Osceno e comune senso del pudore: Antropologia della pornografia *** di D.
Stanzani e V. Stendardo
La società attuale può essere
considerata il luogo simbolico in cui avviene la continua esposizione
delle merci; l’individuo si presenta ambiguo, ambivalente, contaminato,
gioca con se stesso attraverso continue metamorfosi, sospeso tra
marginalità e centralità, appartenenza e atomizzazione, produttività e
parassitismo, consenso e conflitto, principi inappellabili del mondo
tecnologico e labilissime e dolorose contingenze della vita quotidiana. Da
qui, da questa identità fragile e polimorfa, le trasgressioni, le
insubordinazioni, le perversioni, diventano mine per i codici simbolici
esistenti e per la cultura dominante. Un aspetto inquietante di questa
dimensione immaginaria dell’individuo che convive con le regole e le
norme della società tutta è rappresentato da quanto di più
illusorio e mercificante possa esserci: la pornografia.
Tentare di definire la pornografia non
è semplice in quanto essa chiama in causa tutta una serie di elementi che
sono riconducibili a coordinate psicologiche, sociologiche e culturali.
Etimologicamente parlando, il termine deriva dal greco “pornè”
(prostituta) e “graphos” (scrittura), starebbe quindi ad indicare
tutto ciò che viene scritto intorno all’attività della prostituta.
Tuttavia, questa definizione non è esaustiva del fenomeno che riguarda
ben più ampi settori che sono andati modificandosi nel tempo, sia per la
produzione che per i mezzi di comunicazioni. Secondo il vocabolario della
lingua italiana Zingarelli, pornografia starebbe ad indicare la
“descrizione e rappresentazione di cose oscene”, ed il termine osceno
si intende in relazione al concetto del comune senso del pudore.
Nell’ambito del diritto, la pornografia è trattata in modi diversi e da
diversi punti di vista, quello che noi abbiamo però voluto privilegiare
riguarda due articoli del Codice Penale: l’art. 528 che individua chi
crea la pornografia in colui che: “fabbrica,
introduce sul territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero
mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni
di qualsiasi specie allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero
di esporli pubblicamente”; e l’art. 529 in cui si afferma che: “
Agli effetti della legge penale si
considerano osceni gli atti e gli oggetti che, secondo il comune
sentimento, offendono il pudore
(c.p. 725, 726). Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di
scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerto in
vendita o comunque procurato a persona minore di anni diciotto”.
Dunque osceno e comune senso del pudore sono elementi contrapposti, che
esistono proprio in virtù della loro contrapposizione. Il pudore,
sentimento di vergogna, di disagio, di repulsione è tipico
dell’individuo quando questi, contro la sua volontà, si trovi di fronte
a manifestazioni sessuali di
altri o quando sia egli stesso oggetto di sguardi durante gli approcci
sessuali. Il pudore diventa senso comune nel momento in cui
la società umana di appartenenza condivide la stessa sensibilità
nei confronti della sessualità. L’osceno sarebbe quindi l’offesa al
pudore. Ma di osceno si parla già nell’articolo 527 del c.p. allorché
si afferma: “Chiunque in luogo
pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni (c.p. 529) è
punito con la reclusione da tre mesi
a tre anni (c.p. 726). Se il fatto avviene per colpa (c.p. 43) la
pena è della multa da £ 60.000 a £ 600.000”.
La grande difficoltà nel definire il comune senso del pudore
risiede nel tracciare un limen tra
offesa alla morale pubblica e libertà individuale. Gli articoli 528 e 529
del Codice Penale convivono e confliggono con l’articolo 21 della
Costituzione Italiana che afferma: “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Questo era già
implicito nell’articolo 2 della Costituzione Italiana che sancisce i
diritti inalienabili di ogni singolo individuo: “La
Repubblica sancisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede
l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale”. Ma
la difficile gestione giuridica dell’osceno e del comune senso del
pudore in realtà è la risultante di una difficile gestione culturale di
questi. Inoltre non possiamo non tenere conto dell’ampio capitolo
riguardante la prostituzione minorile.
