Il mutuo dissenso;in particolare,l’ammissibilità che esso cada sui negozi traslativi e che abbia effetti retroattivi.
L’art.1372 c.c., manifesto dell’autonomia contrattuale, sancisce al primo comma che il contratto ha forza di legge tra le parti e che non può essere sciolto se non per mutuo dissenso. Si pone, pertanto, l’esigenza di una collocazione sistematica del mutuo dissenso. A tale riguardo, il diritto romano ed una parte della dottrina hanno configurato il mutuo dissenso quale "contrarius actus". Contrarius actus da intendere nel senso di una visualizzazione storica di un nuovo contratto, inidoneo ad innovare la realtà; in quanto trattasi del medesimo contratto a parti invertite(es.:Tizio dona un bene a Caio il quale,dopo un po’lo ridona a Tizio),sebbene resti un contratto autonomo. In sostanza si visualizza l’aspetto economico,per cui"è come se"l’atto originario non fosse mai intervenuto. Tuttavia,la configurazione del mutuo dissenso quale contrarius actus non è in grado di risolvere alcuni aspetti problematici. Riportandoci all’esempio di cui sopra,se nell’intervallo tra la donazione originaria ed il"contrarius actus"Caio diventa incapace,il secondo atto risulta inammissibile,in quanto altresì insuscettibile di rappresentanza legale. Inoltre,se Caio ha figli e ridona a Tizio il bene da questi a sua volta ricevuto,siffatta donazione può essere soggetta all’azione di riduzione. Ciò deriva dalla circostanza che,con il "contrarius actus"ci si riporta ad una situazione analoga,non già identica a quella iniziale;il che equivale ad affermare che il mutuo dissenso quale "contrarius actus" non è idoneo ad esplicare effetti retroattivi. A tal fine,altra autorevole dottrina ha tentato di percorrere strade diverse. Mirabelli,in particolare,distingue in ogni contratto due effetti:l’effetto negoziale,inerente al vincolo derivante dal patto intervenuto tra le parti(la"forza di legge"del contratto);l’effetto finale,inerente al contenuto del contratto,alle disposizioni giuridicamente rilevanti. Sulla base della suddetta distinzione,tale dottrina configura il mutuo dissenso quale revoca bilaterale che agisce,demolendolo,sull’effetto negoziale del contratto;ponendo in tal modo nel nulla il titolo,fonte dell’effetto medesimo. In sostanza si afferma che,così come la proposta di contratto è revocabile da parte del suo autore;il contratto,i cui autori sono le due o più parti,è revocabile da queste ultime. Ciò d’altronde sembra essere confermato dal medesimo disposto dell’art.1372c.c.nel quale si afferma che il contratto ha"forza di legge"tra le parti,ma può essere sciolto per mutuo dissenso;con ciò volendo significare che il concetto di"forza di legge"non equivale a quello di irrevocabilità. La dottrina in esame,tuttavia,distingue due ipotesi,a seconda che il contratto abbia o meno prodotto effetti finali. Orbene,nel primo caso vale quanto sopra esposto,per cui il mutuo dissenso va qualificato nei termini di una revoca bilaterale che demolisce gli effetti negoziali ex tunc;poiché,venendosi a demolire il vincolo/titolo,è come se l’effetto stesso non si fosse mai prodotto ,con la conseguenza che viene ripristinata la situazione originaria. Nel secondo caso,essendosi già creati gli effetti finali,il mutuo dissenso cessa di agire sul titolo;per cui non si può più parlare di revoca,bensì di contratto modificativo o estintivo,anch’esso collocato nelll’ ambito del mutuo dissenso. A ben vedere,però,il mutuo dissenso quale contratto modificativo o estintivo,non è idoneo ad esplicare efficacia retroattiva;ciò in quanto opera per il tramite di clausole con le quali possono essere disciplinati determinati interessi,"come se"il primo contratto non fosse mai stato posto in essere;ma sono le suddette clausole che demoliscono gli effetti già prodottisi. Comunque lo si inquadri,occorre fare rilevare che il mutuo dissenso,nella prospettiva fin qui delineata,è idoneo a produrre i propri effetti soltanto in relazione ai contratti obbligatori che non abbiano ancora avuto un inizio di esecuzione. **Pertanto,in tal senso ,appare altresì superfluo distinguere la revoca,demolitrice del vincolo,dal recesso che scioglie il vincolo;poiché entrambi acquistano significato esclusivamente con riguardo ai contratti ancora ineseguiti.