inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2002

 

Il punto sul diritto di accesso

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di Daniela Giannone

 

1.         La legge 7 agosto 1990 n.241, intitolata “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, dedica un intero capo, il V, alla disciplina del diritto di accesso. Si tratta del primo intervento normativo che dà una regolamentazione generale della materia, prima prevista solo da leggi di settore quali la l. 8 luglio 1986 n.349 istitutiva del Ministero dell’ambiente, o dalle diverse leggi sugli enti locali (sia la l. 27 dicembre 1985 n.816 che la l.8 giugno 1990 n. 142). Si tratta di un’importante innovazione nel nostro sistema che incide tanto sui rapporti tra cittadini e autorità, quanto sull’organizzazione e sul funzionamento della Pubblica Amministrazione; innovazione che costituisce un’applicazione dei principi di trasparenza e pubblicità che devono reggere l’attività amministrativa nel suo complesso.

La legge 241/1990 infatti, prevede una disciplina compiuta ed organica dell’accesso agli atti amministrativi nei confronti di tutte le Pubbliche Amministrazioni, diversamente dalla legge sulle autonomie locali (l.142/1990) che all’art. 7 attribuisce ai cittadini il diritto di accesso esclusivamente nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali e provinciali.

 Essa, inoltre, con un intervento dal forte valore simbolico, modifica la disciplina vigente sul segreto d’ufficio contenuta all’art. 15 dello statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957 n.3), disciplina fondata su una concezione soggettiva in base alla quale non erano individuati contenutisticamente gli atti coperti da segreto, quanto piuttosto questo copriva qualsiasi atto proveniente dall’amministrazione. Il segreto sugli atti amministrativi era considerato uno strumento per garantire il buon andamento della Pubblica Amministrazione, ed era strettamente connesso ad un’attività amministrativa fondata sul modulo dell’esercizio del potere, attività che non conosceva, se non in ipotesi tassativamente determinate, forme di partecipazione e collaborazione dei privati e nell’ambito della quale l’accesso agli atti amministrativi si riteneva inutile e superfluo. L’obbligo del segreto costituiva una caratteristica peculiare del rapporto di pubblico impiego ed era strettamente connesso ad un’amministrazione gerarchicamente organizzata. Un’amministrazione con tali connotazioni si rivelava in realtà distante dal modello tracciato nella Costituzione, modello basato sul riconoscimento delle autonomie locali e sull’attuazione del decentramento amministrativo (art.5 Cost.), sulla partecipazione dei cittadini alle compagini sociali e quindi anche all’amministrazione, partecipazione che postula un’attività amministrativa non necessariamente unilaterale bensì anche partecipata (art.2 Cost.), sul buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione (art.97 Cost.) che sono in qualche modo garantiti dalla partecipazione del privato all’amministrazione.

L’art. 28 della l.241/1990 stabilisce importanti innovazioni in relazione al segreto d’ufficio: è stata esclusa la violazione del segreto d’ufficio ogni volta che la divulgazione d’atti e notizie avvenga in conformità alle norme sul diritto d’accesso, è stato previsto il dovere di rilasciare copie in assenza di un esplicito divieto posto dall’ordinamento, è stato eliminato il limite all’accesso agli atti amministrativi dovuto alla generica possibilità che dall’accesso derivi un danno all’amministrazione.

 In questo modo la disciplina del diritto d’accesso diventa strumento di attuazione concreta del principio di pubblicità che, insieme all’efficacia e all’economicità, costituisce criterio sul quale deve reggersi l’attività amministrativa ai sensi dell’art. 1 della l.241/1990; principio che assicura la trasparenza e quindi l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, grazie anche all’apporto dialettico degli interessati alla formazione degli atti amministrativi.

La disciplina sull’accesso ha, però, un contenuto più ampio rispetto alla disciplina del procedimento, e la sua applicazione concreta non s’inserisce necessariamente in una vicenda procedimentale nell’ambito della quale si ponga un’esigenza di accesso; tale esigenza può porsi autonomamente, a prescindere da un’istruttoria procedimentale. Il collegamento tra le due discipline (quella sull’accesso e quella sul procedimento) è effettuato dall’art. 10 l. 241/1990 che afferma il diritto dei soggetti che partecipano al procedimento di “prendere visione degli atti del procedimento”, salvi i limiti fissati dall’art.24 in via generale all’esercizio del diritto d’accesso.

