Da una parte del fronte bellico troviamo il condomino che rivendica il diritto alla tranquillità, ricordando nostalgicamente il tempo in cui si poteva udire il cinguettio degli uccellini proveniente dal giardino condominiale; sull’altro versante bellico il condomino che rivendica il diritto di ricavare la maggiore utilità possibile dal proprio immobile, compresa la facoltà di organizzare grigliate nel sottoscala condominiale.
La litigiosità è aumentata di pari passo con la crescita del fenomeno delle strutture ricettive, che offrono ospitalità a turisti in locali situati all’interno di un condominio: affittacamere, guest house, bed and breakfast e similari. Da più parti si sostiene che il principale motivo di incremento del fenomeno della sharing economy, che pure ha subito una certa flessione nel periodo delle limitazioni Covid, andrebbe ricercato nel desiderio dell’ospite di apprezzare maggiormente la cultura e la natura del luogo. In verità la motivazione principale dello sviluppo del fenomeno, tenuto conto dell’attuale periodo di crisi, riguarderebbe, più realisticamente, il prezzo contenuto del servizio offerto ed il desiderio di alcuni proprietari di immobili in condominio di rimpinguare le risorse economiche della famiglia, evitando di confrontarsi con i maggiori impegni e con i maggiori rischi derivanti dall’avvio di altre attività lavorative.
Indice
- Le fonti dei vincoli di destinazione
- I vincoli negli atti di compravendita e nei regolamenti di condominio
- L’opponibilità dei vincoli di destinazione
- Il contenzioso in materia di vincoli di destinazione
- Considerazioni conclusive
1. Le fonti dei vincoli di destinazione
In linea generale vige il principio della libera destinazione d’uso: il condomino è tendenzialmente libero di adibire il proprio immobile all’uso che desidera. Tuttavia tale libertà di destinazione trova alcune limitazioni nelle norme statali, regionali, comunali, nel rispetto dell’ordine pubblico e del buon costume. Inoltre il diritto di libera destinazione dell’immobile può essere compresso se l’immobile fa parte di un condominio.
Per quanto riguarda i vincoli di tipo pubblicistico, l’attribuzione di una determinata destinazione urbanistica rappresenta già, in un certo senso, un primo importante vincolo di destinazione d’uso dell’immobile, sia esso in condominio o meno. Infatti l’attribuzione di una certa destinazione d’uso di un immobile deve essere rispettosa della pianificazione urbanistica, che è a sua volta funzionale alla predisposizione di particolari opere di urbanizzazione L’ordinamento pubblico ha tra le sue prerogative anche quello di garantire uno sviluppo ordinato dei centri abitati; a fini pubblicistici non rilava quindi solo la superficie di un immobile, ma anche la sua destinazione (1).
Ciò che stabilisce in origine la destinazione d’uso di un immobile sotto il profilo pubblicistico è il titolo abilitativo rilasciato dall’ente preposto.
Per esigenze pubbliche la destinazione d’uso di un immobile in alcuni casi non può essere variata, in altri casi può essere variata, ma solo sussistendo determinati presupposti ed espletando particolari procedure.
In linea generale la normativa nazionale (art.17 DL 1133/214 che ha inserito l’art. 23-ter nel DPR 380/2001) prevede che i cambi di destinazione d’uso nell’ambito di una stessa categoria omogenea (le categorie sono cinque: residenziale, turistico-recettiva, produttiva e direzionale, commerciale, rurale) non richiede titolo abilitativo, (es. da abitazione a studio professionale che riceve per appuntamento).
Per contro il cambio di destinazione al di fuori di una stessa categoria omogenea richiede il titolo abilitativo (es. da residenza a commerciale oppure da magazzino ad abitazione) (2).
Sono le Regioni che stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o loro parti sono subordinati a permesso di costruire o Scia. Le Regioni ed in particolare quelle a statuto speciale hanno ampia competenza legislativa, concorrente con quella statale, in materia di cambio di destinazione d’uso.
