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GIUSTIZIA
AMMINISTRATIVA, di Italo Franco,
Consigliere nel TAR Veneto
Sommario: 1- La devoluzione al g.a. della giurisdizione sui diritti patrimoniali conseguenziali. 2- Tutela risarcitoria dei diritti patrimoniali conseguenziali e degli interessi legittimi. 3- Tecniche di risarcimento: il danno ingiusto. 4- La reintegrazione in forma specifica e la riparazione per equivalente. 5- Il danno: prova; elementi; concorso di colpa del danneggiato; compensatio lucri cum damno (cenni). 6- Azione di condanna al risarcimento e azione di annullamento. 7- Domanda di risarcimento disgiunta dallazione impugnatoria.
1- La devoluzione al g.a. della giurisdizione sui diritti patrimoniali conseguenziali. La riforma della giurisdizione predisposta dal D.Lgs. n. 80/98 non si è limitata ad incidere sul criterio di riparto della giurisdizione, adottando quello della materia, con riguardo ai servizi pubblici nonché alledilizia e urbanistica. La delega conferita dal Parlamento riguardava testualmente, infatti, lestensione della giurisdizione del g.a. alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno. Questo aspetto della riforma la differenzia nettamente da tutte le altre norme erratiche che, in precedenza, avevano attribuito alla giurisdizione esclusiva del medesimo giudice questa o quella materia. In tutte le precedenti ipotesi, infatti, restava, in ogni caso, ferma la preclusione di ordine generale- nascente dallart. 7 della legge n. 1034/71 (istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali), in forza della quale, pur nelle materie assegnate alla giurisdizione esclusiva del g.a., (in quanto tale estesa alla cognizione anche dei diritti), la cognizione sulle liti concernenti le conseguenze di ordine risarcitorio, e simili, rimaneva conferita al giudice ordinario. In realtà, si tratta(va) di un ulteriore criterio generale di separazione fra giurisdizioni, anche in presenza di ipotesi normativamente previste di giurisdizione esclusiva, in forza del quale, anche in simili fattispecie, si poneva comunque una duplicità di giurisdizione fra giudici diversi in ordine a controversie quanto meno collegate, se non identiche. In siffatto modo, la linea di separazione era soltanto, per così dire, più avanzata rispetto alla giurisdizione ordinaria di legittimità. Ad ogni modo, la sintesi normativa di tale discorso era racchiusa nella formula che segue (art. 7 cit.): "Restano, tuttavia, sempre riservate allautorità giudiziaria ordinaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di illegittimità dellatto o provvedimento contro cui si ricorre". Ora, la rilevante e significativa portata della riforma sta proprio nellavere voluto incidere su detta "storica" limitazione della giurisdizione (anche quella esclusiva) del giudice amministrativo, infrangendo una sorta di barriera o limite dogmatico, da sempre osservato dal legislatore, nonostante che si avvertisse ed anzi si toccasse con mano la necessità del suo superamento. Tanto più risalta la carica di novità e di rottura con i vecchi schemi concettuali e mentali, ove si rifletta sul fatto che il legislatore, nemmeno quando veniva spinto dalle norme comunitarie a predisporre rimedi risarcitori per i casi di violazione del diritto comunitario o delle norme nazionali di recepimento, con rimedi giurisdizionali rapidi ed efficaci, aveva inteso rompere con il vecchio tabù, ponendo una norma lart. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142, ora abrogato con lart. 35 D.Lgs. n. 80/98- che ripeteva il vecchio cliché dellassegnazione al g.o. della giurisdizione sulle controversie relative. Ciò non sarà senza conseguenze sul modo stesso di rendere giustizia da parte del g.a. (cfr. prossimo paragrafo, in fine). A questo riguardo occorre, anzi, sottolineare che il decreto delegato è andato, forse, ancora più in la della delega legislativa. 2- Tutela risarcitoria dei diritti patrimoniali conseguenziali e degli interessi legittimi. Tuttavia, conviene spostare momentaneamente lattenzione su tematiche attinenti ai modi in cui può effettuarsi il raccordo delle innovazioni in commento con il tema della tutela risarcitoria degli interessi legittimi, onde verificare se ed in quale misura la riforma intervenga anche sui filoni oggetto di dibattito nel sistema previgente. Al riguardo, invero, ci si chiede: la devoluzione al giudice amministrativo delle controversie concernenti i c.d. diritti patrimoniali conseguenziali, in che modo ha inciso sulla disciplina del risarcimento delle lesioni di interessi legittimi? Si tratta, in altre parole, di ambiti coincidenti, o diversi? Insomma, le nuove disposizioni sulla devoluzione della giurisdizione sulle controversie inerenti ai diritti patrimoniali conseguenziali, ha risolto, sul piano generale, il problema della risarcibilità degli interessi legittimi? Una prima risposta, di ordine formale, non può che essere negativa. In primo luogo, infatti, si osserva che la soluzione approntata con la riforma riguarda solo specifiche materie, per quanto estesissime e in sè di grande rilievo. Dunque, la devoluzione della tutela risarcitoria al giudice amministrativo non sposta i termini del problema, in tesi generale e in astratto, della tutela risarcitoria degli interessi legittimi: trattasi, invero, anche concettualmente, di ambiti non strettamente coincidenti, quanto allestensione: infatti, anche se si trattasse della stessa cosa, (vale a dire, anche se ci fosse identità concettuale fra diritti patrimoniali conseguenziali e risarcimento delle lesioni di interessi legittimi), deve convenirsi, secondo un criterio, per così dire, di logica formale, che la soluzione individuata dal legislatore, riguardando una parte soltanto di tutte le possibili materie rientranti nella giurisdizione amministrativa, non costituisce una soluzione generale. In secondo luogo, deve ritenersi, con tutta verosimiglianza, e sempre rimanendo sul piano delle nozioni e dei concetti giuridici, che tutela risarcitoria dei diritti patrimoniali conseguenziali e tutela risarcitoria degli interessi legittimi non sono ambiti coincidenti, a rigor di termini, quanto al tipo di posizioni giuridiche soggettive: già le espressioni usate pongono in risalto che si tratta di posizioni giuridiche diverse, ragion per cui può dirsi, sia pure a livello epidermico o astratto, che si tratta di cose differenti. In effetti, lespressione "diritti patrimoniali conseguenziali" -che è formula tralaticia, e in certo modo di stile- in ogni caso pone in rilievo, fin dalla semantica, che si tratta di un quid che interviene dopo, successivamente. Per converso, non può negarsi che la lesione di situazioni soggettive che vanno sotto il nome di interessi legittimi, avviene nel momento stesso in cui viene emesso il provvedimento lesivo (a livello virtuale), e quando lo stesso viene portato a esecuzione (sul piano dellefficacia concreta). Dunque, sembrerebbe trattarsi di cose diverse, anche se strettamente connesse. Seguendo questo ordine di idee, potrebbe sostenersi, ad esempio, che lillegittimità di provvedimenti che incidono su interessi legittimi (o posizioni comunemente qualificate come tali) come, ad es., un diniego di autorizzazione di commercio, e tutti i provvedimenti di secondo grado (annullamento o revoca di un atto di assenso, dichiarazione di decadenza, e simili) (1) arrecano di per se stessi un danno al destinatario, danno valutabile in quanto tale, autonomamente, e che perciò differisce dai danni prodotti in via conseguenziale. Da simili provvedimenti, poi, potrebbero derivare ulteriori pregiudizi patrimonialmente valutabili (ad es., perdita di chances; investimenti effettuati confidando nellaspettativa fondata- che la p.a. provvedesse favorevolmente; danni allimmagine, ecc.). A ben guardare, tuttavia, queste distinzioni, qui appena abbozzate, potrebbero trovare riscontro nella classica distinzione fra damnum emergens e lucrum cessans oppure, a tutto dire, fra danni prevedibili e d. imprevedibili (argomenti classici nella teoria del danno, specialmente da illecito aquiliano, e della relativa responsabilità). A ragionare in tal modo, si tratterebbe, pertanto, nientaltro che di distinzione allinterno della nozione di danno, circa le sue componenti (talune essenziali o naturali; talaltre soltanto eventuali), senza che se ne possa inferire una distinzione fra (pregiudizi a) diverse posizioni giuridiche. Sempre in simile ottica, allora, la formula "diritti patrimoniali conseguenziali" sintetizzarebbe e rappresenterebbe, comunque, conseguenze patrimoniali derivanti dal comportamento