La riforma del giudizio abbreviato -una rapida rassegna

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     Indice

  1. Basi giuridiche
  2. La nuova disciplina del giudizio abbreviato
  3. La pronuncia della corte costituzionale
  4. Considerazioni conclusive

1. Basi giuridiche

Quello dei rapporti tra giudizio abbreviato e delitti puniti con la pena dell’ergastolo non è tema certamente nuovo[1]. Al contrario, il difficile connubio tra l’effetto premiale del rito e la durezza del carcere a vita è stato costellato da diverse pronunce costituzionali e di legittimità.

Dal canto proprio, il legislatore era intervenuto sulla questione già contestualmente all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, benché con una previsione normativa destinata ad incontrare gli strali della Corte costituzionale. Infatti, la sostituzione dell’ergastolo con la pena di anni trenta di reclusione era stata ritenuta ultronea rispetto alla delega legislativa concessa per la redazione del nuovo codice di rito[2], poiché questa, ad avviso della Corte, appariva chiara nel suo intento di limitare l’applicabilità del rito abbreviato (e la conseguente riduzione di un terzo di pena) ai soli delitti puniti con pene quantitativamente determinate, come quelle detentive temporanee.

La declaratoria di illegittimità incostituzionale germinata dalla sentenza n. 176 del 1991 ha rappresentato, per diversi anni, il formante giurisprudenziale di disciplina del tormentato rapporto tra abbreviato ed ergastolo. Ciononostante, il legislatore, mosso dalla volontà di rafforzare la risposta di efficienza affidata al giudizio abbreviato, ha deciso di intervenire a piè pari sul tema all’alba del nuovo secolo, con la legge n. 479 del 1999 (meglio nota come legge “Carotti”), operando un deciso ribaltamento delle precedenti prese di posizione della Corte costituzionale. Più in particolare, con tale novella è stata riconosciuta la possibilità di procedere con le celeri (e premiali) forme del giudizio abbreviato anche per imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, prevedendo al contempo la sostituzione della pena perpetua con la reclusione pari ad anni trenta.

La novella del 1999 ha rappresentato, per lungo tempo, il pilastro normativo di riferimento per la disciplina del rito abbreviato. Tuttavia, nell’intento di esibire un’inutile “muscolarità sanzionatoria”[3], nonché di elevare lo slogan di certezza della pena, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disciplina in esame con la recente riforma dell’aprile 2019, la quale, attraverso la preclusione all’accesso al rito abbreviato per imputati di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ha <<cantato il requiem al già agonizzante giudizio abbreviato>>[4].


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2. La nuova disciplina del giudizio abbreviato

Il 20 aprile 2019 è entrata in vigore la legge 12 aprile 2019 n. 33, con la quale si esclude l’accesso al rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Il legislatore muove dall’intento di assicurare una risposta sanzionatoria severa a fatti di particolare allarme sociale sottraendoli all’applicazione del meccanismo premiale del rito abbreviato, con inevitabili ed evidenti ricadute sul funzionamento del sistema giudiziario.

Il rito abbreviato rientra tra il novero delle procedure semplificate e alternative al dibattimento, il cui principale obiettivo è la deflazione del carico dei procedimenti.

Tale giudizio si caratterizza per essere celebrato allo stato degli atti, ovvero sulla base dei risultati delle indagini preliminari confluiti nel fascicolo del Pubblico Ministero, al fine di favorire la definizione del procedimento in forma accelerata. Naturalmente, la drastica riduzione dei tempi processuali, nonché la rinuncia dell’imputato al pieno contraddittorio dibattimentale, trovano un bilanciamento, in caso di condanna, nella previsione di un meccanismo premiale, ovverosia una diminuzione di pena della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto.

Ebbene, la presente riforma apporta una sostanziale modifica a tale disciplina proprio con riferimento al meccanismo di accesso al giudizio abbreviato, escludendone l’operatività per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Di conseguenza, sotto un profilo squisitamente tecnico, laddove venga avanzata una richiesta di rito abbreviato per un reato ostativo, il giudice, avuto riguardo alla sola qualificazione giuridica del fatto, deve pronunciare ordinanza di inammissibilità.