E’ importante sottolineare come sia
il concetto di osceno che quello di comune senso del pudore non solo si modificano nel corso del tempo
all’interno di una data società, ma cambiano anche da società a società.
La comprensione di questi concetti rimanda alla considerazione del corpo e
della sessualità.
Il corpo è un universo simbolico
immediatamente disponibile e sperimentabile da parte dell’individuo.
“La capacità del corpo di produrre significazione è legata al suo
essere centro di ogni produzione immaginifica dell’uomo, centro del
desiderio e delle pulsioni, più o meno controllate dall’educazione e
dalla cultura” (M.Combi, 1998). Il corpo è quindi segnato, disegnato,
gestito e mostrato dalla cultura di appartenenza. In molte società non
occidentali il corpo non rappresenta la finitezza anatomica, altra
rispetto al mondo contingente, ma “è il centro di quell’irradiazione
simbolica per cui il mondo naturale e sociale si modella sulle possibilità
del corpo, e il corpo si orienta nel mondo tramite quella rete di simboli
con cui distribuisce lo spazio, il tempo e l’ordine del senso. Mai
quindi il corpo nella sua isolata singolarità, ma sempre un corpo comunitario
per non dire cosmico, dove
avviene la circolazione dei simboli e dove ogni singolo corpo trova, non
tanto la sua identità, quanto il suo luogo” (U. Galimberti, 1980). Il
corpo naturale inserito in un fitto intreccio di simboli diventa corpo
culturale, con delle norme di riferimento e le deviazioni da tali norme
con le conseguenti punizioni.
La cultura di riferimento gestisce la vita dei corpi ed ogni loro aspetto
e funzionalità, anche il discorso strettamente legato alla sessualità.
Questa è stata definita da B.
Malinowski un bisogno primario (bisogno di base): “Termine che indica il
comportamento delle condizioni nell’organismo umano e nel sistema
culturale in rapporto all’ambiente, necessarie alla sopravvivenza degli
individui e del gruppo sociale” (U. Fabietti, 2001). I bisogni primari
vengono soddisfatti attraverso risposte culturali per cui la sessualità
è regolamentata, ad esempio, dall’insieme di norme che definiscono i
sistemi di parentela e il matrimonio. Chiaramente questi cambiano a
seconda delle culture. La sessualità è diversamente interpretata ed
utilizzata. Presso i Basuto (popolazione africana che occupa l’area vicino il fiume
Zambesi) è usanza che la nuova moglie abbia rapporti sessuali con il
fratello più giovane del marito. Se poi il coniuge muore, il fratello del
defunto si trasferisce nella capanna della cognata. I Basuto
poi praticano l'ospitalità sessuale e permettono l’unione dei loro
amici fraterni con la propria moglie. Per i Dagari
dell’Alto Volta, invece, le donne sposate possono avere rapporti
extraconiugali con molti amanti a patto però che questi si sottopongano
ad una specie di lavoro forzato per il marito della donna infedele. Presso
gli Agni in Costa d’Avorio
durante la festa in onore degli spiriti, le donne dopo essersi purificate
nelle acque del fiume si uniscono con gli uomini e dedicando il momento più
bello dell'amplesso agli spiriti che proteggono la loro fecondità. Tutto
il villaggio partecipa a questo rito in cui l’uomo diventa oggetto
passivo, subisce il rapporto voluto in quell'occasione, soltanto dalle
donne che lo dedicano appunto agli spiriti. Ancora in alcune culture la
sessualità è utilizzata per definire le identità sociali e gli status
all’interno della comunità, e per rafforzare legami, definire alleanze
e rapporti sociali non è inusuale “prestare” le proprie mogli ad
altri.
