Una disamina dell’art. 586 c.p.
Il reato di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, previsto dall’art 586, trova la sua collocazione all’interno del capo I del titolo XII del Codice Penale, a rafforzamento e a chiusura del sistema di tutela dei beni della vita umana e dell’incolumità fisica[1]e la sua ratio risiede nell’ «opportunità di una più vigorosa tutela in tema di delitti di sangue»[2].
L’art 586 c.p. prevede:
«Quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83, ma le pene stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate».
La norma in questione, spesso foriera di contrasti interpretativi, presenta parecchie criticità da diversi punti di vista, tanto da essere considerata dalla dottrina come
«un vero crocevia dogmatico nel quale convergono, spesso intrecciandosi, molteplici questioni: distinzione da altri istituti analoghi, esigenze di tutela di beni primari e rapporti con le relative tecniche incriminatrici, principio e limiti della relativa responsabilità». [3]
La struttura della fattispecie di cui all’art. 586 c.p. è stata definita infatti “bicefala”[4], in quanto viene spesso ricondotta da un lato allo schema generale dell’aberratio delicti plurilesiva ex art 83 c.p. (a cui, peraltro, fa esplicito rinvio) e dall’altro presenta dei profili che ricalcano la responsabiità preterintenzionale.
Così, dottrina e giurisprudenza prevalente[5] sostengono che l’art. 586 c.p. non configura un reato autonomo o circostanziato, bensì un’ipotesi speciale di aberratio delicti plurilesiva ex art 83, comma 2 c.p.
Gli elementi specializzanti rispetto al citato art. 83 c.p. sono dati dalla natura del reato base (che deve essere necessariamente un delitto), dalla natura dell’offesa non voluta (consistente nella morte o nelle lesioni), dalla enunciazione di una circostanza aggravante speciale, oltre che dalla non necessaria indagine circa l’errore sui mezzi di esecuzione del reato o altra causa (che invece è richiesta dall’art. 83 c.p.).
L’integrazione del reato in esame necessita della presenza di taluni elementi costitutivi che ivi è opportuno analizzare.
Partendo dal soggetto attivo, questo si identifica con l’autore della condotta delittuosa dolosa, causativa della morte o delle lesioni.
Il bene tutelato consiste, come già anticipato, nella vita e nell’incolumità personale.
Per quanto riguarda la condotta incriminata, può dirsi che essa consista nella commissione di un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso (nell’ipotesi consumata o anche solo tentata), fatta eccezione per le percosse e le lesioni, poiché in questo caso si configurerebbe la diversa ipotesi dell’omicidio preterintenzionale.[6]
L’evento non voluto è, infatti, inquadrabile nell’ambito della fattispecie di cui all’art 586 c.p. «soltanto quando è intrinsecamente diverso, cioè d’altra natura, rispetto a quello voluto»[7].
Per quanto riguarda il nesso di causalità, il delitto-base, o anche solo la condotta esecutiva di esso, deve costituire condicio sine qua non, ex artt. 40 e 41 c.p., degli eventi ulteriori di morte o di lesioni.
Non pochi problemi ha creato l’individuazione dell’elemento soggettivo per la configurabilità del suddetto reato.
Infatti, se l’accertamento dell’elemento soggettivo nel delitto doloso voluto non pone particolari criticità, parecchi interrogativi sono sorti, invece, per quel che riguarda l’imputazione dell’evento non voluto (morte o lesioni personali).
Sui criteri di imputazione della responsabilità per l’evento più grave non voluto, utilizzati nel corso degli anni da dottrina e giurisprudenza, si tratterà in maniera più approfondita successivamente[8] .
Basti qui indicare che, ad oggi, l’orientamento prevalente è quello che vede l’imputazione del fatto più grave (morte o lesione) a titolo di colpa in concreto.
Sul soggetto passivo non sussistono dubbi nell’affermare che esso coincida con quello del delitto doloso presupposto.
Tuttavia, alcune perplessità sono sorte in dottrina e giurisprudenza per quanto riguarda la tesi che il soggetto passivo possa anche non coincidere con quello del delitto doloso voluto[9].
Emblematico, al riguardo, il caso in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto configurato il reato ex art. 586 c.p., per avere subito il soggetto passivo una lesione di natura neurologica a seguito di uno spavento causato dalla esecuzione di altro reato in danno di una persona diversa[10]
Infine, occorre specificare che il tentativo, che per la sua configurabilità, ai sensi dell’art 56 c.p., richiede il compimento di atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, non sia compatibile con il reato ex art 586 c.p., essendo una fattispecie ove il reato più grave verificatosi non dipende dalla volontà dell’agente[11].