illegittimo dellamministrazione. La stessa formula assume rilievo nella logica fatta propria, quanto al riparto della giurisdizione, dal sistema previgente, per cui tutte le controversie e le liti che non concernono direttamente lillegittimità dei provvedimenti amministrativi, bensì le conseguenze di detta illegittimità, purchè valutabili sul (solo) piano patrimoniale-economico, si appartengono al giudice ordinario, intendendosi far correre la linea di demarcazione fra i due ordini di giurisdizione proprio a cavallo di tale discrimine. Ciò, come si è visto, vale(va) anche nei casi preesistenti di giurisdizione esclusiva del g.a. In una impostazione diversa, invece, come quella adottata dalla riforma, la stessa finisce per perdere di rilievo (ai fini che ne occupa), e per riguardare ogni pregiudizio (beninteso, purchè economicamente valutabile) comunque derivante da atti e comportamenti della p.a. illegittimi (o, ormai, si deve dire illeciti?). Si ricordi che, stante la previgente linea di demarcazione, ogni volta che il g.o. ha inteso assicurare la tutela risarcitoria di danni inferti a posizioni giuridiche di dubbia classificabilità (ma a volte anche non incerte), ha, sic et simpliciter, qualificato la posizione giuridica in questione come diritto soggettivo, così troncando in radice ogni problema di tipo dogmatico o sistematico che potesse complicare la soluzione della risarcibilità. La conseguenza è riteniamo, in conclusione- che, nelle materie interessate dalla riforma (cioè, in ambiti davvero molto estesi, tanto da far parlare di una giurisdizione generale), la tutela risarcitoria si estende, dora in poi, a tutti i pregiudizi che il giudice in concreto ritenga sussistenti e assistiti dai presupposti (di cui si dirà), indipendentemente dalla loro ascrivibilità alla categoria del diritto soggettivo o dellinteresse legittimo. Le nuove norme si sono preoccupate, in altre parole, di assicurare al cittadino pienezza di tutela nei confronti della p.a.(nelle materie individuate), scegliendo, a questo scopo, anche il prezioso strumento della riunificazione della giurisdizione in capo ad un solo giudice (da ritenere il più qualificato e concettualmente attrezzato (2) nel dirimere le controversie con la p. a). Questa era la finalità, che sembra realizzabile, stando ad una prima valutazione degli strumenti prescelti. Se ciò è vero, può anche affermarsi al di là delle espressioni usate e della loro valutazione sul piano teorico-sistematico- che, nelle materie individuate, il legislatore della riforma ha "aperto" in pieno alla tutela risarcitoria, comprendendovi anche le lesioni degli interessi legittimi (se ritenute sussistenti). Comunque sia, deve ritenersi che la portata delle modifiche normative in discorso sia tale da indurre un mutamento delloggetto del processo amministrativo. Ed invero -a parte le ipotesi, da ritenersi non infrequenti, dato che la giurisdizione piena tocca anche liti inerenti a mere prestazioni di servizi- finora la sentenza resa dal g.a. in ordine ad una controversia incentrata sullassunta illegittimità di un provvedimento si limitava a pronunciare, in caso di accoglimento del gravame, detta illegittimità, salvo la valutazione delleffetto conformativo (a parte gli sviluppi legati allazione di esecuzione del giudicato), disinteressandosi degli sviluppi successivi alla sentenza, dalla stessa discendenti. Dora in poi, invece, il giudice dovrà occuparsi, nel corso dello stesso processo, di tutte le conseguenze che discendono dallaccertata illegittimità, onde verificare se fra queste vi sia la produzione di un danno ingiusto, e se questo sia riparabile attraverso la reintegrazione in forma specifica, oppure si debba condannare al risarcimento (in tal caso ponendosi questioni in ordine al quantum). Orbene, il fatto che il giudice dovrà, d'ora in poi (nelle materie indicate) farsi carico anche di questi profili, finirà per interagire sui modi stessi di rendere giustizia (anche in ordine allaccertamento dellillegittimità), e sul contenuto delle sentenze. 3- Tecniche di risarcimento: il danno ingiusto. Ai fini dellattuazione della delega (dalla formulazione, in verità, oltremodo ellittica), occorreva fare, in relazione a molteplici aspetti, scelte determinanti fra varie possibili opzioni, il più delle volte, per di più, dalle notevoli implicazioni sul piano concettuale e sistematico. Per quanto non si presentassero, forse, alternative diverse, il decreto delegato ha dovuto prendere posizione in relazione ai modi e agli strumenti tecnico-giuridici da utilizzare al fine di definire le controversie sul risarcimento del danno provocato dal provvedimento o comportamento illegittimo della p.a. Precisamente, lo strumento individuato in sede di attuazione della delega risiede nel ricorso alla nozione giuridica di danno ingiusto. In tal modo il legislatore, in primo luogo, mostra di muoversi nellottica dellillecito extracontrattuale o aquiliano (3), mostrando di volere ascrivere a questo genus la (relativamente) nuova forma di responsabilità della p.a. Dunque, utilizzandosi la formula contenuta nellart. 2043 c.c., (espressivo del principio generalissimo neminem laedere), si sceglie di rinviare allapplicazione delle regole sullillecito extracontrattuale (della p. a.), desumibili dagli art. 2043 ss. del codice. Quanto alle implicazioni di una scelta siffatta, segnaliamo per ora una delle conseguenze di maggiore rilievo dellopzione a favore del modello di r. extracontrattuale: lonere della prova del danno incombe sul soggetto che si afferma danneggiato. In secondo luogo e questo è, forse, un dato ancora più significativo, visti i precedenti- si ricorre ad uno strumento tecnico da sempre utilizzato per escludere, già in astratto e in tesi generale, la tutela risarcitoria degli interessi legittimi. Certo, ricordiamo, in ordine a questo secondo punto, che, a rigor di termini, la devoluzione della giurisdizione sulle controversie inerenti al risarcimento riguarda, testualmente, i diritti (patrimoniali conseguenziali) e non gli interessi legittimi. Tuttavia, ora non è più il caso anzi, non si pone più la necessità- di distinguere fra diritti soggettivi e interessi legittimi nellambito dei giudizi risarcitori, per quanto si è osservato retro, e il fulcro della nuova disciplina si sposta sulla dimostrazione di avere subito un danno valutabile patrimonialmente, indipendentemente dalla classificabilità secondo canoni astratti o teorici della posizione soggettiva lesa. Ad ogni modo, gli strumenti concettuali usati confermano, ancora una volta e per altra via, la portata fortemente innovativa -e la conseguente rottura decisa con la concettuologia del passato- dei cambiamenti apportati allordinamento previgente. La strada imboccata, insomma, davvero prescinde dalle strette maglie e dalle barriere ideologiche di cui era prigioniero il vecchio sistema. Ne consegue che forte è laspettativa che si ripone sul ruolo che il g.a. è chiamato a svolgere, nellapplicazione delle nuove regole: sarà egli capace di assumere un atteggiamento conseguente, e concorde con lo spirito della riforma? Osserviamo che una risposta positiva è imprescindibile per la riuscita della medesima. Ora, occorre dedicare un sintetico excursus alla nozione di danno ingiusto, e allevoluzione che lo stesso ha subito, fino a quello indotto dalle norme che ora ci interessano. Premettiamo, brevemente, che il codice civile, nel disciplinare questo tipo di illecito (e della responsabilità che ne deriva) ha optato al contrario di altri ordinamenti (4)- per un modello fondato sullatipicità dellillecito aquiliano, fondato su una clausola o principio generale (neminem laedere). La formula usata nel porre la norma principio (art. 2043) in fondo alquanto ambigua- usa lespressione danno ingiusto per definire quale sia la responsabilità fonte di risarcimento. Ma, al tempo stesso, pone il problema di cosa debba intendersi per danno ingiusto. Dunque, non solo cè, in tale norma, una clausola generale di responsabilità; cè, in più, un canone normativo lingiustizia del danno- la cui definizione e delimitazione viene lasciata, palesemente, allapprezzamento prudente della giurisprudenza. E così che, fra i tre elementi, tutti indispensabili, ravvisati dalla dottrina per configurare una simile responsabilità a) atto o comportamento illecito, doloso o colposo; b) danno (ingiusto); c) nesso di causalità fra a) e b)- si venne spostando lattenzione della dottrina dallatto o comportamento colpevole al fatto dannoso (vale a dire, in altre parole, dallagente alla figura del danneggiato), che divenne il nucleo centrale della