Si deve poi accertare se lo strumento urbanistico comunale consente la possibilità di realizzare il cambio di destinazione, di solito dietro corresponsione degli oneri di urbanizzazione. In alcuni casi il Comune, in sede di rilascio di concessione edilizia, può imporre particolari vincoli di destinazione, soggetti a trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliari.
L’immobile dovrà poi possedere le caratteristiche intrinseche obbligatorie per legge; si pensi ad esempio alle dimensioni minime di un bagno (2,5 mq).
Non rileva ai presenti fini la certificazione catastale, trattandosi di questione di ordine fiscale, che non ha dirette conseguenze sul piano urbanistico. Tuttavia le risultanze catastali possono aver rilievo per quelle costruzioni realizzate in epoca in cui non era previsto il previo ottenimento del titolo abilitativo (ad es. un immobile ottocentesco in centro storico).
Altri vincoli di ordine pubblicistico potrebbero derivare da regolamenti comunali di polizia od igiene.
Se si procede ad una variazione di destinazione d’uso in violazione del titolo edilizio od in violazione della normativa urbanistica, di polizia e di igiene dobbiamo aspettarci il varo di ordini di demolizione, ordini di remissione in pristino, l’irrigazione di sanzioni di carattere penale o amministrativo.
Vincoli di destinazione degli immobili possono derivare anche dagli atti notarili di compravendita degli immobili e dai regolamenti di condominio, in entrambi i casi nel rispetto di particolari condizioni, rigorosamente valutate dalla giurisprudenza, che si è occupata della materia.
Pacifica la mancanza di interdipendenza tra i vincoli di origine pubblicistica e vincoli di natura privatistica. La destinazione d’uso è legittima se è rispettosa di entrambe le categorie di vincoli.
Posto che una desiderata destinazione d’uso potrebbe essere preclusa da un vincolo di destinazione pubblicistico, pare opportuno evidenziare che, contrariamente ad una credenza piuttosto diffusa in ambito condominiale, il lascia passare amministrativo all’adozione di una particolare destinazione d’uso non rende di per sé legittima tale destinazione sotto il profilo civilistico (3).
2. I vincoli negli atti di compravendita e nei regolamenti di condominio
La casistica dei vincoli di destinazione d’uso degli immobili in condominio è piuttosto ampia (4).
I vincoli sono espressi per lo più sotto forma di divieti di svolgimento di specifiche destinazioni/attività; questa è la situazione che genera meno problematiche: si tratta solo di stabile se l’attività può essere ragionevolmente compresa o meno nell’elenco. In altri casi i vincoli di destinazione sono espressi sotto forma di divieti di svolgimento di generiche attività, che possono risultare pregiudizievoli a vario titolo; in questo caso può essere richiesto lo svolgimento di un’attività interpretativa piuttosto complessa, specie se si discute di tranquillità, di decoro o comunque si situazioni ritenute genericamente pregiudizievoli.
Per accertare la legittimità di un vincolo di destinazione di un immobile in condominio pare opportuno definire preliminarmente la natura giuridica di tali vincoli.
Alcune recenti pronunce della Suprema Corte e numerose pronunce di merito hanno affermato il principio, che potremmo definire ormai consolidato, secondo cui la clausola riguardante la non modificabilità della destinazione di immobili o parti di immobili di proprietà esclusiva ha natura di servitù reciproca atipica (5).
Dalla natura giuridica di servitù reciproche delle limitazioni d’uso deriva la necessaria applicazioni di alcune regole: a) l’approvazione e la modifica devono avvenire per iscritto; b) è necessario il consenso unanime di tutti i proprietari dello stabile; non è possibile creare vincoli di destinazione nell’ambito di un regolamento assembleare approvato a maggioranza, ma solo nell’ambito di un regolamento contrattuale; c) i divieti ed i vincoli devono poi risultare in modo inequivoco dal tenore letterale delle espressioni utilizzate.
