*** Quella dell’assoggettibilità o meno dei lavoratori autonomi all’Irap sembra oramai una storia tanto travagliata da sembrare degna delle più blasonate soap opera importate da Oltreoceano. A quattro anni dalla entrata in vigore dell’imposta, la questione ritorna - ancora - a riempire le pagine della stampa specializzata. Il fattore generatore di questo nuovo interesse è stato l’intervento dell’Agenzia delle Entrate relativamente alla risposta fornita all’istanza di interpello presentata da un contribuente esercente l’attività professionale di consulenza contabile e fiscale nella propria abitazione[1]. L’interpretazione che viene fornita non dà seguito ai numerosi e pressoché unanimi interventi di una parte - maggioritaria - della dottrina e delle pronunce dei giudici di merito. La stessa risoluzione ha altresì destato l’attenzione - e la preoccupazione circa i possibili conseguenti effetti - del Ministero dell’Economia, di cui si riferirà più oltre.
Le perplessità della dottrina
In via propedeutica vi è da segnalare che sin dalla istituzione del tributo oggetto della presente analisi[2], un coro quasi unanime di giuristi si è levato sollevando numerosi dubbi di legittimità costituzionale relativamente alla struttura stessa dell’imposta, ai suoi presupposti, nonché ai criteri di determinazione della base imponibile. Sostanzialmente due - che all’uopo del presente lavoro interessano - le macroquestioni eccepite[3]: da un canto, la conformità dell’imposta neoistituita al principio di capacità contributiva sancito all’art. 53 Cost.; dall’altro, la correttezza dell’imposizione del tributo agli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, co. 1, del T.u.i.r. Con riguardo al primo aspetto testé indicato, si deve richiamare l’art. 2, co. 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che considera presupposto dell’imposta <<l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi>>[4]. E’ del tutto evidente, come attenta dottrina rileva[5], che in tal modo si delinea una nuova teoria della capacità contributiva, slegata dal reddito complessivo, dalla spesa e dagli incrementi di valore del patrimonio[6], che dunque prescinde dai risultati in termini di reddito. Ora il presupposto impositivo si fonda, invece, sulla logica che il solo fatto di coordinare fattori che per loro natura sono produttivi, denota una autonoma capacità contributiva. Ci si sposta, quindi, da una teoria di reddito “personale” a una teoria di reddito “reale”[7]. In tale contesto viene sollevata la violazione all’art. 53 della Costituzione che collega il prelievo impositivo, affinché tutti concorrano alla spesa pubblica[8], alla effettiva capacità contributiva di ciascuno e non a una mera fittizia attitudine alla contribuzione[9]. Relativamente alla seconda questione indicata si segnala, principalmente, il contrasto con l’art. 3 Cost., poiché viene operata una chiara discriminazione tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, quest’ultimo equiparato ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive - essendovi il pari assoggettamento - a quello d’impresa. Già il Giudice delle leggi[10] con una sentenza in materia di ILOR aveva avuto modo di enunciare che <<ogni discriminazione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente è illegittima poiché sotto il profilo qualitativo i redditi professionali sono redditi di puro lavoro, al pari di quelli da lavoro dipendente, e non già di redditi misti di capitale e di lavoro al pari di quelli d’impresa>>[11].
