(di Gentilini Gabriele)
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Per quanto riguarda l’argomento in oggetto occorre premettere che la fattispecie astratta di responsabilità civile extracontrattuale dovuta ai danni derivanti da rovina di un edificio, attribuita al proprietario di una costruzione è contenuta nell’art. 2053 c.c..
Nell’ipotesi di responsabilità del costruttore il quale può, durante l’esecuzione dei lavori, procurare danni a terzi nella sua attività di costruzione di una determinata opera, bisogna riferirsi al contratto tipico d’appalto per il quale la responsabilità per i danni di cui sopra incombe sull’appaltatrice dei lavori di costruzione e non sul committente il quale, salva l’ipotesi nella quale abbia provveduto a conferire indicazioni dettagliate sull’operatività dell’esecuzione dei lavori, è in ogni caso estraneo al potere di autoorganizzazione dell’esecutore.
Con particolare riferimento ai danni procurati ad un terzo a causa della rovina di una costruzione od edificio, si concorda con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale in questo caso siamo nell’ambito di una responsabilità extracontrattuale a carico dell’appaltatore, il quale deve adottare tutte le misure e le cautele idonee a salvaguardare il bene dell’incolumità pubblica (Cass. 16.11.1985 n. 5623), e verso il quale il terzo può promuovere azione civile per il risarcimento sia in base all’art. 2043, che 2053 c.c.. Altresì, potrà invocare la responsabilità dell’appaltatore in base all’art. 2050 c.c. in considerazione del fatto che ordinariamente l’attività dell’appaltatore è da ritenersi un’attività pericolosa.
In ogni caso il proprietario, il titolare del diritto reale, il titolare della concessione, ed anche il possessore ed in ogni caso colui che ha un effettivo potere di controllo sul bene interessato, qualora vi siano dei danni derivanti dalla rovina del suo edificio, è dalla legge presunto responsabile e pertanto deve conferire la prova in base alla quale è esente da responsabilità civile purché il danno non sia derivato dal difetto o dal vizio della costruzione.
Si è discusso nella materia in questione sul fatto se si debba prendere in considerazione anche il danno mediato ed indiretto derivante dalla rovina della costruzione. Si concorda sul punto con la migliore dottrina secondo la quale il rapporto dovuto al nesso di causalità sussiste fino al momento in cui il terzo non è in grado di cautelarsi dall’insidia derivante dalla rovina predetta, apponendo le necessarie precauzioni del caso concreto; ed inoltre fino a quando il proprietario non è in grado di adottare le necessarie misure del caso per la salvaguardia dell’incolumità pubblica.
La dottrina costante sostiene da tempo che per costruzione devono intendersi tutte quelle opere umane che sono incorporate al suolo, anche transitoriamente, con la precisazione, che la costruzione deve comunque elevarsi fuori terra (Cass. 2530 del 31.12.1961). La giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha individuato, a mero titolo indicativo, alcuni casi nei quali è ravvisabile il concetto di costruzione: le mura della città, una rete metallica che chiude l’ingresso ad un cantiere, il muro costruito lungo la strada a sostegno di un fondo, la canna fumaria, il tabellone pubblicitario fissato ad un balcone, un rudere (secondo la migliore dottrina). Non sembra debba riferirsi all’art. 2053 c.c. il danno derivante dalla caduta di alberi o della neve da un tetto (Cass. 8308/1987).
Un utile inciso in tale materia di carattere civilistico è da farsi con riferimento alla fattispecie penale riguardante i reati lesivi dell’incolumità pubblica, considerato che l’art. 449 c.p. dispone la pena della reclusione da uno a cinque anni per chiunque cagioni per colpa un incendio od alto disastro, previsto dal capo I^ del titolo concernente i delitti contro l’incolumità pubblica nel quale è contenuta la specifica fattispecie del delitto di crollo di costruzione (art. 434 c.p.).
Il codice penale dispone, altresì, la fattispecie contravvenzionale, avente una pena più mite rispetto al delitto di cui sopra, della rovina di edifici o di altre costruzioni consistente nella responsabilità penale di chiunque abbia avuto parte nel progetto o nei lavori relativi ad un edificio od altra costruzione che, per colpa di quello stesso soggetto, rovini.
Sia la dottrina che la giurisprudenza penale, in sintesi, considerano la fattispecie delittuosa ex art. 434 c.p. come quella derivante dalla completa disintegrazione delle strutture essenziali e portanti di una costruzione con la conseguente disgregazione delle varie componenti dovuta alla forza di gravità; si considera la fattispecie contravvenzionale, la quale, tra l’altro, come detto sopra, comporta una minore pena, quale reato, a differenza dell’ipotesi delittuosa del crollo di costruzione, che si consuma anche con il puro e semplice distacco e caduta al suolo di un componente dell’edificio o costruzione, tale comunque da non risultare una definitiva compromissione dell’edificio medesimo.