fattispecie(5). In simile contesto, il criterio dellingiustizia andava riferito non tanto alla condotta dellautore, quanto al danno (6). Premesse queste ellittiche annotazioni sulla struttura dellillecito extracontrattuale, occorre dire che lattenzione della dottrina, ma più ancora della giurisprudenza, si concentrò su che cosa dovesse intendersi per ingiustizia del danno. In uno sforzo di superamento della concezione basata sulla violazione dellobbligo generale del principio neminem laedere (ritenuto troppo generica), si sostenne una derivabilità del canone dellingiustizia dalle singole fattispecie normative dirette a reprimere specifici comportamenti, in un tentativo di ancoraggio a figure tipiche di illecito. Per unaltra teoria, lingiustizia corrisponderebbe allespressione non jure usata dai classici, vale a dire in assenza di cause di giustificazione. Infine, una terza opinione -destinata, poi, ad affermarsi, specialmente nella giurisprudenza- "ravvisa lingiustizia nella lesione di una qualsiasi situazione giuridica soggettiva, giuridicamente rilevante, a seguito della protezione dellinteresse dei privati accordato in vario modo dalla norma (...). Nella medesima prospettiva si afferma che il significato della nozione legislativa di ingiustizia è quello di lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Tale significato serve a svincolare la categoria concettuale del fatto illecito dal requisito del pregiudizio economico e aiuta a comprendere perchè in mancanza della presenza effettiva di un pregiudizio lordinamento offra altre misure di reazione contro il fatto illecito (es.: lazione inibitoria). Questa interpretazione è inoltre del tutto coerente col sistema di atipicità dellillecito adottato dal nostro codice"(7). Nella materia, decisivo, ad ogni modo, è lorientamento della giurisprudenza. Ed invero questultima a parte recenti teorie di altra dottrina tendenti a superare il rilievo attribuito al requisito dellingiustizia, e a valorizzare il danno in sè- ha determinato il corso e levoluzione della materia, centrando lindagine (e risolvendo le varie controversie) sulla nozione dellingiustizia, e sulla relativa estensione. In particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione, ad es., oltre a porre in rilievo il requisito non jure del danno (i.e. lassenza di cause di giustificazione), ribadisce la necessità che il danno sia arrecato, al tempo stesso, "contra jus (vale a dire, in quanto tale fatto incida su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto perfetto), sì che non vi è ragione di escludere dalla tutela i diritti relativi"(8). Fu così che, dalloriginaria delimitazione del requisito dellingiustizia ai soli diritti assoluti (validi, cioè, erga omnes), la Cassazione pervenne con un deciso e storico révirement operato nel 1971 (9)- ad ammettere la tutela aquiliana anche dei diritti di credito del terzo, incisi dal comportamento colposo produttivo di un danno (perciò) ingiusto, imprimendo una sterzata decisiva al progresso e allestensione dellarea di risarcibilità del danno extracontrattuale. Come si vede, da una precedente e di molto lunga durata- limitazione del riconoscimento della risarcibilità ai soli diritti assoluti, si pervenne -evidentemente sotto la spinta della realtà sociale, economica, di costume, che andava sensibilmente mutando nel senso di spostare sensibilmente i rapporti economici dai diritti assoluti a quelli di credito- ad estendere larea della risarcibilità nei riguardi di questi ultimi diritti. Ma il cammino intrapreso non poteva certo fermarsi a questo punto, data la molteplicità e varietà delle situazioni giuridiche soggettive (10) suscettibili di essere pregiudicate dal danno arrecato dallaltrui comportamento colposo o doloso. Si spiega così la lenta ma continua marcia di avvicinamento, sia pure in forme spesso mascherate o indirette allinserimento nellarea della risarcibilità anche delle lesioni degli interessi legittimi, quanto meno in alcune fattispecie. Stanti le vedute attuali della dottrina ma specialmente, ciò che appare più decisivo, della giurisprudenza- lapertura alla tutela risarcitoria di dette posizioni non poteva non passare, senza contraddire il sistema, attraverso linclusione nellestensione del requisito dellingiustizia (del danno) anche di siffatte situazioni giuridiche soggettive. Ed invero, a parte le riserve circa una presunta volontà legislativa di ammettere, come acquisizione di carattere generale, la tutela aquiliana anche degli interessi legittimi, comunque si vogliano chiamare quei diritti patrimoniali conseguenziali ora ammessi al risarcimento (11), sta di fatto che, perchè risarcimento si abbia, il loro insorgere deve configurare un danno ingiusto per chi lo subisce. E questa la strada individuata, ora, dal legislatore, in accordo con il sistema vigente di tutela aquiliana, per includere dette posizioni giuridiche nellarea della risarcibilità. 4- La reintegrazione in forma specifica e la riparazione per equivalente. La norma art. 35.1 del D.Lgs. n. 80/98- non parla, daltra parte, soltanto di risarcimento del danno, ma anche di reintegrazione in forma specifica: "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli art. 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto". Il dato testuale della disposizione a prima vista suscita, sotto il profilo delluso ortodosso dei concetti giuridici, qualche perplessità: invero, è insegnamento consolidato che la nozione di esecuzione in forma specifica sia qualcosa di alternativo rispetto al risarcimento del danno, nel senso che, là dove non è possibile accordare protezione allinteresse sotto forma di sua ricostituzione, o di restitutio in integrum- si fa luogo alla riparazione per equivalente, costituita, appunto, da obblighi risarcitori. Il risarcimento, in sostanza, è un surrogato rispetto al ripristino della situazione preesistente allevento dannoso, e viene logicamente in rilievo soltanto quando non sia possibile la restitutio in integrum., che logicamente dovrebbe prevalere su altri modi di riparazione, in quanto e nei limiti in cui sia possibile (ma, cfr. lart. 2058 c.c.). Invece, nella norma appena riportata, sembra accedersi ad una visione incentrata precipuamente sul danno (inferto dal provvedimento o dal comportamento illegittimi dallamministrazione), inteso come figura generale e principale, fra le cui componenti possono rientrare anche modi di reintegrazione in forma specifica. Si tratta di impostazione in apparenza discutibile, che in parte trova una giustificazione nel menzionato parere del Consiglio di Stato. In detto parere, infatti, mentre, da una parte, si sottolinea che la clausola generale dellingiustizia "non esclude il danno da inadempimento", si accenna ai vari modi che il giudice ha a disposizione per disporre la reintegrazione delle lesioni di diverse situazioni giuridiche soggettive. Si vorrebbe, in questa sede, prescindere anche da possibili dubbi sempre di ordine teorico-sistematico- circa loscillazione fra modelli di responsabilità contrattuale e di r. extracontrattuale, per sottolineare come la soluzione di quesiti e dubbi di ordine applicativo (che possono immaginarsi numerosi e consistenti) sia stata largamente e fiduciosamente affidata al prudente apprezzamento del g.a. e della sua giurisprudenza e per sottolineare, altresì, che lattenzione si sposta, in tal modo, doverosamente, sulle componenti del danno, in verità spesso ipotizzabile di varia ed eterogenea composizione. Vediamo, allora, come potrà presentarsi la lesione delle posizioni giuridiche del soggetto, quali i tipi di pregiudizio, e quali i modi della riparazione, limitandoci, per ora, a rimanere entro lipotesi di emissione di provvedimento giudicato illegittimo. Come si può immaginare, la situazione muta, da un primo angolo visuale, a seconda che si tratti di provvedimenti che dispongono di interessi legittimi oppositivi o pretensivi. Si faccia, ora, lipotesi del provvedimento che incide sulla sfera giuridica del destinatario, disponendo il sacrificio o la compressione, in tutto o in parte, di una sua posizione giuridica. Si ipotizzi, altresì, che il g.a. abbia accertato lillegittimità di un simile atto. Orbene, in tesi generale e in astratto, un simile accertamento, con il conseguenziale annullamento, basta a ripristinare la situazione preesistente allemissione dellatto illegittimo. In simile fattispecie, in altre parole, il "danno ingiusto" provocato dalla p.a. al destinatario del provvedimento sarebbe rappresentato proprio e solo dallillegittimità dellatto, e la riparazione avverrebbe, ipso jure, con lannullamento del