L’oggetto del diritto d’accesso è individuato in modo estensivo in “ ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 22 2° c.). In tal modo il diritto d’accesso è esercitabile sia sugli atti formati dall’amministrazione, sia su atti formati da privati ma di cui l’amministrazione si avvale. La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che l’espressione «atti interni» si riferisca non solo ai provvedimenti in possesso della Pubblica Amministrazione, ma anche agli atti antecedenti la formazione del provvedimento[1].

2.         Titolare del diritto d’accesso è “chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”; il progetto Nigro prevedeva una formula più ampia, facendo riferimento a tutti i cittadini ed introducendo così una sorta di “azione popolare”. L’espressione «situazione giuridicamente rilevante» adottata dal legislatore limita l’area di applicazione di tale normativa ai titolari di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo, mentre è discussa la rilevanza, ai fini dell’esercizio del diritto d’accesso, degli interessi diffusi. La giurisprudenza ha progressivamente ampliato l’ambito di operatività del diritto di accesso, offrendo una nozione viepiù estesa di “situazione giuridicamente rilevante”.Così il diritto d’accesso è stato riconosciuto anche alle associazioni ed enti esponenziali aventi carattere rappresentativo, sempre che l’oggetto dell’istanza sia pertinente ai fini statutari; è stato inoltre ritenuto che tali organizzazioni, seppur non dotate di personalità giuridica, siano soggettivamente individuate e siano portatrici di interessi propri ed autonomi rispetto a quelli, esclusivi o diffusi, dei singoli. E’ stata così riconosciuta la legittimazione del Codacons ad accedere alle determinazioni inerenti al servizio di trasporto ferroviario[2]; in materia sanitaria, è stato riconosciuto l’accesso all’Associazione per la tutela del diritto del malato al fine di ottenere informazioni sulle caratteristiche e sull’efficacia terapeutica di un farmaco[3]. In materia di procedimenti concorsuali in cui viene in rilievo la presenza di un interesse giuridico alla regolarità della selezione ed all’accertamento dell’utilizzo del medesimo metro di valutazione per tutti i candidati, il Consiglio di Stato, non ha accolto la distinzione, sostenuta dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, tra candidati che hanno superato le prove, i quali farebbero valere un eccesso di potere in senso relativo per la corretta collocazione in graduatoria, e candidati che non hanno superato le prove, che farebbero valere un eccesso di potere in senso assoluto, non comparativo, e quindi potrebbero lamentare solo la valutazione negativa della prova e ottenere l’accesso solo al proprio elaborato[4]. La giurisprudenza amministrativa ha infatti evidenziato la difficoltà di stabilire una sicura distinzione tra l’eccesso di potere assoluto e quello relativo.

Anche alla stampa[5] è stato riconosciuto l’accesso agli atti non riservati della Pubblica Amministrazione che presentino interesse per i lettori, in conformità alla posizione della Corte Costituzionale secondo cui la libertà d’informazione comprende anche la libertà di acquisizione delle notizie. L’accesso è pieno anche nell’ambito dei procedimenti sanzionatori, persino nel caso in cui gli atti richiesti siano inerenti ad indagini di polizia; anche in caso di archiviazione del procedimento continua a sussistere l’accesso alla documentazione amministrativa al fine di eventuali azioni risarcitorie[6].

 

Nell’ambito di procedimenti ispettivi il soggetto vanta un interesse qualificato a conoscere il contenuto di tutti gli atti amministrativi utilizzati dall’autorità di controllo; a tal proposito il Consiglio di Stato ha escluso che il soggetto con funzioni ispettive usufruisca di una «zona franca» d’applicazione della normativa sul diritto d’accesso[7].

La giurisprudenza ha infine distinto il diritto d’accesso dall’interesse processuale[8], infatti, il soggetto titolare dell’accesso non necessariamente coincide con il diritto alla tutela giurisdizionale; l’esercizio del diritto d’accesso presuppone infatti l’esistenza di un interesse alla conoscenza del documento che potrebbe non essere idoneo a legittimare l’impugnativa dinnanzi al giudice amministrativo del documento oggetto dell’accesso.

