Dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo alla giurisdizione (quasi) esclusiva del giudice del lavoro ·


Di Salvatore Veneziano

 

1. La giurisdizione esclusiva del G.A.: genesi e fondamento.

Tradizionalmente la nozione stessa di “tutela giurisdizionale del dipendente pubblico” è indissolubilmente legata alla giurisdizione amministrativa e, all’interno di essa, alla c.d. giurisdizione esclusiva.

La genesi storica di tale assetto risale al Testo Unico giolittiano 22 novembre 1908 n. 639, che per la prima volta dettò un’organica disciplina dello stato giuridico dei dipendenti civili dello Stato, ed al d.leg. 30 dicembre 1923 n. 2840, che – nell’ambito di una riforma delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato – aggiunse la materia del pubblico impiego a quelle nelle quali il Consiglio di Stato e le Giunte Provinciali Amministrative conoscevano già anche di questioni relative a diritti soggettivi.

La assunzione del rapporto di lavoro prestato alle dipendenze della pubblica amministrazione nella sfera del diritto amministrativo apparve la soluzione migliore per dare una definizione giuridica, e quindi una tutela, alla posizione di coloro che formavano la burocrazia, conciliando la loro duplice posizione di prestatori d’opera-impiegati e titolari e/o componenti di un ufficio pubblico esercitante pubbliche potestà; ciò in una costruzione che vedeva le sorti del rapporto di lavoro comunque subordinato alle esigenze derivanti dall’esercizio delle pubbliche potestà ed esso stesso oggetto di una di esse, quella (auto) organizzatoria.

Da tale assunzione nella sfera del diritto amministrativo discese la qualificazione quali atti amministrativi, aventi in prevalenza il carattere autoritativo dei provvedimenti, degli atti con i quali l’Amministrazione provvedeva alla gestione del proprio personale con l’ulteriore conseguenza della prevalente negazione dell’esistenza di diritti soggettivi in capo agli impiegati pubblici e la ricostruzione delle loro posizioni giuridiche soggettive quali interessi legittimi.

Gli effetti di tale costruzione sul piano della tutela giurisdizionale – alla luce della distinzione operata dagli artt. 2 e 3 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E (abolitrice del contenzioso amministrativo) – furono inizialmente quelli di lasciare al giudice ordinario la competenza a conoscere delle – meno frequenti - controversie attinenti a diritti, di natura quasi esclusivamente patrimoniale, e di attribuire invece agli organi della, più giovane, giurisdizione amministrativa tutte le controversie che vedevano confrontarsi potestà pubbliche ed interessi legittimi.

Tale dicotomia fu successivamente ricomposta con la citata inclusione della materia del pubblico impiego tra quelle nelle quali il Consiglio di Stato e le Giunte Provinciali Amministrative conoscevano già anche di questioni relative a diritti soggettivi.

Finalizzata alla risoluzione dei problemi pratici legati alla difficoltà di distinguere – al fine di individuare la giurisdizione competente - i diritti soggettivi dagli interessi legittimi, e di districarne i relativi rapporti, l’attribuzione del pubblico impiego alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo trovava fondamento teorico nel rilievo della prevalenza, in tale materia, dell’interesse pubblico del quale era portatrice l’Amministrazione rispetto alla questione patrimoniale o alla pretesa privata del pubblico dipendente.

L’assetto così delineato è stato integralmente recepito nell’ordinamento costituzionale, trovando negli artt. 97 e 98 della Costituzione piena legittimazione dell’assunzione della disciplina del rapporto di pubblico impiego nella sfera del diritto amministrativo e nell’art. 103 della Costituzione della devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Ancora nella seconda metà ed alla fine degli anni ’70 la Corte Costituzionale non ha mancato di ribadire la diversità tra lavoro pubblico e lavoro privato, individuando la strumentalità della disciplina del lavoro pubblico rispetto alla funzione organizzatoria quale ostacolo ad un’eventuale privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti ai quali fosse affidato l’esercizio di potestà pubbliche[1].