Nella cultura occidentale il corpo e
la sessualità sono vissuti in maniera completamente diversa. Il corpo,
involucro finito dell’individuo è rappresentazione, specchio simbolico
della perfezione divina. Per proteggerlo è necessario un rigido controllo
sociale e culturale anche nelle sue funzioni più naturali come la
sessualità. Questo perché il corpo materia definita dell’individuo non
vada a contrapporsi all’aspetto spirituale di questo. E’ necessario
convivere e non contrapporsi, perché questo determinerebbe confusione e
commistione tra il bene e il male. Le norme che regolamentano la gestione
del corpo sono rigide, il corpo occidentale infatti è un corpo chiuso
all’esterno, un corpo coperto totalmente, che non può essere mostrato.
La nudità è associata al peccato, Adamo si rende conto di essere nudo
solo dopo aver peccato e allora si copre. Dalla perfezione, dopo la caduta
nel caos, si passa con dolore alla veste. Quindi l’indumento diventa
simbolicamente norma culturale che gestisce i rapporti tra il bene e il
male, che segna il confine tra natura e cultura.
E’ chiaro che da una tal rigida
considerazione non può non derivare un’idea dell’osceno estremamente
ampia. Ovviamente la sessualità ha risentito moltissimo di questa
concezione per cui si è
sviluppata nel corso del tempo in special modo in Italia una duplice
esperienza sessuale: quella legata alla vita familiare strettamente
correlata alla procreazione e la vita nei luoghi di piacere. Il primo
concetto rispecchiava la cultura religiosa, per cui il sesso al di fuori
del matrimonio era condannato, associato al male e alla caducità
dell’anima (è superfluo poi sottolineare come questa cultura
condannasse i rapporti sessuali fra individui dello stesso sesso);
l’altra esperienza era invece legata alle necessità della vita degli
individui. Se quindi parlare
della sessualità è difficile, lo è ancora di più per quanto riguarda
la pornografia considerata come l’industria
della dominazione sessuale (R. Poulin).
La pornografia è un fenomeno moderno strettamente legato agli
sviluppi della tecnologia, nello specifico della fotografia, del cinema e
della videoregistrazione ed è solo in tempi recenti che si definisce il
confine tra ciò che può essere considerato erotico e ciò che si può
considerare pornografico.
“L'erotismo, questo sì intrinseco
ad ogni fatto amoroso, trova alimento all'interno della fantasia,
dell'immaginazione, non è direttamente funzionale al fatto sessuale come
tale, ma in qualche modo lo richiama per percorsi metaforici. E i segni
dell'erotismo non sono tali perché veicolati da immagini sessuali, ma,
anzi, proprio perché in apparenza lontani dal mondo del sesso e ad esso
raccordabili solo, appunto, grazie alla fantasia ed all'immaginazione del
singolo individuo” (A. Sobrero, 1992). Quindi l’erotismo è un fatto
meramente individuale e nel momento in cui diviene collettivo per non
tradire la sua nobile origine (infatti il termine erotismo deriva dal
greco Eros, amore), deve essere
riscattato da una interpretazione non mercificante. E’ infatti il
divenire merce che fa del sesso o dell’erotico pornografia. Le
pubblicazioni di innumerevoli riviste, le infinite offerte di
homevideo, i tantissimi pornoshop, internet come ultima frontiera, per non
parlare degli spettacoli itineranti e le fiere,
non hanno nulla a che vedere con la tradizione del romanzo, se
vogliamo pornografico, della fine del Settecento o con le pubblicazioni più
o meno clandestine del XIX secolo. La pornografia non coglie le sottili e
conturbanti sfumature dell’erotismo e quindi per molti aspetti è la
negazione di questo: mortifica l’aspetto immaginifico, proibisce il
senso della scoperta, esaurisce la passione che c’è nell’unicità di
ogni atto sessuale. "L’universo pornografico è utopico, privo di
spazialità, di temporalità, di relazioni e di emozioni, pieno però
all’infinito di gesti sessuali che non possono cessare perché,
altrimenti, ristabilirebbero una scansione temporale. Non vi è quindi
reale azione, ma solo una rappresentazione asimbolica di desideri, di agiti,
nei quali, di conseguenza, ogni
personaggio resta lo stesso, prima e dopo l’evento , e,
naturalmente, con essi, il fruitore cui fanno da specchio illusorio” (R.