La pronuncia della Consulta
Nonostante gli orientamenti dottrinali e le speranze di tutti quei contribuenti
che avevano presentato le proprie istanze di rimborso ai Centri di Servizi e esperito il conseguente ricorso avverso il silenzio-rifiuto della Amministrazione Finanziaria alle competenti Commissioni Tributarie Provinciali - chiedendo altresì la dichiarazione di non manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale esposte nel ricorso stesso -, la declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa Irap da parte della Corte Costituzionale non vi è stata. Di converso la Corte[12] ha rigettato tutte le innumerevoli questioni rimesse al suo giudizio ritenendole <<inammissibili>> o <<non fondate>>. Relativamente al primo dei due aspetti suesposti, la Corte ritiene lecito e ossequioso all’art. 53 Cost. il presupposto del tributo, poiché <<rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva>>, connaturandosi essa nella <<idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta>>; tale idoneità <<può essere desunta da qualsiasi indice che sia rilevatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale>>[13]. Circa la razionalità dell’imposizione del tributo ai lavoratori autonomi la Corte ha proferito che <<l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate. Non riguardando, dunque, la normativa denunciata la tassazione dei redditi personali, le censure riferite all’asserita equiparazione del trattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei redditi d’impresa risultano fondate su un presupposto palesemente erroneo>>[14]. Si rigettano, quindi, le questioni di incostituzionalità relativamente agli artt. 3 e 53 Cost., aggiungendo che <<l’assoggettamento all’imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale, è d’altro canto pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva - identica essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta - né appare in alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro>>[16] . Un’apertura alle tesi propugnate dalla dottrina, invero, vi è stata. La Corte, infatti, continua affermando: <<E’ tuttavia vero - come taluni rimettenti rilevano - che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro
autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o di lavoro altrui[17]. Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2, dall’<<esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi>>, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa>>[18]. La questione, come è visibile, non ha pertanto risvolti meramente semantici, ma può portare a precludere - in determinate circostanze - l’applicazione del tributo a taluni lavoratori autonomi.
Gli orientamenti dottrinali conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale
Nonostante nei giorni immediatamente successivi alla pronuncia questo ultimo passaggio sia a qualcuno sembrato <<un’esigua apertura nei confronti dei professionisti privi di organizzazione>>[19], vi è, contrariamente, da segnalare che è stato la breccia ingeneratrice delle numerose pronunce di merito favorevoli ai contribuenti lavoratori autonomi. Consci del dispositivo della sentenza della Consulta, molti soggetti passivi hanno innescato la procedura di accertamento - di cui si faceva cenno più sopra - della <<assenza di elementi di organizzazione nello svolgimento della propria attività professionale>>[20]. La Corte, infatti, ritiene ontologicamente organizzata l’impresa, accidentalmente non organizzato - valutazione da compiersi pragmaticamente con riferimento alle singole fattispecie - il lavoratore autonomo. La dottrina si è da subito impegnata per delineare i contorni della locuzione <<autonoma organizzazione>> rilevante ai fini della effettiva debenza dell’Irap in capo ai lavoratori autonomi. Parte di essa ha dato rilievo all’aspetto quantitativo, per cui individua l’organizzazione <<nella dimostrata capacità di ottenere credito e di retribuire lavoro subordinato e autonomo, ossia di retribuire, organizzare e utilizzare per il conseguimento di fini propri fattori