 

2. Profili di evoluzione del livello di tutela assicurata dalla giurisdizione esclusiva del G.A.

Paradossalmente l’assetto normativo e giurisdizionale sopradescritto, teoricamente fondato su di una posizione di “squilibrio istituzionale” tra le parti del rapporto di lavoro, ha finito, nel tempo, con il garantire un livello particolarmente elevato di tutela al pubblico dipendente, probabilmente superiore – ma ritengo comunque non inferiore - rispetto a quello che avrebbe potuto essergli assicurato, nel medesimo periodo storico, dalla ricomprensione della disciplina del rapporto di lavoro nel diritto civile e dalla devoluzione delle relative controversie all’Autorità Giudiziaria Ordinaria secondo l’ordinario riparto di giurisdizione.

E ciò per una serie di fattori attinenti sia alle specifiche caratteristiche della giurisdizione amministrativa esclusiva che alla giurisprudenza evolutiva del giudice amministrativo e della Corte Costituzionale.

2.1. Nessuno potrà contestare che la devoluzione ad un unico giudice, nell’ambito di un unico giudizio, delle controversie relative sia agli aspetti (auto)organizzatori dell’Amministrazione che agli aspetti di gestione del rapporto di lavoro abbia costituito un indubbio vantaggio per il pubblico dipendente.

Questi ha, infatti, disposto di uno strumento giurisdizionale di controllo delle modalità di esercizio del citato potere organizzatorio dell’Amministrazione, per quanto attiene ai riflessi sul rapporto di pubblico impiego, particolarmente efficace in quanto riferibile ad un modello astratto legislativamente prefissato (principio di legalità) ed affidato ad un giudice specializzato nell’esercizio di siffatto controllo. In particolare tale giudice ha potuto fare uso di uno strumento – il vizio dell’eccesso di potere, nelle sue molteplici figure – particolarmente duttile e penetrante, solo apparentemente limitato alla verifica della legittimità formale delle modalità di esercizio del potere, ma in realtà, nel tempo, utilizzato sin quasi a lambire il merito amministrativo.

Contemporaneamente alla contestazione degli atti di esercizio di tale potere, inoltre, il dipendente ha potuto introdurre nel giudizio le sue concrete pretese attinenti al rapporto di lavoro, sia che abbiano avuto riconosciuta la consistenza del diritto soggettivo che quella dell’interesse legittimo.

Esempi della rilevata ampiezza di tutela assicurata dalla giurisdizione esclusiva amministrativa, con riferimento al controllo del potere organizzatorio dell’Amministrazione - datore di lavoro, possono essere individuati nella (tradizionale) possibilità di impugnare atti di approvazione di piante organiche, alla pari (più recentemente) degli atti di recepimento della contrattazione collettiva. Ulteriore settore di tutela “privilegiata” del dipendente pubblico può essere considerato quello dell’impugnazione degli atti di inquadramento, in occasione della ricorrente adozione dei quali ha avuto la possibilità di rimettere in discussione la conformità agli schemi normativi di riferimento della propria posizione nell’Amministrazione.

Meritano, infine, di essere ricordati - quale ultimo, incompiuto, sviluppo della tutela in argomento – i tentativi di attrarre alla giurisdizione amministrativa le controversie relative alle procedure di contrattazione collettiva nella fase di applicazione transitoria del D.Leg.vo 3.02.1993 n. 29, tentativi bloccati dalla Corte di Cassazione[2].

Ancora, sia pure per un breve periodo, il giudice amministrativo ha potuto assicurare unicità di tutela – al pubblico dipendente così come alla organizzazione sindacale – nei confronti della condotta antisindacale della Amministrazione - datore di lavoro incidente su singoli dipendenti (art. 6 l. 12.06.1990 n.146).

Inoltre, i principi propri del sistema della giustizia amministrativa hanno consentito l’annullamento, con sentenza avente effetti erga omnes, di atti amministrativi generali e regolamentari; così che, sovente, tutta un’intera categoria ha potuto trarre giovamento dalle iniziative contenziose di alcuni componenti.

Il pubblico dipendente ha, infine, potuto disporre di uno strumento esecutivo particolarmente efficace e penetrante – il giudizio di ottemperanza al giudicato ex artt. 27, n. 4, r.d. 26.06.1924 n. 1054 e 37 l. 6.12.1971 n. 1034 – capace, nei più avanzati sviluppi giurisprudenziali posti in essere dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana[3], di introdurre vere e proprie integrazioni al giudicato formatosi sulle sentenze dello stesso giudice amministrativo[4].

