per volontà delle parti o dalla natura del contratto9 il contratto si sciolga per impossibilità sopravvenuta dell’adempimento da parte del promittente.
Come il rifiuto, anche la revoca del contr. a fav. di t. da parte dello stipulante opera ex tunc, producendo i medesimi effetti. Essa costituisce un negozio unilaterale recettizio10, che si ritiene debba rivestire la stessa forma richiesta dal contr. a fav. di t. e che, coerentemente con l’affermazione della perfezione del contratto prima dell’adesione del terzo, è trasmissibile agli eredi11.
Quanto all’oggetto del favor attribuito al terzo, taluni affermano sia da rinvenire nella controprestazione cui è tenuto lo stipulante nei confronti del promittente: se Tizio acquista un immobile a favore di Caio, il favor sarebbe rappresentato dal prezzo che Tizio paga a Sempronio per acquistare da lui il bene. Tuttavia sembra preferibile la tesi di chi identifica l’oggetto del favor nella medesima attribuzione di cui beneficia il terzo. A voler argomentare diversamente, invero, si dovrebbe giungere a negare l’ammissibilità di contr. a fav. del t. gratuiti -si pensi ad una espromissione gratuita, o ad una opzione ottenuta dallo stipulante a carico del venditore-promittente.
In particolare, in merito alla prestazione, si discute se il contratto possa produrre anche effetti reali a favore del terzo. In senso positivo dottrina e giurisprudenza dominanti12, che, ammettendo un contratto traslativo a favore di terzo, escludono limiti relativi alla qualità o al contenuto del favor per il terzo -pertanto la “prestazione” degli art. 1411 e 1412 cc. sarebbe da interpretare come “attribuzione patrimoniale”, genus più ampio che comprende in sé la prestazione patrimoniale. A chi obietta che un contratto traslativo a favore di terzo, importando per il terzo oneri di gestione e custodia, fuoriesce dallo schema di esclusivo favor richiesto dal legislatore perché si configuri la fattispecie in parola, si ribatte che -oltre al generale riconoscimento dell’ammissibilità dell’attribuzione modale al terzo- tali problemi riguardano più specificamente il caso di attribuzione di usufrutto, ma non del diritto di proprietà.
Attenzione particolare merita il c.d. contr. a favore del t. con efficacia post mortem dello stipulante, in cui il favor a beneficio del terzo consista in una prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante. L’art. 1412 cc. prevede e disciplina espressamente tale fattispecie, lasciando allo stipulante la facoltà di revoca del beneficio, anche con una disposizione testamentaria, e quantunque il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo, in tale ultimo caso, la rinunzia per iscritto al potere di revoca13.
L’articolo in parola presenta alcuni punti particolarmente delicati. Pacifico è che la possibilità di revoca sussistente in capo allo stipulante -salvo diversa volontà- pur dopo l’ “accettazione” del terzo rappresenta una deroga alla disciplina generale del contr. a fav. del t., il quale ex cc. 1411 è valido ed efficace già dal momento della stipulazione14.
Controversa è, invece, la natura stessa del contr. a fav. del t. con prestazione post mortem dello stipulante, soprattutto per l’interferenza con il divieto di patti successori ex cc. 45815. Divergenze sussistono sul momento perfezionativo dell’acquisto da parte del terzo: secondo un orientamento la morte dello stipulante costituirebbe termine di adempimento e non di efficacia16, altri, invece, ritengono che l’acquisto si perfezioni solo al momento della morte17.
Si ritiene che la fattispecie in parola non costituisca una deroga al generale divieto di patti successori, in quanto l’acquisto del terzo avverrebbe iure proprio e non iure successionis18, essendo un effetto del contratto, validamente perfezionato quando lo stipulante era ancora in vita. Qui è solo l’esecuzione della prestazione ad essere rimandata post mortem, mentre il contratto resterebbe inter vivos: la funzione dello strumento si esplica interamente in vita dello stipulante, avendo il terzo acquistato il suo diritto inter vivos.