3.         I soggetti nei cui confronti è esercitabile il diritto di accesso sono le amministrazioni dello Stato, comprese le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi; l’originaria previsione dell’art. 23 della l.241/1990, infatti, è stata ampliata dalla l. 265/1999 che fa riferimento ai gestori di pubblici servizi. Prima di tale estensione legislativa si riscontravano opposte posizioni giurisprudenziali; vi era un orientamento restrittivo per il quale il diritto d’accesso sarebbe esercitabile esclusivamente riguardo ad atti emanati per conto dell’ente concedente[9]; successivamente l’Adunanza plenaria[10] ha chiarito che l’attività del concessionario, quando si manifesta nella gestione di interessi pubblici, rientra nell’ambito d’applicazione dell’art.97 Cost. non in quello dell’art.41 Cost. che tutela la libertà di iniziativa economica, quindi deve attenersi ai principi della trasparenza e del buon andamento, rendendo accessibili gli atti adottati. L’accesso è esercitabile nei confronti del gestore di servizio pubblico sia con riferimento alle procedure di evidenza pubblica, sia in relazione alle modalità di gestione del servizio pubblico, sia riguardo alla «residua attività», allorché si rinvenga un interesse pubblico prevalente rispetto a quello imprenditoriale; per valutare tale prevalenza occorre considerare il carattere concreto del servizio svolto, la previsione di eventuali carte di servizi, il regime dell’attività, se esercitata in un contesto di esclusività ovvero in regime di concorrenza. Non sono invece accessibili gli atti di una società per azioni che sia concessionaria di beni pubblici ma non di un pubblico servizio.

Una questione dibattuta in giurisprudenza è l’accesso agli atti dell’amministrazione aventi carattere privato. Un primo orientamento giurisprudenziale[11] riteneva il diritto d’accesso riferibile esclusivamente all’attività amministrativa di tipo pubblicistico, affermando che esso non era esercitabile laddove l’amministrazione agisca iure privatorum. Infatti, si sosteneva che lo scopo della l.241/1990 era quello di ottenere il buon andamento, la correttezza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione quando questa si presenti come autorità, e in questa prospettiva il diritto d’accesso era considerato come una sorta di contrappeso posto in favore del soggetto amministrato quando l’amministrazione agisca utilizzando potestà pubblicistiche. Di conseguenza, nel caso in cui l’ente agisca utilizzando moduli di diritto comune non vi sono ragioni sufficienti a giustificare “l’intromissione” del privato mediante l’esercizio dell’accesso.Un orientamento giurisprudenziale estensivo escludeva qualsiasi limitazione all’accesso derivante dalla distinzione tra attività pubblicistica e attività privatistica dell’amministrazione. Tali decisioni si fondano su una nozione allargata di documento amministrativo: sotto un profilo oggettivo sono da considerare amministrativi gli atti comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa, e sotto un profilo soggettivo si riconosce l’accesso anche nei confronti dei concessionari di pubblici servizi[12]. Il diritto d’accesso viene riferito all’attività amministrativa oggettivamente intesa, comprensiva sia dell’attività regolata dal diritto amministrativo, sia di quella disciplinata dal diritto comune.  Occorre rilevare infine una terza posizione che afferma la possibilità dell’accesso agli atti amministrativi di diritto privato allorché detti atti accedano ad un’attività che, a prescindere dal regime giuridico formale, costituisca cura concreta di interessi pubblici. L’accesso viene invece escluso nei confronti dell’attività privatistica del tutto disancorata dall’interesse pubblico di settore istituzionalmente rimesso alle cure dell’apparato amministrativo[13]. In tale contesto è intervenuta l’Adunanza plenaria[14], riconoscendo il diritto d’accesso nei confronti di qualsiasi tipologia di attività della Pubblica Amministrazione. Viene superata la tradizionale ripartizione tra attività privatistica e attività pubblicistica della Pubblica Amministrazione; si afferma infatti che può aversi attività amministrativa non solo quando l’amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando utilizzi, per i suoi fini istituzionali, strumenti di diritto comune. Inoltre, è posto in evidenza come la più recente legislazione, al fine di individuare il proprio ambito applicativo, abbia superato la distinzione tra soggetti pubblici e privati e il criterio della natura dei relativi atti, così ad esempio la legge 21 luglio 2000 n.205 in materia di appalti pubblici fa riferimento a soggetti che sottostanno alla normativa comunitaria.