Dalle Luche). Oggi la pornografia crea sicuramente meno scandalo, i
costumi del nostro paese sono cambiati, tanto che ad esempio, in
televisione, anche in fasce orarie accessibili anche ai bambini, spesso
sono ospiti di talk show, note pornodive. Si parla continuamente di sesso
e lo si rappresenta in continuazione, in video le danze sono sempre più
conturbanti ed esplicite (ovviamente opportunamente corredate di costumi
inesistenti), si fanno programmi ad hoc per soddisfare quel senso di
voyeurismo e pruderie propri dell’animo umano, le pubblicità sfruttano
o tentano di farlo le nuove tendenze sessuali; note drag queen conducono
programmi di costume; si cerca di creare ovunque ambiguità, doppi sensi,
per non parlare di internet: ogni portale ha la sua piccola icona
sessuale. Quindi a questo punto c’è da domandarsi: dove è l’osceno?
E dov’è il comune senso del pudore? La pornografia paradossalmente è
un fenomeno di massa (è l’enorme profitto economico lo sta a
testimoniare. L’industria pornografica si è adeguata più velocemente
al cambiamento di costume (esasperandolo per molti versi) di quanto non
abbiamo fatto altre forme di comunicazione, determinato anche da una
conquista e una riscoperta della sessualità da parte delle donne, che
sono diventate esse stesse fruitrici di materiale pornografico. La
pornografia veicola dei messaggi che sono distorti, ma non nel senso che
parla (e agisce) di sesso ( e il sesso come tale è associato al peccato,
al diabolico), ma per le forme che usa e gli strumenti che utilizza: nello
specifico i corpi, corpi umani. Se ci si ferma per un istante ad osservare
i corpi pornografici, vediamo che, come afferma R. Poulin :”Questi si
trasformano per enfatizzare i propri attributi sessuali, i seni femminili
ad esempio diventano enormi e duri, sono riempiti di silicone per occupare
lo spazio. I corpi sono modificati al fine di soddisfare un’idea di ciò
che i corpi dovrebbero essere, sono corpi definitivamente votati alla
sessualità”. La sessualità vissuta dalla pornografia è irreale, la
sublimazione degli organi genitali, la promiscuità
dello sguardo, l’ossessione per il dettaglio fisico vogliono rendere
l’idea di una realtà che non esiste. L’immagine infatti non è una
rappresentazione della sessualità ma una proiezione della fantasia che
paradossalmente però è povera di contenuti. I film pornografici ad
esempio hanno sempre la stessa struttura, ovviamente la trama è
inesistente perché non serve, non c’è un’azione in crescendo che si
sviluppa lungo l’arco di due ore, ma azioni immediate, piatte, meramente
meccaniche che si ripetono all’infinito, per soddisfare all’infinito
le fantasie (e le voglie) dello spettatore. “La pornografia è un lavoro
di rappresentazione genitalizzata della sessualità” (R. Poulin, 1999).
Più che un continuum di azioni, si
tratta di una serie di scene che si chiudono con la consumazione
dell’amplesso. Nei film “classici” ad esempio, ciò che conta è
l’eccitazione e il soddisfacimento del “maschio” che si realizza,
creando l’illusione che questa sia la verità riscontrabile nella vita
reale, nella continua offerta consapevole da parte delle donne del loro
corpo: un corpo quindi sempre pronto (anche quando è fintamente
riluttante), sempre in pose suggestive ed estremamente
provocanti. Banale sottolineare come il corpo femminile venga
strumentalizzato e mercificato, ma paradossalmente la virilità maschile
non può essere esercitata e provata se non attraverso questi corpi. La
“presunta superiorità maschile” passa inevitabilmente per la “
presunta inferiorità ” femminile e quindi per la sottomissione della
donna.