L’art 586 c.p.: una species di aberractio delicti
L’orientamento maggioritario presente in dottrina e in giurisprudenza[12] considera l’art. 586 c.p. come una fattispecie speciale di aberratio delicti plurilesiva.
Esso rientrerebbe, pertanto, nel genus delle ipotesi delineate dall’art.83 c.p. che così dispone:
«Fuori dei casi preveduti dall’articolo precedente, se, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.
Se il colpevole ha cagionato altresì l’evento voluto, si applicano le regole sul concorso dei reati.»
Esemplificativa ed esplicativa al riguardo è la Sentenza della Corte di Cassazione n. 11486/1986 la quale ha stabilito:
« l’art. 586, che prevede, come autonoma fattispecie di reato, la morte di una persona che derivi, quale conseguenza non voluta, dalla commissione di un delitto diverso dai reati di percosse e di lesioni, costituisce una specifica applicazione dell’art 83.c.p. nell’ambito dei delitti concernenti la vita e l’incolumità individuale, ed è norma di chiusura e rafforzamento del sistema di tutela della vita e della incolumità fisica; trova applicazione ogni qual volta la morte sia conseguenza non voluta di un delitto doloso, qualunque ne sia la natura, e, quindi, anche quando il fatto tipico, di per sé, non costituisca pericolo per il bene giuridico protetto, sempre che tra l’illecito comportamento del soggetto e l’evento non voluto (morte o lesione) sussista un rapporto di causalità materiale. »
Gli elementi specializzanti dell’art 586 c.p. rispetto all’art 83 c.p. sono dati dalla natura dell’offesa non voluta e dall’enunciazione di una circostanza aggravante speciale.
Secondo un’autorevole dottrina[13] , il rapporto di specialità tra le due norme appena citate sarebbe il frutto di una scelta consapevole già del legislatore del 1930.
Ciò emerge chiaramente dalla Relazione del Guardasigilli Arturo Rocco sul Progetto definitivo del Codice Penale, nella parte in cui, riferendosi alla disposizione prevista dal vecchio art.585 del progetto definitivo, poi diventato art.586, egli scrisse:
«non avrebbe avuto più ragione di essere mantenuta, in quanto i casi, a cui essa intendeva riferirsi, rientravano nella disciplina generale dell’art. 86 [corrispondente all’attuale art. 83 c.p.].
Tuttavia, l’opportunità di una più vigorosa tutela in tema di delitti di sangue ha consigliato di conservare l’articolo, allo scopo non già di innovare alla disciplina fondamentale dell’art. 86, ma di stabilire un aumento delle pene per i delitti di omicidio o lesione, che siano conseguenze non volute dal colpevole»[14] .
Tale assunto venne in seguito avvalorato anche dalla Relazione del Guardasigilli sul Testo Definitivo del Codice Penale, in cui si legge:
«L’art. 586 non è, pertanto, che una conferma e una particolare applicazione di questo principio generale[15], e trova la sua ragione nel fatto che viene stabilito un aumento di pena per l’omicidio e le lesioni colposi»[16]
Bisogna dare atto, altresì, dell’esistenza di un altro orientamento, del tutto minoritario, per cui l’art. 586 c.p. non può essere ricondotto alle ipotesi di cui all’art. 83 c.p. e pertanto non sussisterebbe tra le due norme alcun rapporto di genere a specie.
Di tale opinione è la giurisprudenza della Corte di Cassazione del 20 Giugno 1985, sent. n. 1673:
«la norma dell’art. 586 c.p. concerne una fattispecie diversa da quella dell’art. 83 c.p, alla quale non può essere ricondotta come ipotesi particolare perché, mentre l’art. 83 ha per oggetto il caso in cui il comportamento diretto alla produzione di un evento ne cagioni un altro soggettivamente od oggettivamente diverso, l’art 586 riguarda l’ipotesi in cui da un delitto doloso derivi come conseguenza ulteriore l’offesa alla vita e alla incolumità altrui, prescindendo dal nesso causale tra comportamento ed evento e riconducendo tale nesso unicamente alla necessità di un rapporto di conseguenzialità tra un delitto doloso e l’evento morte o lesioni. Le fattispecie regolate dalle predette norme si differenziano perciò non sotto il profilo psicologico (ricondotto in entrambe le ipotesi alla volizione dell’evento, e perciò del reato che si intendeva porre in essere), ma per la disciplina del nesso di causalità, ricondotto per l’art. 83 c.p. alla condotta dell’agente e per l’art. 586 c.p. solo ed esclusivamente al delitto voluto e commesso, indipendentemente dall’avere l’agente cagionato l’evento per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altre cause».