2.2. Per altro, le potenzialità insite nel sistema di tutela della giurisdizione esclusiva sono state, nel tempo, sviluppate ed affinate da una costante elaborazione giurisprudenziale del giudice amministrativo, sempre efficacemente coadiuvato dalla Corte Costituzionale nell’opera di superamento di quegli aspetti peculiari della giurisdizione amministrativa di legittimità che potevano costituire ostacolo alla garanzia di una idonea tutela del pubblico dipendente – ricorrente.

Risale agli anni 1939/1940 la elaborazione da parte del Consiglio di Stato[5] della distinzione tra atti autoritativi (provvedimenti) ed atti non autoritativi (paritetici), involgenti rispettivamente posizioni di interesse legittimo o di diritti soggettivi e perciò impugnabili nel termine di decadenza o in quello di prescrizione. Dall’iniziale riferimento dei secondi esclusivamente a situazioni di contenuto patrimoniale, la giurisprudenza[6] è pervenuta ad una teorizzazione della categoria degli atti paritetici quale estesa a situazione soggettive non direttamente patrimoniali (diritto alle mansioni), così ammesse a beneficiare dell’azionabilità nel termine prescrizionale ed anche in assenza di un atto dell’Amministrazione.

E’ stato, invece, acquisito solo negli anni ’80 – e grazie all’intervento della Corte Costituzionale[7], a ciò sollecitata da questioni di costituzionalità solevate da alcuni TT.AA.RR. – il risultato di estendere, a partire dai diritti soggettivi a contenuto patrimoniale, l’ambito della tutela cautelare erogabile dal giudice amministrativo – con l’attribuzione di un potere cautelare sostanzialmente analogo a quello previsto dall’art. 700 c.p.c. – nonché di potere utilizzare – nelle controversie relative a diritti soggettivi, non necessariamente patrimoniali – l’armamentario istruttorio del giudice del lavoro.

Con riferimento ai medesimi profili processuali, nelle controversie relative ad interessi legittimi, hanno costituito elaborazione propria del giudice amministrativo sia l’utilizzazione di un sistema probatorio di tipo acquisitivo[8] - finalizzato a bilanciare la disparità di posizioni tra l’Amministrazione ed il dipendente e consistente nella facoltà di individuare le circostanze in ordine alle quali ammettere i mezzi istruttori, di scegliere il mezzo istruttorio ritenuto più opportuno e di individuare la parte sulla quale far ricadere il relativo onere – che l’estensione del potere cautelare ad ambiti ben più ampi di quelli testualmente previsti dall’art. 21 l. n. 1034/1971.

Ancora, sono stati frutto di fermenti giurisprudenziali sia il progressivo avvicinamento del giudice al fatto storico, attraverso le forme – sintomatiche della sussistenza del vizio di legittimità dell’eccesso di potere – del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria, dell’errore nei fatti e/o nei presupposti, che il riconoscimento al pubblico dipendente di un meccanismo di tutela dei crediti patrimoniali dalla erosione della svalutazione monetaria[9].

 

3. La privatizzazione del rapporto di pubblico impiego ed il trasferimento di competenze giurisdizionali: una nuova giurisdizione esclusiva, in capo al giudice ordinario?

            L’attuale assetto della giurisdizione, quale è entrato in vigore con il 1° luglio 1998, muove dalla legge delega 23.10.1992 n. 421 e dal D. Leg.vo 3.02.1993 n. 29, ma ha trovato compiuta regolamentazione solo con la legge di delega 15.03.1997 n. 59 e con il D.Leg.vo 31.03.1998 n. 80[10].

Esso appare legislativamente ispirato dalla enunciazione dei principi della nuova amministrazione operata dall’art. 1 della l. 7.08.1990 n. 241 (L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità …) e costituisce coerente conseguenza dello spostamento della disciplina del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti dalla sfera del diritto amministrativo a quella del diritto civile e del lavoro[11].