4.         Il diritto d’accesso può essere esercitato mediante l’esame e l’estrazione di copia dei documenti secondo le modalità stabilite dalla stessa legge 241/1990 che opera un ampio rinvio ai regolamenti governativi e delle singole amministrazioni. A tal proposito il d.P.R. 27 giugno 1992 n.352 ha individuato tre diversi gradi di esercizio del diritto d’accesso. Esso è innanzi tutto assicurato mediante la pubblicazione, il deposito o altra forma di pubblicità (come l’utilizzo di strumenti informatici elettronici e telematici) dei documenti di cui sia consentito l’accesso. Inoltre esso può essere esercitato in modo “informale”, mediante la richiesta, anche verbale, di accedere all’informazione ed ai documenti, ovvero in modo “formale”, a seguito del quale s’instaura un vero e proprio procedimento retto dai principi generali. L’accesso formale può essere sempre prescelto dall’interessato, in luogo di quello informale. Viene tuttavia imposto all’Amministrazione, a fronte di una richiesta informale, nei casi in cui non sia possibile l’accoglimento della richiesta in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite o sull’accessibilità del documento. La giurisprudenza ha chiarito che dalla domanda deve chiaramente risultare la riferibilità della documentazione al soggetto richiedente e l’interesse vantato. L’art.25 afferma la gratuità dell’esame, mentre il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso delle spese di produzione. La richiesta deve essere indirizzata all’amministrazione che ha formato o detiene il documento: in caso di presentazione ad un’amministrazione incompetente, questa è tenuta a trasmetterla all’amministrazione competente. La richiesta, sia essa formale o informale, deve essere motivata in modo che risulti la rilevanza della posizione giuridica dell’istante. Il d.P.R. 352/1992 individua il minimum del contenuto della richiesta d’accesso: identificazione dell’istante e, se necessario, dei poteri rappresentativi, estremi del documento oggetto della richiesta ovvero elementi idonei ad identificarlo. E’ interessante rilevare come la più recente giurisprudenza[15] abbia affermato che quando si è in presenza di documenti che riguardano la sfera privata o la riservatezza di altri soggetti, non si può né ottenerne copia, né trascriverli, ma soltanto prenderne visione. L’Adunanza plenaria è ultimamente intervenuta[16] affermando che, in caso di autorità amministrativa centrale con sedi periferiche, non sussiste l’obbligo di consentire l’accesso in tali sedi. Si evidenzia infatti, che il d.P.R. 352/1992 non impone né che l’accesso avvenga presso la medesima autorità adottante, né obbliga l’Amministrazione a garantire l’accesso stesso in forma decentrata, nei casi in cui questa presenti delle articolazioni territoriali.

A fronte dell’istanza d’accesso, la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di pronunciarsi entro 30 giorni; nel caso in cui accolga la richiesta deve darne comunicazione indicando altresì l’ufficio presso il quale accedere ai documenti ed il termine (non inferiore a 15 giorni) entro cui il diritto può essere esercitato. L’amministrazione potrà respingere l’istanza nel caso in cui il documento sia escluso, ovvero limitarla, se è accessibile solo una parte della documentazione; infine potrà differire l’accesso per salvaguardare esigenze temporanee di riservatezza relativamente agli interessi di cui all’art.24 2° c. l.241/1990. In ogni caso l’esclusione, la limitazione e il differimento devono essere motivati; da tale obbligo giuridico deriva che in assenza di una specifica pronuncia dell’amministrazione entro i termini previsti, si creano le condizioni per esperire il procedimento del silenzio-rifiuto.