L’omicidio preterintenzionale e il reato di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto
L’art 586 c.p. presenta delle «notevoli affinità strutturali»[17] con l’omicidio preterintenzionale di cui all’art 584 c.p., che punisce con la reclusione da dieci a diciotto anni «chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 (percosse) e 582 (lesioni personali) cagiona la morte di un uomo».
Tale fattispecie costituisce una delle figure di reato[18] a cui è applicato il criterio di imputazione soggettiva della preterintenzione, che ai sensi dell’art 43, si configura «quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente».
Nonostante le apparenti affinità tra le due norme, occorre specificare la differenza, che risulta rilevante per il diverso trattamento sanzionatorio e processuale, essendo in un caso competente il Tribunale, nell’altro la Corte d’Assise.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale[19] inerente alla distinzione tra il reato di morte come conseguenza non voluta e quello di omicidio preterintenzionale, ritiene che essa risieda nella natura del fatto doloso di base, causale alla morte (pure non voluta) del soggetto passivo.
Infatti, qualora la morte sia conseguenza di un atto di lesioni o di percosse, troverà applicazione l’omicidio preterintenzionale, ex. art. 584; qualora, invece, il delitto-base sia diverso dalle lesioni o dalle percosse, ricorrerà la fattispecie di cui all’art. 586 c.p.
Al riguardo, è opportuno riportare le parole della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 13673/2006, ha così stabilito:
«l’art 586 c.p. disciplina un delitto “contro l’intenzione”, perché l’evento mortale, o anche solo lesivo, si badi, è conseguenza non voluta di un delitto doloso non sussidiario.
La disposizione si fonda dunque, al contrario di quella di cui all’art. 584 c.p, sulla disomogeneità dell’evento lesivo o mortale, rispetto al risultato prefigurato e voluto dall’agente, tant’è che rinvia all’art 83 c.p., vhe disciplina l’aberrazione e a sua volta stabilisce bensì che l’agente risponda a titolo di colpa del delitto qualificato dall’evento diverso, quando il fatto è preveduto come delitto colposo, ma conferma il concorso di reati, se l’agente ha cagionato anche l’evento voluto(…)»[20].
Sempre la Corte di Cassazione ha affermato, dapprima con la sentenza n. 4640/2003[21] e poi ulteriormente e recentemente ribadito con la sent.n.23606/2018[22], che
«il delitto previsto dall’ art 586 c.p. si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché nel primo l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo, l’attività del colpevole è diretta a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni.
Nella preterintenzionalità, quindi, è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nell’ipotesi di cui all’art 586 la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni.»
Uno sguardo ai criteri di imputazione della responsabilità per l’evento più grave non voluto
Stabilire quale sia il criterio di imputazione della responsabilità per la morte o le lesioni non volute ai sensi dell’art. 586 c.p., costituisce un interrogativo a cui non è facile fornire immediata risposta.
Al riguardo, dottrina e Giurisprudenza hanno individuato nel corso degli anni diversi criteri risolutivi, che qui si vogliono brevemente analizzare.
Secondo un primo e per un lungo tempo prevalente orientamento giurisprudenziale, l’evento più grave non voluto deve essere imputato all’autore del delitto base doloso in virtù del solo nesso di causalità materiale.
L’art. 586 c.p. prevedrebbe, pertanto, una ipotesi di responsabilità oggettiva, ispirata alla regola dell’antica logica del «versanti in re illicita imputantur omnia quae sequuntur ex delicto»[23] per cui «al soggetto agente, il quale attraverso la commissione del reato-base doloso si è volontariamente collocato in un contesto di illiceità, vanno addossate tutte le conseguenze che comunque derivino causalmente dalla sua condotta.»[24]
Per confutare tale tesi si è sostenuto che la lettera dell’art 586 c.p non richiede esplicitamente che la produzione dell’evento sia determinata da colpa.