Non sono consentite interpretazioni estensive (6) delle clausole, ma sembra consentita un’interpretazione storicamente orientata (7); inoltre l’esistenza di divieti di destinazione non può essere ricavata per effetto di una sorta di acquiescenza ad una certa destinazione o da comportamenti concludenti.
Anche il disposto dell’art. 1122 c.c. non può essere considerato alla stregua di un vincolo di destinazione. La norma non vieta automaticamente diverse destinazioni; la diversa destinazione può essere ritenuta vietata solo indirettamente, in quanto ottenuta mediante opere pregiudizievoli per il condominio e di cui può essere ordinata la demolizione; il pregiudizio non deve essere necessariamente di tipo statico od impiantistico, ma potrebbe essere anche di tipo estetico (8).
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3. L’opponibilità dei vincoli di destinazione
Se la natura giuridica dei vincoli di destinazione degli immobili in condominio è quella di servitù reciproca, la loro opponibilità agli acquirenti degli immobili si accerta con riguarda alle norme in materia di servitù.
Se l’acquirente prende atto specificatamente di un particolare divieto di destinazione dell’immobile posto dall’originario costruttore (ciò mediante accettazione di una specifica e dettagliata clausola contenuta nell’atto di compravendita), non sembra sussistano problemi: il vincolo/divieto è certamente opponibile; non è sufficiente un generico richiamo riguardante l’approvazione delle clausole del regolamento, ma necessità un’analitica descrizione del vincolo. Le clausole devono essere chiare ed esplicite, non devono dare luogo ad incertezze e dovranno essere ripetute nei successivi atti di compravendita.
Per contro non sussistendo tale specifica presa d’atto nel contratto di compravendita, l’opponibilità del vincolo nei riguardi del nuovo acquirente può derivare solo dagli effetti tipici della trascrizione degli atti (9). Quanto sopra lo si ricava dall’art. 2643 c.c., il quale richiede che siano trascritti i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali, al fine di renderli opponibili ai terzi acquirenti. Anche in questo caso le clausole devono essere chiare ed esplicite e non devono dare luogo a incertezze
In recenti pronunce la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto : Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino le facoltà di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale e sono soggette pertanto, ai fini dell’opponibilità ultra partes, alla trascrizione in base all’art. 2643 c.c. n°4 e art. 2659 c.c., comma 1 n° 2 (10).
Allorché l’opponibilità del vincolo la si voglia ricavare esclusivamente dalla trascrizione si rendono poi necessarie un’ulteriori indagini. Anzi tutto la trascrizione deve precedere l’acquisto da parte del soggetto nei cui confronti si intende far valere il vincolo. Non è sufficiente l’indicazione nella nota di trascrizione di un generico riferimento al regolamento di condominio, ma deve essere riprodotta la specifica clausola contenente il vincolo. Devono essere menzionate tutte le unità immobiliari dominanti e serventi, vale a dire tutte le unità immobiliari facenti parte del condominio.
4. Il contenzioso in materia di vincoli di destinazione
Il condomino che assume l’illegittimità di una delibera assembleare con la quale gli si nega il nulla osta richiesto per l’esecuzione di modifiche interne alla sua proprietà esclusiva, con cambio di destinazione d’uso dei locali, ha l’onere di impugnare detta delibera. In questi casi la giurisprudenza di merito ha ritenuto che tale diniego configuri un vizio di annullabilità e non già di nullità della delibera; conseguentemente la delibera dovrà essere impugnata dal condomino interessato nel termine di gg. 30 previsto dall’art. 1137 c.c (11). Tale soluzione, che è in linea con l’orientamento volto ad ampliare la casistica delle delibere affette da vizio di annullabilità, non convince: trattandosi di delibera che riversa i suoi effetti anche sui diritti dominicali del condomino richiedente e discutendosi, sia pure mediatamente, della validità di una servitù a carico del condomino ed a favore degli altri condomini, sembrerebbe più aderente agli istituti in gioco la possibilità di reagire adverso la delibera negatoria anche oltre il termine di 30 giorni. Vero è che, in caso di rigetto della domanda giudiziaria per tardività dell’impugnazione, nulla impedirebbe al condomino di riproporre una nuova richiesta di modifica della destinazione in una nuova assemblea, provocare un nuovo diniego ed impugnare nuovamente, questa volta nei termini, ma ciò comporterebbe un inutile aggravio di tempi e di costi.