In ragione del carattere generale della clausola di devoluzione al giudice del lavoro di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni (art. 68 D.Leg. n. 29/1993, come novellato dal D.Leg. n. 80/1998) appare legittimo chiedersi se il legislatore non abbia voluto istituire una vera e propria nuova giurisdizione esclusiva in capo al giudice ordinario, attribuendogli giurisdizione in materia anche con riferimento agli interessi legittimi e bilanciando così l’attribuzione al giudice amministrativo di nuovi ambiti di giurisdizione esclusiva, operata con gli artt. 33 e 34 D.Leg. n. 80/1998[12].

La fondatezza di tale ipotesi appare, per altro, esclusa dalla espressa previsione normativa, nella seconda parte del medesimo comma, dell’utilizzabilità da parte del giudice ordinario dell’istituto della disapplicazione degli atti illegittimi e della possibilità di impugnazione dell’atto amministrativo avanti il giudice amministrativo, pur escludendosi che ciò dia luogo ad una ipotesi di pregiudizialità amministrativa. Dette previsioni confermano, infatti, la esistenza in materia di residui interessi legittimi tutelabili avanti al giudice amministrativo, secondo l’ordinario riparto di giurisdizione ex art. 103 Costituzione, e la permanenza in capo al giudice ordinario del generale divieto di annullamento degli atti amministrativi, ancorché illegittimi, ex art. 4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo.

La creazione in capo al giudice ordinario di un ambito generale di giurisdizione sulle controversie dei dipendenti pubblici privatizzati è stata, invece, ottenuta attraverso la quasi totale eliminazione in materia di posizioni soggettive di interesse legittimo, conseguente alla riconduzione al diritto privato anche di parte dei poteri organizzatori – attinenti alla c.d. micro organizzazione - dell’Amministrazione, ai sensi degli artt. 2, co. 2, 3, co. 2, e 4, co. 2, del D.Leg. n. 29/1993, come novellato dal D.Leg. n. 80/1998[13].

Ciò ha, comunque, consentito di realizzare – grazie, anche, alle citate possibilità di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi, alla rilevata esclusione di qualsiasi pregiudizialità amministrativa ed alla possibilità di adottare “tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati” (art. 68, co. 2, D.Leg. n. 29/1993, come novellato) – una giurisdizione quasi esclusiva, intendendo tale termine nel “significato chiovendiano (che) l’attore può ottenere dal giudice ordinario, anche quando una delle parti del rapporto di lavoro è la pubblica amministrazione, tutto quello e proprio quello che è necessario per soddisfare la domanda di tutela”[14].

Costituisce corollario di tale ricostruzione l’esigenza di individuare nella materia un criterio di riparto tra la nuova giurisdizione del giudice del lavoro e la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo e di interrogarsi sull’eventuale insorgenza di una situazione di doppia tutela.

Per quanto attiene alla individuazione di un concreto criterio di riparto – in attuazione della clausola generale di attribuzione della giurisdizione per posizione giuridica soggettiva – dovrà, probabilmente, farsi riferimento alla distinzione tra atti di macro organizzazione, ex artt. artt. 2, co. 1, 3, co. 1, e 4, co. 1, del D.Leg. n. 29/1993, come novellato dal D.Leg. n. 80/1998, ed atti di micro organizzazione ex artt. 2, co. 2, 3, co. 2, e 4, co. 2, del D.Leg. n. 29/1993, come novellato dal D.Leg. n. 80/1998[15]. I primi impugnabili avanti alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo ed i secondi censurabili dinanzi al giudice del lavoro.

Per quanto attiene all’interrogativo sull’eventuale insorgenza di una situazione di doppia tutela, credo che la risposta non possa che essere positiva, potendosi ben configurare la contemporanea instaurazione di due giudizi – l’uno per l’impugnazione avanti al giudice amministrativo dell’atto di macro organizzazione implicante posizioni di interesse legittimo, e l’altro avanti al giudice del lavoro per la tutela (previa disapplicazione dell’atto impugnato) del diritto vantato nell’ambito del rapporto di lavoro – che avranno vita e corso autonomo, stante l’esclusione della pregiudizialità amministrativa, e che potranno concludersi con esiti autonomi[16].