L’intento legislativo sotteso alla l. n. 33/2019 è chiaramente quello di escludere che gli imputati di delitti puniti con l’ergastolo possano accedere al giudizio abbreviato, in prospettiva antitetica rispetto alla l. n. 479/1999.

La riforma – secondo quanto ha evidenziato anche il Consiglio Superiore della Magistratura nel parere reso con delibera del 6 febbraio 2019 – intende espressamente assicurare una risposta sanzionatoria severa a fatti di particolare allarme sociale, per i quali il sistema vigente, anche per effetto della premialità conseguente al rito, non sempre assicura che le pene inflitte siano adeguate al concreto disvalore dei reati[5].

Sul punto si è creata una dicotomia dottrinaria: alcuni autori sostengono che la disciplina in questione si ponga in chiara controtendenza rispetto all’incentivazione degli strumenti deflattivi con ricadute evidenti sul sistema giudiziario, sul carico del ruolo delle Corti di Assise, sui termini delle misure cautelari e con sacrificio dei principi di efficienza e ragionevole durata del procedimento[6] evidenziando, altresì, il sostanziale declino dei procedimenti speciali e il tradimento dello scopo precipuo per il quale erano stati coniati[7].

Secondo questa parte della dottrina, dunque, la legge n. 33/2019 avrebbe come unico fine quello di assicurare il cittadino e l’elettore dal rischio di pene miti, lanciando un messaggio di <<tolleranza zero>>[8] e riproducendo, in sede processuale, un meccanismo che ha già contaminato il diritto penale sostanziale ormai asservito al consenso elettorale.

Altri autori, invece, pur ritenendo che la riforma non consideri adeguatamente l’esigenza di economia processuale sottesa alla ratio del giudizio abbreviato, hanno evidenziato che la medesima non sarebbe censurabile in termini di incostituzionalità in quanto, riferendosi a tutti i reati sanzionati con la massima pena detentiva[9] contemplata nel nostro ordinamento, conferirebbe ragionevolezza e proporzionalità alla scelta del legislatore di precludere per tali (gravi) fatti, l’accesso al modello alternativo di definizione del processo.

Oggi, ferma l’inammissibilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con il carcere a vita, l’imputato può comunque sottoporre al giudice la richiesta di accedere al rito semplificato, naturalmente subordinando la domanda alla riformulazione dell’imputazione; in caso di rigetto della richiesta – la quale, peraltro, non produce alcuna sanatoria ai sensi dell’art. 438, comma 6-bis, c.p.p., poiché questa rimane vincolata all’accoglimento della domanda di abbreviato -, la difesa è legittimata a rinnovare la richiesta fino alla precisazione delle conclusioni, una volta terminata la discussione e le eventuali attività istruttorie.

All’esito dell’udienza preliminare, poi, il giudice che ritenga necessario dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato è tenuto ad avvisare (a pena di nullità a regime intermedio) l’interessato con il decreto che dispone il giudizio che questi ha il diritto di chiedere il rito sommario <<entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione>>, osservando le disposizioni dell’articolo 458 c.p.p. e dell’articolo 429, comma 2-bis, c.p.p.

Infine, qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1-bis, e il giudice in sede di condanna ritiene che per il fatto accertato sarebbe stato ammissibile il giudizio abbreviato, occorre procedere all’applicazione della riduzione della pena prevista ai sensi dell’art. 442, comma 2, c.p.p.

3. La pronuncia della corte costituzionale

Nonostante la Corte Costituzionale abbia dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai vari Tribunali, dall’analisi della sentenza emerge come, nel “salvare” la novella legislativa, la Corte abbia dato un peso rilevante ai legittimi obiettivi di politica criminale avuti di mira dal Parlamento.

È evidente che le novità relative al giudizio abbreviato vanno in direzione antitetica rispetto ai più recenti orientamenti della Corte, che ha proiettato più di un dubbio sulla legittimità della pena perpetua, e che si pongono, altresì, in netta controtendenza rispetto all’avvertita necessità che anima il d.d.l. Bonafede nell’intento di riformare la giustizia e di snellire la macchina processuale.