5.         L’art.25 l.241/1990 prevede un procedimento speciale e abbreviato innanzi al Tribunale amministrativo per garantire una tutela rapida ed efficace al diritto d’accesso; in caso d’accoglimento del ricorso, il giudice, sussistendone i presupposti, ordina all’amministrazione inadempiente l’esibizione dei documenti. In dottrina sono sorti dubbi in relazione alla natura del provvedimento finale assunto dal giudice; il problema sorge poiché, mentre il progetto Nigro parlava di ordinanza, la norma non qualifica la natura della decisione. A tal proposito il Consiglio di Stato ha affermato che si tratta di una vera e propria sentenza[17], mentre parte della letteratura giuridica afferma che si tratti di un’ordinanza. Le conseguenze pratiche dell’accoglimento dei due indirizzi sono consistenti: solo ove l’atto decisorio abbia natura di sentenza sarà possibile ricorrere al giudizio di ottemperanza; diversamente dovrà adirsi il giudice amministrativo affinché emetta i provvedimenti idonei ad assicurare l’esecuzione dell’ordinanza. Sul punto è intervenuto l’art. 1 della legge 21 luglio 2000 n. 205 che ha introdotto una tutela endoprocessuale del diritto d’accesso. E’ possibile quindi, in pendenza di un giudizio, l’impugnazione dell’illegittimo diniego o differimento dell’accesso mediante un’apposita istanza da notificare alle controparti, istanza che introduce un giudizio incidentale che si conclude con un’ordinanza istruttoria non ricorribile in appello. Di conseguenza, se l’istanza di accesso viene presentata ex art. 25 l. 241/1990 in corso di processo, è assicurato il contraddittorio e una decisione collegiale ricorribile; invece l’istanza introdotta in base alla nuova previsione non è altro che una forma alternativa di istruzione documentale del giudizio. In questa seconda ipotesi peraltro, il diritto di accesso, che in linea di principio è slegato da qualsiasi considerazione in ordine alla lesività o impugnabilità degli atti di cui si richiede l’ostensione, sembra essere “processualmente condizionato” nel senso che l’istanza deve riguardare documenti rilevanti e funzionali ai fini del decidere.

6.         Un’altra questione particolarmente dibattuta e assai significativa per le conseguenze sia sul piano dogmatico che su quello applicativo, riguarda la natura giuridica del diritto d’accesso. Secondo un primo orientamento[18] si tratta di un autonomo diritto soggettivo, connesso al fine di assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’amministrazione. Tale posizione fa innanzi tutto riferimento al dato testuale della legge che utilizza il termine diritto; si sostiene inoltre che in capo all’amministrazione non residua alcuna discrezionalità in ordine al riconoscimento dell’accesso, semmai tale potere esiste a monte, nel momento in cui devono essere individuati gli atti coperti da segreto. Ancora, l’art. 25 l. 241/1990 attribuisce al privato una tutela forte avverso l’illegittimo diniego posto all’accesso, tutela che consente l’ordine di esibizione dei documenti; il fatto che al giudice amministrativo siano attribuiti non solo i poteri tradizionalmente riconosciuti in sede di giurisdizione di legittimità, ma anche quello di ordinare all’amministrazione l’esibizione dei documenti, dimostrerebbe che si è nell’ambito della giurisdizione esclusiva.

Secondo un altro orientamento[19] il diritto d’accesso originerebbe situazioni di mero interesse legittimo. E’ posto in rilievo il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, che può comprimere l’accesso in via generale con l’attività regolamentare, e da un punto di vista temporale differendo il momento dell’accesso. Anche se qualche autore ha affermato che il potere di ritardare l’accesso non impedisce l’esistenza del diritto ma costituisce semplicemente una modalità di esercizio dello stesso. Inoltre a favore di tale posizione depone la previsione di un termine di decadenza per l’impugnazione.

Altra parte della dottrina e la giurisprudenza minoritaria affermano l’esistenza di un tertium genus[20], una sorta di diritto soggettivo esercitabile nelle forme dell’interesse legittimo. Si tratterebbe di una nuova relazione giuridica, la cui titolarità, unitamente alla garanzia del suo esercizio, spetta non ad ogni cittadino, ma solo a chiunque dimostri di avere un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