della produzione altrui>>[21]; nella stessa direzione si connota l’affermazione secondo la quale <<il termine organizzazione va riferito ai capitali o al lavoro altrui impiegati nell’esercizio dell’attività professionale e non alle modalità di esercizio di quest’ultima>>[22]. Questo orientamento non appare condivisibile, poiché equipara situazioni che potenzialmente potrebbero risultare, in questa ottica, uguali, ma che nella sostanza profondamente differiscono. Basti pensare a un lavoratore autonomo che impiega capitali e dipendenti: stante all’orientamento descritto, questi, per il mero fatto di impiegare detti fattori produttivi, è assoggettato all’imposta giacché la sua attività è <<autonomamente organizzata>>; analizzando più dettagliatamente il caso di specie si potrebbe, viceversa, pervenire a risultati diametralmente opposti. Si potrebbe constatare, nonostante la premessa, che l’attività è inscindibile dalla persona che la esercita, poiché è indispensabile - affinché l’attività esista - il diretto intervento del titolare; per dirla in altri termini, l’intuitu personae è essenziale, non accidentale. A queste corrette risultanze si perviene qualora il criterio, dianzi definito quantitativo, viene integrato dell’aspetto qualitativo: se, come già cennato, si deve fare riferimento alla presenza - in ottemperanza al dispositivo della Consulta - di capitali e lavoro altrui utilizzati nell’attività, altrettanto vera - e ossequiosa alla stessa pronuncia - è l’esigenza di verificare de facto la qualità di essi. In questo contesto, infatti, il requisito della autonoma organizzazione è integrato non già dalla mera quantità di elementi impiegati - rectius organizzati -, ma anche dalla qualità degli stessi in relazione all’attività presa in esame. Asserisce, condivisibilmente, altra dottrina: <<l’organizzazione, per essere tale e rilevante, non può ridursi a quegli strumenti materiali e personali servili al professionista che rende personalmente la propria opera>>[23]. Non è, pertanto, presupposto per l’applicazione del tributo la mera autorganizzazione di colui che espleta l’attività, né la sussistenza di una struttura organizzativa elementare. <<L’organizzazione può essere fatta anche di persone, ma deve trattarsi di soggetti idonei, per legge e di fatto, a rendere in tutto o in parte, quella stessa prestazione per cui ci si rivolge al lavoratore autonomo, al professionista>>[24]. Per questi vi sarà <<autonoma organizzazione>>, con conseguente legittimo assoggettamento al tributo, allorquando <<l’attività è esercitata con l’ausilio di elementi organizzativi idonei a configurare la spersonalizzazione dell’attività>>[25], laddove, perciò, l’attività è in grado di funzionare e generare valore aggiunto senza che <<l’apporto dell’organizzatore sia determinante>>[26], o - parimenti - in tutti quei casi in cui l’organizzazione è <<in grado non solamente di amplificare l’opera del lavoratore autonomo, ma anche di sganciare, almeno potenzialmente, l’attività dell’organizzazione in sé considerata dall’attività dell’organizzatore>>[27]. Non è, perciò, sufficiente la sussistenza di un’organizzazione tout-court affinché possa dirsi soddisfatto il presupposto dell’imposta, ma è, invece, necessario che essa sia funzionante - produttiva di ricchezza o, in altri termini, di valore aggiunto - a prescindere dal soggetto al quale essa si rapporta; in ciò risiede il concetto di <<autonoma>>.
... e le pronunce dei giudici di merito
Già prima della sentenza della Corte Costituzionale molti contribuenti hanno investito i giudici di merito chiedendo il rimborso, con le maggiorazioni di legge, di quanto a suo tempo indebitamente versato a titolo di Irap. Numerose le pronunce delle Commissioni tributarie provinciali che al riguardo si possono già annoverare. Limitatamente ai contribuenti liberi professionisti si segnalano le seguenti sentenze: n. 101/01/01, Ctp di Trento, sezione 1°, relativa a un dottore commercialista; n. 49/4/01, Ctp di Piacenza, sezione 4°, relativa a un dottore commercialista; n. 117/06/01, Ctp di Parma, sezione 6°, relativa a un avvocato; n. 118/06/01, Ctp di Parma, sezione 6°, relativa a un avvocato; n. 119/06/01, Ctp di Parma, sezione 6°, relativa a un avvocato; n. 120/06/01, Ctp di Parma, sezione 6°, relativa a una ostetrica; n. 64/05/01, Ctp di Parma, sezione 5°, relativa a un ingegnere; n. 65/05/01, Ctp di Parma, sezione 5°, relativa a un consulente amministrativo; n. 66/05/01, Ctp di Parma, sezione 5°, relativa a un consulente tecnico di spedizione; n. 106/03/01, Ctp di Parma, sezione 3°, relativa a un consulente organizzativo aziendale; n. 107/03/01, Ctp di Parma, sezione 3°, relativa a un perito industriale; n. 89/01/01, Ctp di Parma, sezione 1°, relativa a un consulente amministrativo; n. 93/01/01, Ctp di Parma, sezione 1°, relativa a un medico radiologo. La Commissione tributaria di Trento è stata - come si può evincere - la prima in ordine cronologico a esprimersi successivamente alla pronuncia della Consulta[28], tant’è - come si legge nella sentenza - che l’udienza fissata per il 7 giugno 2001 veniva, su richiesta di parte, rinviata al 5 luglio <<per dar modo al