Se le finalità perseguite dal legislatore erano essenzialmente quelle di assicurare l’applicazione di pene severe nei confronti degli autori di determinati delitti e di consentire ai consociati di partecipare alla celebrazione di questo genere di processi sia in veste di giudici popolari, sia come spettatori, i mezzi a disposizione per attuarle erano variegati: quanto al primo obiettivo, si sarebbe potuto lavorare sullo sconto di pena riducendolo[10]; con riferimento al secondo, sarebbe stato più ragionevole, ad esempio, sottrarre <<al giudice monocratico (per le indagini preliminari) investito del rito abbreviato la decisione su delitti che comportano pene molto elevate, per attribuirne la competenza alla composizione collegiale e recuperare una più ampia serenità di giudizio>>[11].

Ecco che, dunque, dalla novella sembra emergere un difetto di proporzionalità tra i beni costituzionali oggetto di tutela legislativa, segnatamente la giustizia della pena (artt. 3 e 27, co. 1 e 3, Cost), la partecipazione popolare ai processi (art. 101 Cost.) e gli strumenti messi in campo per rafforzarli, idonei a comprimere il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza e il principio della ragionevole durata dei processi[12].

Traendo le conclusioni dal discorso fin qui sviluppato è possibile sostenere che, nonostante la sentenza n. 260/2020 della Corte Costituzionale, vi sono delle questioni tutt’altro che chiuse.

In primo luogo quelle sopra citate; in secondo luogo quelle che riguardano il giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti, argomento liquidato dalla Consulta in modo approssimativo.

Anche sul versante economico-finanziario sarà necessario effettuare una capillare indagine per verificare a quanto ammonteranno gli oneri aggiuntivi a carico dello Stato per coloro che saranno ammessi al gratuito patrocinio. Questa dilatazione darà vita ad una lievitazione delle notule dei professionisti coinvolti nella fase dibattimentale con il paradosso, in alcuni casi, che se il giudice all’esito del dibattimento riterrà ammissibile il giudizio abbreviato, per il fatto accertato all’esito dell’istruzione dibattimentale, applicherà la riduzione della pena (art. 438, comma 6-ter, c.p.p.).

Altre ricadute negative, da monitorare con estrema priorità, sono state segnalate per ciò che riguarda le collaborazioni di giustizia che potevano contare proprio sulla premialità del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo.

4. Considerazioni conclusive

La limitazione del catalogo di reati per i quali viene ammesso il ricorso al rito abbreviato crea una oggettiva disparità di trattamento, tra i reati puniti con la pena dell’ergastolo e tutti gli atri, e inevitabilmente viola il principio di uguaglianza.

Inoltre, si avrà modo di accertare un aumento del carico di lavoro delle Corti di Assise che genera un inevitabile sacrificio del principio di efficienza e della ragionevole durata del procedimento.

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Note

[1] Cfr., ex multis, F. Zacchè, Il giudizio abbreviato, Milano, 2004; V. Maffeo, Il contributo giurisprudenziale all’evoluzione del giudizio abbreviato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2016.

[2] Ci si riferisce all’art. 2 della legge-delega n. 81 del 1987.

[3] V., sul punto, G. Giostra, Ergastolo, stop all’abbreviato.

[4] Così si esprime F. Zacchè, Inammissibile l’abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo.

[5] CSM, Proposta di legge AC 392/C, abbinata alla proposta di legge AC 460/C, avente ad oggetto:

Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, delibera del 6 febbraio 2019.  

[6] Così F. Barbero, L’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

[7] F. Giunchedi, De profundis per i procedimenti speciali. Considerazioni a margine alla legge di inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo.

[8] G. Di Chiara, Giudizio abbreviato, reati da ergastolo, populismo penale e Stato di diritto.  

[9] G. Spangher, Come cambia il giudizio abbreviato: conseguenze dell’inapplicabilità del rito speciale ai delitti puniti con l’ergastolo.

[10] Sul punto Giostra, Ergastolo, stop all’abbreviato, in www.giustiziainsieme.it.

[11] Così Scalfati, L’uso strategico dei procedimenti differenziati, in Rivista, 2019, 3, 6.

[12] Dubita della compatibilità della legge con il principio di proporzionalità, Pilloni, Giustizia penale negoziata e divieto di giudizio abbreviato per i delitti puniti con l’ergastolo, cit., 20 ss.

Avv. Fabio Montalto

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