Verificandosi altra l’ipotesi in cui il condomino si renda autore della violazione del divieto d’uso, in assenza di una preventiva richiesta di valutazione assembleare, sarà onere del condominio avviare le più opportune azioni giudiziarie, formulando le domande di rito: immediata cessazione dell’illegittima destinazione d’uso, riduzione in pristino dei luoghi, condanna al risarcimento dei danni, se ritenuto anche mediate determinazione di una somma di denaro per ogni giorno o mese di inosservanza del regolamento condominiale.
L’amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l’osservanza del regolamento condominiale ai sensi dell’art. 1130 c.c., è legittimato ad agire e resistere in giudizio, anche senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, richiesta solo per le liti esorbitanti dalle sue competenze (12).
Ciononostante l’amministratore dovrebbe valutare adeguatamente il caso prima di assumere iniziative giudiziarie in assenza di uno specifico mandato assembleare. Egli potrebbe infatti trovarsi esposto ad un duplice rischio: se non si attiva nel perseguire la violazione perpetrata dal singolo condomino, nonostante le segnalazioni ricevute dagli altri condomini, corre il rischio di essere ritenuto responsabile di non aver ottemperato ai suoi doveri; per contro se agisce a sproposito, senza un mandato assembleare, potrebbe accollarsi la responsabilità di un contenzioso inutile e dispendioso.
La questione assumerà maggior rilievo a seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, che prevede espressamente la legittimazione dell’amministratore ad attivare, aderire e partecipare ad un procedimento di mediazione, pur in assenza di una preventiva autorizzazione assembleare (13).
Può accadere poi che il condominio decida di non attivarsi per contrastare una presunta violazione dei vincoli di destinazione d’uso compiuta da un condomino. Specie negli ultimi tempi, stante la crisi economica in atto, i condomini sono piuttosto restii ad approvare l’avvio di azioni giudiziarie, anche in situazioni di pieno diritto. Posto che le clausole contenenti vincoli di destinazione delle proprietà esclusive hanno natura di servitù reciproche, non sembra si possa dubitare della legittimazione concorrente del singolo condomino ad avviare a titolo personale un’azione atta a contrastare la violazione del vincolo di destinazione posta in essere da altro condomino. È infatti configurabile la legittimazione processuale dei singoli condomini qualora nella lite si possa riscontrare un loro interesse diretto e non semplicemente mediato (14).
L’attribuzione di nuova legittima destinazione d’uso di un immobile non comporta automaticamente in capo all’unità risultante dalla trasformazione il diritto all’utilizzo dei beni comuni. Così nel caso di trasformazione di un box in miniappartamento la giurisprudenza ha ritenuto che la nuova destinazione del vano non avrebbe potuto comportare il dritto all’utilizzo del giardino e del campo da tennis condominiali; ciò perché il box non era legato da relazione funzionale con il godimento collettivo dei beni (15)
5. Considerazioni conclusive
Specie negli ultimi tempi la giurisprudenza sembra aver adottato criteri improntati ad un particolare rigore nel valutare la concreta operatività dei vincoli di destinazione d’uso asseritamente gravanti sugli immobili di proprietà esclusiva, facenti parte di un condominio.