ricorrente di provare l’inesistenza di organizzazione nello svolgimento della propria attività>>[29]. La pronuncia del giudice di merito scaturisce dall’impugnazione di due provvedimenti di rigetto di istanze di rimborso Irap, relativamente ai periodi d’imposta 1998 e 1999, presentate dal soggetto passivo al Centro di servizio di Trento. Il Collegio giudicante - dopo un breve compendio delle principali deduzioni che la Corte Costituzionale ha tratto relativamente alle questioni presentate al suo giudizio - procede a accertare <<l’esistenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui>>. Richiamando un’opinione dottrinale[30], la Commissione avalla quella dottrina che pone l’accento sul criterio qualitativo quale fattore discernitivo dei contribuenti tenuti all’obbligazione tributaria e soggetti, invece, esclusi. Viene infatti asseverato che <<non vi sarebbe assoggettibilità ad IRAP per il professionista autonomo che è indispensabile allo svolgimento della propria attività, che solo lui personalmente può svolgere e che in sua mancanza muore>> e, quindi, <<del lavoratore autonomo che può svolgere la propria attività solo personalmente in via diretta ed esclusiva>>. Di conseguenza <<si avrà attività organizzata ogni qual volta la medesima si svilupperà e potrà essere esercitata in assenza del professionista. In tal senso lo stesso numero di dipendenti>> - criterio meramente quantitativo - <<pare ininfluente alla determinazione del concetto di <<organizzazione>>>>; analogamente, risulterà altresì ininfluente il dato del capitale impiegato. L’interpretazione fornita dai giudici di Trento al concetto di <<autonoma organizzazione>> - oltre che ricalcare l’orientamento che la dottrina più accorta già aveva profilato - è stato ripreso, confermato e ampliato dalle altre Commissioni tributarie che sono state investite dei ricorsi dei contribuenti relativamente al rimborso di quanto versato a titolo di Irap. Essendovi, quindi, una serie di pronunce sostanzialmente omogenee caratterizzate da un identico filo conduttore, ben si può sostenere che si sta iniziando a tratteggiare un indirizzo giurisprudenziale.
L’intervento dell’Agenzia delle Entrate e i possibili successivi sviluppi
Si scriveva, in epigrafe, che una recente risoluzione dell’Agenzia delle Entrate[31] ha ridestato l’interesse dei lavoratori autonomi circa la liceità del loro assoggettamento all’imposta sulle attività produttive. Il parere reso, si rammentava, urta la ratio decidendi e la prevalente opinione dottrinale[32]: secondo l’Agenzia, infatti, <<si deve ritenere che l’esistenza pur minima del requisito dell’organizzazione sia una connotazione tipica del lavoro autonomo, alla quale viene spesso fatto riferimento per differenziare tale attività da quella di lavoro dipendente>>[33]. Il professionista, pertanto, risulta essere sempre assoggettato al tributo, in quanto la sua attività ha come presupposto l’organizzazione, non importa se <<minima>>[34]. Non soggiacciono all’imposizione Irap, sempre secondo il pensiero dell’Agenzia, le sole attività artistiche o professionali rese da collaboratori coordinati e continuativi qualora siano svolte senza l’impiego di mezzi propri, e le prestazioni occasionali. Un abbaglio, evidentemente, quello dell’Agenzia che rimane arroccata su posizioni interpretative espresse anni orsono[35], o un fallace tentativo - grottesco e autolesionista poiché può provocare il risultato opposto - di arginare il fenomeno dei ricorsi dinanzi alle Commissioni[36], vieppiù incrementatosi successivamente alla pronuncia della Consulta. Vi è altresì da segnalare che il parere reso si fonda sullo svuotamento della sentenza della Corte Costituzionale che <<viene arbitrariamente smontata nel suo nucleo centrale: non è possibile che vi sia attività di lavoro autonomo senza organizzazione>>[37]; in aggiunta, questa aprioristica considerazione di <<autonoma organizzazione>> per quanto concerne i lavoratori autonomi, nega la verifica imposta dalla Corte tesa ad accertarne la reale sussistenza[38]. Per tutti quei