Precedenti giurisprudenziali: Cass. S.U. 577/2008
Fatto
A seguito dell’aggravamento della patologia di cui era affetto il paziente si rivolgeva al Tribunale per vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno subito a causa dell’imperizia del medico e della casa di cura ove era stato ricoverato.
In particolare il paziente aveva sostenuto che a causa di tre diversi interventi eseguiti nel 2001, 2003 e 2008 per la risoluzione di patologie oculari aveva subito un peggioramento della situazione clinica con l’insorgenza di una ectasia post chirurgica.
Si costituivano in giudizio sia il medico specialista che la casa di cura chiedendo il rigetto della domanda per assenza di responsabilità. Secondo i convenuti, infatti, non vi era stata da parte loro alcuna condotta colposa né tantomeno esisteva un nesso di causalità tra il loro operato e la patologia sviluppata dal paziente. Il disconoscimento di una possibile responsabilità da parte della casa di cura trovava radici anche nel fatto che il medico specialista non figurava come suo dipendente.
Nelle more della causa interveniva una dichiarazione di fallimento della casa di cura, che veniva affidata alle cure di un amministratore straordinario.
La decisione del Tribunale
Il Giudice di primo grado limitatamente alla domanda di risarcimento proposta nei confronti della casa di cura ha dichiarato l’improcedibilità della domanda, mentre con riguardo a quella proposta nei confronti del medico specialista, il Tribunale ha ritenuto la domanda infondata, non avendo ravvisato alcuna responsabilità nell’operato del medico.
Il Giudice di primo grado nell’approcciarsi all’esame della causa, come prima, cosa ha delineato i profili entro i quali incasellare l’eventuale responsabilità del medico, ritenendo che questa dovesse essere intesa come responsabilità contrattuale, derivante da un’obbligazione direttamente assunta dal medico con il paziente.
Stabilita la natura della responsabilità, il Giudice è passato poi a verificare l’esistenza del contratto tra le parti, del nesso di causalità e della condotta colposa, non mancando di ricordare il principio sancito dalle Sezioni Unite circa l’onere probatorio. Secondo consolidata giurisprudenza, infatti, è onere del paziente provare sia l’esistenza del contratto, sia il nesso causale tra l’insorgenza, o l’aggravamento della patologia, e il danno lamentato, rimanendo, poi, a carico del debitore dimostrare che l’inadempimento non vi è stato oppure che pur esistendo esso non è stato eziologicamente rilevante.
In riferimento al primo aspetto, ovverosia all’esistenza del contratto, il Giudice valutata la documentazione prodotta ha ritenuto dimostrata, e non contestata, l’esistenza del contratto tra il paziente ed il medico specialista.
Accertato ciò, è passato ad esaminare l’eventuale esistenza del nesso causale, verificando l’inesistenza dello stesso. Infatti, esaminata la perizia eseguita dalla CTU, il Giudice ha escluso la riconducibilità causale dell’aggravamento della patologia, e insorgenza di ulteriore pregiudizio, lamentata dal paziente, ad una condotta omissiva, negligente ed imperita del medico.
A tal proposito, ha giocato un ruolo decisivo sul convincimento del giudice circa l’inesistenza del nesso causale, la carenza della documentazione depositata dal paziente, in quanto priva dei referti clinici relativi agli interventi subiti dal paziente prima del 2001. Ed è proprio uno di questi interventi, precisamente quello del 1998 che il consulente d’ufficio ha ritenuto quale causa primaria dei danni subiti dal paziente.
L’assenza della documentazione riferita ai precedenti interventi ha determinato l’impossibilità della verifica della sussistenza del nesso causale tra prestazione sanitaria e i danni lamentati.
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