Infatti, l’inciso “a titolo di colpa”, che compare nell’art. 83 c.p., (richiamato dall’art 586 c.p) si riferirebbe esclusivamente alle conseguenze sanzionatorie, essendo la colpa richiamata solo quoad poenam, e non alla imputazione della responsabilità, che rimarrebbe oggettiva.[25]
La teoria della responsabilità oggettiva, tuttavia, è stata altresì sottoposta a parecchie critiche.
Invero, per quanto riguarda la summenzionata formula legislativa “a titolo di colpa”, utilizzata quale argomentazione a sostegno della responsabilità oggettiva, si è affermato che in realtà essa viene normalmente utilizzata per designare, insieme, sia il titolo della responsabilità, sia il suo fondamento.
Si pensi, per esempio, all’art. 57 c.p.[26] e all’art 1217 c.nav (oramai depenalizzato) in cui il legislatore ha utilizzato la locuzione “a titolo di colpa” per delineare fattispecie strutturalmente colpose.
Inoltre, tale teoria venne criticata perchè costituzionalmente inaccettabile e considerata “un relitto di epoche passate”[27].
Secondo un altro orientamento, cd. della colpa specifica, l’evento lesivo indesiderato, conseguenza del delitto doloso commesso, deve essere imputato al soggetto agente a titolo di colpa per violazione di legge penale, la quale svolgerebbe, accanto ad una funzione repressiva dell’offesa dolosa, anche una funzione preventiva di ulteriori offese.
L’argomento della duplice funzione delle norme incriminatrici non ha trovato accoglimento dalla dottrina recente, poiché essa viene considerata insostenibile già da un punto di vista meramente logico: una norma penale, infatti, non può avere due significati confliggenti e stabilire, da un lato, il divieto di tenere una condotta dolosa e dall’altro il comando di eseguire quella condotta con cautela.
Inoltre, si è notato, che la teoria della colpa specifica «camuffa la responsabilità oggettiva sotto le vesti di una colpa, consistente nella violazione di quella stessa legge penale che incrimina il delitto-base doloso»[28].
Un terzo orientamento, conosciuto come criterio della prevedibilità in astratto, ai fini dell’imputazione dell’evento della morte o lesioni ex art. 586 c.p., richiede, oltre al nesso causale, anche appunto la cd prevedibilità in astratto dell’evento.
Tale indirizzo, tuttavia, si sostanzia nel richiamo ad un criterio di prevedibilità secondo l’id quod plerumque accidit, desunta dalla notorietà o dalla frequenza del pericolo connesso ad un certo tipo di condotte, senza che sia effettuata alcuna indagine, in concreto, sul decorso causale e sull’evento finale, per ricostruire le specifiche modalità di verificazione dell’evento.[29]
Un quarto orientamento è costituito dalla teoria della c.d. responsabilità da rischio totalmente illecito, per cui l’autore del reato base risponderebbe dell’evento non voluto a titolo di responsabilità oggettiva, senza dolo né colpa e ciò non si porrebbe in contrasto con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.
Si sostiene[30], al riguardo, che il reo sia eticamente rimproverabile per avere la mera possibilità di un dominio personale sul fatto commesso, possibilità che sarebbe assicurata dalla prevedibilità ed evitabilità dell’evento nella situazione concreta.
L’assunzione del rischio totalmente illecito da parte dell’agente giustificherebbe quindi l’attribuzione della responsabilità.
Un ultimo orientamento che, recentemente, ha trovato il placet da parte di dottrina e giurisprudenza, ai fini dell’imputazione della responsabilità per il reato più grave ex art 586 c.p., è quello della colpa in concreto: «una colpa vera e propria, non un mero simulacro di essa»[31].
La teoria della colpa in concreto si fonda sull’ordinario parametro della colpa,
«il cui accertamento va condotto in concreto con un criterio individualizzato, imperniato sulla violazione di una regola cautelare di condotta, che mira a prevenire proprio quel determinato evento verificatosi, nonché sulla prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento»[32].
Tale orientamento è stato seguito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite la quale, con la sentenza n. 22676 del 29 Maggio 2009, conosciuta come sentenza Ronci, ha esplicitamente sancito che, per quanto riguarda l’art 586 c.p, quella della colpa in concreto è «l’unica interpretazione conforme al principio costituzionale di colpevolezza».