** Ci si è posti,di conseguenza,l’esigenza di estendere l’ambito di operatività del mutuo dissenso anche ai contratti traslativi;ciò al fine di risolvere le ipotesi problematiche cui si è fatto cenno all’inizio della presente trattazione. A tale riguardo occorre fare riferimento alla ricostruzione interpretativa portata avanti da un’autorevole dottrina (Capozzi). In base ad essa,il mutuo dissenso deve essere collocato sistematicamente nell’ambito delle fattispecie risolutorie,la cui funzione tipica consiste nel demolire un precedente negozio,come se il medesimo non fosse mai esistito. A siffatta ricostruzione,tuttavia,si obietta che,estendendo il mutuo dissenso,così inteso,ai contratti traslativi;quest’ultimo finirebbe con l’espletare una duplice funzione:demolizione del negozio precedente e ritrasferimento,con una palese violazione del principio di tipicità dei modi di trasferimento dei diritti reali. Senonchè,i sostenitori della tesi in argomento rispondono alla suddetta obiezione facendo leva sulla differenza tra effetti diretti e riflessi. In tale prospettiva,il mutuo dissenso esplica una sola funzione tipica che si traduce nel demolire l’atto,a prescindere che si tratti di contratti obbligatori o traslativi;pertanto,il ritrasferimento che si realizza nei secondi è soltanto un effetto riflesso,incapace di snaturarne la causa. Inoltre occorre altresì tener presente che il principio di tipicità,fulcro dell’ obiezione di cui sopra,è previsto per i diritti reali;non già per i modi di acquisto degli stessi. Ne consegue che è inammissibile creare nuove tipologie di diritti reali,al di fuori di quelle espressamente previste;ma i medesimi diritti reali possono essere trasferiti utilizzando svariati strumenti tra cui vanno annoverati contratti atipici quali la transazione o il leasing di consumo. Dall’inquadramento del mutuo dissenso nella categoria delle fattispecie risolutorie discende,quale conseguenza giuridicamente rilevante,l’effetto retroattivo interpartes,non già nei confronti dei terzi. Ma,se sono fatti salvi gli acquisti dei terzi,appare legittimo domandarsi che senso abbia discutere di retroattività. In realtà,a ben vedere,lo scopo principale di siffatta tesi consiste nel superare quei problemi che,sulla base della teoria del contrarius actus,sembravano irrisolvibili. Infatti,se Tizio intende ridonare a Caio il bene a sua volta da questi donatogli,può trasferire il bene medesimo denominando siffatto atto di trasferimento mutuo dissenso,invece che donazione. In tal modo verrebbe a cadere l’obbligo di osservare le disposizioni in tema di capacità del donante e di azione di riduzione. Si può tuttavia obiettare che,così facendo,si vanno ad eludere disposizioni inderogabili di legge,attuando in concreto un trasferimento con causa generica,un negozio in frode alla legge. A ciò si risponde che il mutuo dissenso demolisce il precedente negozio,ma non è a sua volta negozio di trasferimento;il ritasferimento che ne consegue non è altro che un effetto riflesso che non entra a far parte della causa dello stesso. Ma si controbietta che,posto che la causa è la sintesi degli effetti essenziali del negozio,in tal caso il ritrasferimento non può non essere considerato un effetto essenziale;pertanto si attua un abuso,una frode alla legge. A questo punto appare opportuno affrontare un ultimo aspetto attinente alla tematica del mutuo dissenso,anch’esso giuridicamente rilevante per i meccanismi coinvolti:l’aspetto relativo alla pubblicità. A tal fine può essere di ausilio la proposizione del seguente caso pratico da cui poter trarre le opportune deduzioni. Tizio e Caio intendono porre nel nulla un contratto con il quale il primo aveva trasferito al secondo la piena proprietà di un’unità immobiliare ;Tizio è coniugato con Mevia in regime di comunione legale e non vuole che il suddetto bene entri in comunione. Ci si chiede come possano essere attuate le suddette volontà e,per quanto attiene all’aspetto pubblicitario,se occorra o meno la dichiarazione di Mevia. Naturalmente va da sé che,per quanto fin qui esposto,la soluzione è