contribuenti che ritengono di aver diritto al rimborso dell’Irap pagata, sembra dunque non rimanga altra via percorribile se non quella del contenzioso tributario. Preoccupato di questo ulteriore possibile incremento dei ricorsi, che comporta costi notevoli anche per l’Erario[39], il Ministro dell’Economia[40] ha annunciato che sono allo studio diverse possibilità che <<permettano di superare le vertenze tra contribuenti e fisco>>. Se, infatti, <<il superamento dell’Irap resta comunque negli impegni a lungo termine del Governo, c’è il problema di gestire il contenzioso comunque aperto>> che ha già più volte visto soccombere l’Amministrazione Finanziaria. All’uopo due sembrano le possibilità che, alternativamente, potrebbero venire alla luce: <<la prima è quella di dare una soluzione interpretativa al problema>> - e, quindi, individuare criteri oggettivi sulla scorta dei quali tracciare una linea di demarcazione tra soggetti che si possono ritenere <<autonomamente organizzati>> e soggetti invece non tenuti all’obbligazione Irap -; <<la seconda è quella di individuare interventi legislativi che tengano conto della posizione dei professionisti all’interno della progressiva abolizione dell’Irap, già annunciata nella delega fiscale>>[41] (A.C. 2144). La posizione del Ministero sembra, pertanto, più ancorata alla realtà e attenta agli sviluppi interpretativi succedutisi in questi anni - dottrina, giurisprudenza di legittimità e di merito - rispetto alla visone metafisica fornita dall’Agenzia. Il Ministero, con la prima proposta avanzata, coglie pienamente l’importanza di quel passaggio della sentenza della Commissione Tributaria di I° di Trento[42], nel quale viene affermato: giacché <<il concetto di <<organizzazione>> non è di semplice individuazione ... [omissis] ..., se non interverrà il legislatore a renderlo obiettivo, provocherà indubbiamente contrasti e discussioni>>. Con la seconda proposta, si potrebbe ipotizzare
l’attuazione di quella parte della legge delega Irap che è rimasta lettera morta[43], nella quale veniva prevista un’aliquota ridotta per i lavoratori autonomi e le imprese minori[44].
La procedura di rimborso dell’Irap indebitamente versata
Le vertenze in essere tra contribuente e fisco sono, come già antecedentemente indicato, numerose: è solo il caso di segnalare che nel periodo maggio-giugno verranno a scadere i termini per la presentazione delle istanze di rimborso relative al primo pagamento dell’Irap; il termine di decadenza per la richiesta del rimborso è - infatti - di 48 mesi[45]. Nelle more dell’attuazione delle proposte allo studio del Ministero, è consigliabile a tutti i contribuenti che ritengono di non essere soggetti ad Irap - ma che hanno corrisposto il tributo - attivare la procedura restitutoria. Questa consta nella presentazione dell’istanza di rimborso che - sino all’intervento di specifiche disposizioni regionali - deve ottemperare al dettato dell’art. 38 del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 602[46]. Si ritiene, di conseguenza, che l’Ufficio erariale deputato a ricevere la domanda sia - alla stregua dell’art. 4, co. 1, lett. b dello Statuto dell’Agenzia[47] - da individuare nell’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate. Il ricorso avverso il silenzio-rifiuto deve essere proposto trascorsi novanta giorni dalla data di presentazione della domanda - ovvero nell’ordinario termine di sessanta giorni allorquando sia stato notificato da parte dell’Ufficio il provvedimento di rigetto (caso, questo, assolutamente marginale) - dinanzi alla Commissione tributaria provinciale. A norma dell’art. 10 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, legittimato passivamente a stare in giudizio è l’Ufficio erariale al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso.
Luca
Leoni
[1]
Risoluzione n. 32 del 31 gennaio 2002.[2] D.Lgs.
446/1997.[3] Le
questioni di legittimità costituzionale avanzate sono in realtà plurime:
sull’argomento si sono espressi diversi Autori, tra i quali: Salvati A.,
“Alcuni spunti in tema di costituzionalità dell’IRAP”, in Rassegna tributaria,
1998, pag. 1627; Falsitta G., “Aspetti e problemi dell’IRAP”, in Rivista
diritto tributario, 1997, pag. 495; Ferlazzo Natoli L., “Il meccanismo
impositivo dell’irap: dubbi di incostituzionalità”, in Bollettino tributario,
1998, pag. 649.[4] Vi è da
evidenziare che questo comma è stato così modificato dall’art. 1, co. 1, D.Lgs.