provvedimento illegittimo. Dunque, si tratterebbe di reintegrazione in forma specifica, dal momento che qui si realizza -sempre in pura teoria- il ripristino della situazione anteriore, vale a dire quella in essere prima dellemissione (rectius: esecuzione) dellatto illegittimo. Ma si tratta di situazione affatto schematica, che nella realtà potrebbe essere ben più ricca ed articolata. Ed invero, una situazione del genere potrebbe presentarsi solo nel caso che il provvedimento non sia mai stato portato a esecuzione, per via della tempestiva impugnazione davanti al g.a., e della sospensione della sua esecutività, ad opera del giudice, nella fase cautelare del processo. In simile ipotesi, davvero lannullamento dellatto dovrebbe bastare ex se ad esaurire ogni obbligo di riparazione (a meno che non si dimostri, per altra via, la sopravvenienza di altri danni derivanti dallillegittimità in sè), costituendo la reintegrazione in forma specifica dovuta al danneggiato. Una diversa situazione potrebbe presentarsi nel caso che latto sia stato portato a esecuzione (ad es., per intempestiva proposizione della domanda cautelare, o per diniego di sospensione da parte del giudice, ecc.), in tutto o in parte, per un tempo limitato, o per tutta la durata del processo. In simile fattispecie, evidentemente, non basta la rimozione del provvedimento illegittimo per reintegrare la situazione previgente, se lesecuzione dellatto illegittimo ha prodotto effetti irreversibili: mentre lannullamento vale a dire la reintegrazione in forma specifica- ovvierà per lavvenire, per il periodo in cui il provvedimento è stato eseguito, ove non siano possibili forme di ripristino o di restituzione, occorrerà fare luogo alla riparazione per equivalente, vale a dire al risarcimento. E anche possibile, poi, che il provvedimento illegittimo che incide su i.l. oppositivi sia stato portato in toto ad esecuzione, e una reiterazione del medesimo in forme legittime non basti a ripristinare la situazione (si faccia lesempio di unordinanza di sospensione dellattività economica di unimpresa risultata poi illegittima, ma intanto eseguita: in tal caso non vè altro rimedio che il risarcimento del danno, in relazione al periodo di chiusura). Ipotesi particolari ma non certo infrequenti- si presenteranno, poi, sempre in tema di provvedimenti che incidono su posizioni giuridiche in qualche modo ragguagliabili a i.l. oppositivi (o sui veri e propri diritti?), di natura sanzionatoria (ad es., nella materia delledilizia e delluso del territorio). Orbene, trattandosi di ordinanze recanti irrogazione di sanzioni pecuniarie (eseguite), lannullamento dellordinanza risultata illegittima al vaglio del giudice produce la conseguenza della restitutio in integrum: in questo caso la reintegrazione in forma specifica o la restituzione coincide con il pagamento di una somma di denaro, che non configura, dunque, una riparazione per equivalente (risarcimento). Affatto diversa, invece, è lipotesi di sanzione di natura non pecuniaria (afflittiva), bensì ripristinatoria, irrogata con ordinanza di cui venga accertata lillegittimità. In tal caso, il portare a esecuzione lordine di demolizione o di rimessa in pristino dellarea interessata comporta lirreversibilità (in senso relativo) degli effetti dellesecuzione dellordinanza illegittima. Stante una simile situazione, si può pensare che spetterà, prima ancora che al giudice, alla parte vittoriosa scegliere fra la reintegrazione in forma specifica (il che comporterebbe la ricostruzione del fabbricato abbattuto, in ipotesi) ovvero la condanna alla corresponsione di una somma di valore equivalente (risarcimento). Si ritiene, infatti, appicabile a simile fattispecie lart. 2058, in base al quale il diritto di scelta spetta al danneggiato, fermo restando che il giudice potrà dispore il risarcimento ove la reintegrazione risulti eccessivamente onerosa per il responsabile. A parte questo aspetto fondamentale, tuttavia, anche in una simile ipotesi potrebbero riscontrarsi componenti ulteriori di un più vasto e complesso danno ingiusto, come, ad es., nel caso che linteressato invochi, per il periodo di demolizione, e fino alla sua ricostruzione, perdute chances in relazione ai possibili usi, fruttuosi, dellimmobile demolito. Anche nellipotesi che si opti per la riparazione per equivalente, in ogni caso le componenti della somma totale riguarderebbero, una il valore dellimmobile, ed unaltra le perdute opportunità di utilizzazione o investimento(12). Altre classi di ipotesi riguardano i provvedimenti di cui venga accertata lillegittimità- che incidono su interessi legittimi c.d. pretensivi. Al riguardo valgano le considerazioni che ordinariamente si fanno in tema di effetto conformativo delle sentenze relative al giudizio ordinario di legittimità. Per quanto attiene alle problematiche che si pongono con il giudizio sul danno che scaturisce da consimili atti, anche se si possono nutrire perplessità sui modi, è chiaro che realizzare la giustizia in argomento non può prescindere da forme (non di reintegrazione in forma specifica in senso proprio, perchè il provvedimento vanamente richiesto alla p.a. tendeva ad accrescere o mutare in melius- la situazione previgente, bensì) di condanna ad un facere specifico. Il risultato cui devono tendere le misure che il giudice assumerà con le relative sentenze, in altre parole, non può che essere diretto alla finalità di assicurare lutilità che il diniego o linerzia della p.a. hanno impedito allinteressato di conseguire. Occorre fare in modo da far ottenere alla parte risultata vittoriosa in un simile giudizio latto di assenso denegato, ecc., e viene naturale pensare che la sentenza recherà la condanna della p.a. soccombente allemissione dellatto favorevole, e che, nelle more, linteressato sia comunque facultato a svolgere lattività in contestazione (13). In ogni caso, è chiaro che si tratta di soluzioni affini alla reintegrazione in forma specifica, e non propriamente di risarcimento (o, forse più correttamente, di qualcosa che sta a metà strada fra i due istituti giuridici). Ma potrebbero anche presentarsi ulteriori componenti del danno, a somiglianza di quanto si è visto nelle ipotesi precedenti. Conviene, ora, abbandonare lesame di tutte le possibili eventualità, poichè sarà, senza meno, la giurisprudenza ad elaborare soluzioni specifiche in ordine alla casistica che verrà sottoposta ai giudici. Piuttosto, in via di conclusione sullargomento, si possono fare due osservazioni. In primo luogo, sembra implicito in quanto si è fin qui detto che, quanto meno nella materia de qua, non può parlarsi di vera e assoluta alternatività fra reintegrazione in forma specifica e risarcimento: vero è che qui il danno è laspetto prevalente, e che, fra le sue componenti, ben spesso si inseriscono anche detta reintegrazione o le restituzioni (14) (o qualcosa di intermedio). Alla luce di queste considerazioni, sembrano giustificarsi le espressioni usate nellart. 35 (e, prima ancora, nel menzionato parere del Consiglio di Stato), cui si è accennato. In secondo luogo, sembra evidente che, in questa prospettiva di palese giudizio sul rapporto, perde in certo modo di valore il giudizio sullannullamento, che diviene (solo) un presupposto al fine di pervenire al ripristino o al risarcimento: "Il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, è sempre attribuito al giudice amministrativo nellesercizio della giurisdizione esclusiva. Lannullamento finisce con lo svolgere una funzione meramente strumentale rispetto alla pronuncia di merito, che rende cioè effettiva ed immediata giustizia" (15). 5- Il danno: prova; elementi; concorso di colpa del danneggiato; compensatio lucri cum damno (cenni). Circa il carattere (ed anzi la qualità) di ingiustizia del danno, si è detto alquanto. Ora, invece, conviene aggiungere qualche breve considerazione in merito alla prova, agli elementi del danno e ad altri aspetti della disciplina relativa, nonchè ai caratteri dellazione di risarcimento ed agli aspetti più specificamente processuali. Partendo dalla costruzione della responsabilità aquiliana (in cui va inserita quella di cui stiamo discorrendo, come si è accennato), bisogna dire tanto per cominciare- che sul soggetto che agisce per ottenere (oltre, eventualmente, allannullamento dellatto) il risarcimento o la restitutio in integrum, grava lonere di dimostrare lesistenza del danno, conformemente ai principi inerenti a detto tipo di responsabilità (16). Diverso sarebbe, invece, se si trattasse di responsabilità contrattuale, ove, in presenza di inadempimento o adempimento imperfetto o tardivo, lonere di dimostrare lassenza di responsabilità rectius: la non imputabilità- ricade sul debitore (art. 1218 c.c.)