A tale suggestiva ricostruzione, si obietta19, tuttavia, che l’esistenza stessa dell’art.1412 testimonia che il legislatore ha sentito l’esigenza di derogare alla generale inammissibilità -e nullità dei patti successori-, deroga che non poteva che richiedere una espressa previsione della figura. Il momento in cui una pattuizione spiega i suoi effetti è, invero, talmente assorbente, da colorare l’intera causa della medesima: ciò avviene anche con riferimento alle c.d. clausole accidentali del negozio giuridico, “accidentali” in senso statico -perché le parti possono decidere di inserirle nel loro regolamento degli interessi o meno, senza che sia travolta l’esistenza della pattuizione-, ma “essenziali” in senso dinamico -in quanto, una volta inserite in un contratto, concorrono a determinarne la causa, intesa come sintesi di effetti essenziali, che è destinato a produrre. E a sostegno di tale affermazione, si può richiamare proprio la eccezionale revocabilità postuma alla dichiarazione del terzo di profittare del favor: la ratio della previsione ben si concilia con la ratio del divieto dei patti successori: dare una garanzia pratica all’assoluta revocabilità del testamento, atto con cui il de cuius decide in assoluta libertà -fino all’ultimo momento della propria vita- della sorte che toccherà ai propri beni per il tempo successivo alla propria morte. Anzi, seguendo tale ricostruzione, si arriva alla conclusione di negare la natura di patto successorio istitutivo ammesso al contr. a fav. del t. con efficacia post mortem, argomentando, tuttavia, non dalla sopra esposta distinzione fra funzione esplicata ed efficacia della pattuizione, bensì dalla appena ricordata ratio dei due istituti: se al de cuis è lasciata la possibilità fino all’estremo -con disposizione testamentaria- di modificare il suo proposito, significa che è salva la sua libertà dispositiva, pertanto che non si verte in ipotesi di patto successorio vietato.
La vera deroga alla nullità dei patti successori si rinviene, invero, in tema di contr. a fav. del t. con prestazione post mortem dello stipulante, nella previsione dell’art. 1412 I comma, II p.te, in cui -sia che l’atto sia configurato come unilaterale20, sia come accordo bilaterale, oneroso o gratuito21- è consentito allo stipulante obbligarsi a non revocare la pattuizione, eccezionalmente in contrasto alla generale facoltà assicurata al de cuius di mutare proposito.
La vera “anomalia” che si rinviene nella disciplina dell’istituto, riguarda il caso di premorienza del terzo allo stipulante22: sebbene il terzo non avesse dichiarato di profittare della stipulazione a suo favore il potere di revoca dello stipulante si trova comunque consumato, restando la prestazione a vantaggio degli eredi del defunto -salvo diversa volontà dello stipulante-.
Si discute se l’acquisto degli eredi avvenga eccezionalmente iure proprio o iure successionis.
Mentre i sostenitori della tesi che esclude si tratti di una attribuzione mortis causa ravvisano in tale disposizione conferma della propria convinzione -in quanto solo ciò che il soggetto ha già acquistato è trasmissibile ai propri eredi-, all’opposta dottrina non resta che spiegare la medesima come “anomalia”, in virtù della quale gli eredi acquistano iure proprio più di quanto si trovasse nel patrimonio del loro dante causa.
Carla Ottonello
NOTE:
1 Cfr. De Nova, Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, pg. 10 ; Cass. 6688/86
2 Si pensi ad un trasporto o una cura medica.
3 Così, Cass. 8075/94, precedentemente Cass. 4012/83.
4 Tale caratteristica ha fatto ricondurre la fattispecie in esame al fenomeno più ampio dei c.d. contratti su patrimonio altrui, compredente la vendita di cosa altrui (cc. 1478) e la concessione di ipoteca su beni altrui (cc. 2822).
5 Ciò accade anche nel contratto con obbligazioni del solo proponente (cc. 1333) e nella promessa al pubblico (cc. 1989).
6 Il difetto dell’interesse dello stipulante determina la nullità della stipulazione a favore del terzo. Sulle conseguenze di ciò la dottrina è divisa: taluno esclude la reversibilità ex cc. 1411 III comma (Girino, Studi in tema di stipulazione a favore di terzo, pg. 91); altri –ferma la nullità della clausola- ritengono che il promettente sia tenuto ad eseguire comunque la prestazione, a vantaggio dello stipulante, in quanto a venir meno sarebbe la giustificazione dell’attribuzione al terzo, e non il rapporto contrattuale fra stipulante e promettente, fonte autonoma di giustificazione dello spostamento patrimoniale in sé considerato (Bianca, Diritto civile, pg. 538; Macello, Contratto a favore del terzo).
7 Così, Majello, op. cit.
8 Cfr. Cass. 13661/92, Cass. 1136/88.
9 Si pensi a contratti intuitus personae, con personalità della prestazione per il terzo.
10 Così, Bianca, op. cit.,pg. 539; Majello, ibidem.
11 Cfr. Majello, op. cit.
12 V. Girino, cit., pg. 140 ss.;Cass. 1842/99.
13 L’atto di rinunzia è considerato da taluni un atto unilaterale, che deve essere comunicato al promittente, mentre altra parte della dottrina ritiene si tratti di un accordo bilaterale con il terzo, a titolo gratuito o oneroso, comunque esterno ed autonomo rispetto al contratto.
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