10 aprile 1998, n.137; nella versione originaria la locuzione
<<autonomamente organizzata>> risultava assente. Procedendo nella
lettura, si constaterà che alla laconicità del disposto sono seguiti numerosi
interventi interpretativi.[5] Tra gli
altri, Falsitta G. in “Manuale di diritto tributario”, Padova; Moschetti in “La
capacità contributiva, Profili generali”, Padova.[6] Tesauro
F. in “Istituzioni di diritto tributario”, Torino, definisce questi fattori
<<indici diretti di capacità contributiva>>.[7] Si
rammenta che il sistema di imposizione reale era previsto nello Statuto
Albertino; la Costituzione ha introdotto i concetti di capacità contributiva e
progressività , segnando così il passaggio ad un sistema di tassazione
personale.[8] Ricorda
Tesauro F., op. cit., che
<<secondo la scienza delle finanze, i tributi possono fondarsi o sul
principio del beneficio, o sulla capacità contributiva. ... Il secondo
principio implica che le imposte siano poste a carico di chi ha attitudine a
contribuire>>.[9] Corso
G., “Profili di illegittimità costituzionale dell’IRAP”, in Corriere
tributario, 2000, pag. 1581 rileva che la Corte Costituzionale - 28 luglio
1976, n.200 e 12 luglio 1967, n.109 - si è più volte espressa in tal senso.[10] Corte
Costituzionale 26 marzo 1980, n. 42.[11] La
stessa sentenza opera un’ulteriore interessante deduzione relativamente ai
liberi professionisti: viene, infatti, affermato che essi - in quanto tali -
alla stregua dell’art. 2238 cod. civ. non sono imprenditori. A corroborare tale
indirizzo vi è l’art. 2232 cod. civ. che impone il carattere personale delle
prestazioni, il successivo art. 2233 relativamente alle forme e misure di
compenso e, infine, il diverso rischio che grava sull’imprenditore rispetto al
prestatore d’opera intellettuale.[12] Corte
Costituzionale, 21 maggio 2001 (10 maggio 2001), n. 156 - Pres. Santosuosso -
Rel. Marini.[13] Punto
6.2. della sentenza in rassegna. La Corte opera un rinvio alle sentenze n. 111
del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995 e n. 159 del 1985.[14] Punto
9.2. della sentenza in rassegna. Per la stessa ragione citata in apertura di
questo passaggio, la Corte ha ritenuto <<non pertinente>> il
richiamo alla sentenza n. 42/1980 (Cfr. punto 13.2. della sentenza in
rassegna).[15] Punto
9.2. della sentenza in rassegna. Vi è da segnalare che con quest’ultima
espressione vengono altresì rigettate le questioni, afferenti gli artt. 1 e 4
Cost., di discriminazione del lavoro.[16] La
stessa Corte Costituzionale, con l’ordinanza 286/2001 (5 luglio 2001 - 23
luglio 2001) ha riconfermato questo orientamento sancendo, oltre alla
legittimità costituzionale dell’Irap, che non è censurabile
<<l’assoggettamento all’imposta del valore aggiunto prodotto da ogni tipo
di attività autonomamente organizzata, sia essa imprenditoriale o
professionale>>.[17] Diversa
e inintelligibile la C.M. 4 giugno 1998, n. 141 esplicativa la modifica
introdotta dal D.Lgs. 137/98 (Supra n. 4) che così recita : <<Con riferimento alla locuzione
autonomamente organizzata, si precisa che il fine che il legislatore ha inteso
perseguire è quello di escludere dall’ambito di applicazione del tributo tutte quelle attività che, pur
potendosi astrattamente ricondurre all’esercizio di impresa, arti o
professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un’organizzazione autonoma
da parte del soggetto interessato. E’ il caso, per esempio, dell’attività di
collaborazione coordinata e continuativa che si configura soltanto laddove non
vengano impiegati propri mezzi organizzati>>.[19]
Meneghetti P., “Il rimborso Irap divide i professionisti”, in Il Sole 24-Ore,
18 giugno 2001.[20]
Costituente il cd. fumus boni iuris.[21]