(17). In merito allargomento della dimostrazione del danno, ci si chiede se, e in quali modi, sia applicabile al giudizio risarcitorio davanti al giudice amministrativo il consolidato e costante indirizzo giurisprudenziale formatosi in materia civile, in ordine allo sdoppiamento di esso giudizio in due (il primo concernente lesistenza, o meno, del danno, il secondo ai fini della liquidazione del danno in separata sede) (18) e, più in particolare, alla possibilità, per lattore, di chiedere la condanna generica al risarcimento, il che potrebbe avvenire anche sulla base di criteri probabilistici circa lattitudine a produrre danni del fatto accertato, senza pregiudizio del concreto futuro accertamento della sussistenza o meno di tali danni (naturalmente, è stato ritenuto legittimo il rigetto della seconda domanda in caso di esito negativo del giudizio sullan (19), quando, cioè, sia stata accertata linesistenza di qualsiasi danno). Di ciò si dirà, più avanti. Tuttavia, sembra di potere anticipare che, per come è stato strutturato il processo sul danno (cfr. art. 35.2 del D. Lgs. n. 80/98), tale duplicità di giudizi può farsi coincidere, grosso modo, con la quanto meno duplicità di giudizio, suddiviso fra processo sulla legittimità o meno dellatto o del comportamento della p.a. e quello contestuale o conseguenziale- sul risarcimento (o reintegrazione in forma specifica). Proseguendo nel parallelo con quanto accade nella materia civile, si può, forse, affermare, senza tema di andare molto lontano dalla verità, che la facoltà del g.a. di fissare i criteri per la determinazione del danno nella sentenza può, grosso modo, assimilarsi alla condanna generica di pagamento, laddove il giudizio di ottemperanza che segue, nellipotesi di mancato accordo sul danno ex art. 35.2 cit.- potrebbe rapportarsi al giudizio sul quantum che segue indefettibilmente la sentenza di condanna generica. Un fatto è certo: le affinità fra i due giudizi risarcitori valgono e reggono fino ad un certo punto, tanto che il legislatore delegato ha dovuto compiere uno sforzo di adattamento delle nuove competenze del g.a. alle peculiarità del processo amministrativo. Elemento psicologico Se si dovesse seguire più da vicino la teoria della responsabilità aquiliana in materia civile, occorrerebbe dedicare non poco spazio allelemento soggettivo. Qui ci limitiamo ad osservare che, per lart. 2043 ss. c.c., è irrilevante se il fatto sia stato prodotto con comportamento colposo o doloso (ma questo dato normativo del sistema tende ad essere criticato dalla più recente dottrina) (20), perchè, come è stato osservato (21), lart. 2056, per la valutazione dei danni, non richiama lart. 1225 (che, per la r. contrattuale, limita lobbligo di risarcimento dei danni arrecati per colpa ai soli danni prevedibili al tempo in cui è sorta lobbligazione). Invece, con riguardo alle ipotesi di responsabilità civile nascente da reato, si è costretti ad ammettere in più di un caso una differenziazione, quanto meno in ordine al carico risarcitorio, per il fatto che, spesso, per il diritto penale, più grave si appalesa la responsabilità caratterizzata da dolo. In ogni caso può aggiungersi che la colpa desunta, peraltro, dallart. 43 c.p., in mancanza di esplicita norma nella la disciplina della r. civile-, caratterizzata da imperizia negligenza, imprudenza, ecc., si presenta più spesso nei comportamenti omissivi. (Ma, ovviamente, unomissione si può attuare anche con dolo). Poichè, nelle materie devolute alla giurisdizione piena del g.a. dal decreto n. 80/98, la responsabilità nasce, ordinariamente (ma non sempre) da atti e provvedimenti della p.a. (ed anche da comportamenti come linerzia, il ritardo, e così via), occorre avvalersi di un metro diverso, per il fatto che, quanto meno nel primo caso, si tratta per definizione di atti volontari, più precisamente di manifestazioni di volontà dirette ad uno scopo tipico previsto dalla legge per la realizzazione di finalità legate al soddisfacimento di interessi generali o comunque riguardanti gruppi sociali più o meno ampi. Dunque non solo la volontarietà, ma finanche la finalità è come ipostatizzata nellatto, ragion per cui non occorrono indagini sullatteggiarsi della volontà dellagente e, in genere, sullelemento psicologico di questi (a meno che non si tratti di accertare una intenzione dolosa, e dunque una volontà deviata rispetto al fine tipico del provvedimento posto in essere) (22). Queste sintetiche annotazioni mostrano con la ridotta rilevanza dellelemento psicologico dellagente nellattività amministrativa (ma ciò vale in particolare per gli atti)- che il soggetto il quale abbia ricevuto danni da un atto (o comportamento?) illegittimo, se è tenuto a dimostrare lesistenza del danno (ma spesso, occorre dire, il danno è in re ipsa, sorge, cioè, contestualmente allemissione dellatto, di tipo, ad es., ablatorio, trattandosi così soltanto di stabilire se il danno sia contra jus nel caso di atto illegittimo- o secundum jus, nel caso contrario), non ha un onere preciso di dimostrazione della colpa. Le stesse considerazioni consentono di potere affermare, altresì, che, nel tipo di responsabilità di cui stiamo discorrendo, viene in rilievo non tanto la responsabilità dellagente persona fisica, quanto quella dellente o amministrazione o organo. Invece, nel caso che il danno si faccia derivare precipuamente dal dolo, riteniamo che occorra una specifica dimostrazione. Ed invero, in tal caso si ipotizza unintenzione della persona fisica che agisce per la p.a., diretta a conseguire un sua propria finalità, esterna al provvedimento volontà deviata-, cui consegue la produzione del danno al destinatario dellatto (eventualmente anche attraverso lemissione di un provvedimento in sè legittimo). In simile eventualità, sembra potersi affermare che una simile dimostrazione tenda a coincidere con quella delleccesso di potere (o anche, eventualmente, dellabuso dufficio, con ciò configurandosi anche una fattispecie di responsabilità penale, ex art. 323 c.p.). Nesso di causalità. Un discorso non molto dissimile ci sembra che possa essere fatto anche in relazione allaltro elemento della responsabilità, vale a dire il rapporto di causalità tra condotta azione od omissione (in questo caso, in buona parte dei casi il provvedimento)- e levento-danno (alla stregua di un rapporto causa-effetto), per il fatto che tale elemento è diretta conseguenza della concezione soggettiva della responsabilità, "in quanto lindagine sul nesso causale si basa sul comportamento illecito e si domanda se tale comportamento sia stato causa delleffetto dannoso"(23). Tuttavia, ci sembra che, se un simile assunto sia sostenibile in presenza di contestazione di provvedimenti o condotte omissive (di provvedimenti), il tema riemerga allorquando oggetto della controversia sia una finalità personale dellagente, deviata rispetto alla causa tipica del provvedimento amministrativo (come si è accennato retro, parlando dellelemento psicologico). In simile eventualità, invero, si tratta di dimostrare non solo la presenza di detta intenzione deviata, ma, altresì, le conseguenze da essa ricavabili in termini di danno. Il tema del messo eziologico fra azione o condotta dellagente e conseguenze dannose è a sua volta vasto e non esente da suggestioni, andando esso ad investire argomenti di cui si occupano la scienza e la filosofia, e per il fatto che occorre stabilire quale sia il criterio da seguire per ascrivere al soggetto agente le conseguenze dannose (i.e. quale fra le varie teorie sulla causalità prediligere). Dal momento che, secondo quanto si è accennato, lonere della dimostrazione del nesso di causalità per responsabilità derivante da atti illegittimi è piuttosto residuale (come si è appena detto), omettiamo un discorso organico sullargomento. Ci limitiamo soltanto a ricordare che, come accade per lelemento psicologico, la disciplina in materia civile e penale è unitaria (tanto che le regole si desumono, anche per la r. civile, dagli art. 41-43 c.p.); che il criterio adottato dalla giurisprudenza non è assoluto ed univoco (nel senso che non viene privilegiata in assoluta nessuna delle teorie che si contendono il campo sulla causalità), per lo più rifacendosi al criterio (di causalità) ricavabile da un giudizio di probabilità ex ante ovvero di adeguatezza, corretto dal criterio della causalità efficiente (art. 41.2 c.p.), secondo cui, se interviene un avvenimento atto a spezzare la serie causale, di per sè