La Sentenza delle Sezioni Unite appena citata ha dato adito ad un ciclo di sentenze in cui ha trovato applicazione il criterio della colpa in concreto ai fini dell’imputazione della responsabilità ex art 586 c.p.
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Note
[1] A. STILE, s.v. Morte o lesione come conseguenza di altro delitto, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, 1977, p. 143
[2] Relazione sul Progetto definitivo del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale, Vol. V, Parte II, Roma, 1929, p.384
[3] V. Militello, voce Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, in DigDPen, VIII, 1984, 198 e 203,
[4] L. Cornacchia, voce Reato aberrante, in DigDPen, IX, 1996, 186
[5]F. Mantovani, Diritto Penale- Parte Speciale, CEDAM, 2015 p.149 e F. Basile, Codice Penale Commentato, sub art 586, di G. Dolcini – E. Marinucci vol. III, III ed., IPSOA, Milano, 2011, p. 5386
[6] Esemplificativa al riguardo la Sent. n 3262/1999 con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto manifestamente illogica la qualificazione ex art 586 c.p. del comportamento dell’imputato che lanciò intenzionalmente la sua vettura in un fiume ad elevata velocità, cagionando in tal modo la morte della fidanzata seduta accanto a lui.
[7] Cass. Pen. sez. V, sent. n. 12880/1986
[8] Vedi paragrafo 4
[9] S.Farini-A.Trinci, Manuale di Diritto Penale-Parte Speciale, Dike, 2018/2019,p.48
[10] Cass. pen., Sez. IV, n. 603/1967
[11] Cass.pen. Sez. I, n.41095/2004
[12] Cfr da ultimo ex multis Cass.pen. sez. I n. 57973/2018
[13] F. Basile, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, in Trattato di diritto penale, parte speciale, tomo III, CEDAM, 2015, p. 234
[14] Così come riportato in F. Basile, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, in Trattato di diritto penale, parte speciale, tomo III, CEDAM, 2015, p. 234
[15] Ci si riferisce al disposto dell’attuale art. 83 c.p., prima art. 86 c.p.
[16] L’intero testo è riportato in www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1930
[17] F. Viganò – C. Piergallini, Reati contro la persona,in F.PALAZZO-C.E. PALIERO, Trattato teorico-pratico di diritto penale, Vol.VII, Giappichelli Editore, 2015, p.91
[18] La preterintenzione trova applicazione, oltre che nella fattispecie di cui all’art 584 c.p., anche e soltanto nel reato previsto dall’art 18 comma 2, l. n 174/1998 il quale prevede che “chiunque provochi l’interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni”
[19] Cfr. ex multis Cass. Sez. V, sent.20 Maggio 2005 n. 21002
[20] Cass. Pen. Sez. V, sent. 8 Marzo 2006, n. 13673
[21] Cass. Pen. Sez. V, sent. 19 Dicembre 2003, n 4640
[22] Cass. Pen. Sez. V, sent. 25 Maggio 2018, n. 23606
[23] F.Basile, L’alternativa tra responsabilità oggettiva e colpa in attività illecita per l’imputazione della conseguenza ulteriore non voluta, alla luce della sentenza Ronci delle Sezioni Unite sull’art 586 c.p., in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. 03, 2001
[24] Ibidem
[25] F. Basile, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, in Trattato di diritto penale, parte speciale, tomo III, CEDAM, 2015, p. 190
[26] L’art 57 c.p. prevede : “Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati [528, 565, 596bis, 683, 684, 685], è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”
[27] F.Basile, L’alternativa tra responsabilità oggettiva e colpa in attività illecita per l’imputazione della conseguenza ulteriore non voluta, alla luce della sentenza Ronci delle Sezioni Unite sull’art 586 c.p., in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. 03, 2001
[28] F. Basile, Codice Penale Commentato, sub art 586, di G. Dolcini – E. Marinucci, III Ed, Ipsoa, Milano, 2011
[29] ibidem
[30] A.Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, VIII ed., Milano, 2003, p. 330;
[31] F.Basile, L’alternativa tra responsabilità oggettiva e colpa in attività illecita per l’imputazione della conseguenza ulteriore non voluta, alla luce della sentenza Ronci delle Sezioni Unite sull’art 586 c.p., in «Rivista italiana di diritto e procedura penale», fasc. 03, 2001
[32] A.Nappi, Manuale di diritto Penale. Parte Generale, Giuffrè, 2020, pag 947
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