Ed infatti, l’assenza di una previsione esplicita in tal senso e la prevalenza da attribuire al principio costituzionale della pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Costituzione) impediscono di accedere alla soluzione, pure proposta[17], che vorrebbe escludere la possibilità di accesso del dipendente al giudice amministrativo, distinguendo la posizione di questi – avente accesso solo alla tutela del giudice del lavoro – da quella dei terzi – estranei al rapporto di lavoro – aventi accesso alla tutela del giudice amministrativo.

Si tratta, quindi, di una seconda ipotesi – accanto a quella introdotta dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza delle SS.UU. n. 500 del 1999, in tema di risarcibilità degli interessi legittimi – nella quale il giudice ordinario ed il giudice amministrativo potranno essere chiamati a svolgere percorsi paralleli, ma autonomi, con esiti potenzialmente tra loro contrastanti e senza alcuna preoccupazione di assicurare una coerenza interna al sistema giuridico (l’Amministrazione potrà trovarsi con un proprio atto dichiarato legittimo dal giudice amministrativo ma disapplicato dal giudice ordinario; vien da chiedersi quali riflessi potrà avere una siffatta situazione in un ipotetico giudizio di responsabilità contabile!).

 

4. Aspetti di maggiore problematicità per il giudice del lavoro: controllo del potere dell’Amministrazione - datore di lavoro e disapplicazione degli atti illegittimi.

            Due appaiono essere gli aspetti di maggiore problematicità nell’impatto del contenzioso del pubblico dipendente privatizzato con il nuovo sistema di tutela giurisdizionale: il controllo da parte del giudice ordinario del potere (micro) organizzatorio dell’Amministrazione - datore di lavoro e la disapplicazione degli atti - di macro organizzazione - illegittimi, nei quali abbia la ventura di imbattersi.

4.1. Con riferimento al primo profilo, si è già detto che la natura privatistica della nuova disciplina sostanziale del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione ha comportato la sostituzione del tradizionale potere autoritativo di auto organizzazione con “la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro” (art. 4, co. 2, D.Leg. n. 29/1993, come novellato); si pone, quindi, il problema di individuare quale sia l’ambito di tutela riconosciuto al dipendente nei confronti dell’esercizio di tale potere e quale lo strumento di controllo, in sostituzione della vecchia giurisdizione amministrativa e del tradizionale eccesso di potere.

Al riguardo ritorna alla mente dell’operatore del diritto amministrativo la costruzione dell’interesse legittimo di diritto privato, operata dalla giurisprudenza[18] con riferimento alle esigenze di tutela dei dipendenti degli enti pubblici economici nella materia delle promozioni; secondo tale costruzione assurgevano alla categoria degli interessi legittimi di diritto privato quelle pretese nelle quali non era prospettabile una garanzia di risultato finale perché il conseguimento di tale risultato non aveva carattere di certezza in base alla legge (chances).

In sostanza al binomio potere amministrativo / interesse legittimo tout court era stato affiancato il binomio potere di diritto privato / interesse legittimo di diritto privato.

L’esigenza di garantire, comunque, adeguate forme di tutela e soddisfazione a tali situazioni soggettive ha però successivamente indotto la stessa giurisprudenza[19] a ricondurre tali posizioni alla figura del diritto soggettivo, sia pure incidente sul potere del datore di lavoro, l’esercizio del quale risulta soggetto al rispetto dei principi generali di diligenza, correttezza e buona fede, oltre che di eventuali prescrizioni normative o contrattuali.

Appare, quindi, probabile che la tematica del controllo del potere di micro organizzazione dell’Amministrazione – datore di lavoro sarà ricondotta nell’ambito della tutela dei diritti del pubblico dipendente privatizzato, attraverso la verifica del rispetto delle clausole generali del diritto privato quali i già citati principi generali di diligenza, correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., oltre che di eventuali prescrizioni normative o contrattuali.

Ed invero, se non può che prendersi atto della scelta operata dal legislatore di rendere loro applicabile la disciplina “del lavoro nell’impresa” (di cui al titolo secondo del libro quinto del codice civile, ex art. 2, co. 2, D.Leg. n. 29/1993, come novellato) ed escludersi forme di tutela privilegiata del dipendente pubblico privatizzato, rispetto al dipendente privato tout court, non deve dimenticarsi che l’Amministrazione non è un imprenditore privato mosso da fine di lucro[20] ed è sempre soggetta al principio di legalità.