Se si esclude l’operatività dei vincoli di destinazione d’uso contenuti in clausole di origine assembleare e non contrattuale, se si esclude l’operatività dei vincoli di destinazione d’uso formulati con espressioni generiche, se si esclude l’operatività dei vincoli laddove la prassi notarile adotta una tecnica redazionale di semplice richiamo generico al disposto del regolamento condominiale, se si esclude l’efficacia oppositiva di note di trascrizione generiche, se ne ricava la rarità dei casi in cui si riuscirà ad imporre in concreto il rispetto di un vincolo di destinazione d’uso al proprietario di un immobile in condominio.
Se da un lato il particolare favore per la libera destinazione d’uso degli immobili in condominio scontenterà coloro i quali confidavano nell’immutabilità della pianificazione condominiale, dall’altro il particolare favore per la libera destinazione d’uso degli immobili in condominio farà gioire il mercato immobiliare, che sempre più mal sopporta incongrui ed anacronistici divieti di destinazione d’uso.
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Note
1) (Relativamente al caso del cambio di destinazione d’uso dei locali da magazzino in abitazione, in assenza di permesso di costruire e in zona soggetta a vincolo idrogeologico, il Tribunale di Genova, con la sentenza 30 maggio 2022, N° 2026, ha stabilito: La richiesta di cambio di destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale quindi da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede).
2) Per una più approfondita disamina: Stefano Margiotta, I procedimenti e i titoli abilitativi, eDocta, 2022, pp 153 e ss..
3) Qualora il regolamento condominiale preveda il divieto di modifica della destinazione d’uso degli immobili, alcun rilevo può essere attribuito all’ottenimento da parte del condomino interessato dell’autorizzazione amministrativa alla modifica della destinazione, stante l’inidoneità delle autorizzazioni amministrative a superare il contenuto del regolamento contrattuale. Così si è espresso Trib. Rovigo, Sent. 20.5.2021 N° 361 .
4) Si veda sull’argomento Giuseppe Bordolli, Parti comuni ed esclusive in condominio, Maggioli Editore, 2021, pg.229 e ss.. Per un’ampia casistica di clausole limitative della destinazione d’uso: Giuseppe Bordolli, Il regolamento di condominio, Maggioli Editore, 2020, pg. 179 ss..
5) Cass. 24526/2022; Cass. 21024/2016
(6) Così non si può dedurre dalla semplice indicazione di una particolare destinazione delle unità immobiliare il divieto di attribuirne altre (Cass. 21307/2016; Cass. 19229/2014). Di recente il Tribunale di Forlì (sentenza N°1236/2021) ha ritenuto legittima l’adibizione di un immobile ad attività di associazionismo politico, ritenendo non espressamente vietata detta attività e troppo generici i riferimenti alla tranquillità ed al decoro, termine quest’ultimo ritenuto riferito al solo decoro architettonico.
(7) In alcuni casi si deve calare il senso letterale delle parole nell’effettiva volontà moderna; ad esempio se un regolamento del 1988 vieta lo svolgimento di attività industriali non sembrerebbe logico escludere oggi dal divieto l’attività tecnologica-informatica.
8) L’art. 1122 c.c. recita: Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza od al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea.
9) Per tutte: Trib. Roma 14050/2022
10) Cass. 24526/2022, Cass.6357/2022
(11) Trib. Milano 14.2.2021 N° 1327
(12) Sul punto : Riccardo Mazzon, Manuale del contenzioso condominiale, Maggioli Editore, pg. 255. In giurisprudenza: Cass. 4183/2017.
(13) Per un’esaustiva esposizione della materia della mediazione condominiale: Vincenzo Nasini, Struttura e gestione dell’edificio in condominio, Giuffrè. 2021, pg.493 e ss.; Giulio Spina La mediazione delle controversie condominiali, Altalex Editore 2014, pg 69). Per un aggiornamento si veda anche: Giampaolo Di Marco, La riforma del Processo civile, Giappichelli. 2022, pg.20).
(14) E’ stata ad esempio riconosciuta la legittimazione del singolo condomino ad agire per la tutela del decoro dell’edificio (Cass. 28465/2019)
(15) Cass. 28181/2022.
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