La pornografia è una galassia in
continua espansione, soddisfa tutti i generi “tutte le categorie,
come tutte le merci fabbricate per un mercato segmentato” (R.
Poulin, 1999), per questo è difficile anche costruire un identikit del
pornoconsumatore tipo. Nell’immaginario benpensante collettivo, il
pornoconsumatore è un individuo ambiguo, lascivo, che vive ai margini
della società e della realtà, un individuo di cui già l’aspetto
esteriore tradisce la deviata moralità. Ma non è così. Moltissimi sono
i fruitori, di tutte l’età, estrazione sociale, grado di cultura e
status, e come abbiamo già sottolineato, molte sono anche le donne.
Inoltre grazie al repentino sviluppo delle tecnologie, si sono aperti
nuovi canali, il già citato internet, che è un mondo parallelo un cui è
possibile eludere le sorveglianze e creare dei contatti con i fruitori
della stessa merce. Se fino a qualche anno fa le pellicole hard venivano
proiettate nei cinema di paese, progressivamente con l’avvento e la
diffusione dei videoregistratori si è passati alla visione casalinga dei
film. In molte videoteche erano e sono tuttora presenti spazi, magari un
po’ nascosti, appunto per non offendere il comune senso del pudore degli
avventori, interamente dedicate alla pornografia. In tempi recentissimi
abbiamo internet e la possibilità di cliccare e quindi ingrandire quel
particolare anatomico che più sollecita. Oltre che la compravendita di
qualsiasi tipo di merce. Anche qui la Legge cerca di intervenire, il
delitto rientra infatti nell’art. 528 del c.p. e c’è anche la
Decisione del Consiglio dell’Unione Europea del 29 maggio 2000, relativa
alla lotta contro la pornografia infantile su Internet.
A volte in ambienti medici si è anche
parlato della possibilità della dipendenza dalla pornografia, ma il DSM
IV, Diagnostic and Statical Manual
of Mental Disorder, ossia il manuale diagnostico-statistico dei
disturbi mentali, più accreditato nel settore psichiatrico, non annovera
la pornografia tra le parafilie cioè tra i disturbi dell’eccitazione sessuale, come
invece la pedofilia.
Ma ben sappiamo quanta pedofilia ci
sia nella pornografia. Di pedofilia infatti, si parla già quando in
pornografia vengono utilizzate adolescenti o giovani poco più che
bambine. In questo caso si ha oltre lo
sfruttamento anche la riduzione in schiavitù, e poi c’è tutta la
produzione che riguarda i bambini. In Italia è stata varata la legge
n.269 del 3 agosto 1998 che reca Norme
contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo
sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù.
L’articolo n.3 di tale legge, 600 ter, afferma:” Chiunque
sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni
pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la
reclusione dai sei ai dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni
a cinquecento milioni”
Come possiamo vedere quindi la
pornografia è un fenomeno molto complesso e tentacolare. Ogni suo
aspetto, anche quello più nascosto è quasi sempre la facciata di una
realtà molto dolorosa e spesso crudele. Viaggiando in questa dimensione
ci si rende conto come tutto sia un gioco di scatole cinesi, ogni cosa è
strettamente correlata alle altre eppure ognuna di esse vive di vita
propria. E’ come un immenso organismo formato da tante particelle che
assume forme sempre diverse e sempre uguali, perché una, fedele a se
stessa è la sua natura: la dominazione.
La pornografia è la dominazione del
corpo sul corpo, dell’individuo sull’individuo, del potente sul
debole. Vince la produzione industriale, la mercificazione delle illusioni
dei consumatori che trovano piacere nell’osservare corpi smembrati e
ricomposti per solleticare e appagare i loro desideri più reconditi, ma
che si basano per la maggior parte delle volte sulle vite spezzate di
tanti essere umani inermi.
D.S. & V.S.
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Inprecor
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