4.2. Con riferimento al secondo profilo, deve rilevarsi una maggiore ampiezza del potere di disapplicazione riconosciuto al giudice del lavoro rispetto alla previsione generale di cui all’art. 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo[21], allargata ad ogni ipotesi di “illegittimità” dell’atto.

Il giudice del lavoro dovrà, quindi, poter verificare anche la eventuale sussistenza nell’atto di macro organizzazione del vizio di eccesso di potere, al fine dell’adozione dei “provvedimenti di accertamento, costitutivi e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati” (art. 68, co. 2, D.Leg. n. 29/1993, come novellato), con conseguente sostanziale superamento dei tradizionali limiti imposti dalla legge abolitiva del contenzioso amministrativo, se non per quanto attiene al residuo tabù dell’annullamento; tabù astrattamente superabile ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 113 Costituzione, ma che si è evitato di infrangere, probabilmente, per evitare l’efficacia erga omnes della relativa pronunzia.

Ciò comporterà, per altro, la possibilità dell’adozione di sentenze anche costitutive, dalle quali discenda un eventuale obbligo di facere per l’Amministrazione, ove verrà disapplicato a beneficio del dipendente – parte vittoriosa un atto di macro organizzazione che l’Amministrazione – parte soccombente potrà continuare ad applicare agli altri dipendenti.

Anche in questo caso, la coerenza interna del sistema non sembra essere stata privilegiata!

Comunque, non vi è dubbio che anche la disapplicazione costituisca strumento per conseguire e realizzare la funzione di controllo giurisdizionale del potere dell’Amministrazione, al fine di una piena tutela dei dipendenti.

 

5. Conclusione

Desidero, infine, precisare (ove ve ne fosse bisogno) che il richiamo operato in questa sede al risultato garantito dal giudice amministrativo al cittadino-pubblico dipendente in termini di effettività e pienezza di tutela - quale che sia il giudizio latu sensu politico, anche con riferimento alle conseguenze sul livello di efficienza dell’Amministrazione – pur se venato da un minimo di orgoglio professionale è sicuramente privo di rimpianti; e ciò per la triplice consapevolezza:

a)      che il nuovo assetto della giurisdizione in materia è conforme alla natura privatistica della disciplina sostanziale da applicare al rapporto di lavoro e risponde, quindi, a criteri di logica giuridica inattaccabili;

b)      che le nuove materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con la connessa competenza risarcitoria, dagli artt. 33-35 d.leg.vo n. 80/1998, lo occuperanno con tematiche di non minore interesse né minore rilievo sociale;

c)      che, comunque, si tratta di un passaggio di testimone tra giurisdizioni, finalizzato ad assicurare una sempre più piena effettività della tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Costituzione, coniugata al buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Costituzione.

In questo spirito, l’aver operato detto richiamo vuol solo avere il senso di indicare quale sia la situazione che la giurisdizione ordinaria eredita da quella amministrativa e dalla quale dovrà prendere le mosse per realizzare il fine appena citato.


· Testo dell’intervento programmato svolto nella giornata di studio “La tutela giurisdizionale del dipendente pubblico privatizzato”, tenutasi a Palermo il 25 marzo 2000 presso il Palazzo di Giustizia.

[1] Corte Cost. 16.03.1976 nn. 47 e 49, 20.05.1976 n. 118, 20.01.1977 n. 43 e 5.05.1980 n. 68. In tale contesto giuridico e culturale si colloca, per altro, anche il parere reso – in senso fortemente critico - dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato (n. 146 del 31.08.1992, in Foro It., 1993, III, coll. 4 e segg.) riguardo al disegno di legge-delega per la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego (futura l. n. 421 del 1992). Solo con le sentenze n. 313 del 25.07.1996 e n. 309 del 16.10.1997 la Corte Costituzionale ritiene compatibile con le previsioni dell’art. 97 Cost. la privatizzazione del rapporto di impiego di soggetti cui siano affidate pubbliche potestà.