solo sufficiente a produrre levento, è questa causa prossima ad assurgere al rango di causa efficiente esclusiva, non ravvisandosi il nesso di causalità fra lazione dellagente e levento. Valutazione del danno; componenti. Anche sulla composizione e valutazione dei danni, come sulla compensatio lucri cum damno, ci limitiamo ad accenni schematici, non essendo questa unopera dedicata espressamente alla responsabilità della p.a. La teoria della responsabilità esige la risarcibilità tanto del danno emergente che del lucro cessante, sia nella responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale. Invece, rientrando la responsabilità in discorso nel quadro della r. aquiliana, sono ammessi al risarcimento tanto i danni prevedibili che quelli imprevedibili. Infatti, si è già visto che lart. 2056 c.c., parlando di valutazione dei danni, non richiama lart. 1225 (che distingue, per il risarcimento nella r. contrattuale, fra comportamento doloso e colposo). La stessa norma richiama, invece, gli art. 1223 (inclusione nel danno sia del damnum emergens che del lucrum cessans, in quanto, tuttavia, ne siano conseguenza immediata e diretta; ma su questultimo punto la giurisprudenza spesso ha esteso lobbligo di r. anche ai danni mediati o indiretti), 1226 (valutazione equitativa del danno da parte del giudice, quando questo non sia determinabile nel suo esatto ammontare), e 1227 (concorso del fatto colposo del creditore). Questultima disposizione, in particolare, sembra pacificamente applicabile, in talune fattispecie, alla responsabilità da atti illegittimi. Si faccia lipotesi di unordinanza sindacale di demolizione parziale di un fabbricato ritenuto abusivo (limitatamente alla parte interessata dallabuso), provvedimento risultato illegittimo al vaglio del giudice amministrativo, ma portato ad esecuzione o per intempestiva proposizione della domanda di sospensione, o per il rigetto di tale domanda cautelare da parte del medesimo giudice. Si ipotizzi, altresì, che il proprietario dellimmobile proceda erroneamente, in economia, allabbattimento della parte abusiva del fabbricato, oppure che dia disposizioni imprecise o errate allimpresa incaricata della demolizione e che, di conseguenza, venga danneggiato lintero immobile, ovvero una parte maggiore di quella interessata dallordinanza sindacale. In un caso simile, si deve ammettere che lobbligo di risarcimento dellamministrazione si estende non allintero pregiudizio, ma si limiti ad una parte soltanto (i.e. quella rapportata alla parte di fabbricato cui si riferiva lordinanza sindacale). Dunque, le regole sul concorso di colpa del danneggiato, anche se non frequentissimamente, troveranno, presumibilmente, applicazione anche nella materia della responsabilità della p.a. per atti illegittimi. Compensatio lucri cum damno. Anche le regole relative a detto istituto potranno, in qualche fattispecie, trovare applicazione nella nuova giurisdizione piena per responsabilità da atti o comportamenti illegittimi della p.a. Un esempio potrebbe configurarsi riprendendo, con adattamenti, lipotesi appena fatta in relazione al concorso di colpa del creditore. Si tratta di una o parziale elisione di danni e vantaggi che si pongano entrambi quali conseguenze del medesimo fatto illecito (qui, illegittimo), nel senso che deve sussistere il nesso di causalità non soltanto fra condotta e danno ma anche, al tempo stesso, fra la stessa condotta e il vantaggio. Infatti, la giurisprudenza (24) ha escluso tale compensazione allorquando abbia ritenuto che il vantaggio derivato al danneggiato non sia stretta conseguenza della condotta illecita, ma sia causalmente collegabile a una diversa origine. Nellesempio fatto, si potrebbe ipotizzare un incremento di valore dellimmobile demolito in toto anzichè parzialmente, a seguito della sua contestuale ristrutturazione o modifica, ecc. Poichè non potrebbe, in simile eventualità, ricollegarsi direttamente l'incremento di valore allordinanza di demolizione illegittima, la compensatio dovrebbe escludersi. Alquanto nutrita è, poi, la casistica collegabile al vantaggio derivato al proprietario del fondo da occupazione divenuta illegittima per protrazione oltre il biennio: la compensazione è stata esclusa quando detto vantaggio non era collegabile causalmente al comportamento illegittimo dellamministrazione (25). 6- Azione di condanna al risarcimento e azione di annullamento Dedichiamo, ora un po di attenzione a taluni degli aspetti processuali della nuova disciplina. Ed invero, a differenza delle pregresse previsioni normative di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (episodiche e frammentarie), per quanto riguarda il processo, ci troviamo, ora, davanti a disposizioni che sembrano farsi carico della natura e dellentità dei problemi posti al g.a. con la devoluzione di questo nuovo tipo di giurisdizione che non è più, riteniamo, un esempio classico di giurisdizione esclusiva, poiché lestensione della cognizione ai diritti patrimoniali conseguenziali, e alle liti finalizzate alla reintegrazione patrimoniale, quanto meno deve indurre a definirla come giurisdizione piena- e dunque ad innovazioni di un certo respiro, che anticipano, in qualche modo, quella riforma del processo amministrativo più volte tentata in passato, con esito pressochè nullo. Daltra parte, rilevata detta relativa organicità della nuova disciplina, si tratta di decifrarla, chiarendo come si svolgeranno i processi nelle materie interessate dalla nuova giurisdizione esclusiva (piena) del g.a., a partire dallinstaurazione dellazione e passando attraverso listruzione probatoria, ecc.; in secondo luogo, occorrerà accertare se detta disciplina troverà applicazione anche alla giurisdizione esclusiva preesistente (cosa che appare più che probabile), nonchè anche agli altri tipi di giudizio, fra cui, principalmente, quello ordinario di legittimità (cosa, invece, meno probabile). Infine, converrà chiarire i rapporti fra lazione di annullamento e quella di risarcimento e/o di reintegrazione in forma specifica. Il discorso potrà apparire, forse, più organico iniziando proprio da questultimo profilo. Le norme che hanno dettato la disciplina riformatrice della giurisdizione in discorso, pur alquanto articolate, non chiariscono i rapporti fra la tradizionale azione impugnatoria, diretta ad ottenere lannullamento del provvedimento illegittimo, e quella di condanna, diretta ad ottenere la reintegrazione patrimoniale, nella forma del risarcimento del danno ingiusto e/o della reintegrazione in forma specifica. Ma, nondimeno, il problema esiste. Mentre in passato, invero, il soggetto che intendesse ottenere la reintegrazione patrimoniale era costretto ad instaurare un duplice ordine di giudizi, per di più davanti a due diversi giudici, ora beninteso, nelle (sole) materie interessate dalla riforma- è grandemente facilitato, potendo incardinare entrambe le azioni davanti al medesimo giudice. Ma, ci si chiede: a) è tenuto, detto soggetto, ad instaurare, separatamente, due distinte azioni, ovvero, nel contesto di un unico ricorso, potrà formulare sia la domanda di annullamento, sia quella rivolta ad ottenere la condanna alla reintegrazione patrimoniale (evidentemente in via subordinata, dipendendo lesito della seconda dallaccoglimento, o meno, della prima)? b) Potrà, eventualmente, linteressato trattandosi di controversie concernenti diritti- rivolgere al giudice adito soltanto la seconda domanda (e ciò, segnatamente, nellipotesi che egli abbia lasciato trascorrere invano il termine di decadenza per limpugnazione del provvedimento)? (26) La risposta alla prima domanda sembra contenuta nella norma stessa. In particolare, lart. 35.1, recita, testualmente: "Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto". La lettera della norma sembra deporre senzaltro per linterpretazione nel senso che di controversia unica deve trattarsi (o, ordinariamente, si tratta). Sembra, cioè, che il soggetto interessato a contestare un provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo (e per questo lesivo nei suoi confronti), e a trarne le conseguenze di ordine risarcitorio o comunque in termini di reintegrazione, possa, al duplice fine di ottenere lannullamento del provvedimento e la reintegrazione, aprire una sola controversia. In sostanza, il soggetto che proponga il ricorso diretto allannullamento, nel contesto del medesimo atto introduttivo del ricorso, potrà senzaltro formulare anche la domanda di risarcimento e/o di reintegrazione in forma specifica. Un ricorso siffatto conterrà, in altre parole, una domanda formulata in via principale, volta ad