Una problematica particolare è sorta disquisendo sul termine “proprietario” e cioè su chi si debba intendere quale titolare della costruzione o del manufatto. Tuttavia in dottrina ed in giurisprudenza la problematica è stata risolta tenendo conto che, al pari della responsabilità del proprietario, si riscontra la responsabilità civile dovuta alla rovina di edificio anche in altre tipologie di diritti reali. Ciò che sembra rilevare in materia è il concreto ed effettivo potere di controllo del soggetto – anche al di là della titolarità di un diritto reale – il quale potrebbe addossarsi in definitiva anche nei confronti del possessore del bene.
Nel caso del diritto reale di godimento denominato usufrutto la problematica è correttamente intesa dalla dottrina, con la quale si concorda, nel senso che la responsabilità da rovina di edificio ricade sul soggetto usufruttuario e non sul nudo proprietario, in quanto, secondo il concetto prima richiamato, è l’usufruttuario medesimo ad avere il controllo effettivo sull’oggetto. Tuttavia sappiamo che la legge attribuisce sia all’usufruttuario sia al nudo proprietario degli oneri di manutenzione. Pertanto se il danno al terzo è derivato dall’incuria avuta nella manutenzione ordinaria da parte dell’usufruttuario, sarà quest’ultimo a risponderne. Gravano sul nudo proprietario l’onere di manutenzione straordinaria e la responsabilità per danni causati dalla sua mancanza.
E’ inoltre sostenibile, secondo quanto sostenuto dalla migliore dottrina, che la responsabilità in oggetto possa gravare sul conduttore di un immobile in locazione dal momento che, oltre la responsabilità per danni che può derivare dalla custodia del bene, la detenzione qualificata del bene da parte del conduttore medesimo del bene.
Dal punto di vista dell’azione legale in base all’art. 2053 c.c., qui analizzato, si deve considerare che il soggetto presunto responsabile dalla norma, deve dare la dimostrazione che la rovina non è imputabile a difetti di manutenzione od a vizi di costruzione. Di conseguenza deve dimostrare che il nesso di causalità tra la rovina ed il danno deriva da caso fortuito, da un eventuale concorso di colpa del terzo danneggiato ecc. (Cass. 20.12.1988 n. 6938).
Secondo la giurisprudenza di merito e di legittimità si ritiene che il soggetto non può esimersi dalla propria responsabilità civile dimostrando che la rovina è stata completamente imprevedibile o dovuta alla vetustà oppure dimostrando che ha adottato ogni precauzione al fine di evitare il danno derivante dalla rovina della costruzione.
A tale titolo è interessante menzionare il rapporto di causalità che può sussistere tra la rovina della costruzione e le condizioni meteorologiche. Secondo la giurisprudenza, nell’analisi di casi concreti, la causa del danno dovuto alla rovina di una costruzione può essere dovuta alle pessime condizioni meteorologiche le quali di conseguenza, possono scagionare la responsabilità del soggetto titolare (Cass. 15.06.1967 n. 1406).
Inoltre si sostiene che la responsabilità del titolare può venire meno, od in caso può essere diminuita, nel caso che venga dimostrato – dal titolare – che il fatto del terzo danneggiato costituisca valido requisito causativo del danno stesso dovuto a rovina della costruzione (C. App. Firenze 3.4.1963).
La responsabilità ex art. 2053 c.c. è configurabile ovviamente anche nei confronti della pubblica amministrazione, considerato che per la tutela dei diritti del danneggiato non è necessario indagare sull’uso dei poteri discrezionali della pubblica amministrazione medesima.
Tale responsabilità inoltre può configurarsi a carico della pubblica amministrazione per i danni derivanti dalla rovina di un immobile demaniale, anche nell’ipotesi di concessione in uso, rimanendo competente a conoscere sulla domanda di risarcimento dei danni il giudice ordinario, fatto salvo il potere della pubblica amministrazione la quale può invocare gli effetti dell’atto di concessione per trasferire sul concessionario l’obbligazione di risarcimento (Cass. 1638/’70).
Pertanto nella fattispecie analizzata la pubblica amministrazione risponde, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2053 c.c., per la ragione pura e semplice secondo cui la stessa può essere, come ogni altro soggetto di diritto, sia esso persona fisica o giuridica, titolare di diritti reali sulla costruzione.
Nel caso, altresì, che la pubblica amministrazione abbia costituito, mediante concessione, un uso di un determinato bene demaniale ad un terzo concessionario, con obbligo di manutenzione, sarà logicamente quest’ultimo concessionario medesimo responsabile secondo quanto disposto dall’art. 2053 c.c..
La responsabilità della pubblica amministrazione deriva dal mero rapporto patrimoniale ed è fondata sulla presunzione, in ordine alle cause di rovina, posta dalla legge, alla quale la stessa pubblica amministrazione è soggetta, e non presuppone nessun apprezzamento del giudice di merito alle suddette cause e quindi circa l’esercizio dei poteri discrezionali dell’ente.
Firenze, 2.7.’04 Gentilini Gabriele
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