L’Adunanza plenaria ha risolto la questione affermando la natura di interesse legittimo dell’accesso[21]. Essa punta l’attenzione sul processo instauratosi ex art. 25 l. 241/1990 ed afferma che esso ha natura impugnatoria, per esso è previsto un termine perentorio per la proposizione del ricorso contro le determinazioni amministrative concernenti tale posizione soggettiva. La previsione di un termine di decadenza per l’esperibilità del ricorso giurisdizionale è considerata prova della natura di interesse legittimo dell’accesso; infatti si afferma che laddove vi sia un termine di decadenza esso è imposto da ragioni di interesse pubblico, a fronte del quale possono ravvisarsi esclusivamente posizioni di interesse legittimo. E’ interessante rilevare che secondo altre pronunce, la decorrenza del termine per l’impugnazione del diniego non precluderebbe il nuovo esercizio del «diritto all’informazione » da parte del titolare e l’eventuale impugnativa della nuova pronuncia di diniego emessa dall’amministrazione. L’Adunanza plenaria inoltre afferma che il dato testuale non è rilevante, perché vi sono casi in cui la legge parla di diritto anche se si tratta d’interesse legittimo, come ad esempio quando si afferma il diritto di concludere il contratto da parte di chi ritenga di dover risultare vincitore di una gara d’appalto, il diritto di non essere estradato in un paese dove è applicata la pena di morte. Inoltre la ratio degli articoli 23 24 e 25 induce a pensare che si tratti di un interesse legittimo, poiché la Pubblica Amministrazione deve sempre operare un bilanciamento d’interessi. L’esistenza, in capo all’amministrazione, di un potere discrezionale è testimoniata anche dalla necessità che l’istanza di accesso sia motivata. La qualificazione dell’accesso in termini d’interesse legittimo comporta conseguenze importanti sul piano processuale, poiché si applicheranno le regole del giudizio impugnatorio, e in particolare il ricorso sarà inammissibile qualora non sia stato notificato ad almeno uno dei controinteressati. Di recente il Consiglio di Stato[22]  intervenendo in materia di esercizio del diritto d’accesso ha ribadito la sua posizione, riconoscendo in capo a ciascun’amministrazione la facoltà, attraverso la sua potestà autoorganizzatoria, di scegliere le misure necessarie a garantire l’accesso. L’Adunanza plenaria individua un’area precettiva intangibile posta da norme di legge e regolamento a presidio della posizione del cittadino, ed un’area lasciata alle scelte delle singole amministrazioni che possono intervenire a frapporre ulteriori ostacoli alla materiale ostensione degli atti amministrativi. In particolare si afferma che non vi sono prescrizioni normative che impongono alle singole autorità amministrative l’obbligo di aderire ad una richiesta di consultazione di documenti cartacei in sedi decentrate.

 


[1] Sul punto Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 ottobre 1997 n.1249, in Giur.It., 1998, p. 799; Cons. Stato, sez. VI, 7 dicembre 1993 n. 966, in Giust.Civ., 1994, I, p.838.

[2] Cons. Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998 n. 1683, in Cons. Stato, 1998, I, p.2002.

[3] Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 1993 n. 1036, in Cons. Stato, 1993, I, p.1418.

[4] Cons. Stato, commissione speciale, 14 luglio 1994 n.2244 (parere), in Cons. Stato, 1994, I, p. 469.

[5] Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 1996 n. 570, in Cons. Stato, 1996, I, p. 760.

[6] Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1996 n. 665, in Cons. Stato, 1996, I, p. 784.

[7] Cons. Stato, Ad. Plen., 28 aprile 1999 n.6, in Guida al diritto, 1999, n. 19, p. 77 e ss.

[8] Cons. Stato, sez. IV, 14 gennaio 1999 n.32, in Cons.Stato, 1999, I, p.24, contra cfr. T.A.R. Emilia Romagna, 28 agosto 1996 n.375, in Foro Amm., 1997, p.534.

[9] T.A.R. Veneto, 23 ottobre 1995 n. 1259, in TAR, 1995, I, p. 4849.

[10] Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999 n.4, in Cons. Stato, 1999, p. 557.

[11] Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995 n. 412, in Cons. Stato, 1995, I, p. 654.

[12] Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 1997 n.82, in Cons. Stato, 1997, I, p. 176.

[13] Cons. Stato, sez. IV, 15 gennaio 1998 n. 14, in Cons. Stato, 1998, I, p.2.

[14] Cons. Stato, Ad. Plen., 22 aprile 1999 n.4, cit.

[15] Cons. Stato, Ad. Plen., 4 febbraio 1997 n. 5, in Cons. Stato, 1997, I, p. 169.

[16] Cons. Stato, Ad. Plen., 2 luglio 2001 n.5, in Giust. Amm., 2001, p. 701.

[17] Cons. Stato, Adunanza generale, parere 19 febbraio 1987 n. 7, in Foro It., 1988, III, p.41.

[18] Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 1997 n. 643, in Cons. Stato, 1997, I, p. 683.

[19] Confermato da Cons. Stato, Ad. Plen., 24 giugno 1999 n. 16, in Guida al diritto, 1999, n.29, p. 85.

[20] T.A.R. Lombardia-Milano, sez. I, 11 gennaio 1993 n. 13, in TAR, 1993, I, p. 907.

[21] Cons. Stato, Ad. Plen., 24 giugno 1999 n. 16, cit.

[22] Cons. Stato, Ad. Plen., 2 luglio 2001 n.5, cit..