ottenere, con la declaratoria dellillegittimità dellatto, lannullamento di questo, ed unaltra, ordinariamente formulata in via subordinata allaccoglimento della precedente, diretta ad ottenere la condanna alla reintegrazione. Si tratterà, cioè, dellinstaurazione di due azioni di annullamento e di condanna- nel contesto di un unico ricorso. La cosa non è certo nuova, dal momento che nella giurisdizione esclusiva (segnatamente quella sul pubblico impiego) è usuale rivolgere al g.a. due domande con un solo ricorso, di accertamento del diritto e di condanna. (Certo, in questultimo caso il nesso fra le due domande è strettissimo, ed anzi la condanna, si può dire, è laltra faccia dellaccertamento, o riconoscimento del diritto; tuttavia, è innegabile che anche nel caso in esame il collegamento fra le due domande, per quanto mai si sia presentato in passato, è ugualmente stretto, sebbene la seconda domanda, subordinata alla prima, attenga a questioni che, a volte, si pongono in ordine alle conseguenze solo eventualmente discendenti dallaccoglimento di questa). A dire il vero, la formulazione letterale della norma potrebbe indurre a pensare che non occorra nemmeno, per il ricorrente, formulare la domanda (in via subordinata) di risarcimento o di reintegrazione in forma specifica; si potrebbe sostenere, cioè, che il giudice, una volta accertata lillegittimità del provvedimento e annullatolo, di seguito -ove consideri il tipo di illegittimità (27) accertata quale fatto causale di un danno ingiusto, e dunque fonte di un obbligo di risarcimento- con la stessa sentenza possa disporre il risarcimento medesimo. Peraltro, riteniamo che non possa condividersi una simile prospettazione, siccome in contrasto con il principio della domanda, che domina il nostro sistema processuale. Vero è che ci sono casi determinati di condanna pur in mancanza di domanda di parte (come suol dirsi, ex officio): si pensi allart. 429 c.p.c., il quale, nelle cause di lavoro, prevede che il giudice, "quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme per crediti di lavoro" (nella portata della previsione normativa la giurisprudenza ha, poi, attratto anche i crediti previdenziali, data laffinità di natura giuridica, qui c.d. di retribuzione differita), dispone la condanna al pagamento anche degli interessi legali e del maggior danno dovuto alla svalutazione monetaria. Tuttavia, le due fattispecie normative non sono paragonabili, poichè nellipotesi di cui allart. 429 c.p.c. ci si trova di fronte oltre che ad unesplicita previsione normativa derogatoria- a prestazioni accessorie rispetto al credito principale, di cui si controverte (del quale non mutano la natura giuridica), e di determinazione del quantum relativo (28). Dunque, la sentenza contiene (a rigor di termini) non due capi di condanna, bensì uno soltanto, concernente un credito che ha varie componenti, ma ascrivibili tutte alla medesima ratio e natura: sorte capitale; interessi; rivalutazione monetaria). Nel caso dellart. 35, invece, si tratta di due distinti giudizi per quanto strettamente collegati da un nesso di conseguenzialità logico-giuridica- ed anzi di una pronuncia su due distinte domande. Pertanto si ritiene che il g.a., ove sia investito della sola domanda di annullamento, in caso di accoglimento, emetterà soltanto una sentenza (di tipo costitutivo) che dispone lannullamento. Certamente, bisogna dire che una consimile sentenza potrà costituire il presupposto per la eventuale azione di condanna successiva, da ritenere, fra laltro, legata ai tempi della prescrizione e non di decadenza (come accade, invece, per lazione di impugnazione), a somiglianza di quanto accadeva per il passato. Soltanto, con la nuova disciplina, anche questa seconda (eventuale) domanda va rivolta allo stesso giudice che si è pronunciato sullillegittimità del provvedimento (il che non è poco, come si è più volte chiosato). Nulla, poi, impedirebbe, ovviamente, al giudice di inserire nella sentenza che pronuncia sullannullamento eventuali obiter dicta che affermino tanto che l'illegittimità riscontrata può costituire fonte di risarcimento, tanto che ciò non può accadere, in considerazione del tipo di vizi riscontrati nellatto. Premesse queste considerazioni circa i rapporti fra le due azioni (o le due domande), conviene soffermarsi su questultimo punto: si deve ritenere che ogni tipo di vizio riscontrato nellatto, costituisca, al tempo stesso, presupposto per lannullamento e per la reintegrazione patrimoniale? Oppure diverse possono essere le conseguenze agli uni e agli altri effetti? Secondo unimpostazione ortodossa e tradizionale, dovrebbe ritenersi che qualsiasi tipo di vizio che inficia latto conduca al suo annullamento, sia esso attinente, usando unespressione ellittica, alla forma (i.e. al procedimento, allorganizzazione, agli obblighi prescritti dalle norme circa il deliberare, verbalizzare, e così via), sia che riguardi, invece, prescrizioni di tipo sostanziale, nel senso che disciplinano quello specifico rapporto o quella data materia, ecc (come, ad es., unerronea o falsa interpretazione, o mancata applicazione delle norme che pongono requisiti, condizioni, ecc., per il rilascio del provvedimento richiesto o comunque dovuto dallamministrazione, o regolano i rapporti fra p.a. e privato nascenti dal provvedimento, ecc.). Daltra parte, è noto che vi sono non pochi vizi che inducono il giudice che li abbia riscontrati a non annullare il provvedimento impugnato, secondo lottica del raggiungimento dello scopo (come accade, ad es., nei casi in cui venga invocata la violazione degli art. 7 ss. della legge n. 241/90, allorquando il giudice, pur accertando lesistenza di detta violazione, riscontri che, aliunde, il ricorrente era venuto a conoscenza dellavvio del procedimento, ovvero vi aveva comunque partecipato, secondo un indirizzo giurisprudenziale alquanto consolidato o anche, in ipotesi di violazione dellobbligo, sancito dallart. 5 del D.L. n. 316/89 conv. in L. 28 febbraio 1990 n. 39 e, ora, dallart. 2.5 della legge 6 marzo 1998 n. 40, di comunicare ai cittadini extracomunitari i provvedimenti di espulsione, e simili in una lingua conosciuta ovvero in lingua francese, inglese o spagnola, allorquando si accerti che linteressato aveva compreso il contenuto del provvedimento). Altri, poi, osserva che "già esistono decisioni del giudice amministrativo, rese in giudizi di pubblico impiego e inerenti ad attività vincolate dellamministrazione, secondo le quali il giudice non annulla latto impugnato qualora, pur riconoscendo fondato uno dei vizi denunciati, dal complessivo esame della vicenda controversa deduca che linteresse sostanziale perseguito dal ricorrente non può essere soddisfatto in sede di rinnovazione dellattività amministrativa"(29). Fin qui si sono riportati esempi in relazione a casi di mancato annullamento dellatto, riconosciuto legittimo dal giudice nonostante lo stesso fosse inficiato da quei vizi, sulla base del riconoscimento che, essendo stato raggiunto lo scopo (come si è detto), si tratta, in buona sostanza, di difetti i quali, si può dire, vitiantur sed non vitiant. Per contro, il più delle volte accade che il giudice acceda alle tesi sostenute dal ricorrente e che annulli il provvedimento inficiato da vizi di sola forma, data la loro rilevanza. Basterà questo, nel contesto della giurisdizione piena ci si chiede- a giustificare anche, in ogni caso, la condanna al risarcimento? A nostro avviso, non ogni pronuncia di annullamento comporterà anche la condanna alla reintegrazione patrimoniale (ciò si può tradurre in altre parole, dicendo che non ogni motivo di illegittimità dà senzaltro luogo al verificarsi di un danno ingiusto). Deve ritenersi, in conclusione, che il riconoscimento dellesistenza di un danno risarcibile o di una situazione da ripristinare non sia, sempre e comunque, unautomatica conseguenza dellaccertamento di illegittimità di un atto amministrativo. In altri termini, lannullamento dellatto è condizione necessaria ma non sufficiente per il riconoscimento del diritto al risarcimento. Ed invero, anche ammettendo che il giudice, in fattispecie del tipo di quelle appena riportate, emetta sentenza di annullamento del provvedimento conclusivo, ad es., per lesistenza, riscontrata, della violazione dellart. 