radicalmente diversa,a seconda che si aderisca alla tesi del mutuo dissenso quale contrarius actus;ovvero a quella del mutuo dissenso quale fattispecie risolutoria demolitrice di un precedente negozio. In tale ultima prospettiva,il mutuo dissenso demolisce il primo negozio che è come se non fosse mai esistito;per cui il bene è come se non fosse mai uscito dal patrimonio personale di Tizio,con la conseguenza che non è richiesta alcuna dichiarazione in tal senso da parte di Mevia. Con specifico riferimento alla disciplina pubblicitaria,la dottrina in esame adduce,quale referente normativo,l’art.2655c.c. comma 4 dove si fa generico riferimento alla convenzione;convenzione che equivale a mutuo dissenso. In sostanza è sufficiente annotare il mutuo dissenso a margine della trascrizione del primo atto per far sì che il terzo si renda conto che il bene non cade in comunione. In tal modo,tuttavia,si viene ad ampliare arbitrariamente l’ambito dell’art.179c.c.che delinea la categoria dei beni non costituenti oggetto di comunione legale tra coniugi. Ponendosi invece nell’ottica del contrarius actus,il ritrasferimento da Caio a Tizio è attuabile mediante una nuova compravendita nella quale le parti risultano invertite;per cui Tizio assume la veste di acquirente e Caio quella di alienante. In siffatta ipotesi,tuttavia,occorre la dichiarazione di Mevia onde evitare che il bene entri in comunione;dichiarazione che non assolve ad una funzione meramente pubblicitaria,bensì costitutiva del carattere personale del bene medesimo ex art.179c.c.. Con la conseguenza che,qualora la suddetta dichiarazione non sia stata prestata,il bene rientra automaticamente in comunione,ai sensi dell’art.177c.c.;poiché,in tema di comunione,l’aspetto formale e sostanziale si identificano. D’altra parte,solo la dichiarazione di Mevia che il bene in oggetto sia adibito a studio professionale del coniuge,è idonea a sottrarre il bene stesso al regime di comunione. Nell’affrontare le problematiche attinenti al mutuo dissenso,si è più volte chiamato in causa il concetto di retroattività;pertanto,a chiusura della presente trattazione,può risultare utile precisare la portata di siffatto fenomeno giuridico. Per retroattività si è soliti intendere che gli effetti di un atto retroagiscono,vengono riportati al momento in cui l’atto stesso è stato posto in essere;ciò al fine di attribuire rilevanza ad un determinato piano di interessi. Esempi tipici sono costituiti dalla condizione,dall’annotazione di domande giudiziali,dalla petizione ereditaria. A ben vedere,tuttavia,in tali casi non si eliminano effetti giuridici già prodottisi,poiché l’autonomia negoziale non può arrivare a tanto. In realtà,quella che viene comunemente definita retroattività,non è altro che un meccanismo per rendere opponibile,tra le parti e nei confronti dei terzi,un assetto di interessi che può produrre determinati effetti. Trattasi pertanto di un meccanismo di opponibilità con funzione prenotativa,tramite il quale si intende opporre/prenotare un certo effetto erga omnes. La condizione,così intesa,rappresenta lo strumento cui fare ricorso per prenotare un determinato effetto sul bene quando ancora non si è proprietari dello stesso;con la conseguenza che il terzo è a conoscenza del fatto che qualsiasi atto di disposizione sul bene in oggetto verrà travolto nel momento in cui il meccanismo condizionale risulterà operativo. Travolgere,è bene chiarirlo,non equivale a demolire,a far finta che un atto non sia mai esistito;tanto vero che gli atti di amministrazione,eventualmente posti in essere durante la fase di pendenza della condizione,non possono essere eliminati;sebbene diano vita ad obblighi di restituzione. Tutto ciò serve ad affermare che gli effetti giuridici derivati da un contratto non possono essere demoliti;si può sì adottare un meccanismo(retroattività)che li faccia venire meno,ma non si può fingere che essi non siano mai esistiti. Ne consegue che la retroattività deve essere intesa nel senso di una fictio iuris con la quale si dà atto del fatto che degli effetti sono stati prodotti,appartengono alla realtà giuridica e non possono essere posti nel nulla. dott. Claudia Mazzone |
|
|