Batistoni Ferrara F., “Prime impressioni sul salvataggio dell’IRAP”, in
Rassegna tributaria, 2001, pag. 860.[22] Golino
S., “IRAP - La sentenza della Corte costituzionale e le sue possibili
implicazioni”, in Il fisco, 2001, pag. 9756.[23] Marongiu
G., “Irap, lavoro autonomo e Corte Costituzionale: le possibili conseguenze pratiche”,
in Diritto e pratica tributaria, 2001, pag. 666.[24] Marongiu
G., “Dalla Corte Costituzionale apertura sui presupposti per l’applicazione
dell’Irap al lavoro autonomo”, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 2001,
pag. 1001.[25] Bodrito
A., “La Corte Costituzionale si pronuncia sull’IRAP”, Corriere tributario,
2001, pag. 1969.[26] Bodrito
A., “Non è soggetto ad IRAP il professionista privo di <<autonoma
organizzazione>>”, in Corriere tributario, 2002, pag. 162. Nello stesso
articolo l’Autore porta - tra gli altri - l’esempio di un lavoratore esercente
l’attività di commercialista, constatando come la presenza di una segretaria e
di un computer non integrano, per tale
soggetto, il requisito dell’autonoma organizzazione.[27] Bodrito
A., op. ult. cit.[28] Si rammenta
che la sentenza Corte Cost. 156/2001 è stata depositata in cancelleria in data
21 maggio 2001.[29] Comm.
trib. I gr. Trento, Sez. I, Sent. 5 luglio 2001 (2 ottobre 2001), n. 101 -
Pres. e Rel. Piccolroaz.[30] Ripa G.,
“IRAP, al via le istanze di rimborso”, in Italia Oggi, 27 luglio 2001 sostiene
che, affinché si configuri l’assoggettibilità all’imposta, <<si deve
trattare di un’organizzazione del tutto sganciata dall’apporto professionale. Ragionando
al contrario, o per estrema sintesi, tale organizzazione, da sola, dovrebbe
essere in grado di produrre quella novella ricchezza atta a giustificare il
prelievo. E ciò a prescindere dalla prestazione intellettuale del
professionista che organizza tali risorse. ... Ci deve essere sì un insieme di
capitali e lavoro, ma gli stessi devono essere coordinati e organizzati in modo
talmente autonomo che dovrebbero essere in grado di creare valore aggiunto
anche da soli senza l’apporto personale del
professionista>>.[32] Si
sottolinea, a fine esclusivamente informativo e lungi dall’essere polemico, che
le argomentazioni fornite dall’Agenzia sono, secondo la stessa,
<<conformi agli orientamenti espressi dalla dottrina e dalla
giurisprudenza>>. Dall’analisi dinanzi svolta pare, a modesto parere di
chi scrive, che gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali si dirigano,
invece, in altra direzione.[33] Richiama
Rizzardi R. in un suo articolo - “Una separazione artificiosa tra dipendenti e
autonomi”, in Il Sole 24-Ore, 5 febbraio 2002 - un passaggio della relazione
presentata al Parlamento da parte di Visco, ex ministro delle Finanze e “padre”
dell’Irap, relativamente al requisito dell’organizzazione: <<Dal punto di
vista giuridico-costituzionale presupposto dell’Irap sarebbe, più puntualmente,
l’esercizio di attività organizzate che si esprimono in sequenze di atti e
comportamenti coordinati e programmati al conseguimento di fini unitari
stabilmente perseguiti. Quando l’attività sia oggettivamente rilevabile e
socialmente rilevante per l’attitudine a incidere in modo significativo nei
rapporti intersoggettivi, l’organizzazione si risolve, per il suo titolare, in
disponibilità di beni e in prestazioni economicamente valutabili,
corrispondenti alla potenzialità produttiva dell’organizzazione stessa. Sotto
questo profilo, l’esercizio di attività organizzata può essere assunto a indice
di capacità contributiva, distinto dal reddito, dal patrimonio, dal consumo e
dalle altre manifestazioni di potenzialità economica, già assunte a fondamento
