Tale elencazione non è esaustiva, considerato che alcuni beni, quand’anche non espressamente menzionati, in ragione delle loro caratteristiche funzionali e strutturali risultano comunque comuni.
A tal proposito, al fine di stabilire la condominialità, o meno, dei beni non elencati nell’art. 1117 Cc, occorre avere riguardo alle caratteristiche strutturali di tali beni rispetto all’edificio, pertanto, deve considerarsi il loro rapporto di dipendenza con il complesso immobiliare ovvero la loro attitudine funzionale, anche solo potenziale, e tanto a prescindere dall’utilità particolare che può trarre dagli stessi il singolo condomino.
Ciò posto, non rientra nei beni comuni, ma rimane in proprietà del singolo condomino, lo spazio vuoto sovrastante gli appartamenti e, in particolare, la controsoffittatura, in quanto la stessa non ha una funzione portante ovvero divisoria dei due appartamenti sovrapposti ma, esclusivamente, una funzione decorativa.
A tal proposito, infatti, appare pacifico che gli spazi, siano essi pieni o vuoti, esistenti al di sotto del soffitto o del pavimento, risultano complementari e non essenziali alla struttura divisoria, conseguentemente, gli stessi rimangono esclusi dalla comunione e sono di proprietà dei condòmini proprietari dei piani sovrapposti.
Questi i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, II Sezione civile, nell’ordinanza n. 15048, pubblicata in data 11 giugno 2018.
Il fatto
Accadeva che con ricorso per reintegra in possesso, ex art. 703 Cpc, un condomino, proprietario dell’appartamento sottostante a quello del condomino convenuto, lo evocava in giudizio al fine di essere reintegrato nel possesso della controsoffittatura del soffitto.
Assumeva, infatti, che il proprietario dell’appartamento sovrastante, durante alcuni lavori di ristrutturazione aveva invaso la sua proprietà, costituita dallo spazio esistente tra il soffitto e la controsoffittatura, mediante l’installazione di tubi e condutture allocati al servizio esclusivo del suo appartamento.
Il Tribunale di Venezia rigettava la domanda, con sentenza di primo grado confermata dalla Corte d’Appello di Venezia, nel frattempo adita dal ricorrente, la quale respingeva il gravame.
Il condomino originario ricorrente non demorde e impugna la sentenza di secondo grado innanzi alla Corte di Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 1102, 1117, 1140 e 1125 Cc.
Decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione prende atto della circostanza per la quale la Corte territoriale nel rigettare la domanda possessoria, ha ritenuto che il solaio fosse in compossesso tra i due appartamenti e che, pertanto, alcuno spoglio poteva configurarsi.
Evidenzia a tal proposito il Giudice di legittimità che, in linea generale, il solaio che separa il piano sottostante da quello sovrastante è di proprietà comune ai due piani, in relazione alla sua funzione di sostegno per il piano superiore e di copertura del quello inferiore.
Tanto è vero che, l’art. 1125 Cc, in materia di spese per la manutenzione dei soffitti, prevede che le stesse vengano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani; viceversa, a carico del proprietario del piano superiore rimane la copertura del pavimento mentre, a carico del proprietario del piano inferiore è ascrivibile l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
Tale regola, tuttavia, vige solo per le strutture essenziali alla struttura, vale a dire quelle che hanno una funzione di sostegno e copertura, tanto è vero che <<la presunzione di condominialità riguarda il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa, con la conseguenza che non è consentito al proprietario di uno degli appartamenti limitare o restringere la proprietà esclusiva dell’altro appartamento occupando gli spazi vuoti ( Cass. 23.3.1991 n. 3178, Cass. 23.3.1995 n.2286).>>.
Nel caso di specie, osserva la Suprema Corte, atteso che <<la situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell’essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell’esercizio del diritto dominicale. Va, pertanto, escluso che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali bisogna accertare di volta in volta la destinazione, al fine di verificare a chi appartengano ( Cass. 21.10.1976 n. 3715).>>.
Nel caso concreto risulta accertato che il proprietario dell’appartamento soprastante abbia collocato, in alcuni punti, dei tubi e dei cavi posti al di sotto delle assi di sostegno delle travi del pavimento e, pertanto, tra lo spazio tra il solaio e il controsoffitto dell’appartamento sottostante ritenuto erroneamente, dalla Corte territoriale, bene in comunione tra i proprietari dei due appartamenti.
A tal proposito, ricorda la Corte di Cassazione, <<quando gli spazi pieni o vuoti, che accedano al soffitto od al pavimento, non siano essenziali alla struttura divisoria, rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell’esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale.>>.
Conseguentemente, il proprietario dell’appartamento sovrastante utilizzando come se fosse di sua proprietà lo spazio tra il solaio e la controsoffittatura – con funzione meramente estetica – ha spogliato nel possesso il proprietario dell’appartamento sottostante.
Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la sentenza cassata e rinviata per nuovo esame innanzi ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia.
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