7 o 8 della legge n. 241/90, non per questo ciò comporterà di per sè solo lesistenza di un danno risarcibile. A meno che non si invochino danni inerenti al ritardo, ovvero al fatto stesso che il procedimento dovrà essere reiterato (ad es., per il ritardo con cui verrà definito lassetto di rapporti con la p.a.), sembra che non ci sia spazio, in casistiche del genere, per una condanna al risarcimento. Infatti, ordinariamente la p.a. sarà tenuta (soltanto) a rinnovare il procedimento, partendo dal primo atto della sequenza riconosciuto illegittimo. In simile ipotesi, accadrà che la sentenza sarà di accoglimento per quanto concerne la prima domanda, e di rigetto per la seconda. Sarebbe, poi, molto interessante svolgere unanalisi dei rapporti fra il tipo di vizio o di illegittimità riscontrato da un lato, e il diritto al risarcimento, non solo quanto allan (del che si è detto, per quanto sommariamente), ma specialmente in ordine al quantum. Infatti, nemmeno deve ritenersi certo che la violazione di una norma inerente alla disciplina sostanziale del rapporto ingeneri senzaltro un diritto al risarcimento: tutto dipende dalla fattispecie concreta, dallandamento della vicenda e più ancora dal contenuto del provvedimento e del ricorso: tanto per abbozzare un esempio, il provvedimento impugnato può contenere misure sfavorevoli al destinatario, adducendo lassenza di requisiti o condizioni per così dire, di carattere preliminare, senza addentrarsi oltre nellesame della fattispecie concreta. Orbene, nellipotesi che un simile provvedimento venga impugnato unicamente con linvocazione del vizio di violazione di legge per erronea interpretazione o mancata applicazione di specifiche norme (senza apportare elementi anche ulteriori rispetto a quelli preliminari), il giudice che riconosca fondato il ricorso ed accerti, pertanto, lillegittimità dellatto, non potrà, verosimilmente, disporre una reintegrazione in forma specifica o una misura risarcitoria (a parte lipotesi del ritardo, cfr. retro), dovendo ancora lamministrazione apprezzare nel merito listanza, alla luce della sentenza. Peraltro, un discorso che si avventurasse in analisi certamente ricche e articolate, non potrebbe, per ora, che essere di tipo congetturale. E preferibile, di conseguenza, attendere che sia stato elaborato un minimum di giurisprudenza prima di affrontare un discorso del genere. 7- Domanda di risarcimento disgiunta dallazione impugnatoria. Occorre, a questo punto, esaminare lipotesi insita nel secondo interrogativo che ci siamo posti, vale a dire cosa accade allorquando linteressato trascuri di impugnare il provvedimento lesivo nei termini di legge, e, in un secondo tempo, proponga la domanda di reintegrazione patrimoniale sulla base di quel provvedimento. Ci si chiede, in altri termini, se si debba ritenere imprescindibile lazione di annullamento, e si debba conseguenzialmente- ritenere vincolata al rispetto dei termini di decadenza non solo questultima, ma anche lazione di risarcimento o reintegrazione in forma specifica. A tale proposito si è sostenuto "che la tempestiva impugnazione dellatto autoritativo che determina la situazione risarcibile costituisca presupposto indispensabile se si vuole evitare che la fattispecie rimanga disciplinata da un provvedimento che linteressato aveva lonere di impugnare e che non ha impugnato", e che lazione di condanna non congiunta a quella di annullamento si possa ammettere solo allorquando ci si trovi al cospetto di "illegittima omissione di provvedimenti dovuti"(30). Lassunto non ci trova del tutto concordi, pur inserendosi in unottica, per così dire, ortodossa, per due ordini di ragioni: in primo luogo, sarebbe pur sempre necessaria secondo quanto si desume, implicitamente, dallo stesse espressioni usate- una fase del giudizio "prodromica" diretta ad accertare se lomissione del provvedimento fosse illegittima o meno (ovvero, al contrario, se il provvedimento fosse dovuto o meno), a somiglianza di quanto avviene nel caso di impugnazione dellatto; in secondo luogo, così ragionando, innegabilmente si porrebbero limiti allesercizio di unazione concernente diritti, costringendola nei limiti del termine di decadenza, laddove andrebbe applicati quello di prescrizione (come chiarito, del resto, dalla stessa giurisprudenza resa su materie già in passato sottoposte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo). Si tenga presente che le conseguenze di un simile argomentare troncherebbero drasticamente il diritto alla reintegrazione patrimoniale, frustrando le relative aspettative, anche in ipotesi di notevole gravità del danno ingiusto, ed anche quando i termini per limpugnazione (in verità troppo brevi se rapportati allesercizio di un diritto) potrebbero essere trascorsi per un comportamento non del tutto colpevole dell'interessato (il quale potrebbe, ad es., avere confidato in promesse o aperture dellamministrazione, poi disattese). Per queste ed altre ragioni propenderemmo, piuttosto, a ragionare in termini di disapplicazione, in maniera analoga a quanto accade, nellimpostazione teorica classica, nellipotesi in cui venga adito il giudice ordinario con linstaurazione di una vertenza incentrata su una pretesa relativa a diritti soggettivi. In simile situazione, come è noto, il g.o., ove debba al fine di decidere la vertenza con la p.a.- conoscere di un provvedimento amministrativo inerente alla fattispecie sottoposta al suo esame, lo può fare in via incidentale, con la conseguenza che, ove lo riconosca illegittimo, lo disapplica e risolve la contesa prescindendone del tutto, considerandolo tamquam non esset. In una simile prospettazione premesso che, in linea di principio, sarebbe doverosa limpugnazione del provvedimento dalla cui assunta illegittimità si deduce il diritto al risarcimento- lomessa impugnazione nei termini, a maggior ragione in caso di errore (di diritto) scusabile o di altra causa di giustificazione, non dovrebbe condurre ad una sentenza di inammissibilità. Invece, il giudice dovrebbe ugualmente addentrarsi nellesame del merito della controversia, previo giudizio in via incidentale sulla legittimità del provvedimento ovvero del comportamento omissivo "a monte" dellazione risarcitoria, e decidere per la disapplicazione del provvedimento ove questo risultasse, da questo giudizio incidentale, illegittimo, con effetti limitati inter partes (31). Il giudice amministrativo dovrebbe porsi, cioè, in posizione in tutto analoga al giudice ordinario, in passato detentore di questa giurisdizione, anche al fine di evitare difformità fra loperato dei due ordini giurisdizionali. Daltronde, si ricorda che, ancora oggi, appartiene al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie inerenti ai diritti patrimoniali conseguenziali nelle materie non incluse nella giurisdizione piena (ex art. 33-35 del D. Lgs. n. 80/98) che stiamo esaminando. Non si giustificherebbe, pertanto, un diverso modus operandi. (Questa osservazione ci induce a ritenere che le modifiche allordinamento che stiamo illustrando, nei tempi medio-lunghi, prefigurano qualcosa in più di una tendenza allunificazione della giurisdizione, con specifico riferimento ai modi di amministrare giustizia). Bisogna, ora, accennare al quesito se lazione diretta al risarcimento o alla reitegrazione in forma specifica si possa instaurare anche con riguardo a provvedimenti o comportamenti della p.a. già giudicati illegittimi con sentenza resa anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova disciplina (1 luglio1998). Preliminarmente ricordiamo che la legge (art. 45.18) dispone, in ordine alle controversie a quella data pendenti, che le stesse proseguono davanti al giudice competente. Dunque, non si verificano passaggi di giurisdizione per le cause in itinere. Quanto al quesito posto, riteniamo che non possa escludersi lammissibilità di una domanda di reintegrazine patrimoniale avanzata (allevidenza, disgiuntamente dalla domanda di annullamento) in relazione a pregresse sentenze di annullamento del g.a., davanti al medesimo giudice. Di regola linstaurazione di una simile azione dovrebbe ammettersi entro il termine di prescrizione; tuttavia, nellipotesi che si propenda per la soluzione della proposizione delle domande congiuntamente, e con le regole delle domande impugnatorie (su cui retro), quanto meno una simile possibilità andrebbe consentita entro il termine di decadenza dalla data di entrata in vigore delle nuove norme. Italo Franco (Consigliere nel TAR Veneto) NOTE: 1) Invece va rilevato che la giurisprudenza del g.o.
tende a qualificare come diritti soggettivi le posizioni
individuali incise dai provvedimenti c.d. di secondo grado con i
quali vengono rimossi vantaggi attribuiti al medesimo soggetto
con precedenti atti della p.a. accrescitivi della sfera giuridica
del destinatario (a fini di ammissione alla tutela risarcitoria).
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