dei tributi vigenti nell’attuale sistema>>. Ciò che ne consegue,
sottolinea l’Autore, è che <<tra un dipendente e un lavoratore autonomo
che svolgono la medesima attività esisterebbe una capacità contributiva
addizionale per l’autonomo, solo perché ha assunto tale veste>>.[34] E’
evidente come tale orientamento strida con le considerazioni dianzi formulate.[36] Un
lettore attento, e al contempo mordace,
può ritenere che l’Agenzia abbia
appositamente fornito un’interpretazione così “stretta”, e ciò
sostanzialmente per due ordini di motivi. Il primo è finalizzato, come già
sopra esposto, a contenere quanto più possibile il numero delle istanze di
rimborso che i contribuenti andranno a promuovere. Il secondo, teso a
disincentivare quei contribuenti che sono intenzionati a non versare più
l’imposta, forti non solo dell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale
formatosi e “formandosi”, ma anche della inapplicabilità delle sanzioni - in caso di una futura declaratoria di
assoggettibilità al tributo - per <<obiettiva incertezza>> sulla
materia. Si ricorda, da ultimo, che la sanzione prevista per l’omessa
presentazione della dichiarazione dei redditi - ai sensi dell’art. 1, co.
1, del
D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 - varia dal centoventi al
duecentoquaranta per cento dell’ammontare
delle imposte dovute con un minimo di 258,00
euro; la sanzione per l’omesso versamento del tributo - alla stregua del
disposto del successivo art. 13, co. 1 - è pari al trenta per cento
dell’importo non versato.[37] De Mita
E., “Fisco in fuorigioco sull’Irap negli studi Consulta travisata”, in Il Sole
24-Ore, 3 febbraio 2002. In chiusura del suo scritto, l’Autore acutamente
sottolinea che <<la circolare non è ispirata al rispetto del principio di
legalità>>, statuito nel cd. Statuto dei diritti del contribuente.[38] Il
Lettore certamente ricorderà il passaggio della Corte nel quale essa afferma
che l’accertamento degli elementi di organizzazione, poiché non riconducibile a
fattispecie legali, è quaestio facti spettante al giudice tributario.[39] I costi
elevati per entrambe le parti, per i noti motivi che qui è pleonastico
richiamare, potrebbero per la soccombente aumentare, vedendosi essa irrogare i
costi delle spese del giudizio. Se, infatti, nelle prime sentenze dei giudici
di merito si prevedeva la <<compensazione delle spese di giudizio tra le
parti per l’obiettiva difficoltà interpretativa della norma applicativa>>
(Cfr. Trib. Trento 101/2001), ora - per i ricorsi presentati successivamente
alla sentenza della Consulta - vi è, almeno nei riguardi di taluni
contribuenti, più chiarezza. L’Amministrazione finanziaria dovrà, pertanto,
attentamente valutare se resistere alle istanze di rimborso avanzate,
soprattutto qualora sia palese l’assenza dell’autonoma organizzazione,
presupposto giustificatore del tributo.[40] Tratto
da quanto riferito presso la commissione Finanze del Senato, in audizione per
comunicazioni sulle linee di politica economica e finanziaria dell’Esecutivo, 5
febbraio 2002. [41]
Criscione A., “Irap nei mini-studi, in campo Tremonti”, in Il Sole 24-Ore 6
febbraio 2002.[43] Ci si
riferisce all’art. 3, co. 143 della L. 662/1996.[44] Con le
due proposte avanzate si prospetta, rispettivamente, la definizione dell’an e la determinazione del quantum.[45] Statuito
dall’art. 1, co. 5, della L. 133/1999 con effetto dal 18 maggio 1999 e a
decorrere dalla data di versamento dell’imposta.[46] Cfr.
art. 30 del D.Lgs. 446/1997.[47]
Approvato con deliberazione 13 dicembre 2000, n. 6 della stessa Agenzia delle
Entrate, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 20 febbraio 2001, n. 42. |
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