[2] Cass. SS.UU. 14.02.1997 n. 1398 e 22.07.1998 n. 7179, in Foro It., 1999, I, coll. 619 e segg. con nota di commento alle relative problematiche di M. D’Antona, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la “seconda privatizzazione” del pubblico impiego (osservazioni sui d.leg. n. 396 del 1997, n. 80 del 1998 e n. 387 del 1998).

[3] C.G.A., sez. giur., 22 marzo 1993 n. 114, 23 giugno 1994 n. 209 e 29 ottobre 1994 n. 406, tutte in Giurisprudenza Amministrativa Siciliana, rispettivamente, 1993, pag. 277, e 1994 pagg. 497 e 697.

[4] Sulle attuali problematiche in materia: G. Albenzio, L’esecuzione delle sentenze del giudice del lavoro nei confronti della pubblica amministrazione, in Foro It., 1999, I, coll. 3475 e segg..

[5] Consiglio di Stato, sez. V, 1.12.1939 n. 795 e A.p., 18.12.1940 n. 4.

[6] Consiglio di Stato, A.p. 29.10.1979 n. 25.

[7] Rispettivamente Corte Cost. 28.06.1985 n. 190 e 23.04.1987 n. 146.

[8] Per tutti, M. Nigro, Il giudice amministrativo “signore della prova”, in Foro It., 1967, V, coll. 9 e segg., che ha acutamente indagato sui poteri istruttori del giudice amministrativo e sulle implicazioni in tema di “regola del giudizio”.

[9] Consiglio di Stato, A.p. 7.04.1981 n. 2 e 30.10.1981 n. 7.

[10] Per una sintetica ricostruzione delle fasi del passaggio di giurisdizione, S. Cassarino, Nuova giurisdizione in materia di pubblico impiego, in Cons. Stato, 1998, II, pagg. 1947 e segg.; per una critica dell’assetto del riparto di giurisdizione quale emergeva dal D.Leg.vo n. 29/1993, G. Albenzio, La tutela giurisdizionale. La nuova disciplina sulla giurisdizione nelle controversie di pubblico impiego, in Foro It., 1995, V, coll. 50 e segg.; per un primissimo commento delle novità introdotte dal D.Leg.vo n. 80/1998 e delle problematiche discendenti dal trasferimento di giurisdizione, S. Baccarini, La giurisdizione ordinaria sui rapporti di pubblico impiego, in Diritto Processuale Amministrativo, 1999, pagg. 587 e segg..

[11] La stessa Adunanza Generale del Consiglio di Stato, nel parere cit., aveva ipotizzato il trasferimento di giurisdizione al giudice del lavoro con riferimento a settori del pubblico impiego, la cui disciplina fosse stata globalmente privatizzata.

[12] Così sembra ipotizzare Baccarini, cit., pag. 588.

[13] D’Antona, cit. coll. 628 e 629 e G. De Giorni Cezzi, Perseo e Medusa: il giudice ordinario al cospetto del potere amministrativo, in Diritto processuale Amministrativo, 1999, pagg. 1044 e segg..

[14] D’Antona, cit. col. 628.

[15] Distinzione operata, anche, dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 309/1997, citata.

[16] In questo senso, De Giorgi Cezzi, cit., pag. 1074 e Albenzio, L’esecuzione cit., col 3475.

[17] D’Antona, cit, col. 629 e Torchia, Giudice amministrativo e pubblico impiego dopo il D.Lgs. n. 80/1998, in Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 1988, pagg. 1061.

[18] Cass. SS.UU. 2.11.1979 n. 5688. Per i rapporti con le tematiche amministrativiste, A. Travi, Nuovi fermenti nel diritto amministrativo verso la fine degli anni ’90, in Foro It., 1997, V, coll. 168 e segg., coll. 170-172. Con riferimento alla specifica tematica in esame, De Giorni Cezzi, cit, pagg. 1054 e segg..

[19] Cass. SS.UU. 1.10.1993 n. 9804, e sez. lav., 29.11.1996 n. 10683.

[20] Corte Cost., sentenza n. 68 del 1980, citata.

[21] De Giorni Cezzi, cit., pagg. 1071 e 1072.